Cons. Stato, Sez. V, 25 ottobre 2025, n. 8343

La sentenza in commento afferma il principio secondo il quale l’azione di ripetizione dell’indebito che la stazione appaltante esercita ex art. 2033 c.c. nei confronti dell’aggiudicatario a valle dell’annullamento giudiziale dell’aggiudicazione e della conseguente declaratoria di inefficacia del contratto di appalto (per la restituzione delle prestazioni rese dalla stessa stazione appaltante in esecuzione del contratto dichiarato inefficace) ricade nel perimetro della giurisdizione del Giudice Ordinario.

Attraverso un’articolata e approfondita motivazione, la Sezione V del Consiglio di Stato evidenzia che tale principio poggia su plurimi eterogenei ordini argomentativi di natura sia civilistica, sia pubblicistica, sia processuale.

In base ad un primo esame della sentenza, non si può trascurare il suo impatto sistematico, soprattutto se la si considera in relazione all’art. 124 c.p.a. (così come recentemente modificato dal d.lgs. n. 36 del 2023) nella parte in cui quest’ultimo dispone, tra l’altro, che il giudice amministrativo conosce – nell’ambito della propria giurisdizione esclusiva in materia di affidamenti di pubblici lavori, servizi e forniture – anche delle “azioni risarcitorie e di quelle di rivalsa proposte dalla stazione appaltante nei confronti dell’operatore economico che, con un comportamento illecito, ha concorso a determinare un esito della gara illegittimo”.

Pertanto, l’eventuale richiesta di ristoro economico che la stazione appaltante dovesse promuovere nei confronti dell’aggiudicatario a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione (per la “sterilizzazione” degli effetti patrimoniali negativi che la stazione appaltante ha sofferto a seguito di tale annullamento) può ricadere in un plesso giurisdizionale piuttosto che in un altro a seconda che la stessa venga qualificata come azione di risarcimento danni (in via di rivalsa o autonoma) oppure come azione di ripetizione dell’indebito.

La prima ricade nella giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, la seconda ricade nella giurisdizione del Giudice Ordinario.

 

Guida alla lettura

La controversia riguarda la domanda di ripetizione dell’indebito proposta da una stazione appaltante che aveva avviato, in origine, una procedura per l’affidamento di un sistema automatico di noleggio biciclette (rent a bike).

L’appalto doveva avere ad oggetto, in particolare, la fornitura, installazione, attivazione e manutenzione di un sistema automatico di noleggio biciclette.

La società che aveva ottenuto l’aggiudicazione dell’appalto aveva poi dato esecuzione al contratto: in particolare, da un lato, la società aggiudicataria aveva fornito alla stazione appaltante le biciclette e il restante materiale occorrente, dall’altro lato, la stazione appaltante aveva provveduto all’integrale pagamento della fornitura.

Nel frattempo, alcuni degli operatori economici che avevano partecipato alla gara impugnavano l’aggiudicazione e chiedevano, inoltre, la declaratoria di inefficacia del contratto, nonché la riedizione della procedura di gara (atteso che quest’ultima non era stata preceduta dalla pubblicazione del bando).

Sia in primo grado sia in secondo grado, i giudici amministrativi hanno accolto il ricorso introduttivo e, per l’effetto, annullato l’aggiudicazione, con declaratoria dell’inefficacia del contratto (senza fissazione della decorrenza di tale declaratoria) e condanna della stazione appaltante a rieditare l’intera procedura di affidamento.  

Successivamente alla sentenza di appello, la stazione appaltante ha chiesto all’aggiudicataria la restituzione di quanto pagato in esecuzione del contratto, offrendo di contro la restituzione delle biciclette e del materiale consegnato per l’esecuzione del contratto.

A seguito del rifiuto dell’aggiudicataria, la stazione appaltante aveva adìto il TAR per il Veneto al fine di ottenere la condanna dell’impresa aggiudicataria alla restituzione delle somme versate come corrispettivo per l’esecuzione del servizio, offrendo contestualmente la restituzione delle biciclette e dei materiali consegnati dall’impresa.

Il TAR aveva accolto il ricorso e, per l’effetto, condannato l’impresa aggiudicataria a restituire la somma incassata.

L’impresa aggiudicataria ha appellato la sentenza di primo grado dinanzi al Consiglio di Stato.

Con il primo motivo l’impresa appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza per non avere accertato il difetto di giurisdizione.

L’appellante ritiene, infatti, che la controversia appartenga alla giurisdizione del giudice ordinario, dal momento che essa, riguardando la fase esecutiva del contratto (divenuto inefficace), non rientra nell’ambito di operatività della giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133 comma 1 lett. e) n. 1 c.p.a.

Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello e dichiarato, per l’effetto, il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo, nonché la giurisdizione del Giudice Ordinario sulla domanda di ripetizione dell’indebito ora in esame.

Come anticipato in premessa, la conclusione a cui è giunta la Sezione V del Consiglio di Stato poggia su tre diversi ordini argomentativi, il primo di natura civilistica, il secondo di natura pubblicistica, il terzo di natura processuale.

Per quel che concerne l’argomento civilistico, i giudici di appello rilevano che la ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c. è un’obbligazione di natura civilistica che trova fonte in un fatto, posto in essere in pretesa esecuzione del contratto dichiarato inefficace, ha ad oggetto una prestazione di natura patrimoniale e risponde a un interesse patrimoniale. Essa è connotata da un’autonomia che rende irrilevanti le circostanze che hanno portato all’effettuazione del pagamento non dovuto.

Per quel che concerne l’argomento pubblicistico, anch’esso concorre a confermare la medesima conclusione. In particolare, la declaratoria di inefficacia che rende indebito il pagamento non evidenzia un collegamento con il pubblico potere, pur essendo il frutto dello scrutinio sullo stesso. La vicenda pubblicistica non connota quindi il fatto oggetto della cognizione del giudice della ripetizione.

Per quel che concerne, infine, l’argomento processuale, la sentenza in commento evidenzia che la ripetizione di indebito non è un portato della declaratoria di inefficacia, sì da ritenere che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e il potere di dichiarare il contratto stipulato dall’amministrazione inefficace ai sensi degli artt. 121 e 122 c.p.a. comprenda le conseguenze restitutorie di detta declaratoria. Il regime uniforme della ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c., la cui autonomia segna la cesura rispetto alle vicende precedenti al pagamento indebito, rende la declaratoria di inefficacia un fatto che il giudice della restituzione deve valutare insieme agli ulteriori requisiti di fattispecie. Per tale motivo la pronuncia di inefficacia non è idonea ad attrarre la domanda di ripetizione di indebito che ne consegue alla giurisdizione del giudice amministrativo.

