Consiglio di Stato, Sez. V, 8 ottobre 2014, n. 5007

 

Consiglio di Stato, Sez. V, 8 ottobre 2014, n. 5007

Presidente Torsello; Estensore Lotti

 

E’ illegittimo l’affidamento diretto del servizio di igiene urbana attuato mediante estensione dell’oggetto di un contratto fra terzi. La disposizione del capitolato speciale di appalto che prevede detta estensione costituisce violazione dei principi enunciati agli artt. 2 e 30 del d.lgs. n. 163/2006 e, in particolare, dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza, consentendo un affidamento senza gara al di fuori dei casi tipici e tassativamente previsti dalla normativa comunitaria e dalle disposizioni primarie.

 

L’interesse alla base del ricorso avverso l’affidamento diretto di un servizio non può che essere quello dell’indizione di una gara alla quale il ricorrente ha in astratto titolo per partecipare. Le contestate inadempienze contrattuali della ditta ricorrente non possono comportare un difetto di interesse al ricorso, tenuto conto che tali inadempienze devono essere oggetto di valutazione da parte della stazione appaltante nell’eventuale gara di futuro svolgimento, e che delibare ora tale elemento in sede giudiziaria, sia pure ai limitati fini di valutare l’interesse al ricorso, significa anticipare inammissibilmente un giudizio che compete all’Amministrazione, in contrasto con il divieto per il giudice di pronunciarsi in merito a poteri amministrativi, attinenti alla discrezionalità della stessa, non ancora esercitati (artt. 31, comma 3, e 34, comma 2, c.p.a.).

 

E’ ammissibile il ricorso di primo grado avverso il provvedimento di affidamento diretto di un servizio anche in assenza di domanda di inefficacia del contratto, trattandosi di ipotesi rientrante nella fattispecie normativa di cui all’art. 121 c.p.a. per le violazioni di maggiore gravità (affidamento di un appalto mediante procedura negoziata, tra cui rientra anche l’ipotesi di affidamento diretto senza previa pubblicazione del bando), in quanto in queste ipotesi la domanda di declaratoria di inefficacia del contratto può essere proposta anche nel giudizio di ottemperanza, intesa quale una delle possibili modalità di attuazione del giudicato.

 

 

BREVI ANNOTAZIONI

 

  • L’OGGETTO DELLA PRONUNCIA

 

La pronuncia si segnala per le significative puntualizzazioni offerte in tema di affidamento diretto di servizi.

Segnatamente, sul versante sostanziale viene riaffermata con vigore l’illegittimità dell’affidamento senza gara operato attraverso il meccanismo dell’estensione dell’oggetto contrattuale, che nella fattispecie decisa presenta singolari connotazioni.

Sotto il profilo processuale, sono scandagliate molteplici questioni concernenti le peculiari declinazioni dell’interesse a ricorrere in caso di contestazione del mancato espletamento di una procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento di un appalto.

 

  • IL PERCORSO ARGOMENTATIVO

 

La vicenda controversa concerne l’affidamento diretto del servizio di igiene urbana per un Comune pugliese, realizzato mediante “estensione dell’oggetto contrattuale”, espressamente contemplata nel capitolato speciale di appalto con cui il medesimo servizio era stato già affidato in altri Comuni consorziati nell’ATO di riferimento.

Il ricorso proposto dalla società affidataria uscente del servizio – che lamenta l’illegittima sottrazione del servizio al mercato – viene dichiarato inammissibile dal primo Giudice per carenza di interesse, sotto due distinti profili.

In primo luogo, per mancato superamento della c.d. “prova di resistenza: la ricorrente non potrebbe comunque partecipare alla gara eventualmente indetta in accoglimento del gravame, in quanto colpita da giudizio di inaffidabilità per “grave negligenza”, rilevante quale causa di esclusione ex art. 38, primo comma, lett. f), d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163.

Il difetto di interesse deriverebbe, altresì, dalla mancata impugnazione della previsione del capitolato in forza della quale era stata disposta l’estensione contrattuale, nonché dalla mancata domanda per la declaratoria di inefficacia del contratto sottoscritto con la controinteressata e per il subentro nel contratto stesso.

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato ribalta le conclusioni cui era pervenuto il Tar Puglia, ritenendo ammissibile e meritevole di accoglimento il ricorso di primo grado.

Nell’affrontare le questioni preliminari relative all’ammissibilità del gravame, la Sezione traccia i confini (di notevole ampiezza) dell’interesse a ricorrere avverso i provvedimenti di affidamento diretto.

