Cons. Stato, sez. IV, 23 luglio 2025, n. 6558

La sentenza in commento chiarisce come il danno da ritardo nell’esecuzione del giudicato si distingue dal danno da ritardo nella conclusione di un procedimento amministrativo, sussumibile entro le norme di cui agli artt. 2-bis l.241/1990 e 30 cod. proc. amm., poiché in tale ipotesi l’intempestiva attribuzione, mediante la riedizione del potere amministrativo, del bene della vita, essendo la sua spettanza ormai attestata dal giudice amministrativo, integra un danno ingiusto suscettibile di risarcimento, non residuando più alcun margine di discrezionalità in capo all’amministrazione.

Afferma, inoltre, che l’inerzia protrattasi nel tempo nell’adire il giudice per portare ad esecuzione il giudicato è causa di riduzione del quantum di risarcimento dovuto dall’amministrazione, in applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 1227, co. 2 cod. civ. e 30, co. 3. Cod. proc. amm., secondo cui il risarcimento non è dovuto per i danni che il credito avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti dalla legge.

Guida alla lettura

Occorre ripercorrere brevemente la sequenza dei fatti che ha anticipato la pronuncia in commento, al fine di meglio comprendere la cornice entro la quale la presente sentenza si inserisce.

 I ricorrenti sono proprietari di un terreno che fu oggetto nel 1961 di una convenzione di lottizzazione che prevedeva la realizzazione di edifici ad uso residenziale.

Il Comune di Sabaudia nel 1972, in spregio alla predetta convenzione, adottò il proprio piano regolatore generale (PRG) destinando quel terreno a “verde privato vincolato”.

La suddetta prescrivono urbanistica comunale fu annullata dal T.A.R. Lazio, sede di Roma, già nel 1982, poiché non aveva tenuto adeguatamente conto della connotazione urbanistica assunta dal terreno per via del piano di lottizzazione e della sua parziale esecuzione.

Solo nel 2008, in virtù del mancato adeguamento del Comune a quanto stabilito dal Tribunale amministrativo, i ricorrenti intrapresero azioni giudiziarie per l’esecuzione del giudizio.

Le sentenze rese in ottemperanza dal T.A.R. Lazio, sede di Latina, nn. 1591 del 2008 e 468 del 2009, rispettivamente, ordinarono al Comune di Sabaudia di rideterminarsi in ordine alla destinazione urbanistica del terreno e nominarono un commissario ad acta.

Solo nel 2014, a seguito di ulteriori pronunce giurisdizionali, con delibera consiliare, il Comune di Sabaudia si determinò a dare esecuzione al giudicato, mediante l’avvio di attività propedeutiche all’adozione di una variante al PRG, riferita all’area di interesse.

Orbene, nel 2014 i ricorrenti promuovevano dinanzi al T.A.R l’azione risarcitoria per il danno derivante dal ritardo nella mancata esecuzione del giudicato del 1982.

Il T.A.R. Latina nel 2023 accoglieva la richiesta risarcitoria solo parzialmente, discostandosi dalle risultanze della CTU, non ritenendo possibile risarcire il danno da ritardo per il periodo dal 1982, anno del primo giudicato, al 2008, stante la colpevole inerzia dei ricorrenti nell’intraprendere azoni giudiziarie per l’esecuzione del giudicato.

Egualmente, non poteva neppure considerarsi a fini risarcitori il periodo successivo al 2014, come evidenziato dalle sentenze del Consiglio di Stato nel 2015 e del T.A.R. Latina nel 2021, che avevano stabilito che il Comune a quel tempo si fosse ormai correttamente attivato per la riqualificazione urbanistica del terreno.

Nel 2024 i ricorrenti hanno appellato la sentenza del T.A.R., lamentando l’insufficienza del risarcimento riconosciuto in loro favore.

Il Comune di Sabaudia ha a sua volta proposto appello incidentale, adducendo che la domanda risarcitoria avrebbe dovuto essere integralmente respinta.