A quest’ultimo riguardo, la sentenza in commento evidenzia che il giudice della ripetizione - oltre ad accertare, quale fatto storico incontrovertibile, la pronuncia che ha reso il contratto privo di effetti - valuta anche gli altri requisiti civilistici della fattispecie ex art. 2033 c.c., quali l’intervenuto pagamento, la relazione tra quest’ultimo e il titolo divenuto privo di effetti e la ripetibilità della dazione, al fine di delibare positivamente sulla domanda. Pertanto, il parametro di detta valutazione è costituito dal contratto, potendolo interpretare secondo le disposizioni di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.

La sentenza in esame rimarca, inoltre, un’importante differenza fra la ripetizione di indebito di cui all’art. 2033 c.c. e la ripetizione di quanto invece pagato in ottemperanza ad una sentenza di condanna provvisoriamente esecutiva poi caducata o riformata in sede di appello (appello il cui esito favorevole legittima il solvens ad essere integralmente reintegrato nella situazione antecedente alla sentenza di primo grado).

La prima è un’azione restitutoria autonoma sottoposta al regime processuale ordinario del doppio grado di giudizio (per la quale sussiste, come visto, la giurisdizione del Giudice Ordinario).

La seconda, invece, è una conseguenza processuale automatica dell’annullamento o riforma in appello della sentenza di primo grado, in ossequio al principio dell’effetto espansivo esterno del giudicato (cfr. art. 336 c.p.c.) sicché in questo secondo caso la domanda di ripetizione rientra nel perimetro dell’ottemperanza della sentenza di appello, potendo essere proposta, quindi, dinanzi al giudice di ottemperanza (id est il Giudice Amministrativo).

Come anticipato in premessa, la sentenza in commento induce a qualche riflessione sistematica più generale sul riparto di giurisdizione rispetto a tutte quelle azioni processuali che – pur potendosi qualificare diversamente da un punto di vista giuridico – sono tuttavia accomunate da un elemento sostanziale identico, e cioè l’esigenza erariale della stazione appaltante di recuperare (nei confronti dell’impresa aggiudicataria illegittimamente individuata) le eventuali perdite patrimoniali che detta stazione ha sofferto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione.

In linea generale, in caso di annullamento dell’aggiudicazione, si possono astrattamente configurare plurimi eterogenei scenari. Alcuni di essi sono i seguenti:

(a) l’appalto è già stato integralmente eseguito con prestazioni di facere materialmente irripetibili, ciò che implica l’impossibilità di dichiarare l’inefficacia del contratto e il diritto dell’impresa pretermessa al risarcimento per equivalente; in tale evenienza, la stazione appaltante – al fine di evitare di pagare due volte per lo stesso servizio – ben può esercitare un’azione risarcitoria (in via autonoma o di rivalsa) nei confronti dell’impresa aggiudicataria che con il proprio comportamento illecito abbia concorso a determinare l’esito illegittimo della gara (così dispone, infatti, il “nuovo” art. 124 c.p.a., come da ultimo modificato dal d.lgs. n. 36 del 2023);

(b) l’appalto non è stato integralmente eseguito, ma cionondimeno è comunque impossibile dichiarare l’inefficacia del contratto (una volta che quest’ultimo è stato stipulato), in quanto l’appalto rientra nel campo di applicazione dell’art. 125 c.p.a., oppure perché il giudice amministrativo ritiene (nei casi di cui all’art. 122 c.p.a.) che non sia opportuno caducare gli effetti del contratto; in entrambe queste ipotesi l’impresa pretermessa ha diritto al risarcimento per equivalente dei danni subìti e provati, sicché pure in questi casi potrebbero ricorrere i presupposti per un’azione risarcitoria (in via autonoma o di rivalsa) della stazione appaltante nei confronti dell’impresa aggiudicataria;

(c) l’appalto è stato integralmente eseguito con prestazioni materialmente ripetibili e l’aggiudicazione è stata annullata con una sentenza che – lungi dal riconoscere il diritto dell’impresa pretermessa al risarcimento dei danni – si è limitata a condannare la stazione appaltante alla riedizione dell’intera gara; in tal caso (sostanzialmente corrispondente alla fattispecie divisata dalla sentenza in commento) la stazione appaltante potrà agire nei confronti dell’impresa aggiudicataria anche con un’azione di ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c.

Si tratta, come visto, di azioni giuridicamente diverse connotate da presupposti processuali anch’essi diversi; nei primi due casi si discute, infatti, di azioni di risarcimento danni, nel terzo caso viene in rilievo, invece, un’azione di ripetizione dell’indebito.

La realtà economica sottostante, tuttavia, non è poi così diversa, in quanto in una prospettiva di analisi economica del diritto l’obiettivo ultimo della stazione appaltante è, tutto sommato, molto simile.

Cionondimeno, come visto, il plesso giurisdizionale a cui rivolgersi dovrà essere necessariamente diverso. Le azioni risarcitorie della stazione appaltante ricadono nella giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo. Le azioni restitutorie della stazione appaltante ricadono, invece, nella giurisdizione del Giudice Ordinario.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2101 del 2025, proposto da
Noord soc. coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Giuseppina Incorvaia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Agsm Aim Smart Solutions s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Giulia Ferrarese, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) n. 8/2025, resa tra le parti,


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Agsm Aim Smart Solutions s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 settembre 2025 il Cons. Sara Raffaella Molinaro e uditi per le parti gli avvocati Giuseppina Incorvaia e Giulia Ferrarese.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La controversia riguarda la domanda di ripetizione di indebito proposta dalla società AIM Mobilità s.r.l., secondo quanto riferito nel ricorso in appello, “fusa per incorporazione in AGSM Lighting s.r.l. e denominata AGSM AIM Smart Solutions s.r.l.” (di seguito: “AIM”).

2. AIM, interamente partecipata dal Comune di Vicenza per il tramite di AIM Vicenza s.p.a., nell’anno 2011 ha avviato una procedura per l’affidamento di un sistema automatico di noleggio biciclette (rent a bike).