In primo luogo, sotto l’angolo visuale della c.d. “prova di resistenza”, si afferma che l’interesse perseguito dal ricorrente concerne l’indizione di una gara per l’affidamento del servizio, gara cui la ditta deve avere, in astratto, titolo per partecipare.

Viene, in tal modo, chiarito che l’interesse necessario e sufficiente per la valida instaurazione del giudizio deve essere valutato in astratto e non in concreto, non occorrendo anche la dimostrazione dell’assenza di cause impeditive della partecipazione alla futura gara.

Così, nel caso deciso sono giudicate irrilevanti le contestate inadempienze contrattuali dell’impresa ricorrente, già affidataria del servizio (pur se integranti la previsione dell’art. 38, primo comma, lett. f), del Codice dei contratti, sub specie di “grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante”, ovvero di “errore grave nell’esercizio della… attività professionale”).

Precisa, al riguardo, la Sezione che l’effettiva rilevanza delle predette negligenze ai fini dell’esclusione deve formare oggetto di valutazione da parte della stazione appaltante nella futura procedura di gara, “con le opportune garanzie procedimentali previste dall’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006”. In sede di ricorso avverso l’affidamento diretto, al giudice amministrativo non può che essere precluso ogni sindacato sul punto, stante il divieto di “pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati” contenuto nell’art. 34, secondo comma, c.p.a. (cfr., sul punto, anche Cons. St., Sez. VI, 29 aprile 2013, n. 2342).

In altri termini, dalla pronuncia in commento si ricava che, ove sia contestato un affidamento diretto, l’esperimento della prova di resistenza consta di una verifica “a priori”, che porta ad escludere l’interesse soltanto ove risulti con certezza che il ricorrente non avrebbe comunque potuto ottenere il bene della vita perseguito.

La latitudine dell’interesse è poi confermata dal’ulteriore rilievo secondo cui l’obbligo di indire una gara per l’affidamento del servizio potrebbe comunque essere “neutralizzata da un affidamento in house se ne ricorressero i presupposti, ma tale evenienza non è suscettibile di dimostrazione da parte del ricorrente, involgendo complesse valutazioni di spettanza esclusiva dell’Amministrazione”.

Il tema dell’interesse a ricorrere viene quindi approfondito anche sotto il profilo della necessità o meno, ai fini dell’ammissibilità del gravame, della domanda di declaratoria di inefficacia del contratto stipulato con la società, nonché di subentro nel medesimo.

Come noto, sul tema si fronteggiano due distinti orientamenti, formatisi peraltro in relazione alla diversa ipotesi in cui sia impugnato non l’affidamento diretto, ma l’aggiudicazione in esito a procedura di gara asseritamente illegittima.

Il primo ritiene che, anche in caso di “gravi violazioniex art. 121 c.p.a., la dichiarazione di inefficacia del contratto non possa essere pronunciata d’ufficio dal giudice, occorrendo all’uopo una specifica domanda di parte. Tale tesi valorizza il potere dispositivo delle parti ed il carattere non sanzionatorio della dichiarazione di inefficacia (cfr. Cons. giust. amm. sic., 25 febbraio 2013, n. 276).

Secondo un diverso indirizzo ermeneutico, fatto proprio dalla pronuncia annotata, la mancata proposizione della domanda di inefficacia del contratto non determina il venir meno dell’interesse a ricorrere avverso l’affidamento diretto, potendo il giudice dichiararla officiosamente. Difatti, l’affidamento diretto costituisce sicuramente una violazione grave ai sensi del citato art. 121 (sussumibile nella fattispecie di cui alla lett. b) del primo comma), per la quale la domanda di inefficacia ben può essere proposta per la prima volta in sede di giudizio di ottemperanza (“intesa quale una delle modalità di attuazione del giudicato”) (cfr. Cons. St., Sez. III, 19 dicembre 2011, n. 6638).

Tanto rilevato in termini generali, in relazione alla specifica fattispecie dedotta la Sezione chiarisce l’insussistenza dell’interesse ad ottenere l’inefficacia del contratto, non potendo comunque darsi luogo a subentro in un contratto stipulato in violazione delle norme proconcorrenziali. Viene richiamata, al riguardo, altra pronuncia della medesima Sezione (26 settembre 2013, n. 4752) che esprime il medesimo principio secondo cui “la domanda di inefficacia del contratto, quand’anche proponibile per la prima volta nel giudizio di ottemperanza, presuppone pur sempre la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto e l’interesse della parte, essendo la declaratoria di inefficacia sempre strumentale all’interesse del ricorrente di poter subentrare nel contratto o partecipare ad una nuova procedura di affidamento”.

