Lo scritto tratta del rapporto esistente tra un ente pubblico e la sua società in house providing chiarendo che questo è di tipo pubblico con riguardo al controllo analogo e di tipo contrattuale rispetto alle prestazioni oggetto di affidamento. La parte contrattuale è la novità che prende forma con le riforme che hanno interessato l’in house provinding a partire dal 2016. Questa nuova caratteristica, scolpita nel nuovo Codice dei contratti, porta con sé inevitabili effetti anche nel lato pubblico, con particolare riferimento alla programmazione delle opere e degli acquisti, all’affidamento, al personale e agli incentivi per funzioni tecniche. Tale tesi si pone in contrapposizione a quanto affermato da autorità pubbliche in recenti pareri, nell’ambito dei quali si sostiene la sola presenza del rapporto pubblico mediante il controllo analogo, ciò sulla scorta di risalenti orientamenti giurisprudenziali. Detti pareri sono stati emanati in risposta a quesiti posti da alcuni enti, quindi assenza di un vero contraddittorio. Le argomentazioni contenute nel presente scritto controbilanciano tale lacuna e consentono una lettura globale della vicenda.

Sommario: 1. Introduzione. - 2. Perché il rapporto contrattuale è fondamentale nel nuovo contesto normativo. - 3. Le norme di legge che stabiliscono il rapporto contrattuale. - 4. L’affidamento in house providing negli atti di programmazione della P.A.. - 5. L’inciampo della Sezione Lombardia della Corte dei Conti sull’utilizzo del personale della società in house e l’equivoco sulla questione dell’immedesimazione organica. - 6. Gli incentivi per funzioni tecniche nel caso dell’in house providing: il parere della Sezione Sardegna della Corte dei conti ed il parere ANAC. - 7. La competenza di ANAC rispetto all’in house providing. - 8. Conclusioni.

 

  1. Introduzione

Il legislatore nazionale ha il merito di aver creato nell’ultimo decennio un sistema di regole sull’in house providing (o semplicemente in house) più o meno chiaro e stabile, sebbene la materia resti complessa.

Ci si riferisce, in particolare, alle previsioni contenute nel D.Lgs. 175/2016 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), nel D.Lgs. 201/2022 (Testo unico in materia di servizi pubblici locali a rilevanza economica) e nel D.Lgs. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici).

La normativa nazionale è chiara, infatti, nel definire un rapporto tra i due enti che viaggia su due binari: uno pubblico[1], che è quello del controllo analogo esercitato dall’ente pubblico proprietario sulla sua partecipata, che incide sulla governance societaria; uno privato, paritario, che riguarda l’oggetto dell’affidamento, in particolare le obbligazioni contrattuali derivanti dal progetto/capitolato (o atti equivalenti) predisposto dall’ente pubblico affidante.

La richiamata normativa consente di superare gli orientamenti dottrinali[2] e giurisprudenziali[3] formatisi nel vuoto del diritto positivo sull’argomento[4] e che vedevano nell’in house – al tempo correttamente - l’assenza di un vero rapporto contrattuale intersoggettivo[5].

Tuttavia, si rileva che tali orientamenti continuano ad essere menzionati negli atti, nei pareri e nelle pronunce ma quando accade, spesso, il loro utilizzo, risulta decontestualizzato rispetto alla disciplina nazionale e ciò rende anacronistica la relativa argomentazione giuridica.

È il caso, ad esempio, del parere ANAC n. 36/2024, che si prende a riferimento in ragione della sua particolare forza a livello interpretativo derivante dalla previsione dell’art. 2, comma 3, del Codice dei contratti che esclude la colpa grave in capo all’agente se la violazione o l’omissione è determinata da pareri di autorità competenti[6] nonché per il fatto che questo viene ormai regolarmente richiamato nelle pronunce del Giudice contabile[7].

Il parere in questione sembra aver creato le premesse per un ritorno al passato, cioè per il ritorno a quella che si può definire “l’in house politica, dove non è mai stato chiaro il confine tra l’ente pubblico e la società, in particolare tra la politica e la gestione, con pregiudizio per il valore pubblico, il corretto utilizzo delle risorse pubbliche e la responsabilizzazione degli enti strumentali.

Il citato parere è stato emanato nell’ambito degli incentivi per funzioni tecniche di cui all’art. 45 del D.Lgs 36/2023 ma la sua portata appare generale, tanto è vero che, anche sulla base delle argomentazioni ivi sostenute, già si registrano pronunce del Giudice contabile, ad esempio in materia di personale, decisamente discutibili sotto il profilo dell’aderenza ai principi dell’ordinamento, tra cui quello costituzionale dell’obbligo del concorso quale condizione necessaria per l’impiego pubblico.

Il motivo per cui la sua portata appare generale deriva dal fatto che ANAC, nella sua ricostruzione, riconduce il rapporto tra l’ente pubblico e la sua società partecipata al solo rapporto di tipo pubblicistico, cioè quello esercitato mediante il controllo analogo. Esattamente come accadeva prima delle riforme sopra ricordate.

Infatti, a giustificazione della propria decisione, l’Autorità tratta il rapporto tra i due enti esclusivamente in temini di immedesimazione organica e ciò sul concetto – non contestualizzato – di longa manus[8]. In buona sostanza, la gestione in house viene equiparata ad una gestione totalmente interna, cioè a quella fatta con il lavoro dei dipendenti pubblici, in ragione del potere penetrante che l’ente proprietario esercita sulla partecipata con il controllo analogo.

L’errore macroscopico di tale interpretazione è quello di richiamare nozioni generali dell’in house per trattare una questione, quella degli incentivi tecnici (rectius quella del rapporto tra i due enti), che è speciale e si inserisce in un nuovo contesto normativo nazionale ben definito.

Al fine di suffragare quanto appena affermato, è possibile richiamare, oltre la legge, la recente statuizione della Suprema Corte attraverso la quale è stato chiarito che “[…] tirando le fila di quanto si è considerato, si deve dunque affermare che il controllo analogo non è un controllo assoluto come su un pubblico ufficio. E quindi non è un controllo gerarchico, essendo costituito dal controllo di un soggetto esterno e rimasto distinto, a ben guardare, da quello controllato. Detto controllo è limitato e deve “incidere sulla complessiva governance dell’attività della società in house”. Infatti, si tratta di “una mera prossimità ontologica, che non può essere confusa con l’assoluta identità” (Cass. civ., Sez. Un. 28 giugno 2022 n. 20632).

La Cassazione conferma quanto disposto dalla legge sul controllo analogo, cioè sul rapporto di tipo pubblicistico, ovverosia che è limitato alla governance societaria, in particolare alle decisioni fondamentali del soggetto controllato, a quelle sulle linee strategiche e – continuano le SU – “alle più importanti scelte operative”.

L’ovvia conseguenza di tale affermazione è che il controllo analogo non si estende all’oggetto dell’affidamento, cioè alle obbligazioni contrattuali.

Ulteriore conseguenza, anch’essa ovvia, è che il rapporto tra ente pubblico e società in house relativamente alle obbligazioni oggetto di affidamento può essere solo di tipo contrattuale, dunque paritario e civilistico.

Va ricordato, d’altronde, che la società in house è soggetta alla disciplina fallimentare, al pari di qualsiasi operatore privato, ex art. 14 del D.Lgs. 175/2016. E l’assoggettabilità alla disciplina fallimentare non sarebbe giuridicamente sostenibile se il rapporto tra ente pubblico e società in house fosse solo di natura pubblica, perché l’in house si concretizzerebbe in un ente privo di potere gestorio, dunque privo della responsabilità del fallimento.

Invece, l’in house mantiene una propria autonomia e l’ente pubblico non ha potere autoritativo rispetto alla gestione della commessa pubblica.

Come si vedrà in seguito, il rapporto contrattuale è ciò che nei fatti garantisce il buon andamento della società in house, il corretto utilizzo delle risorse pubbliche e il conseguimento degli obiettivi pubblici.

Una volta determinato che il rapporto contrattuale esiste e che questo riguarda il progetto oggetto di affidamento, tutto il resto è regolato di conseguenza: programmazione; progettazione; affidamento; personale; riconoscimento degli incentivi tecnici; giurisdizione.

 

  1. Perché il rapporto contrattuale è fondamentale nel nuovo contesto normativo

Soprattutto in passato gli affidamenti in house venivano effettuati sulla base di una individuazione fumosa sia delle obbligazioni contrattuali sia delle risorse pubbliche da impiegare.

Questo accadeva per l’assenza di una normativa dedicata[9][10] e in forza degli orientamenti giurisprudenziali che qualificavano – al tempo, correttamente - il rapporto tra l’ente pubblico e la propria partecipata soltanto in termini di ufficio interno.