L’appalto ha, in particolare, ad oggetto la fornitura, installazione, attivazione e manutenzione di un sistema automatico di noleggio biciclette.

3. Il 18 maggio 2011 è comunicata a Zeppelin società cooperativa (di seguito: “Zeppelin”) l’aggiudicazione.

Segue l’ordine del 28 giugno 2011 all’aggiudicataria di dare esecuzione al contratto. A fronte della fornitura di trenta biciclette, totem, colonnine e licenza d’uso del software da parte dell’aggiudicataria, AIM ha provveduto al pagamento della somma di € 68.270,00 oltre IVA.

4. In data 19 luglio 2011 le società Comunicare s.r.l. e Bicincittà s.r.l. hanno notificato ad AIM ricorso avanti il Tar Veneto, chiedendo l’annullamento del provvedimento con cui AIM aveva affidato alla cooperativa Zeppelin la fornitura di un sistema automatico di noleggio biciclette, nonché la declaratoria di nullità ed inefficacia del contratto stipulato tra AIM e l’aggiudicatario, lamentando altresì che la gara non era stata preceduta dalla pubblicazione del bando.

5. Il Tar Veneto, con sentenza n. 90 del 2012, ha annullato gli atti impugnati, con obbligo di procedere all’indizione di una nuova gara, dichiarando l’inefficacia del contratto concluso con la cooperativa Zeppelin senza fissare una decorrenza degli effetti di tale declaratoria.

6. Con determina 14 febbraio 2012 n. 8 AIM ha deciso di “sospendere il contratto di noleggio e manutenzione”.

7. La pronuncia è stata confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 4792 del 2013.

8. AIM, stante il rigetto dell’impugnazione e la conferma da parte del Consiglio di Stato della pronuncia di primo grado che ha dichiarato l’inefficacia del contratto, ha chiesto con nota 15 settembre 2014, alla cooperativa Zeppelin la restituzione di quanto pagato in esecuzione del contratto, offrendo di contro la restituzione delle biciclette e del materiale consegnato per l’esecuzione del contratto.

9. A seguito del rifiuto della cooperativa Zeppelin, AIM ha presentato ricorso al Tar Veneto per ottenere la condanna della resistente alla restituzione delle somme versate come corrispettivo per l’esecuzione del servizio offrendo contestualmente la restituzione delle biciclette e dei materiali consegnati dalla cooperativa in esecuzione dell’appalto.

10. Il Tar, con sentenza 3 gennaio 2025 n. 8, ha accolto il ricorso e condannato parte resistente Noord società cooperativa (in precedenza Zeppelin società cooperativa) a “restituire alla società ricorrente la somma di € 66.315,56, oltre interessi dal giorno della domanda (15.9.2014)”.

11. Noord ha appellato la sentenza con ricorso n. 2101 del 2025.

12. Nel corso del giudizio di appello si sono costituiti AGSM.

13. All’udienza del 25 settembre 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

14. L’appello è fondato, dovendosi dichiarare il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione.

15. La domanda proposta in primo grado da AIM e accolta dal Tar ha ad oggetto le “restituzioni conseguenti all’inefficacia del contratto”.

L’inefficacia è stata dichiarata dal Tar con sentenza n. 90 del 2012, che ha annullato gli atti di gara e disposto la rinnovazione della stessa, confermata dal Consiglio di Stato con pronuncia n. 4792 del 2013.

Oggetto di giudizio è quindi una domanda di ripetizione d’indebito oggettivo (“La dichiarata inefficacia del contratto ha pertanto come conseguenza il diritto dell’attrice alla restituzione di quanto pagato”, così parte appellante).

16. Con il primo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza per non avere accertato il difetto di giurisdizione.

L’appellante ritiene che la controversia appartenga alla giurisdizione del giudice ordinario, dal momento che essa, riguardando la fase esecutiva del contratto (divenuto inefficace), non rientra nell’ambito di operatività della giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133 comma 1 lett. e) n. 1 c.p.a.

16.1 Il motivo è fondato.

16.2. In via pregiudiziale si rileva l’ammissibilità della doglianza proposta dall’appellante, convenuto soccombente in primo grado. Ciò in quanto, ai sensi dell’art. 9 c.p.a., il difetto di giurisdizione è rilevato nei giudizi di impugnazione “se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione”.

Nel caso di specie il ricorso in appello vede quale primo motivo quello avente ad oggetto l’asserito difetto di giurisdizione, rivolto al capo di sentenza che ha statuito in modo implicito sul punto.

Tanto basta per ritenere ammissibile il motivo, non essendo richiesta una particolare condotta sul punto da parte della parte convenuta in primo grado e soccombente, come evidente dal fatto che è ammissibile in appello la proposizione della censura di carenza di giurisdizione anche avverso il capo della sentenza che implicitamente si sia pronunciata sul punto.

16.3. Ai sensi di detta disposizione sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie “relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative”.

16.4. Per il riparto di giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo occorre avere riguardo al “petitum sostanziale, da individuarsi in relazione alla causa petendi e al contenuto del rapporto addotto in giudizio, oggetto dell’accertamento giurisdizionale” (Sez. Un., ordinanza 16 settembre 2025 n. 21156).

La giurisdizione esclusiva si estende alle liti in cui si faccia questione di diritti soggettivi o interessi legittimi, sempre che l'amministrazione agisca come autorità, sebbene non solo attraverso provvedimenti, ma anche tramite comportamenti posti in essere nell'esercizio di un potere pubblico o “ad esso ricollegabile in via mediata”, ad eccezione dei meri comportamenti materiali avulsi da tale potere.

Le materie attratte dalla giurisdizione esclusiva, infatti, “devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata della circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo” (Corte cost. 6 luglio 2004 n. 204). Deve quindi sussistere un “necessario collegamento delle “materie” assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggettive”, e cioè con il parametro adottato come ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria ed amministrativa, ed “espresso dall'art. 103 laddove statuisce che quelle materie devono essere “particolari” rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità” (Corte cost. 11 maggio 2006 n. 191).

In particolare deve ritenersi conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie relative a comportamenti “collegati all'esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, laddove deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva di “comportamenti” posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto” (Corte cost. 11 maggio 2006 n. 191).

16.5. E’ del giudice ordinario la giurisdizione sulla domanda di ripetizione di indebito di quanto pagato dall’amministrazione, in esecuzione di un contratto stipulato dalla stessa e dichiarato inefficace dal giudice amministrativo.