A conferma, si sottolinea poi che un’eventuale domanda di subentro nel contratto, oltre a non essere necessaria per radicare l’interesse al ricorso, neppure sarebbe ammissibile, stante l’illegittimità del disposto affidamento diretto.

Infine, ad escludere anche l’improcedibilità del gravame per sopravvenuta carenza  di interesse, si richiama l’orientamento giurisprudenziale (Cons. St., Sez. V, 21 ottobre 2011, n. 5642) formatosi in tema di gare pubbliche, secondo cui, anche in carenza di domanda di dichiarazione di inefficacia del contratto, permane comunque l’interesse ad una pronuncia dichiarativa dell’illegittimità dell’esclusione ai fini risarcitori, ex art. 34, comma 3, c.p.a..

Risolte positivamente le questioni preliminari, nel merito la Sezione afferma in termini recisi l’illegittimità dell’affidamento diretto per violazione dei principi enunciati negli artt. 2 e 30 del Codice dei contratti, ed in particolare dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza.

La sinteticità della motivazione sul punto si spiega in considerazione delle peculiarità della fattispecie dedotta, nella quale l’affidamento diretto era stato attuato mediante estensione contrattuale: il servizio in questione era stato in precedenza affidato da un Consorzio ATO alla controinteressata per alcuni Comuni consorziati. Il relativo capitolato d’appalto prevedeva la possibilità di estendere tout court l’oggetto dell’affidamento ad altri Comuni. In forza di tale previsione era stato quindi affidato il servizio anche per un altro Comune, che all’uopo aveva aderito all’ATO.

Al riguardo, la Sezione osserva che l’estensione di un contratto tra terzinon poteva ritenersi giuridicamente possibile alla stregua dei vigenti principi del diritto comunitario”, dando luogo ad un affidamento diretto senza gara “al di fuori dei casi tipici e tassativamente previsti dalla normativa comunitaria e dalle disposizioni primarie”.

 

  • CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

 

Nella pronuncia trova adeguata valorizzazione il carattere “strumentale” che connota l’interesse a ricorrere qualora si contesti l’affidamento diretto di un servizio.

Con la caducazione del provvedimento impugnato, il ricorrente non consegue infatti, in via immediata, il “bene della vita” divisato (affidamento dell’appalto), bensì la mera chance di ottenerlo, all’esito della riedizione dell’attività amministrativa (indizione della procedura di gara) conseguente all’annullamento.

Per tale sua connotazione, l’interesse a ricorrere risulta configurabile ex se e la c.d. “prova di resistenza” assume in tal caso contorni sfumati, non occorrendo la dimostrazione del probabile esito favorevole della futura gara e neppure, secondo la pronuncia annotata, dell’effettivo titolo del ricorrente a parteciparvi legittimamente.

Al fondo, dunque, per radicare l’interesse ad agire è sufficiente la qualità di “imprenditore di settore” e, quindi, di potenziale concorrente.

Richiamando la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 7 aprile 2011, n. 4, può dirsi che la latitudine riconosciuta nella sentenza all’interesse strumentale che sorregge il ricorso avverso l’affidamento diretto “si spiega agevolmente alla luce del giudizio di assoluto disvalore manifestato dal diritto comunitario nei confronti di attività contrastanti con il principio essenziale della concorrenza”.

Peraltro, non può non rilevarsi che, così latamente inteso, l’interesse a ricorrere finisce per sovrapporsi alla legittimazione ad agire – spettante, secondo la medesima Adunanza Plenaria citata, ad ogni “operatore economico di settore”, in deroga alla regola generale secondo cui “la legittimazione al ricorso deve essere correlata ad una situazione differenziata, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione” – e, quindi, per smarrire ogni autonoma caratterizzazione quale “filtro dell’azione” ulteriore rispetto a quello consistente nella legittimazione.

 

  • PERCORSO BIBLIOGRAFICO

 