L’esigenza di instaurare anche un rapporto contrattuale è emersa con forza soltanto con l’entrata in vigore dell’art. 34, comma 20, del D.L. 179/2012[11], non più vigente[12], che, con riferimento ai servizi pubblici locali di rilevanza economica, imponeva per l’affidamento di tali servizi un onere motivazionale rafforzato anche con riferimento all’economicità della gestione. In altre parole, da quel momento la stazione appaltante era tenuta a dimostrare la convenienza per la collettività del modello di gestione scelto per l’erogazione del servizio[13].

La stessa esigenza si manifestò con l’introduzione della motivazione aggravata di cui dall’art. 192 del D.Lgs 50/2016 (precedente Codice dei contratti pubblici).

Rispetto al modello in house il problema era capire in che modo poter dimostrare che questo, rispetto al contesto di riferimento, risultava essere la soluzione migliore.

L’unica strada percorribile che si è palesata è stata quella di predisporre a monte il progetto (capitolato prestazionale o atti analoghi) e solo successivamente individuare il modello di gestione in comparazione tra quelli disponibili (gara pubblica; in house; società mista).

Quindi, solo dopo aver individuato il valore dell’affidamento e le prestazioni contrattuali la stazione appaltante si poneva nelle condizioni di poter sostenere e dimostrare che la propria società in house era in grado di gestire il servizio in modo più economico e utile per i cittadini rispetto al mercato[14].

Senza ripercorrere tutto quanto accaduto fino alla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2012, si può affermare che prima del citato articolo 34 la stazione appaltante si limitava soltanto a verificare la presenza dei requisiti in house (capitale pubblico; attività prevalente; controllo analogo).

Dunque, una volta fatto il progetto ed effettuato l’affidamento in house, si palesava negli enti pubblici un altro problema, ovverosia quello di far rispettare le obbligazioni contenute nel progetto.

In molti casi il controllo sul corretto adempimento delle obbligazioni non è stato proprio effettuato. Ciò per una ragione molto semplice. I dirigenti negavano la propria competenza rimettendo ogni scelta al controllo analogo, il cui organo è spesso composto di soli politici.

Questo “giochino” dello scarico delle responsabilità viene meno con le riforme citate in premessa perché viene normativamente previsto, dunque chiarito, che l’in house vive di “contratti pubblici”[15]. E i contratti pubblici rientrano nella competenza gestionale dei dirigenti.

Ulteriore effetto positivo della natura contrattuale del rapporto tra l’ente pubblico e la propria partecipata e che questa responsabilizza, oltre alla dirigenza pubblica, anche l’organo esecutivo e la dirigenza della società.

Infatti, nell’attuale contesto normativo, quando una società in house fa un’offerta alla stazione appaltante, la stessa è tenuta necessariamente a considerare la sua sostenibilità tenendo presente il valore dell’affidamento, il personale da impiegare e le obbligazioni che si vanno ad assumere. Se così non fosse, un operatore privato controinteressato potrebbe impugnare con successo gli atti di affidamento dimostrando che l’offerta è irrealistica.

La commessa o le commesse pubbliche affidate alla società in house diventano, poi, la base su cui elaborare gli atti di strategici della società. Ecco il cerchio che si chiude.

A questo punto, l’organo esecutivo e la dirigenza apicale della società in house possono dimostrarsi capaci di gestire correttamente la/le commessa/e ricevute e capaci di elaborare atti strategici adeguati ovvero possono dimostrarsi inadeguati.

Questo è vero, però, soltanto se la società in house è tenuta, appunto, a risponde verso il RUP della stazione appaltante per il corretto adempimento delle obbligazioni contrattuali assunte e verso l’organo di controllo analogo rispetto agli atti strategici della società e alle decisioni più importanti (Es. Bilancio; Piano industriale; Piano assunzionale; operazioni immobiliari; etc.).

In buona sostanza, nel nuovo contesto normativo il progetto, anche definito “caso concreto”[16], diventa il principale parametro di riferimento per valutare sia la qualità delle prestazioni[17] sia l’andamento della società.

Dopodiché, si può sostenere che il progetto possa prevedere degli adattamenti rispetto ai vari modelli di gestione, magari la scelta dell’in house è motivata proprio sulla base dei vantaggi conseguenti a tali adattamenti, ma le prestazioni principali devono essere le stesse.

Il progetto svolge anche un’altra funzione, ovverosia quella di porre un freno all’elusione della motivazione aggravata prevista dal legislatore. La motivazione aggravata va elaborata al momento dell’affidamento e rispetto agli altri modelli di gestione. Questo significa che una volta effettuato l’affidamento in house non è possibile stravolgerlo, magari ampliandolo a dismisura, senza rieffettuare una nuova valutazione.

Dunque, se viene meno il rapporto contrattuale torna ad essere tutto aleatorio e, a quel punto, diventa probabile una lievitazione dei costi, una prestazione sommaria e/o un’esplosione dell’organizzazione.

Infatti, una delle principali cause di cattiva gestione delle società in house è l’aumento ingiustificato del personale (nota patologia dell’“in house politica”) ma questa è controllabile e arginabile solo se la fase contrattuale è stata gestita correttamente: ti affido il servizio X in cambio di Y risorse, poi in sede di controllo analogo verifico se il piano assunzionale è adeguato nel numero e nella qualità rispetto all’affidamento, nonché se l’efficienza e il rapporto di personale è in linea con altre società del settore di pari grandezza.

Nel nuovo contesto normativo emerge con chiarezza che, per il buon esito dell’affidamento (dalla programmazione all’esecuzione), unitamente alla questione del rapporto contrattuale, assume particolare rilevanza la questione degli incentivi per funzioni tecniche, che incentiva il personale a svolgere in maniera puntuale tutta la procedura.

Degli incentivi per lo svolgimento di funzioni tecniche si parlerà in seguito ma qui è importante evidenziare un aspetto.

Ad avviso di ANAC e MIT negli affidamenti in house gli incentivi tecnici sono da riconoscersi a valle, cioè al personale della società in house, non a monte al personale dell’ente pubblico perché – si dice – c’è l’immedesimazione organica.

Innanzitutto, va ricordato che l’in house non è un istituto funzionale all’esercizio di funzioni amministrative[18] ma all’erogazione di un servizio, di una fornitura o alla realizzazione di un’opera.

Ciò detto, il problema è che “spostando” gli incentivi a valle perde di significato tutto quanto detto nel presente paragrafo sull’importanza del progetto.

Infatti, riconoscendo gli incentivi a valle l’ente pubblico giungerà alla conclusione che anche il progetto dovrà essere predisposto a valle dalla società in house.

Con queste premesse, si tornerà a quelle situazioni paradossali dove il controllato, cioè la società in house, determina il fabbisogno dell’ente proprietario, esegue le prestazioni e, infine, mancando un rapporto contrattuale, si autocontrolla. Con l’ulteriore rischio di un amento del contenzioso tenuto conto che per motivare un affidamento in house è necessario che il progetto venga elaborato a monte e che lo stesso rappresenti le reali esigenze dell’ente pubblico.

 

  1. Le norme di legge che stabiliscono il rapporto contrattuale

Il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, contenuto nel D.Lgs. 175/2016, all’articolo 16, rubricato “Società in house”, stabilisce letteralmente: “Le società in house ricevono affidamenti diretti di contratti pubblici”.

Sebbene sia scontato, è bene ricordare che i contratti in questione sono quelli del Codice dei contratti pubblici, prima disciplinati dal D.Lgs. 50/2016, oggi dal D.Lgs. 36/2023.

Del resto, l’art. 3, comma 1, lett. e) dell’Allegato I.1 al Codice dei contratti definisce chiaramente l’istituto dell’in house providing quale forma di affidamento di un contratto di appalto o di concessione effettuato direttamente a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato definita dall’articolo 2, comma 1, lettera o), del testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”.

La norma in parola è da leggere unitamente alla previsione dell’art. 7 del Codice dei contratti pubblici, che dispone: “Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti possono affidare direttamente a società in house lavori, servizi o forniture, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 1, 2 e 3 […] L'affidamento in house di servizi di interesse economico generale di livello locale è disciplinato dal decreto legislativo 23 dicembre 2022, n. 201”.

Dunque, dall’entrata in vigore del TUSP non possono esservi dubbi sull’esistenza del rapporto contrattuale di cui si diceva nei paragrafi precedenti tenuto conto che le società in house vivono principalmente se non esclusivamente degli affidamenti di appalti e concessioni ricevuti dagli enti pubblici proprietari. E dall’entrata in vigore del D.Lgs. 36/2023 tale rapporto è definito con puntualità, si tratta di “contratto di appalto o di concessione”, al pari di quanto accade con gli operatori economici privati.

Inoltre, sull’estensione della nozione di “contratto pubblico” si ritiene che essa debba essere intesa in senso ampio, cioè non soltanto riferita allo strumento contrattuale ma al contratto pubblico globalmente inteso, nel cui ambito sono ricompresi ad esempio il progetto/capitolato prestazionale.