Convergono in tal senso l’inquadramento civilistico dell’obbligazione restitutoria, il profilo pubblicistico e aspetti specificamente processuali (su cui infra).

In sintesi, la ripetizione di indebito è un’obbligazione di natura civilistica che trova fonte in un fatto, posto in essere in pretesa esecuzione del contratto dichiarato inefficace, ha ad oggetto una prestazione di natura patrimoniale e risponde a un interesse patrimoniale.

Essa è connotata da un’autonomia che rende irrilevanti le circostanze che hanno portato all’effettuazione del pagamento non dovuto.

La conclusione non cambia considerando i profili pubblicistici della vicenda qui controversa. In particolare, la declaratoria di inefficacia che rende indebito il pagamento non evidenzia un collegamento con il pubblico potere, pur essendo il frutto dello scrutinio sullo stesso.

La vicenda pubblicistica non connota quindi il fatto oggetto della cognizione del giudice della ripetizione nel senso di ritenere integrati i presupposti per devolverlo alla giurisdizione di questo Giudice amministrativo.

Neppure può ritenersi che la ripetizione di indebito costituisca un portato della declaratoria di inefficacia

Anche i profili processuali del giudizio (riguardanti le parti, l’oggetto e l’individuazione del giudice competente) depongono in tal senso.

16.6. Ai sensi dell’art. 2033 c.c. “Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato”.

L’accipiens è quindi obbligato a restituire quanto ricevuto ai sensi dell’art. 2033 c.c. (indebito oggettivo, oggetto del ricorso introduttivo, come specificato).

Presupposto della nascita dell’obbligazione è un fatto, la dazione, connotata dall’essere indebita.

Condizione qualificante dell’istituto è la non doverosità del pagamento.

Ai sensi dell’art. 1173 c.c. il pagamento dell’indebito oggettivo rientra fra gli “altri fatti” (leciti) che sono fonte di obbligazione.

Il pagamento, se indebito, cioè non dovuto, rende privo di giustificazione il trasferimento di ricchezza, laddove l’intero ordinamento giuridico è informato al principio secondo il quale ogni spostamento di ricchezza deve trovare una giustificazione.

Restituire significa ristabilire le condizioni di fatto e di diritto che connotano la situazione del soggetto prima che il mutamento sia intervenuto, cioè che sia eseguito il pagamento. La funzione dell’istituto è quindi conservativa, seppur nella prospettiva dell’azione di carattere personale.

L’istituto risponde quindi alla finalità di ripristinare la situazione precedente (al pagamento indebito).

In tal senso l’azione di ripetizione di indebito è “rimedio generale alle attribuzioni patrimoniali prive di causa giustificatrice, costituendo tale carenza in sè e per sè considerata (originaria o sopravvenuta, come questa Corte precisa da tempo immemorabile: per tutte, v. Cass. 04/01/1980, n. 12; Cass. 13/11/1973, n. 3003; Cass. 07/06/1966, n. 1476) il fatto costitutivo della pretesa restitutoria a prescindere dagli elementi costitutivi delle fattispecie risarcitorie, cioè il nesso di causalità tra condotta del danneggiante e danno e l'ingiustizia di questo” (Sez. un., 19 novembre 2019 n. 30007).

16.7. Pertanto l’obbligo restitutorio si qualifica per:

- trovare fonte in un fatto, il pagamento (indebito), cioè in un’attività materiale, che costituisce una delle fonti delle obbligazioni ai sensi dell’art. 1173 c.c., che è stata posta in essere in esecuzione del contratto dichiarato inefficace;

- avere ad oggetto una prestazione di natura patrimoniale, la restituzione del prezzo pagato, così assumendo il connotato tipico delle obbligazioni ai sensi dell’art. 1174 c.c. (“la prestazione che forma oggetto dell’obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica”);

- rispondere a un interesse patrimoniale del creditore della stessa, che anela a ricostruire la provvista finanziaria indebitamente corrisposta.

Detto ultimo profilo, pur non essendo, ai sensi dell’art. 1174 c.c., requisito essenziale dell’obbligazione, che può corrispondere anche a un interesse non patrimoniale, è indicativo della natura dell’obbligazione restitutoria, rivelando, nei termini esposti infra, l’autonomia rispetto alle vicende all’origine del pagamento non dovuto.

La ripetizione d’indebito è quindi un’obbligazione di natura civilistica che trova fonte in un fatto, ha ad oggetto una prestazione di natura patrimoniale e risponde a un interesse patrimoniale.

16.8. In quanto tale essa rientra, sulla base del generale criterio di riparto fra la giurisdizione del giudice ordinario e quella del giudice amministrativo (fondata, ai sensi dell’art. 7 c.p.a., sulla sussistenza di una situazione di interesse legittimo), nella giurisdizione del primo.

16.9. Non osta a tale conclusione la circostanza che condizione qualificante dell’istituto è la non doverosità del pagamento.

Infatti, il contratto stipulato dall’amministrazione (e dichiarato inefficace dal giudice amministrativo) non connota il fatto da cui nasce l’obbligo restitutorio, né altera il carattere patrimoniale della prestazione, o l’interesse del creditore dell’obbligazione restitutoria.

Né la conclusione cambia considerando le ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (e, in particolare, quella di cui all’art. 133 comma 1 lett. e) n. 1 c.p.a.), in quanto le stesse vanno individuate, come visto, assicurando che la controversia sia collegata direttamente o indirettamente all’esercizio del pubblico potere.

16.9. Nella prospettiva (civilistica) della fonte dell’obbligazione, il diritto a ripetere quanto pagato indebitamente costituisce una situazione giuridica connotata da autonomia rispetto agli eventi occorsi precedentemente alla nascita dell’obbligazione.

Diversamente dalla tutela risarcitoria, la tutela restitutoria non costituisce infatti, almeno direttamente, il rimedio della violazione di un diritto, o comunque di un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, ma ha riguardo a spostamenti patrimoniali privi di giustificazione secondo l’ordinamento giuridico. Ciò che è violato è il regime di circolazione dei beni e non i diritti di appartenenza.