In particolare, l’appello incidentale lamentava la violazione dell’art. 2 bis l. 241/1990 e dell'art. 30 c.p.a., nonché dei principi generali in tema di risarcimento del danno da ritardo, ritenendo la sentenza del T.A.R. contrastante con il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui l'accertamento dell'ingiustizia del danno da ritardo non può prescindere dal riconoscimento della spettanza del "bene della vita" che la condotta dell'amministrazione ha tardato ad attribuire. Nel caso di specie il bene della vita auspicato dai ricorrenti, ossia l'edificabilità del lotto, sarebbe del tutto incerto, in quanto dipendente dall'esito del procedimento di variante urbanistica ancora in itinere. Pertanto, “l'azione risarcitoria sarebbe stata azionata prematuramente e dovrebbe essere, allo stato, respinta, per insussistenza della prova della spettanza del bene della vita e, di conseguenza, per l'inconfigurabilità attuale di un "danno ingiusto" ex art. 2043 c.c.”.

Da qui la pronuncia in commento del Consiglio di Stato, che rigettava entrambi gli appelli proposti, confermando la sentenza impugnata.

In primo luogo, nel rigettare l’appello incidentale, il Supremo organo della giustizia amministrativa valorizzava la diversa natura del danno da ritardo nell’esecuzione del giudicato rispetto a quella del danno da mero ritardo nella conclusione di un procedimento amministrativo, di cui agli artt.  2 bis l. 241/1990 e 30 c.p.a.

Invero, quando si lamenta la prima tipologia di danno, vi è stato un giudicato, che, così come successivamente interpretato dalle numerose sentenze pronunciate nei giudizi di ottemperanza, ha riconosciuto ai ricorrenti la spettanza di un'utilità sostanziale.

In tale caso, dunque, non occorre che i ricorrenti nel richiedere il risarcimento del danno da ritardo adducano ulteriori prove circa la spettanza del bene della vita, in quanto il diritto al suo conseguimento è ormai già cristallizzato dal giudicato.

Tale giudicato, nel caso di specie, consisteva nella conservazione della destinazione residenziale del terreno ed era dunque inscalfibile dalla successiva attività pianificatoria del Comune, pena la violazione del giudicato stesso. Pertanto, non residuando alcun margine di discrezionalità in capo all’amministrazione, l'intempestiva attribuzione, mediante la riedizione del potere di pianificazione urbanistica, di tale bene della vita, la cui spettanza è ormai attestata nel giudicato amministrativo, integra un danno ingiusto suscettibile di risarcimento

Con riferimento all’appello principale, per il profilo qui di interesse, relativo al quantum risarcibile, il Consiglio di Stato confermava la statuizione risarcitoria disposta in primo grado.

In particolare, il Consiglio di Stato riteneva applicabili al danno da ritardo nell’esecuzione del giudicato, ai fini della sua perimetrazione, le norme di cui agli artt.1227, comma 2 c.c. e 30 comma 3 c.p.a.

Dunque, anche in materia di risarcimento del danno da tardiva esecuzione del giudicato, il “risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti dalla legge.

Veniva nel caso di specie punita la negligenza dei ricorrenti “nell’attendere solo il 2008 per portare ad esecuzione un giudicato formatosi nel 1982, senza aver, frattanto, assunto iniziative per stimolare la riedizione del potere pianificatorio comunale”.

Il Consiglio di Stato affermava all’uopo irrilevante l’inerzia del Comune nell’avviare d’ufficio il procedimento di variante urbanistica a cui era tenuto ai fini dell’esecuzione del giudicato.

Invero, la predetta circostanza non toglieva rilievo al disinteresse dimostrato dagli appellanti nel lungo arco temporale antecedente al 2008, durante il quale questi non hanno in alcun modo tentato di porre fine all’indolenza dell’amministrazione, pur avendo a diposizione l’azione di ottemperanza, così concorrendo colposamente alla provocazione del danno da ritardo.

 

 

 

Pubblicato il 23/07/2025

N. 06558/2025REG.PROV.COLL.

N. 00745/2024 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 745 del 2024, proposto da Enzo Bruno, Simonetta Bruno e Rosa Maria Bruno, rappresentati e difesi dagli avvocati Paola Conticiani e Federico Tedeschini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio fisico eletto in Roma, largo Messico n. 7, presso lo studio dell'avvocato Federico Tedeschini; 

contro

il Comune di Sabaudia, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Salvatore Mileto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia; 

per la riforma, per quanto riguarda l'appello principale e l'appello incidentale,

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale (T.A.R.) per il Lazio, sezione staccata di Latina, Sez. II, 5 luglio 2023, n. 499, resa tra le parti, con la quale è stato parzialmente accolto il ricorso per il risarcimento dei danni derivanti dalla condotta elusiva del giudicato di cui alla sentenza del T.A.R. Lazio n. 798 del 1982; 

 

Visti il ricorso in appello principale e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio e l'appello incidentale del Comune di Sabaudia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 luglio 2025 il Cons. Martina Arrivi e uditi per le parti gli avvocati presenti, come da verbale.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. Il giudizio ha ad oggetto la domanda di risarcimento del danno proposta dai signori Bruno nei confronti del Comune di Sabaudia, nell'ambito di una annosa vicenda contenziosa, che è bene riassumere preliminarmente. 