Ciò è prescritto per i lavori pubblici dall’art. 32, comma 2, dell’Allegato I.7 del Codice: “Allo schema di contratto è allegato il capitolato speciale d'appalto, che riguarda le prescrizioni tecniche da applicare all'oggetto del singolo contratto, nonché il computo metrico estimativo”.

Per i servizi pubblici locali a rilevanza economica, invece, dal D.Lgs. 201/2022, in particolare dai seguenti articoli:

  • art. 24: “i rapporti tra gli enti affidanti e i soggetti affidatari del servizio pubblico […] sono regolati da un contratto di servizio […] ll contratto di servizio contiene clausole relative almeno ai seguenti aspetti: […]”.
  • art. 17, che tratta specificamente degli affidamenti in house, al comma 3, dispone, appunto, che “il contratto di servizio è stipulato […]”.

Si osserva che l’articolo 24, nel determinare il contenuto minimo del contratto di servizio, non distingue tra i vari modelli di gestione, con la conseguenza che il contenuto contrattuale è il medesimo sia per la società in house sia per l’operatore economico privato. Si aggiunge che per i servizi a rete spesso parte del contenuto del contratto è stabilito dalle autorità competenti per materia.

Le norme confermano quanto sostenuto nel paragrafo precedente sul fatto che l’ente pubblico è tenuto prima a predisporre il progetto/capitolato/schema di contratto in base alle proprie esigenze e solo successivamente è in grado di decidere qual sia il miglior modello di gestione.

D’altronde “Il comma 2 - dell’art. 7 - disciplina la motivazione per il ricorso all’in house, chiarendo, al primo periodo, che il ricorso a tale modello gestionale è accomunato all’affidamento mediante il ricorso al mercato dall’applicazione dei medesimi principi indicati agli artt. 1, 2 e 3 (principio del risultato, principio della fiducia, principio dell’accesso al mercato) (Cfr. Relazione di accompagnamento al Codice dei contratti pubblici).

La parificazione fra in house e il mercato è confermata anche dall’art. 23, comma 5[19], del Codice che, per la prima volta, dispone l’acquisizione del Codice identificativo gara (CIG) anche per gli affidamenti in house (Cfr. parere MIT del 29 ottobre 2024, n. 2863).

Va peraltro ricordato che la società in house non muta la sua natura di soggetto privato solo perché un ente pubblico ne possiede il capitale in quanto il rapporto che lega l’ente pubblico e la società è di assoluta autonomia e il controllo analogo non fa venire meno tale caratteristica. E non è consentito all’ente pubblico alterare tale autonomia mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali[20].

Inoltre, è stato chiarito che il definitivo transito delle società partecipate nell'orbita del diritto comune si evince da tre disposizioni del TUSP: gli articoli 1, comma 3, 12 e 14. Pertanto, “non può più seriamente dubitarsi della natura giuridica privata delle società in cui le Amministrazioni detengono delle partecipazioni: vanno, infatti, "respinte le suggestioni dirette alla compenetrazione sostanzialistica tra tipi societari e qualificazioni pubblicistiche (Cass., sent. 7 febbraio 2017, n. 3196)”[21].

Tali precisazioni sono rilevanti perché confermano che la stazione appaltante rispetto al contratto pubblico oggetto di affidamento deve rapportarsi con la società in house allo stesso modo con cui si rapporta con l’operatore privato, al netto ovviamente del potere di controllo analogo.

Questo ha evidentemente delle conseguenze anche sull’attività dell’ente pubblico, ad esempio rispetto alla propria programmazione, alla progettazione, all’affidamento, al personale e agli incentivi per funzioni tecniche.

 

  1. L’affidamento in house providing negli atti di programmazione della P.A.

L’Ufficio di Supporto Giuridico del MIT, con il parere n. 2666/2024 ha osservato che gli affidamenti alle società in house rientrerebbero tra i contratti esclusi dall’applicazione del Codice (ex art. 13, co. 2, D.Lgs. 36/2023 e art. 2, co. 1, lett. m, all. I.1) e che, pertanto, tali interventi andrebbero inseriti non nella programmazione della P.A. ma in quelle delle società stesse.

L’orientamento si pone in contrasto con la normativa.

Il MIT cade nello stesso errore dell’ANAC nel considerare l’in house solo ed esclusivamente come “longa manus”, dunque come un’articolazione su cui si estende l’immedesimazione organica dell’ente pubblico proprietario.

Ciò è possibile dedurlo facilmente quando viene affermato che la programmazione va fatta non a monte dall’ente pubblico ma a valle, cioè dalla società in house.

Evidentemente, immaginano -erroneamente - un rapporto tra l’ente proprietario e la società basato su una sorta di convenzione dove il primo trasferisce la funzione amministrativa o parte di essa alla società.

Invece, come già detto, si tratta di un vero e proprio affidamento.

E quando la norma parla di contratti esclusi si riferisce soltanto al fatto che a questi non si applicano le norme dell’evidenza pubblica contenute nel Codice dei contratti pubblici e le altre norme incompatibili.

Inoltre, va evidenziato che la programmazione si pone a monte dei contratti e che l’art. 37 del Codice dei contratti pubblici stabilisce che le stazioni appaltanti “adottano il programma triennale dei lavori pubblici e il programma triennale degli acquisti di beni e servizi”, e ancora che “I programmi sono approvati nel rispetto dei documenti programmatori e in coerenza con il bilancio e, per gli enti locali, secondo le norme della programmazione economico-finanziaria e i principi contabili”.

Dal citato articolo 37 si evince che la funzione fondamentale di tali programmi è quella di assicurare la coerenza con il bilancio e il rispetto degli atti di programmazione sovraordinati.

Sul punto, si osserva che la “coerenza con il bilancio” è da ricondurre alla finalità di garantire la salvaguardia degli equilibri di bilancio, che si ricorda è un vincolo costituzionale.

Ciò significa che i valori che sono alla base della programmazione sono di rango superiore rispetto a presunte questioni legate al modello di gestione.

Negli enti locali detta funzione è ancora più evidente tenuto conto del richiamo alle norme della programmazione economico-finanziaria e ai principi contabili.

In tali enti la programmazione delle opere e degli acquisti costituisce parte della programmazione principale. Infatti, il Paragrafo 8.2. dell’Allegato 4/1 al Decreto legislativo 23 giugno 2011 n. 118, che tratta del contenuto minimo della Sezione Operativa del Documento Unico di Programmazione, stabilisce che questo è costituito, tra l’altro: “i) dalla programmazione dei lavori pubblici svolta in conformità al programma triennale e ai suoi aggiornamenti annuali predisposto secondo le disposizioni normative vigenti; i-bis) dalla programmazione degli acquisti di beni e servizi svolta in conformità al programma triennale di forniture e servizi predisposto secondo le disposizioni normative vigenti”.

Per queste ragioni, l’affidamento in house avente ad oggetto contratti pubblici va inserito nella programmazione dell’ente pubblico affidante.

 

  1. L’inciampo della Sezione Lombardia della Corte dei conti sull’utilizzo del personale della società in house e l’equivoco sulla questione dell’immedesimazione organica

Come anticipato in premessa si stanno creando le premesse per un “pericoloso” ritorno al passato e questo emerge chiaramente dagli atti.

La Corte dei conti Sezione di Controllo per la Lombardia, con il parere n. 128/2025, afferma quanto segue:

  • “Deve ritenersi che l’odierno sintagma sul “proprio personale” vada riferito a tutti i lavoratori ricompresi all’interno del perimetro dell’Ente pubblico, risultandovi perciò inclusi anche i dipendenti delle relative società in house;

 

  • ne discende perciò la possibilità che il personale della società in house collabori con quello dell’Amministrazione controllante per lo svolgimento delle suddette funzioni tecniche, nell’ambito di un più ampio procedimento volto all’affidamento a terzi […];

 

  • incentivi possano essere erogati non solo al personale dell’Amministrazione, ma anche al personale della società in house che abbia collaborato alla procedura per l’affidamento a terzi. 3.a. Anche sul punto, il Collegio ritiene di dover fornire risposta positiva, in continuità con l’indirizzo pretorio tracciato da altra Sezione regionale di controllo[22]”.

 

Ciò, sulla base delle seguenti argomentazioni:

  • esclude che l’in house contract configuri, nella sostanza, un rapporto contrattuale intersoggettivo tra aggiudicante ed affidatario, perché quest’ultimo è, in realtà, solo la longa manus del primo” (Corte costituzionale, n. 325 del 3 novembre 2010), talché “l’ente in house non può ritenersi terzo rispetto all’amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell’amministrazione stessa” (così Cons. Stato, Ad. plen., n. 1/2008, cit.; va solo precisato che tale conclusione non cambia ove si ritenga che, in linea con la più recente normativa europea e nazionale, il ricorso all’in house providing si atteggi in termini di equiordinazione – e non più di eccezionalità – rispetto alle altre forme di affidamento)” (così ex plurimis Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 6062/2021)”.