Infatti “la ripetizione di indebito, quand'anche abbia ad oggetto somme di pertinenza di enti pubblici, non può integrare nè un'azione di responsabilità, nè in senso proprio o civilistico, nè tanto meno contabile od erariale, nè un'azione di contabilità pubblica” (Sez. un., 19 novembre 2019 n. 30007).

La ripetizione di indebito assicura un ripristino effettivo delle regole che governano la circolazione dei beni e della ricchezza

In tale prospettiva, la centralità del requisito della non doverosità del pagamento rende irrilevante il motivo di tale non doverosità, di cui diventa urgente la restituzione in una prospettiva unificante, delineata dall’art. 2033 c.c.

In tal senso la ripetizione di indebito assume una sua concreta valenza e autonomia che si identifica esclusivamente con la tutela restitutoria.

In tale prospettiva essa si distingue dall’obbligazione risarcitoria, che presuppone l’accertamento della sussistenza della posizione giuridica asseritamente lesa in relazione alla posizione del presunto danneggiante. E ciò anche in presenza di un provvedimento amministrativo, il cui annullamento non preclude al giudice del risarcimento la valutazione della stessa (e, anzi, la impone), dal momento che si tratta di verificare, oltre che la sussistenza di un danno ingiusto, in relazione all’incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento, se l’evento dannoso sia riferibile ad una condotta, positiva o omissiva dell’amministrazione, collegata al pubblico potere (Corte cost. 11 maggio 2006 n. 191).

In tal caso oggetto di accertamento è la condotta causativa di danno, che può esprimersi in un provvedimento o in un comportamento (Corte cost. 11 maggio 2006 n. 191), e la situazione giuridica lesa. Essa, in quanto preordinata al riconoscimento di un bene della vita, è scrutinata considerando la relazione esistente con il potere pubblico, verificando il ruolo che l’ordinamento assegna al potere pubblico rispetto all’ottenimento del bene della vita anelato. Sicché il provvedimento e il relativo annullamento del provvedimento costituiscono oggetto di scrutinio da parte del giudice del risarcimento, pur non costituendo un elemento pregiudiziale per l’attivazione della tutela risarcitoria (artt. 7 comma 4, 30 e 34 commi 2 e 3 c.p.c., come interpretato dall’Adunanza plenaria 23 marzo 2011 n. 3) ma essendo rilevabile comunque una connessione sostanziale di tipo causale tra rimedio impugnatorio e azione risarcitoria (art. 30 comma 3 c.p.a.).

Risultano invece non determinanti, rispetto alla domanda di ripetizione d’indebito, le vicende che hanno portato all’effettuazione del pagamento non dovuto.

Si impone, quale cesura, la pronuncia di inefficacia del titolo, che costituisce il presupposto dell’indebito quale fatto storico ormai incontrovertibile. “Qualora venga acclarata la mancanza di una causa adquirendi in ragione della dichiarazione di nullità, dell'annullamento, della risoluzione o della rescissione di un contratto o del venire comunque meno del vincolo originariamente esistente, l'azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella di ripetizione di indebito oggettivo” (Cass. civ., sez. I, 8 gennaio 2025 n. 423).

In tal senso si inquadra l’irrilevanza, ai fini della nascita dell’obbligazione restitutoria di cui all’art. 2033 c.c., dello stato soggettivo dell’accipiens, che diviene debitore dell’obbligazione restitutoria (se non sugli accessori del credito).

Al contrario di quanto si verifica per l’indebito soggettivo la prova dell’errore non è infatti richiesta ai fini della ripetizione dell’indebito oggettivo (Cass., sez. III, 10 marzo 1995 n. 2814) e, parimenti, non rileva la scusabilità o meno dello stesso (Cass. civ., 30 ottobre 1984 n. 5550). Infatti, la buona fede dell'accipiens, “intesa in senso soggettivo, quale ignoranza dell'effettiva situazione giuridica, derivante da un errore di fatto o di diritto, anche dipendente da colpa grave, dal momento che non trova applicazione l'art. 1147, comma 2, c.c., relativo alla buona fede nel possesso, sicché, dovendo quest'ultima essere presunta per principio generale, la mala fede può ritenersi sussistente solo ove risulti provato che l'accipiens, al momento della ricezione del pagamento, avesse la certezza di non avere il diritto a conseguirlo” (Cass. civ., sez. I, 8 gennaio 2025 n. 423), rileva, come si vedrà infra, ai fini della decorrenza degli interessi dal giorno della domanda.

L’irrilevanza, per la nascita dell’obbligazione restitutoria di cui all’art. 2033 c.c., è espressione del fatto che non risulta determinante la posizione assunta da colui che ha ricevuto il pagamento indebito e di colui che lo ha eseguito nella fase che lo ha preceduto, se non rispetto agli accessori.

Ciò avviene in ragione dell’autonomia, anche di ratio, dell’obbligazione restitutoria, che consente di non considerare il principio generale di non meritevolezza di tutela della colpa, che altrimenti vige nell’ordinamento (art. 1229 c.c.).

Sicché l’irrilevanza dello stato soggettivo dell’accipiens al fine della nascita dell’obbligazione restitutoria trova la propria ragion d’essere nel fatto che la ripetizione d’indebito costituisce un’obbligazione che trova fonte nel pagamento privo di giustificazione e nell’urgenza di ripristinare la status quo ante, cioè di porre rimedio al trasferimento ingiustificato di ricchezza, indipendentemente dalla vicenda che ha originato quel pagamento.

La mancanza di giustificazione dello spostamento patrimoniale (e la necessità di provi rimedio) costituisce la ragion d’essere della ripetizione d’indebito, rispetto alla quale risultano recessive le vicende che hanno determinato la situazione di non debenza di quanto corrisposto.

Il regime giuridico dell’obbligazione restitutoria è infatti uniforme, indipendentemente dalla ragione che ha reso il pagamento indebito (artt. 2033 e ss. c.c.).

16.10. L’obbligazione restitutoria di cui all’art. 2033 c.c. è quindi autonoma, esaurendo la propria funzione nel ripristino del regime di circolazione dei beni.

Infatti essa è connotata, quanto ai termini soggettivi, dall’inversione della posizione creditoria e di quella debitoria rispetto al rapporto scaturito dal titolo che è venuto meno, così evidenziando, anche per tale via, la cesura rispetto alla situazione precedente.

Nella medesima prospettiva (autonoma), allorquando si tratta di una cosa determinata (consegnata indebitamente), l’art. 2037 c.c. sancisce l’obbligo di pagare l’equivalente della prestazione ricevuta indebitamente e poi perita, nel caso di mala fede dell’accipiens.