F. Caringella, M. Giustiniani, Manuale di diritto amministrativo. IV. I contratti pubblici, Ed. Dike, 2014; A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Giappichelli, 2014; R. Garofoli, G. Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, Ed. Neldiritto, 2012; L. Masini, L’interesse strumentale alla riedizione della gara non è un surrogato della legittimazione ad agire, in questa Rivista.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 7429 del 2014, proposto da:
Tradeco Srl, rappresentato e difeso dall'avv. Aldo Loiodice, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, via Ombrone, 12/B;

contro

Consorzio ATO Rifiuti Bacino BA/1, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe De Candia, con domicilio eletto presso l’avv. Enzo Augusto in Roma, viale Mazzini, 73, Sc. B, Int. 2.;
Comune di Spinazzola;

nei confronti di

Impresa Sangalli Giancarlo & C. Srl, rappresentata e difesa dagli avv. Maurizio Boifava e Claudio De Portu, con domicilio eletto presso l’avv. Claudio De Portu in Roma, via Flaminia, 354;
Ecolife Srl;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. PUGLIA - BARI: SEZIONE II n. 00812/2014, resa tra le parti, concernente affidamento servizio di igiene urbana.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Consorzio ATO Rifiuti Bacino BA/1 e dell’Impresa Sangalli Giancarlo & C. Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2014 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti gli avvocati Notarnicola, per delega di Loiodice, De Candia e Boifava;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

 

Rilevato che, con i provvedimenti impugnati nell’ambito del presente giudizio, il Consorzio ATO BA/1, attuando il meccanismo dell’estensione dell’oggetto contrattuale, previsto dall’art. 6 del capitolato speciale di appalto con cui era stato già affidato il servizio per cui è controversia per i Comuni di Andria e Canosa di Puglia (contratto del 27 giugno 2012), ha affidato all’ATI Sangalli controinteressata, il servizio di igiene urbana per il Comune di Spinazzola, senza lo svolgimento preventivo di alcuna procedura ad evidenza pubblica;

Rilevato, infatti, che con la nota prot. n. 301 del 24 aprile 2013 il Consorzio ATO Rifiuti Bacino BA/1 ha disposto l’affidamento diretto del servizio di igiene urbana presso il Comune di Spinazzola all’ATI Sangalli Giancarlo & C. s.r.l. - Ecolife s.r.l., a decorrere dal 1° agosto 2013;

Ritenuto che la disposizione sulla base della quale è stato effettuato il predetto affidamento diretto (art. 6 del capitolato speciale di appalto predetto) costituisce evidentemente una violazione dei principi enunciati agli artt. 2 e 30 del d.lgs. n. 163-2006 e, in particolare, dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza, consentendo un affidamento senza gara al di fuori dei casi tipici e tassativamente previsti dalla normativa comunitaria e dalle disposizioni primarie;

Ritenuto che dall’esame del ricorso di primo grado si evince che l’attuale appellante ha dedotto esplicitamente che l’affidamento del servizio in esame è avvenuto senza gara tramite l’estensione di un contratto fra terzi, che non poteva ritenersi giuridicamente possibile alla stregua dei vigenti principi del diritto comunitario;

Ritenuto, pertanto, che l’interesse alla base di tale ricorso non può che essere quello dell’indizione di una gara alla quale l’appellante ha in astratto titolo per potervi partecipare e ritenuto, pertanto, che l’eccezione di difetto di interesse dell’appellante non può trovare accoglimento;

Rilevato che tutta le sequenza procedimentale descritta è stata oggetto di impugnativa in primo grado da parte della società odierna appellante con ricorso introduttivo integrato da motivi aggiunti, ivi compreso l’art. 6 del capitolato speciale di appalto;

Ritenuto, pertanto, che l’eccezione di inammissibilità opposta dalla controparte per tale omessa impugnazione è da ritenersi per tabulas infondata (si veda l’epigrafe del ricorso introduttivo di primo grado, il primo motivo del ricorso di primo grado e i motivi aggiunti);

Ritenuto che, anche conferendo a detto art. 6 del capitolato speciale esclusivamente valore negoziale, quindi esulando la sua valutazione dal presente giudizio per difetto di giurisdizione, risulterebbe comunque illegittimo l’affidamento diretto, sicuramente impugnato, che ha natura inequivocabile di atto amministrativo e che è illegittimo in quanto emesso senza alcuna previa procedura competitiva;

Ritenuto, inoltre, che l’appellante non aveva, invece, l’onere di impugnare anche l’adesione del Comune appellato all’ATO, adesione che non ha nessun legame di presupposizione rispetto all’affidamento diretto contestato in questo giudizio;

Rilevato che detto art. 6 del capitolato speciale di appalto non è stato impugnato dall’attuale appellante nel precedente giudizio avanti al TAR Puglia RG n. 1418-2011, conclusosi con la sentenza TAR Puglia n. 2199-2012, atteso che l’interesse fatto valere in quel giudizio consisteva nel poter partecipare a detta gara, il cui disciplinare era stato impugnato poiché prevedeva, in ipotesi, requisiti di partecipazione irragionevolmente stringenti che non consentivano all’attuale appellante di parteciparvi; l’art. 6 del disciplinare, al contrario, avrebbe avvantaggiato l’attuale appellante dall’esito eventualmente favorevole di quel ricorso;