 

  • “Viceversa, con riferimento all’opposta ipotesi in cui il rapporto sia esclusivamente tra Comune controllante e società controllata, si sostanziano delle “attività svolte in autoproduzione dalla società in house stessa e senza ricorso al mercato” che precludono l’erogazione delle misure: è stato affermato come in tal caso “non sia possibile riconoscere gli incentivi de quibus, stante il rapporto di immedesimazione organica rispetto all’ente dante causa e la conseguente assenza di terzietà della società in house” (cfr. in termini ANAC, parere n. 36/2024 cit.)”[23].

 

Sebbene la pronuncia abbia ad oggetto gli incentivi tecnici, la parte che qui interessa riguarda il personale della società in house, che viene pericolosamente incluso nel “personale proprio” dell’ente pubblico.

Su tale argomento ci sarebbe da scrivere molto ma qui ci si limita a ricordare l’in house nasce con lo scopo esattamente opposto, cioè quello di separare il personale pubblico da quello privato e ciò per varie ragioni, tra cui l’efficienza.

Infatti, l’in house vive attraverso appalti e concessioni, al pari di qualsiasi altro operatore privato. Il personale dell’in house è assunto con selezione, i dipendenti pubblici con concorso. Ai dipendenti dell’in house sono applicati i CCNL privati[24]-[25]. E sono diverse le pronunce della Corte Costituzionale con cui sono state cassate norme regionali che prevedevano il passaggio del personale dell’in house negli enti pubblici per assenza del presupposto costituzionale del concorso (Cfr. Corte Costituzionale n. 7/2015).

Peraltro, è la stessa Sezione di Controllo per la Lombardia della Corte dei conti a scrivere, in altro parere (n. 369/PAR), che “il correttivo ha sostituito la parola “dipendenti” con la parola “personale” (ed anche “propri dipendenti” con “proprio personale”) […] Resta fermo l’ambito dei destinatari degli incentivi, che ora ricomprendono le figure dirigenziali, tutti ricompresi tra il “personale proprio” dell’Ente.  In buona sostanza, destinatari degli incentivi non possono che essere persone che hanno un rapporto di lavoro dipendente con l’Amministrazione. Non c’è spazio per interpretazioni estensive che sarebbero elusive della ratio della norma […]”.

Questa è l’indicazione corretta, ovverosia che nel concetto di personale proprio vi è soltanto il “lavoro dipendente” e non c’è spazio per interpretazioni estensive, neanche nel caso della “longa manus”.

Chi scrive non nega la possibilità in astratto per l’ente pubblico di utilizzare occasionalmente personale dell’in house, anche nell’ambito delle funzioni tecniche, ma sicuramente non attraverso una ricostruzione giuridica che porta all’inclusione del personale privato della società in house nel concetto di personale pubblico.

Semmai lo strumento potrebbe essere un accordo tra pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art. 15 della L. 241/1990[26] tenuto conto che la società in house, indipendentemente dalla questione degli affidamenti, rientra comunque in un concetto ampio di pubblica amministrazione[27] o, ancora, quello di un affidamento di servizi alla propria società per attività di supporto.

Ciò detto, bisogna necessariamente domandarsi come sia stato possibile per la Sezione Lombardia incorrere in un errore di questo tipo.

La risposta emerge a colpo d’occhio dallo stesso atto: si tratta di errore a cascata.

La Sezione Lombardia per strutturare le proprie argomentazioni richiama pronunce tutto sommato recenti, ovverosia la sentenza 6062/2021 della Sezione III del Consiglio di Stato e il parere ANAC 36/2024. Quindi, pronunce successive alle riforme richiamate in premessa.

Il problema origina dal fatto che l’errore è stato commesso in primo luogo dalla Sezione III del Consiglio di Stato, che si limita ad argomentare il proprio atto richiamando statuizioni antecedenti alle riforme: la famosa pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1/2008 e la sentenza della Corte costituzionale 325/2010.

Si evidenzia, ancora, che la Sezione III del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6062, cit., è incappata anche nell’errore di aderire all’orientamento dell’eccezionalità dell’in house rispetto al principio di concorrenza (l’in house – si legge – “rappresenta un’eccezione rispetto alla regola generale dell’affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica”).

Questi sono errori che si ripeteranno anche in futuro, al pari di quanto già accaduto, appunto, con l’orientamento che sosteneva l’eccezionalità dell’in house rispetto al principio di concorrenza[28], salvo poi, a distanza di anni, arrendersi al fatto che tale istituto era da ricondurre al principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche, in particolare al cd. principio di auto-organizzazione amministrativa[29], dunque al fatto che i modelli di gestione sono sostanzialmente equiordinati, sebbene resti una visione di disfavore verso l’in house[30]-[31].

Sul punto va precisato che per l’ordinamento europeo la scelta dell’in house, rientrando nel principio di auto-organizzazione, si pone a monte rispetto alla fase di aggiudicazione di un appalto[32] ma ciò va calato nel contesto normativo nazionale dove, si ricorda, è stato stabilito che la società in house è affidataria di “contratti pubblici”, ha la forma di società di capitali e l’affidamento avviene con motivazione rafforzata, con tutto quello che ne consegue in termini di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione della commessa pubblica.

È ragionevole ritenere che l’ANAC, nel parere 36/2024, sia incappato nello stesso errore, tenuto conto che l’iter logico risulta essere il medesimo.

Infatti, nel citato parere si legge: “Si parla infatti, in tal caso, di immedesimazione organica tra ente affidante e soggetto affidatario, ossia di vicenda endo-organizzativa che non rientra nello schema tipico del contratto d’appalto con affidamento di beni e servizi a soggetti terzi rispetto alla stazione appaltante (Anac ex multis pareri AG/3/2017/AP, AG 17/2017/AP, parere Funz Cons 20/2023 e precedenti ivi richiamati riferiti anche alla disciplina dettata sul tema dal d.lgs. 50/2016)”.

Tuttavia, si osserva che il richiamato parere in funzione consultiva n. 20/2023 riporta la stessa affermazione ma nulla aggiunge rispetto alla questione. Anche il parere AG/3/2017 nulla aggiunge alla questione.

Solo il parere Ag/17/2017/AP, avente altro oggetto rispetto alla questione che qui interessa, richiama un Consiglio di Stato risalente al periodo immediatamente successivo alle riforme (Sez. V, n. 4030/2017) dove si afferma che il rapporto è qualificato in termini di “delegazione interorganica”. Insomma, nulla di nuovo.

Ancora, viene richiamato il parere in funzione consultiva n. 54/2023 i quale, semmai, conferma la natura contrattuale del rapporto tenuto conto che lo stesso legittima gli incentivi tecnici negli affidamenti diretti e l’in house è per legge un affidamento diretto: “con le disposizioni dell’art. 45 del d.lgs. 36/2023, riferite in generale “a tutte le procedure e non solo all’appalto […] si ritiene possibile riconoscere il compenso incentivante al personale dell’ente, anche nel caso di affidamento diretto del contratto d’appalto, sottolineando che ai sensi dell’art. 45, comma 2, d.lgs. 36/2023, primo periodo, l’incentivo è strettamente correlato alle funzioni tecniche svolte dai dipendenti, come specificate nell’allegato I.10”.

In buona sostanza, è possibile affermare che le argomentazioni contenute nel parere ANAC n. 36/2024 non hanno fondamenta.

 

  1. Gli incentivi per funzioni tecniche nel caso dell’in house providing: il parere della Sezione Sardegna della Corte dei Conti ed il parere ANAC

Su questo argomento si prefigurano due ipotesi: una che attiene all’applicabilità dell’art. 45 del D.Lgs. 36/2023 al personale delle società in house; l’altra che riguarda l’applicabilità del medesimo articolo ai dipendenti pubblici impegnati nell’affidamento di un contratto alla società in house.

In merito alla prima, con Deliberazione n. 72/2024/PAR la Corte dei conti, Sezione di controllo per la Regione Sardegna, ha affermato che: “Non sembra infatti che i contratti realizzati dalle società in house sfuggano integralmente dal complesso della disciplina del nuovo codice dei contratti alla stregua della normativa di matrice europea richiamata; in ogni caso risponde a criterio di ragionevolezza che gli incentivi tecnici possano essere attribuiti anche a personale delle società in house. Infatti, in questo senso deve essere inteso il comma 2 dello stesso art. 45, laddove specifica che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti destinano risorse finanziarie per le funzioni tecniche svolte dai propri dipendenti: disposizione che deve essere letta alla luce di detta interpretazione estensiva”.

La Corte in questo passaggio ha ragione.