Se l’accipiens l’ha ricevuta in buona fede l’obbligo di costui è limitato alla locupletazione ancora sussistente al tempo della domanda (art. 2037 comma 3 c.c.).

Detta regola, pur richiamando una qualche forma di valutazione comparativa fra le prestazioni, lo fa al precipuo scopo di determinare lo specifico oggetto dell’obbligo restitutorio, così non potendo incrinare il profilo dell’autonomia dell’obbligazione restitutoria in esame.

16.11. Né altera la suddetta conclusione la tematica dell’interdipendenza, o meno, delle ripetizioni delle prestazioni corrispettive eseguite in adempimento a un contratto sinallagmatico, ponendo l’interrogativo se, in sede restitutoria, sia prospettabile un meccanismo analogo a quello previsto dall’art. 1460 c.c., o comunque come debba essere regolamentato il caso in cui una delle prestazioni sia irripetibile o comunque subisca rilevanti deterioramenti o perdite di valore.

Detta tematica incide infatti sull’oggetto e sulla regolamentazione dell’obbligazione restitutoria.

In una prima prospettiva, la concezione dell’’autonomia dell’obbligazione restitutoria si frappone al riconoscimento di detta interdipendenza.

In quanto le prestazioni restitutorie sono indipendenti l’una dall’altra, essendo autonome rispetto al titolo alla base del pagamento non dovuto, la sorte dell’una non incide su quella dell’altra. Esse si prospettano quindi come isolate.

Nondimeno la clausola della buona fede, che plasma, attraverso l’art. 1175 c.c., l’attuazione del rapporto obbligatorio e, dunque, condiziona l’esecuzione dell’obbligazione restitutoria, che ha fonte nell’art. 2033 c.c., consente di valorizzare circostanze che riguardano la posizione dell’altra parte del contratto dichiarato inefficace.

La buona fede vincola il creditore a esercitare la sua pretesa in maniera da tenere in debita considerazione, in rapporto alle circostanze concrete, la sfera di interessi che fa riferimento al debitore. Essa offre quindi il fondamento, tramite l’art. 1337 c.c., all’interesse della controparte dell’obbligazione restitutoria (sulla base della relazione fra i soggetti implicati e di altre circostanze concrete) condizionando l’attuazione della stessa e offrendo forme di tutela attraverso il rimedio risarcitorio.

In tale prospettiva la Corte costituzionale ha evidenziato che “Il diritto vivente ha da tempo estrapolato dall’art. 1337 cod. civ., riferito alla tutela dell’affidamento rispetto alla conclusione di un contratto o rispetto al perfezionamento di un contratto non invalido né affetto da un vizio cosiddetto incompleto, un possibile modello generale di tutela dell’affidamento legittimo”.

Di qui, la rilevanza che possono assumere, nell’attuazione del rapporto obbligatorio avente a oggetto la ripetizione dell’indebito, tanto lo stesso affidamento legittimo ingenerato nel percipiente, quanto le condizioni in cui versa quest’ultimo”.

In particolare “la clausola della buona fede oggettiva consente, sul presupposto dell’affidamento ingenerato nell’accipiens, di adeguare, innanzitutto, tramite la rateizzazione, il quomodo dell’adempimento della prestazione restitutoria, tenendo conto delle condizioni economiche e patrimoniali dell’obbligato”, oltre che, in presenza di particolari condizioni personali dell’accipiens, di determinare “una inesigibilità temporanea o finanche parziale” (Corte cost. 27 gennaio 2023 n. 8).

La prospettiva delineata dalla Corte costituzionale è quindi quella della valorizzazione della posizione del debitore dell’obbligazione restitutoria nel rispetto dell’autonomia della medesima.

In una diversa prospettiva sono ipotizzate forme di interdipendenza (quali il saldo differenziale fra le prestazioni, nel caso in cui una delle due sia divenuta impossibile).

Nondimeno la tematica, pur posta, non risulta che sia stata dalla giurisprudenza approfondita al fine di superare la concezione dell’autonomia dell’obbligazione restitutoria.

La giurisprudenza, consapevole che “l'esecuzione di un contratto sinallagmatico inefficace pone problemi non del tutto coincidenti con quelli derivanti dall'esecuzione di prestazioni isolate ripetibili” (Cass. civ., sez. I, 8 gennaio 2025 n. 423), ha affrontato di recente il tema rispetto alla quantificazione degli accessori del credito.

Dal momento che “l'esperibilità dell'azione di ripetizione non può dirsi interdetta, nel caso della risoluzione per inadempimento, dall'assenza di un espresso richiamo, nell'art. 1458 c.c., alla disciplina degli obblighi restitutori”, il coordinamento tra l'art. 1458 c.c. e l'art. 2033 c.c. impone di ritenere che, per le prestazioni contrattuali, quale che sia la qualificazione giuridica di ciò che ne costituisce oggetto (e quindi anche se si tratti di frutti o interessi contrattualmente dovuti), “opera - almeno di regola […] - l'obbligo restitutorio discendente dall'effetto retroattivo della risoluzione” (Cass. civ., sez. I, 8 gennaio 2025 n. 423). Infatti “La regolamentazione dei frutti e degli interessi contenuta nell'art. 2033 c.c. riguarda altro, e non può che concernere i frutti e gli interessi che maturano per legge in relazione al bene o alla somma di denaro oggetto di ripetizione”.

Pertanto la giurisprudenza, pur consapevole della tematica della ripetizione delle prestazioni rese in esecuzione di un contratto sinallagmatico, ha coordinato gli istituti, in termini generali, senza alterare il regime di ognuno e, nel caso di specie, la disciplina della ripetizione di indebito.

Nondimeno, ha altresì affermato che “La disciplina della ripetizione dell'indebito non può implicare ingiustificati arricchimenti di una parte ai danni dell'altra, onde è escluso che, a fronte dello scambio di un bene fruttifero con una somma di denaro, frutti e interessi possano avere diversa decorrenza: in particolare, risolto il contratto per inadempimento, in presenza di un obbligo restitutorio avente ad oggetto i frutti maturati in forza della previsione contrattuale, gli interessi sulla somma di denaro corrisposta dal percettore dei detti frutti, che se ne vede privato, decorrono a far data dal versamento”, così mitigando gli effetti della disciplina degli accessori nella ripetizione, in una prospettiva che non si discosta da quella formulata dalla Corte costituzionale sulla base del canone della buona fede (Cass. civ., sez. I, 8 gennaio 2025 n. 423).