Ritenuto, pertanto, che l’eccezione di giudicato formulata dalle controparti, derivante da detta sentenza TAR Puglia n. 2199-2012 non può essere accolta, non potendo tale sentenza essersi pronunciata, nemmeno per implicito e per applicazione del principio del dedotto e del deducibile, sulla legittimità di detta clausola che, all’epoca, l’attuale appellante non aveva alcun interesse a contestare;

Ritenuto che le contestate inadempienze contrattuali della ditta Tradeco, che le impedirebbero di poter partecipare ad una futura gara di appalto indetta dal Comune di Spinazzola, non possono comportare un difetto di interesse nel presente giudizio, tenuto conto che tali inadempienze devono essere oggetto di valutazione da parte della stazione appaltante nell’eventuale gara di futuro svolgimento, con le opportune garanzie procedimentali previste dall’art. 38 del d.lgs. n. 163-06;

Ritenuto, pertanto, che delibare ora tale elemento in sede giudiziaria, sia pure ai limitati fini di valutare l’interesse al ricorso, significa anticipare inammissibilmente un giudizio che compete all’Amministrazione, in contrasto con il divieto per il giudice di pronunciarsi in merito a poteri amministrativi, attinenti alla discrezionalità della stessa, non ancora esercitati (artt. 31, comma 3 e 34, comma 2, c.p.a.);

Ritenuta la non condivisibilità della pronuncia di inammissibilità del ricorso di primo grado per l’assenza nello stesso di una domanda di inefficacia del contratto, trattandosi di ipotesi rientrante nella fattispecie normativa di cui all’art. 121 c.p.a. per le violazioni di maggiore gravità (affidamento di un appalto mediante procedura negoziata, tra cui rientra l’ipotesi di affidamento diretto in contestazione, senza previa pubblicazione del bando);

Ritenuto, infatti, che in queste ipotesi, la domanda di declaratoria di inefficacia del contratto, ai sensi dell'art. 121 c.p.a., può essere proposta anche nel giudizio di ottemperanza, intesa quale una delle possibili modalità di attuazione del giudicato ed anche se non vi sia stata alcuna domanda in tal senso nel giudizio di cognizione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 26 settembre 2013, n. 4752);

Ritenuto, comunque, che una domanda di subentro, peraltro, sarebbe stata inammissibile non potendo certamente l’attuale appellante, in assenza di una gara, conseguire l’affidamento del servizio in luogo della controinteressata, trattandosi di ipotesi alternativa parimenti illegittima;

Ritenuto, inoltre, che nelle gare pubbliche, la sottoscrizione del contratto, anche in carenza di domanda di dichiarazione di inefficacia, non priva il ricorrente dell'interesse ad ottenere una pronuncia dichiarativa dell'illegittimità dell'esclusione, anche ai soli fini risarcitori, in base al disposto di cui all'art. 34 comma 3, c.p.a., il che esclude possa pervenirsi ad una dichiarazione di improcedibilità dell'appello (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 21 ottobre 2011, n. 5642);

Ritenuto, infine, che l’eccezione delle controparti, connesse al mancato superamento della prova di resistenza non è idonea a paralizzare l’azione intrapresa in tale giudizio, atteso che l’obbligo di indire una gara per i servizi affidati illegittimamente in via diretta potrebbe, in astratto, essere neutralizzata da un affidamento in house se ne ricorrono i presupposti, ma tale evenienza non è suscettibile di dimostrazione da parte del ricorrente, involgendo complesse valutazione di spettanza esclusiva dell’Amministrazione;

Ritenuto, pertanto, che l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento degli atti ivi impugnati per violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 163-2006, nonché per violazione dei principi comunitari di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza, su cui si è già detto, restando assorbite tutte le altre censure di primo grado riproposte in appello;

Ritenuto, in particolare, che deve essere annullato l’affidamento diretto in favore del Comune appellato, con conseguente dichiarazione di inefficacia del relativo contratto;

Ritenuto che le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono esser poste a carico solidale di entrambe le controparti;

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, annullando gli atti ivi impugnati e dichiarando l’inefficacia del contratto stipulato con il Comune appellato.

Condanna il Consorzio e l’Impresa Sangalli controinteressata al pagamento delle spese di lite in favore della società appellante, spese che liquida in euro 8000,00, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:

Mario Luigi Torsello, Presidente

Carlo Saltelli, Consigliere

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere, Estensore

Doris Durante, Consigliere

Antonio Bianchi, Consigliere