Qui si torna al tema dell’esclusione dell’in house dall’applicazione delle norme del Codice dei contratti pubblici già affrontato nel paragrafo riguardante la programmazione delle opere e degli acquisiti, dove è stato precisato che tale esclusione riguarda solo le regole dell’evidenza pubblica.

Si aggiunge che l’art. 16, comma 7 del TUSP prevede l’obbligo per le società in house di acquistare lavori, beni e servizi secondo la disciplina del Codice dei contratti pubblici.

Quindi, va da sé che quando la società in house applica le norme del Codice le applica globalmente, cioè tutte, incluse quelle di cui all’art. 45. Si ricorda, infatti, che la società in house può in via diretta intercettare finanziamenti pubblici (es. PNRR; Conto Termico), dunque in tal caso si comporta al pari di qualsiasi altra stazione appaltante. Riguardo, invece, all’attività svolta dalla società in ragione dell’affidamento, si dirà in seguito.

Il problema del riconoscimento degli incentivi per funzioni tecniche si pone, pertanto, soltanto nell’altra ipotesi, cioè quella che riguarda l’attività svolta dai dipendenti pubblici nell’ambito di un affidamento diretto in favore di una società in house.

Qui entra in gioco il parere ANAC 36/2024, che nega tale possibilità sulla scorta dell’argomento della “longa manus” e della mancanza di un vero e proprio contratto tra l’ente pubblico e la propria partecipata. Parere su cui si fondano anche le statuizioni della Corte dei conti: Sezione di Controllo per la Lombardia n. 128/2025/PAR; Sezione di Controllo per la Puglia n. 175/2025/PAR.

Come dimostrato nei paragrafi precedenti, il rapporto che si instaura con la società in house è, per quel che riguarda gli incentivi tecnici, contrattuale, e l’attività svolta dai dipendenti pubblici, nonché la responsabilità, è la stessa indipendentemente dal modello di gestione.

Ne consegue l’obbligo di riconoscere gli incentivi tecnici ai dipendenti pubblici incaricati di tali funzioni tecniche.

Ma entriamo nel merito.

Si pensi, ad esempio, al caso di una progettazione errata di un’opera pubblica elaborata da personale interno dell’ente pubblico, la cui esecuzione è poi affidata alla società in house.

Con l’applicazione della regola del rapporto su due binari, dunque con il riconoscimento della natura contrattuale del rapporto che si instaura con riguardo all’affidamento del contratto, la soluzione risulta essere molto semplice: il progetto è verificato dalla stazione appaltante; lo stesso è poi validato dal RUP; poi sempre il RUP segue la corretta esecuzione del contratto.

In questa ricostruzione il RUP e dipendenti impegnati nell’affidamento hanno maturato gli incentivi e sono certamente responsabili per l’errore di progettazione. Avranno una polizza assicurativa e il cerchio si chiude.

Con l’applicazione della regola del solo rapporto pubblico mediante il controllo analogo lo stesso caso crea molteplici difficoltà, dalle quali emerge tutta l’illogicità alla base del ragionamento che nega gli incentivi tecnici negli affidamenti in house.

Innanzitutto, si pone il problema della nomina del RUP.

L’art. 15 del D.Lgs. 36/2023 dispone che “L'ufficio di RUP è obbligatorio e non può essere rifiutato” ma in merito agli affidamenti in house il MIT dice che “non devono essere nominati” perché “il controllo analogo assolve già (e supera) i compiti del DL e DEC. Il RUP vi è ma solo ai fini della richiesta del CIG e del monitoraggio dell’affidamento”[33].

A questo punto, per sdrammatizzare, è proprio il caso di immaginare l’organo di controllo analogo di una società in house pluripartecipata, composto dai sindaci degli enti pubblici proprietari, mentre “assolvono” i compiti del RUP, del DL e del DEC, cioè attività gestorie, tra cui la validazione del progetto di un’opera pubblica. Avete immaginato? Ecco, appunto!

Poi, si osserva che non alcun senso l’indicazione secondo cui il RUP “vi è solo ai fini della richiesta del CIG e del monitoraggio dell’affidamento”.

L’articolo 15 che disciplina la nomina del RUP dispone che questo si occupa di tutte le fasi: “programmazione, progettazione, affidamento e per l'esecuzione di ciascuna procedura soggetta al codice”. Non è prevista l’ipotesi di RUP parziale.

Inoltre, si evidenzia una contraddizione: da una parte si dice che il controllo analogo assolve le funzioni dei tecnici, poi si afferma che il RUP deve monitorare l’affidamento (???).

Ora, tornando all’esempio, si ipotizzi che un dirigente illuminato decida di nominare un vero e proprio RUP.

In questo caso la domanda da porsi è: il dipendente può rifiutare l’incarico richiamando proprio il parere MIT 2871/2024, anche in ragione del fatto che quell’attività non gli verrà retribuita con gli incentivi per funzioni tecniche?

La risposta è affermativa perché, se si parte dal presupposto che non c’è un progetto, che l’affidamento non è un vero e proprio contratto pubblico e che le funzioni del RUP, il DEC e il DL sono assorbite dall’organo di controllo analogo, non si può poi sostenere l’applicazione dell’art. 15 del D.Lgs. 36/2023.

Stesso discorso va esteso ai progettisti che - a ragione – dovessero rifiutarsi di elaborare un progetto sapendo che questo non gli verrà retribuito con gli incentivi tecnici ma che, in caso di problemi di progettazione, sarebbero comunque responsabili. E l’assicurazione, sapendo che quell’attività non è dovuta, come si comporterebbe in caso di danno?

Come anticipato, gi incentivi tecnici devono essere riconosciuti ai dipendenti pubblici che partecipano ad un affidamento in house. E questo non solo per rispetto della legge ma anche per ragioni di corretto funzionamento dell’iter amministrativo.

L’unica cosa a cui fare attenzione è evitare di liquidare due volte l’incentivo per la medesima attività. In questo caso, si realizzerebbe un danno erariale.

Si immagini, ad esempio, un affidamento in house fatto a regola d’arte da parte della stazione appaltante in favore della propria società partecipata. In questo caso “la fase programmatoria, progettuale, dell’affidamento e del controllo sul corretto adempimento contrattuale è svolta dai dipendenti pubblici, che quindi hanno diritto all’incentivo tecnico. Questo è quello che accade a monte, a valle invece la società non ha nulla da affidare all’esterno perché è soltanto tenuta ad eseguire il contratto. Ed anche qualora la società decidesse di esternalizzare (/subappaltare) una parte delle prestazioni, poiché queste devono comunque essere conformi al progetto-capitolato-contratto principale, non ci sarebbe la maturazione degli incentivi in capo ai dipendenti della società pubblica[34], sebbene la società sia tenuta a rispettare il Codice dei contratti ai sensi dell’art. 16, comma 7, del TUSP, che è norma speciale.

Infine, si ricorda che la legge prevede in via diretta il riconoscimento degli incentivi per funzioni tecniche ai dipendenti pubblici in caso di affidamento in house.

Infatti, l’art. 1, comma 4, del D.Lgs. 36/2023, richiamato dall’articolo 7 del medesimo decreto - che tratta anche degli affidamenti in house - stabilisce che il criterio del risultato costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto, nonché per “[…] b) attribuire gli incentivi secondo le modalità previste dalla contrattazione collettiva”. E’ bene ricordare che gli incentivi tecnici rientrano nella contrattazione collettiva integrativa. Gli enti locali accantonano le risorse per gli incentivi tecnici nel fondo risorse decentrate.

Questa previsione può non piacere ma è legge e supera tutti gli argomenti sostenuti dall’orientamento che nega gli incentivi tecnici nell’affidamento in house; argomenti che andavano comunque affrontati al fine di dimostrare la loro infondatezza rispetto al contesto normativo di riferimento.

 

  1. La competenza di ANAC rispetto all’in house providing

Non vi sono dubbi sul fatto che ANAC avesse delle competenze rispetto all’in house providing nella vigenza del D.Lgs. 50/2016, che all’art. 192 assegnava a detta Autorità la gestione dell’albo delle società in house. Periodo durante il quale, peraltro, risultava maggioritaria la tesi dell’in house quale eccezione al principio di concorrenza.

Ma con la riforma del Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. 36/2023 la questione non è più così ovvia.

A parere di chi scrive l’ANAC mantiene la propria competenza sull’in house anche nel contesto del nuovo Codice e ciò sul presupposto della natura contrattuale del rapporto tra l’ente proprietario e la propria società, che riceve in affidamento un vero e proprio contratto pubblico. A tale riguardo, si rinvia a quanto detto nei paragrafi precedenti.

Ma se si parte dell’orientamento sostenuto proprio da ANAC nel parere n. 36/2024, cioè che il rapporto tra l’ente pubblico e la società in house è soltanto di immedesimazione organica, le conclusioni cambiano.