L’autonomia dell’obbligazione di ripetizione di indebito che sorge dal pagamento non dovuto non è quindi inficiata, quantomeno nell’an, dalle vicende che hanno preceduto il pagamento.

16.12. Pertanto, l’istituto (qui azionato) dell’art. 2033 c.c. è caratterizzato, nella disciplina civilistica, da un’autonomia che rende irrilevanti le vicende che hanno portato all’effettuazione del pagamento non dovuto.

16.13. La conclusione non cambia considerando i profili pubblicistici della vicenda qui controversa.

Nel caso di specie la qualifica di indebito del pagamento effettuato dal Comune si appunta sulla declaratoria di inefficacia del contratto.

In particolare, il contratto è stato dichiarato inefficace in ragione del cattivo esercizio del potere pubblico nella fase prodromica alla stipulazione dello stesso.

Nondimeno la declaratoria di inefficacia che rende indebito il pagamento non evidenzia un collegamento con il pubblico potere, pur essendo il frutto dello scrutinio sullo stesso.

Piuttosto la declaratoria di inefficacia, nel rendere il pagamento indebito, fa venir meno il collegamento dello stesso con il pubblico potere, costituito da quel contratto che rappresenta il fine dell’esercizio del potere medesimo (nell’ambito della gara).

Pertanto, se è pur vero che il pagamento è stato eseguito per adempiere a un contratto stipulato a seguito di esercizio del pubblico potere, il decisum che ha dichiarato inefficace quel contratto ha reciso i rapporti fra il pagamento e l’esercizio del potere pubblico, fondando la non doverosità del pagamento e isolando detto fatto dagli antecedenti, come tipicamente avviene rispetto all’obbligazione restitutoria.

Infatti, posto che la declaratoria di inefficacia costituisce un presupposto della ripetizione di indebito qualificabile come fatto storico ormai incontrovertibile, l’esercizio del potere meramente strumentale alla stipulazione di quel contratto si staglia sullo sfondo, non potendo assumere rilevanza qualificante rispetto alla fattispecie di indebito.

Ne consegue che manca il presupposto necessario ad incardinare la giurisdizione del giudice amministrativo, financo esclusiva, non rinvenendosi il collegamento con il pubblico potere.

16.14. L’interesse sotteso all’obbligazione di ripetizione del prezzo pagato è infatti un interesse patrimoniale, avendo la finalità di ricomporre la provvista finanziaria indebitamente perduta.

Detta obbligazione, in particolare, anche se vede quale creditore l’amministrazione, non ha l’obiettivo di perseguire uno specifico programma pubblico, atteso che il trasferimento delle risorse non trova causa nel contratto dichiarato inefficace, che rispondeva, evidentemente, a una finalità amministrativa.

Piuttosto il fine è quello di riottenere quelle risorse finanziarie in quanto la spendita delle stesse non è stata funzionale al perseguimento di uno scopo istituzionale, atteso che sono venuti meno gli effetti del contratto che a quello scopo era preordinato.

Ciò risulta evidente se si considera che le attività volte a ottenere la ripetizione di quanto pagato rispondono a criteri di responsabilità amministrativa e contabile, senza dare luogo a provvedimenti eventualmente scrutinabili nella prospettiva dell’illegittimità amministrativa.

L’attività materiale finalizzata al recupero della provvista non costituisce infatti esercizio di funzione pubblica, né persegue interessi pubblici (di cui è titolare la collettività di riferimento), ma è funzionale a garantire gli interessi finanziari dell’amministrazione in ragione di una futura devoluzione a programmi di spesa per il perseguimento di interessi pubblici, non rilevando, invece, un diretto interesse, da parte dei consociati, alla ricomposizione del patrimonio dell’amministrazione.

16.15. Pertanto, l’autonomia dell’obbligazione di ripetizione dell’indebito non viene meno in ragione dei profili pubblicistici che caratterizzano la vicenda che ha portato alla stipulazione del contratto divenuto inefficace, così da non rinvenire ragioni per ritenere che risulti determinante la posizione dell’amministrazione al fine dell’esercizio della relativa azione.

Detta constatazione esclude, in termini generali, che l’obbligazione restitutoria sia connotata da profili pubblicistici che possano giustificare la devoluzione al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.

16.16. La conclusione non cambia considerando la specifica fattispecie di giurisdizione esclusiva di cui all’art. 133 comma 1 lett. e) n. 1 c.p.a., che comprende le controversie “relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative”.

Detta giurisdizione esclusiva, che non comprende la fase esecutiva del rapporto negoziale, “si estende” infatti alla declaratoria di inefficacia, non a momenti successivi, specie se caratterizzati dalla descritta autonomia.

16.17. Del resto il fatto che costituisce fonte dell’obbligazione restitutoria si qualifica, rispetto al contratto dichiarato inefficace facendo uso della giurisdizione esclusiva di cui alla disposizione richiamata, per essere stato posto in essere in pretesa esecuzione dello stesso (e quindi in una fase non compresa nella fattispecie di giurisdizione esclusiva).

16.18. Né può ritenersi che la ripetizione di indebito costituisca un portato della declaratoria di inefficacia, sì da ritenere che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e il potere di dichiarare il contratto stipulato dall’amministrazione inefficace ai sensi degli artt. 121 e 122 c.p.a. comprenda le conseguenze restitutorie di detta declaratoria.

Come visto sopra, infatti, il regime uniforme della ripetizione di indebito, la cui autonomia segna la cesura rispetto alle vicende che hanno precedenti al pagamento indebito, rende la declaratoria di inefficacia un fatto che il giudice della restituzione deve valutare insieme agli ulteriori requisiti di fattispecie.

Per tale motivo la pronuncia di inefficacia non è idonea ad attrarre la domanda di ripetizione di indebito che ne consegue alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Piuttosto il giudice della ripetizione, oltre ad accertare, quale fatto storico incontrovertibile, la pronuncia che ha reso il contratto privo di effetti, valuta gli altri requisiti di fattispecie, quali l’intervenuto pagamento, la relazione tra quest’ultimo e il titolo divenuto privo di effetti e la ripetibilità della dazione, al fine di delibare positivamente sulla domanda. Pertanto il parametro di detta valutazione è costituito dal contratto, potendolo interpretare secondo le disposizioni di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.

Non si rinvengono quindi ragioni per ritenere sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo, financo esclusiva.

A suffragio di detta conclusione concorre la differenza fra la ripetizione di indebito di cui all’art. 2033 c.c. e la ripetizione di quanto pagato in ottemperanza ad un provvedimento di condanna provvisoriamente esecutivo, poi caducato, che “dà diritto al solvens di essere integralmente reintegrato nella situazione precedente”.

Detto pagamento, divenuto indebito in seguito alla riforma della sentenza che ne ha costituito il titolo, “non dà luogo ad una condictio indebiti” ma “si ricollega ad una specifica ed autonoma esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore alla decisione cassata” (Cass., sez. III, 12 novembre 2021 n. 34011).

In tal caso “E' sufficiente l'accoglimento della impugnazione perchè sorga l'obbligo restitutorio”.

L'art. 336 c.p.c., disponendo che la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata, “comporta che, non appena sia pubblicata la sentenza di riforma, vengano meno immediatamente sia l'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, sia l'efficacia degli atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, rimasti privi di qualsiasi giustificazione, con conseguente obbligo di restituzione delle somme pagate e di ripristino della situazione precedente”.

Per ottenere la restituzione di quanto pagato è necessaria la formazione di un titolo restitutorio, il quale “comprende ex lege, senza bisogno di una specifica domanda in tal senso e a prescindere anche da una sua espressa menzione nel dispositivo, il diritto del "solvens" di recuperare gli interessi legali, con decorrenza, ex art. 1282 c.c., dal giorno dell'avvenuto pagamento" (Cass. civ., sez. I, ordinanza 14 gennaio 2025 n. 901).

16.19. Il giudizio di ripetizione di indebito ai sensi dell’art. 2033 c.c. soggiace a un differente regime.

La domanda di restituzione di indebito di cui all’art. 2033 c.c. deve essere formulata al giudice competente per grado, nel rispetto del doppio grado di giudizio, non essendo un portato automatico della pronuncia del giudice di secondo grado, anche quand’essa sia di inefficacia del contratto.

La ripetizione di indebito di cui all’art. 2033 c.c. impone, come visto, di valutare plurimi profili, di cui uno è costituito dalla pronuncia che ha reso il pagamento non dovuto.

L’oggetto del relativo giudizio risulta quindi composito, nei termini sopra illustrati.

Non solo. Le parti del giudizio restitutorio non coincidono necessariamente con le parti del giudizio esitato con la declinatoria di inefficacia.

Infatti, la domanda di ripetizione instaura a un giudizio che vede l’accipiens convenuto nel giudizio instaurato per la ripetizione da parte del solvens. Diversamente, invece, nel giudizio concluso con la declaratoria di inefficacia l’iniziativa processuale è, di norma, di un soggetto non interessato dall’azione restitutoria, il partecipante alla gara non aggiudicatario (ma potenzialmente interessato all’affidamento), che agisce avverso l’aggiudicatario e l’Amministrazione resistente.

16.20. In tale prospettiva (processuale) si inquadra il fatto che è l’Amministrazione ad agire, al fine di ripetere il prezzo pagato in esecuzione del contratto dichiarato inefficace.

La circostanza, di per sé, non necessariamente attribuisce il giudizio alla cognizione del giudice ordinario. Ciò in quanto, “in base alle disposizioni costituzionali (art. 103 Cost.), il G.A. non è il giudice esclusivo dell'Amministrazione, ma il giudice dell'interesse legittimo - ed in particolari materie, anche dei diritti soggettivi - sicché, appare costituzionalmente legittima l'attribuzione del compito di garantire l'attuazione del giudicato anche nei casi in cui l'obbligo di esecuzione gravi su una parte privata, venendo in rilievo la tutela di un vero e proprio diritto soggettivo, affidata dal legislatore ordinario al giudice amministrativo” (Cons. St., sez. V, 3 febbraio 2015 n. 502).

Senonché il presente giudizio non è un giudizio di ottemperanza, di per sé sorretto dall’obbligo di tutte le parti, compreso il privato, di “eseguire” le pronunce del giudice amministrativo (art. 112 comma 1 c.p.a.).

Il presente giudizio è un giudizio di cognizione, che ha ad oggetto una domanda di restituzione presentata dall’Amministrazione nei confronti del privato.

Anche per tale via, pertanto, emerge la prospettiva civilistica propria dell’obbligazione restitutoria, posto che al privato in quanto tale non sono intestati pubblici poteri e che l’amministrazione ha proposto tale domanda prospettando la lesione della propria sfera patrimoniale, non avendo, in alternativa, la possibilità di ottenere il risultato anelato attraverso l’esercizio di poteri pubblicistici (neppure di autotutela esecutiva).

Detta constatazione esclude anch’essa che l’obbligazione restitutoria sia connotata da profili pubblicistici che possano giustificare la devoluzione al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.

16.21. In ragione di tutto quanto sopra la domanda volta a ottenere la ripetizione di quanto corrisposto dall’amministrazione in esecuzione del contratto stipulato dalla stessa e dichiarato inefficace dal giudice amministrativo non rientra nella giurisdizione amministrativa, neppure esclusiva, rientrando invece nella giurisdizione del giudice ordinario.

Convergono in tal senso l’inquadramento civilistico dell’obbligazione restitutoria, il profilo pubblicistico e gli aspetti specificamente processuali.

16.22. Pertanto deve essere accolto il primo motivo d’appello.

17. Ogni altra questione e deduzione prospettata dalle parti deve ritenersi assorbita.

18. In conclusione l’appello è fondato nei termini esposti e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso introduttivo deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione.

Ai sensi dell'art. 11 c.p.a. il giudice munito di giurisdizione è il giudice ordinario, presso il quale il giudizio potrà essere riproposto nei termini e alle condizioni di cui al medesimo articolo.

19. La novità della questione giustificano la compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini di cui in motivazione e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso di primo grado e annulla senza rinvio la sentenza impugnata, trattandosi di controversia riservata alla cognizione del giudice ordinario.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2025 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere

Sara Raffaella Molinaro, Consigliere, Estensore

Elena Quadri, Consigliere

Giorgio Manca, Consigliere