Infatti, a differenza del passato, il nuovo Codice, all’art. 7, ha recepito il principio di auto-organizzazione che si caratterizza per il fatto di porre i modelli di gestione su un piano paritario (equiordinato) in ragione di una scelta organizzativa che si pone a monte rispetto al Codice dei contratti; il tema è già trattato nel paragrafo 5, a cui si rinvia.

Ne consegue che sommando l’immedesimazione organica ad una scelta di organizzazione effettuata a monte rispetto al Codice non vi sarebbe spazio neanche per una competenza residuale l’ANAC sull’in house providing perché ci troveremmo dinanzi ad un rapporto pubblico sostanzialmente puro.

Partendo da tali premesse, si evidenzia la paradossale situazione che vede ANAC sostenere un orientamento che, qualora applicato, escluderebbe qualsiasi competenza di tale Autorità sull’in house providing in tema di contratti pubblici, al netto degli affidamenti effettuati a valle dalla società in house in applicazione del D.Lgs. 36/2023.

 

  1. Conclusioni

È possibile pacificamente affermare che l’in house è una sorta di “longa manus” dell’ente pubblico proprietario e che sussiste un rapporto di immedesimazione organica tra quest’ultimo e la sua partecipata.

Tuttavia, quanto appena affermato, è corretto ai fini di una descrizione generale del fenomeno in house providing ma non come argomentazione per far nascere diritti, obblighi o rapporti che il legislatore non ha previsto.

L’operatività dell’istituto va sempre e comunque ricondotta alla disciplina nazionale.

In altre parole, la descrizione generale dell’in house effettuata mediante il richiamo dei concetti elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina è corretta e auspicabile.

A questa, però, bisogna poi aggiungere che il legislatore nazionale ha ridotto la portata di detti concetti generali ponendo sostanzialmente tre vincoli normativi, decisamente impattanti a livello operativo, che sono: la forma societaria; l’individuazione del contratto pubblico quale oggetto dell’affidamento; l’onere motivazionale aggravato a supporto della decisione di ricorrere al modello di gestione in house.

Queste tre condizioni, che si aggiungono ai noti requisiti in house, non incidono sulla natura pubblica della società in house, che resta una “longa manus” dell’ente pubblico proprietario che esercita il controllo analogo, ma determinano, rispetto allo svolgimento concreto delle prestazioni, un rapporto inevitabilmente contrattuale tra l’ente pubblico e la sua partecipata.[35]

In questo quadro si cala perfettamente il chiarimento della Suprema Corte, secondo cui: “[…] il controllo analogo non è un controllo assoluto come su un pubblico ufficio” ma questo è limitato e deve “incidere sulla complessiva governance dell’attività della società in house”. Infatti, si tratta di “una mera prossimità ontologica, che non può essere confusa con l’assoluta identità” (Cass. civ., Sez. Un., 28 giugno 2022, cit.).

Secondo alcuni vi sarebbe una contraddizione tra la natura pubblica dell’in house e la forma giuridica privatistica[36]-[37] ma, a ben guardare, si tratta di una contraddizione apparente poiché la natura pubblica viaggia su un piano alto, attraverso il controllo analogo e il potere di costituire e/o dismettere la partecipazione, mentre la parte privata resta su un piano operativo, che alla fine è quello che si dimostra essere più efficiente rispetto alle “catene” del diritto pubblico quando bisogna erogare, ad esempio, un servizio. La parte privata è frutto di una specifica scelta del legislatore effettuata nell’ambito del potere di autodeterminazione riconosciuto agli Stati rispetto alle scelte gestionali, che possono essere più stringenti rispetto alla normativa europea[38]. Nell’ambito di tale scelta va ricondotta anche la previsione contenuta all’art. 16 del TUSP che dispone che la società in house è affidataria di contratti pubblici.

L’aspetto contrattuale è la chiave di volta che consente, finalmente, di definire con chiarezza e completezza il rapporto che l’ente pubblico proprietario deve impostare rispetto alla propria partecipata.

Un rapporto, come esposto in fase introduttiva, che viaggia su due binari: uno pubblico, che è quello del controllo analogo esercitato dall’ente pubblico proprietario sulla sua partecipata, che incide sulla governance societaria; uno privato, paritario, che riguarda l’oggetto dell’affidamento, in particolare le obbligazioni contrattuali derivanti dal progetto/capitolato (o atti equivalenti) predisposto dall’ente pubblico affidante.

Inoltre, la presenza del rapporto contrattuale porta con sé il vantaggio di responsabilizzare sia la dirigenza pubblica, chiamata a trattare l’affidamento in house al pari di qualsiasi altro affidamento (programmazione; progettazione; affidamento; esecuzione) e senza possibilità di “scaricare” il controllo sull’organo di controllo analogo, sia la società in house che risponderà verso il RUP della stazione appaltante per il corretto adempimento delle obbligazioni contrattuali e verso l’organo di controllo analogo rispetto agli atti strategici della società e alle decisioni più importanti (Es. Bilancio; Piano industriale; Piano assunzionale; operazioni immobiliari; etc.).

Riguardo al progetto oggetto di affidamento, questo può prevedere degli adattamenti rispetto ai vari modelli di gestione, magari la scelta dell’in house è motivata proprio sulla base dei vantaggi conseguenti a tali adattamenti, ma le prestazioni principali devono essere le stesse, diversamente non sarebbe possibile individuare comparativamente il modello che più si adatta al caso concreto.

La previsione della natura contrattuale del rapporto tra ente pubblico e in house ha inevitabilmente degli effetti anche sulla programmazione pubblica, sulla gestione del personale delle società in house e sul riconoscimento degli incentivi per funzioni tecniche.

Sulla programmazione il MIT ha affermato che gli affidamenti in house “andrebbero inseriti non nella programmazione della P.A. ma in quelle delle società stesse” ma dall’approfondimento è emerso che questa non varia in rapporto al modello di gestione individuato per la commessa pubblica da affidare. Infatti, la sua finalità è di coerenza con gli altri atti di programmazione e di salvaguardia degli equilibri finanziari. Pertanto, l’affidamento in house va inserito negli atti di programmazione della P.A. e non in quella della società.

Riguardo al personale delle società in house, questo, come noto, è personale privato a cui si applica il CCNL del settore nel cui ambito opera la società.

In merito, invece, agli incentivi tecnici, partendo dal presupposto della natura anche contrattuale del rapporto in house, dovrebbe essere scontata la sua estensione anche al personale pubblico che svolge attività tecnica nel contesto di un affidamento in house tenuto conto che l’art. 45 del D.Lgs. 36/2023 si applica anche agli affidamenti diretti e che l’in house rientra pacificamente tra questi.

Invece, sia la questione del personale sia quella degli incentivi tecnici è messa in dubbio dal parere ANAC n. 36/2023 e, a seguire, dai pareri della Corte dei conti: Sezione di Controllo per la Lombardia n. 128/2025; Sezione di Controllo per la Puglia n. 175/2025.

Infatti, l’ANAC, nel citato parere, riconduce il rapporto tra l’ente pubblico e la sua società partecipata al solo rapporto di tipo pubblicistico, cioè quello esercitato mediante il controllo analogo. Esattamente come accadeva prima delle riforme sopra ricordate.

Sulla stessa scia è intervenuta la Sezione Lombardia della Corte dei conti con il parere n. 128/2025, che, sulla base della medesima argomentazione, ovverosia della sussistenza del solo rapporto interorganico tra l’ente pubblico proprietario e la sua partecipata, è arrivata addirittura a sostenere che il personale della società in house è da intendersi quale “personale proprio” dell’ente pubblico proprietario.

Come dimostrato nel presente scritto, il personale della società in house non può essere ricompreso nel concetto di “personale proprio” dell’ente pubblico per espressa previsione di legge e pacifica giurisprudenza, mentre gli incentivi per funzioni tecniche dell’art. 45 del Codice dei contratti sono da riconoscere a monte, cioè nella fase di affidamento effettuato alla società in house, non a valle da parte di quest’ultima.

Ciò perché sia il rapporto contrattuale sia l’onere motivazionale aggravato, necessario per l’affidamento in house, presuppongono la redazione di un progetto a monte, nonché l’attivazione di tutte le altre fasi che normalmente si attivano per un affidamento a terzi (programmazione; progettazione; affidamento; esecuzione; monitoraggio).

Oltre a ciò, si ricorda che gli incentivi tecnici nell’affidamento in house sono previsti per legge tenuto conto del richiamo diretto effettuato dall’art. 7 del D.Lgs 36/2023 all’art. 1, comma 4, del medesimo decreto.

Ad ogni buon conto, il problema principale di non riconoscere gli incentivi tecnici ai dipendenti pubblici è che “spostando” gli incentivi a valle perde di significato tutto quanto detto nel presente scritto sull’importanza del progetto e sulla natura contrattuale del rapporto, che si ricorda è prescritta dalla legge.

Infatti, riconoscendo gli incentivi a valle l’ente pubblico giungerà alla conclusione che anche il progetto dovrà essere predisposto a valle dalla società in house.

Con queste premesse, si tornerà a quelle situazioni paradossali dove “il controllato”, cioè la società in house, determina il fabbisogno dell’ente proprietario, esegue le prestazioni e, infine, mancando un rapporto contrattuale, si autocontrolla. Con l’ulteriore rischio di un aumento del contenzioso tenuto conto che per motivare un affidamento in house è necessario che il progetto venga elaborato a monte e che lo stesso rappresenti le reali esigenze dell’ente pubblico.

Dall’approfondimento è emerso che il parere ANAC e, di conseguenza, i pareri della Corte dei conti sono privi di fondamenta per tutte le ragioni esposte nel paragrafo 5 del presente scritto.

In conclusione, il rapporto contrattuale è ciò che nei fatti garantisce il buon andamento della società in house, il corretto utilizzo delle risorse pubbliche e il conseguimento degli obiettivi pubblici.

Sostenere che tutto sia rimesso al controllo analogo significa tornare all’“in house politica”, dove non è mai stato chiaro il confine tra politica e gestione.

 

 

 

 

[1] Si tratta di una semplificazione effettuata al fine di una chiara rappresentazione dell’argomento. Quando si dice “rapporto pubblico” non si vuole indicare la natura dei relativi atti ma più semplicemente fare riferimento al controllo analogo, che è un controllo di competenza dall’ente pubblico proprietario. Si tenga conto che vi sono degli atti, ad esempio la nomina degli amministratori della società, che rientrano nel controllo analogo, che è anche un controllo sugli organi, ma che sono di natura privatistica con conseguente giurisdizione del giudice ordinario. Cfr. Cass. civ., Sez. Un., ord. n. 5424 del 26/02/2021.

[2] D. CASALINI, L'Organismo di diritto pubblico e l'organizzazione in house, Jovene Editore, 2003, pag.  256: “il rapporto in house ha ad oggetto non “prestazioni” di lavori, servizi o forniture nel significato fatto proprio dalle direttive comunitarie nel definire l’appalto pubblico, bensì le modalità con cui è organizzata la produzione o l’approvvigionamento di tali prestazioni […] l’oggetto dell’obbligazione dell’ente controllato […] non è l’erogazione delle prestazioni, bensì l’organizzazione della produzione o del reperimento sul mercato delle prestazioni stesse”.

[3] Cass. civ., Sez. Un., 25 novembre 2013 n. 26283: “La società in house […] non è altro che una longa manus della pubblica amministrazione, al punto che l'affidamento pubblico mediante in house contract neppure consente veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo (Corte cost. n. 46/13, cit.); di talché l'ente in house non può ritenersi terzo rispetto all'amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa" (così Cons. Stato, Ad. plen., n. 1/08, cit.). Il velo che normalmente nasconde il socio dietro la società è dunque squarciato: la distinzione tra socio (pubblico) e società (in house) non si realizza più in termini di alterità soggettiva”.

[4] L’in house providing entra nel diritto positivo con le Direttive UE nn. 23 e 24 del 2014.

[5] Sebbene si registrino ancora statuizioni in tal senso, ad esempio il Cons. Stato, Sez. III, sentenza n. 6062/2021.

[6] L’agente tenderà ad adeguarsi ai pareri delle autorità competenti per ridurre il rischio di eventuali responsabilità personali, anche in assenza di una condivisione delle argomentazioni ivi contenute.

[7] Corte dei conti, Sezione di Controllo per la Lombardia n. 128/2025/PAR; Sezione di Controllo per la Puglia n. 175/2025/PAR.

[8] Parere ANAC n. 36/2024: “presenta connotazioni tali da giustificare la sua equiparazione ad un "ufficio interno" dell’ente pubblico che l’ha costituita, una sorta di longa manus dello stesso; non sussiste quindi tra l’ente e la società un rapporto di alterità sostanziale, ma solo formale […] per effetto della descritta peculiarità degli affidamenti in house, non sia possibile riconoscere gli incentivi de quibus, stante il rapporto di immedesimazione organica rispetto all’ente dante causa e la conseguente assenza di terzietà della società in house”.

[9] R. CAVALLO PERIN, D. CASALINI, L'in house providing: un'impresa dimezzata, Diritto Amministrativo 1/2006, pag. 60: “L’in house providing, come elaborato dalla giurisprudenza europea e confermato nel Libro verde relativo ai partenariati pubblico privati…”.

[10] L’in house entra nel diritto positivo con i Regolamenti UE 23 e 24 del 2014.

[11] 20. Per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l'economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l'affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell'ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste.

[12] Oggi l’obbligo di motivazione aggravata per l’affidamento in house è previsto dall’art. 7 del D.Lgs. 36/2023 e, per i spl a rilevanza economica, dagli artt. 14 e 17 del D.Lgs. 201/2022.

[13] “Nel contesto di sostanziale equiordinazione tra i vari modelli di gestione disponibili per la gestione dei servizi pubblici locali (mediante il ricorso al mercato, attraverso il c.d. partenariato pubblico privato, tramite società mista, ovvero attraverso l’affidamento diretto in house), l’amministrazione è chiamata ad effettuare una scelta per l’individuazione della migliore modalità di gestione del servizio rispetto al contesto territoriale di riferimento e sulla base dei principi indicati dalla legge […] essendo peraltro richiesto un onere motivazionale rafforzato e più incisivo solo nel caso in cui si opti per l’affidamento diretto mediante in house: in ogni caso, quale che sia la scelta di gestione del servizio pubblico locale a rilevanza economica adottata dall’ente, si tratta di valutazioni che, riguardando l’organizzazione del servizio e la praticabilità di scelte alternative da parte del Comune, devono essere svolte in concreto, con un’analisi effettuata caso per caso e nel complesso” (Cons. Stato, Sez. V, 8 aprile 2019, n. 2275). Cfr. anche il documento “Relazione illustrativa delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti per la forma di affidamento prescelta (ex D.L. 18 ottobre 2012 n. 179, art. 34 commi 20 e 21) – Guida alla compilazione” elaborato dal MISE con INVITALIA”.

[14] In merito ad una procedura del 2015 è stato osservato: “Sul punto si può nondimeno osservare che la relazione ex art. 34, comma 20, d.l.n. 179 del 2012 del Comune di (omissis), nell’impossibilità di addentrarsi in un’analisi di questo genere, necessariamente riferita alla singola realtà imprenditoriale, svolge una comparazione delle tre soluzioni gestionali, date dall’affidamento al mercato, ad una società mista e ad una società in house, a parità di canone base (tabella a pag. 113). Si tratta in sostanza di una simulazione di uno scenario tipico di una procedura di gara alla quale abbia partecipato anche la società in house”. Cons. Stato, Sez. V, 23 febbraio 2021 n. 1596.

[15] A partire dall’art. 16 del D.Lgs. 175/2016.

[16] G. SCHIAVONE, “il principio di auto organizzazione amministrativa nel nuovo codice dei contratti pubblici. riflessioni sul rapporto tra in house providing e principio del risultato”, in ItaliAppalti, 23 maggio 2025: “l’amministrazione che decida di ricorrere all’auto-produzione, o in house, deve fondare la propria scelta [discrezionale] motivandola su ragioni legate al caso concreto e alle caratteristiche delle prestazioni da affidare. In questo senso, se si pensa, come detto, che il principio del risultato debba essere necessariamente rispettato [anche] nei casi di affidamento in auto-produzione, allora non può che essere essenziale e centrale per le stazioni appaltanti definire puntualmente il caso concreto, per la cui individuazione il principio del risultato costituisce criterio guida”.

[17] Peraltro, si tenga conto che la capacità dimostrata in precedenti gestioni assume rilevanza ai fini della motivazione aggravata da elaborare in sede di affidamento in house, ex D.Lgs. 201/2022.

[18] Non si prenda a modello l’in house di proprietà statale, dove spesso i trasferimenti di attività e funzioni avviene con disposizione di legge.

[19] “Con proprio provvedimento l'ANAC individua le informazioni che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti sono tenuti a trasmettere alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici attraverso le piattaforme telematiche di cui all'articolo 25. Gli obblighi informativi di cui al primo periodo riguardano anche, in funzione degli obiettivi di trasparenza di cui all'articolo 28, gli affidamenti a società in house di cui all'articolo 7, comma 2”.

[20]  La società di capitali con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché gli enti pubblici ne posseggano le partecipazioni […] Il rapporto tra la società e l'ente locale è, cioè, di sostanziale autonomia, al punto che non è consentito all'ente pubblico di incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo (e sull'attività dell'ente collettivo) mediante l'esercizio di poteri autoritativi o discrezionali (così, da ultimo, Cass. n. 5346/19; si vedano altresì, tra varie, sez. un., n. 7799/05; sez. un., n. 392/11; sez. un., n. 3196/17). Tale caratteristica non viene meno in caso di società cd. in house providing, in funzione dell'esistenza di un "controllo analogo” […] la società in house rappresenta pur se sempre un centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall'ente partecipante (Cass., sez. un., n. 7759/17; n. 21299/17; n. 7222/18 e, in particolare, Cass. n. 5346/19, nonché, tra le ultime, Cass. n. 21658/21, Cass. sez. 5, n. 37951 del 2021)”. Cass. civ., Sez. V, 3 aprile 2023, n. 9199.

[21] Cons. Stato, Sez. V, 21 aprile 2023 n. 4067.

[22] La Corte si riferisce alla Sezione Sardegna, delibera n. 72/2024/PAR del 9 luglio 2024, ma il richiamo è totalmente fuori luogo. Con tale pronunzia la Sezione Sardegna argomenta su una questione totalmente diversa e non assimilabile a quella esaminata della Sezione Lombardia, ovverosia sul fatto che le società in house possono applicare l’art. 45 per riconoscere gli incentivi tecnici ai propri dipendenti rispetto agli affidamenti di propria competenza. È il caso, ad esempio, dell’in house che intercetta finanziamenti pubblici (es. PNRR; Conto Termico) e che, poi, svolge funzione di stazione appaltante verso l’esterno. Nella Sezione Sardegna non si parla di personale pubblico.

[23] Negli stessi termini, la Corte dei conti, Sezione di Controllo per la Puglia, parere n. 175/2025/PAR;

[24] Art. 19, comma 1, D.Lgs. 175/2016: “Salvo quanto previsto dal presente decreto, ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle società a controllo pubblico si applicano le disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile, dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, e dai contratti collettivi”

[25] Cass. civ., Sez. lav., 1° dicembre 2022, n. 35421: “Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle società a controllo pubblico non è disciplinato dal D.Lgs 165/2001, bensì dalle norme del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro alle dipendenze di privati, che trovano applicazione in assenza di una disciplina speciale derogatoria.

[26] In questo caso, però, non vi sarebbe un riconoscimento diretto dell’incentivo al dipendente della società, come se fosse personale proprio, ma le risorse sarebbero regolate in convezione a titolo di rimborso.  

[27] TAR Veneto, Sez. I, 2 aprile 2021 n. 434: “La nozione di "pubbliche amministrazioni" che delimita il settore del pubblico impiego prevista all'art. 1, c. 2, del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, non è l'unica, esiste infatti anche una nozione molto più ampia prevista dalla normativa nazionale in materia di contabilità e finanza pubblica […] Ciò vale a fortiori per le società in house che costituiscono in realtà articolazioni in senso sostanziale della pubblica amministrazione da cui promanano”.

[28] D. MENNA, “La gestione in house providing dei servizi pubblici locali di rilevanza economica tra concorrenza, autonomia organizzativa e i diversi livelli di motivazione aggravata”, in Annali 22/2021, Università degli Studi del Molise, Edizioni Scientifiche Italiane, ottobre 2021, Napoli: “la statuizione in parola (Corte Costituzionale, sentenza n. 199/2012), con il richiamo all'art. 106 del TFUE e alla sentenza 325/2010, ha confermato, in tema di SIEG, la tesi dell'eccezionalità dell'in house rispetto alle regole concorrenziali già espressa in precedenti pronunce. La citata sentenza 199 non trova però riscontro in sentenze del giudice europeo (Cfr. F. TRIMARCHI BANFI, Procedure concorrenziali e regole di concorrenza nel diritto dell'Unione e nella Costituzione (all'indomani della dichiarazione di illegittimità delle norme sulla gestione dei servizi pubblici economici), Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2012, pag. 725)  e l’orientamento ivi contenuto non ha trovato riscontro in ambito europeo neanche dopo l'entrata in vigore delle Direttive del UE 23 e 24 del 2014”.

[29] Relazione di accompagnamento al codice dei Contratti Pubblici: “L’articolo 7 recepisce il principio di auto-organizzazione amministrativa, sancito anche nell’art. 2 direttiva 2014/23/UE, in base al quale le pubbliche amministrazioni scelgono autonomamente di organizzare l’esecuzione di lavori o la prestazione di beni e servizi attraverso il ricorso a tre modelli fra loro alternativi: a) auto-produzione, b) esternalizzazione; c) cooperazione con altre pubbliche amministrazioni”.

[30] R. CAMPONI, “Tensioni e contrapposizioni dell’in house providing: fra servizi e contratti pubblici”, in ItaliAppalti, 13 febbraio 2024: “Tale apparente complementarità e armonia sembra tuttavia essere smentita a fronte dell’analisi sistematica che può essere ricavata dal D.lgs. n. 201/2022, il quale tratteggia un vero e proprio percorso ad ostacoli per l’affidamento in house, in contraddizione con il principio di auto-organizzazione riconosciuto dal diritto europeo e positivizzato dalla normativa nazionale in materia di appalti”.

[31] L.M. FERA, L’in house providing nel nuovo codice dei contratti: tra libertà di auto-organizzazione amministrazione e tutela della concorrenza e del mercato, Federalismi.it, 20.11.2024 n. 28/2024: “La parità tra ricorso al mercato e auto-produzione, si è detto, è solo tendenziale, perché l’affidamento in house deve essere sempre motivato (a differenza del ricorso al mercato)”.

[32] F. FIGORILI, Il principio di auto-organizzazione amministrativa previsto dal nuovo codice dei contratti pubblici, in Nuove Autonomie Rivista Quadrimestrale di Diritto Pubblico, Fascicolo n. 3/2023, 972, link: https://www.nuoveautonomie.it/wp-content/uploads/2024/07/N.A.-3.23_fascicolo.pdf“La Corte di Giustizia ha fornito al riguardo una lettura puntuale dell’art. 12 della Direttiva da ultimo ricordata, evidenziando come quest’ultima “… non ha privato gli stati membri della libertà di privilegiare una modalità di prestazione dei servizi, di esecuzione di lavori o di approvvigionamento di forniture a scapito delle altre. Una siffatta libertà, infatti, implica una scelta che si effettua in una fase precedente a quella dell’aggiudicazione di un appalto e che, pertanto, non ricade nella sfera di applicazione della direttiva 2014/14)”6

[33] “Negli affidamenti in house non deve essere nominato un DL o un DEC, in quanto l’ente affidante compie nei confronti del soggetto in house il c.d. controllo analogo, ossia attività di controllo come se il soggetto in house fosse un ufficio interno dell’ente affidante. Il controllo analogo assolve già (e supera) i compiti del DL e DEC. Il RUP vi è ma solo ai fini della richiesta del CIG e del monitoraggio dell’affidamento, mediante la scheda di monitoraggio A3_6. Resta ferma la nomina del DEC e DL in capo alla società in house per gli affidamenti e gli appalti di propria competenza” (parere MIT n. 2871/2024).

[34] D. MENNA-A. RUGGERI-F. ZUCCARINI, “L’incentivo per funzioni tecniche negli affidamenti diretti in house providing, “Il Diritto Amministrativo”, sezione “Temi e Dibattiti”, Anno VII – n. 5 maggio 2025.

[35] Il legislatore avrebbe potuto prevedere una forma non societaria ed un rapporto pubblico anziché privato per l’erogazione delle prestazioni ma così non è stato. La volontà è sempre stata quella di inquadrare l’in house in un contenitore privato, con tutte le conseguenze del caso.

[36] G. SCHIAVONE, “il principio di auto organizzazione amministrativa nel nuovo codice dei contratti pubblici. riflessioni sul rapporto tra in house providing e principio del risultato”, in ItaliAppalti, 23 maggio 2025: “La società pubblica rappresenta una contraddizione in termini, un ossimoro: uno soggetto al contempo privato e pubblico. Una figura anfibologica caratterizzata da veste privatistica e sostanza pubblicistica. Tale doppia natura è all’origine di tutte le questioni problematiche che, come vedremo, ne rendono difficile lo studio e l’individuazione della disciplina applicabile”.

[37] R. CAMPONI, “Tensioni e contrapposizioni dell’in house providing: fra servizi e contratti pubblici”, in ItaliAppalti, 13 febbraio 2024: La stessa natura della società in house, per certi versi indistinguibile dal soggetto pubblico che ne è socio, è contraddetta dalla forma giuridica privatistica con cui si presenta e dalle funzioni da essa svolte [4] – [4: Nonostante le società in house siano talvolta costituite al fine di svolgere funzioni amministrative, tali strutture nascono come evoluzione delle aziende e delle imprese pubbliche al fine di poter svolgere, seppur in forma non imprenditoriale, attività economiche”. Cfr. Ambiguità e vicende degli affidamenti in house, di B.G. MATTARELLA, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, fasc. 4/2023, p. 1286];

[38] Cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Ordinanza 6 febbraio 2020, Rieco S.p.a.