1.1. Gli odierni appellanti principali, già ricorrenti in primo grado, sono proprietari, in Sabaudia, di un terreno di circa 17.500 mq, che fu oggetto di una convenzione di lottizzazione, risalente al 1961, denominata "Le colline del lago", la quale destinava l'area a "sede di insediamenti di alto livello turistico" e prevedeva la realizzazione di edifici a uso residenziale per complessivi 6.174,20 mc. La convenzione è stata in parte eseguita, con l'edificazione di opere di urbanizzazione e di villini per 990,12 mc. 

1.2. Senonché, nel 1972, il Comune di Sabaudia adottò il proprio piano regolatore generale (PRG), con il quale destinò il terreno a "verde privato vincolato", così precludendo l'ulteriore attuazione della convenzione di lottizzazione. Su ricorso degli appellanti, la suddetta prescrizione urbanistica fu annullata dal T.A.R. Lazio, sede di Roma, con la sentenza n. 798 del 1982, perché il Comune non aveva tenuto conto della connotazione urbanistica assunta dal terreno per via del piano di lottizzazione e della sua parziale esecuzione. La pronuncia fu seguita da due sentenze rese in ottemperanza dal T.A.R. Lazio, sede di Latina, nn. 1591 del 2008 e 468 del 2009, che, rispettivamente, ordinarono al Comune di Sabaudia di rideterminarsi in ordine alla destinazione urbanistica del terreno e nominarono un commissario ad acta

1.3. Con delibera consiliare n. 44 del 2010, il Comune di Sabaudia destinò il lotto a "verde privato di interesse paesaggistico". Ne seguì un ulteriore ricorso in ottemperanza dei ricorrenti, respinto dal T.A.R. Latina, con sentenza n. 1030 del 2011, ma accolto dal Consiglio di Stato, che, con sentenza n. 797 del 2014, dichiarò nullo il provvedimento per violazione del giudicato: il Consiglio di Stato statuì che l'effetto conformativo del giudicato si declinasse, per il Comune, «nell'obbligo di sostanziale conservazione dello stato dei luoghi all'utilizzo residenziale a suo tempo approvato e di fatto mantenuto sia pure da coordinarsi con la normativa edilizia nelle more intervenute (considerato il lasso di tempo decorso)».

1.4. Con delibera consiliare n. 21 del 2014, il Comune di Sabaudia si rideterminò a dare esecuzione al giudicato, mediante l'avvio di attività propedeutiche all'adozione di una variante al PRG, riferita all'area di interesse. A essa fecero seguito la determinazione n. 27 del 2014, avente a oggetto il conferimento a professionisti esterni dell'incarico per l'elaborazione progettuale della variante di PRG, e la determinazione n. 30 del 2014, di affidamento a un geologo dell'indagine geomorfologica relativa alla variante di PRG. Gli appellanti impugnarono la delibera e gli atti consequenziali in ottemperanza, ritenendoli nuovamente violativi del giudicato che, a loro avviso, avrebbe comportato l'obbligo del Comune di Sabaudia di permettere il completamento del preesistente piano di lottizzazione. Il ricorso fu respinto con sentenza del Consiglio di Stato n. 1303 del 2015, ove venne precisato che ciò che era stato cristallizzato nel giudicato «è la destinazione di carattere generale dell'area, quella residenziale, fermo restando però che tale qualità, quanto alla sua estensione e modalità di attuazione deve essere parametrata agli eventuali limiti e/o temperamenti connessi ai vincoli successivamente intervenuti».

1.5. Il 19 ottobre 2020, i signori Bruno diffidarono il Comune di Sabaudia a completare il procedimento di variante urbanistica. Il Comune rispose il 13 novembre 2020, con una nota riepilogativa dell'attività espletata a tal fine. Ritenendo non satisfattiva la risposta ricevuta, i ricorrenti agirono avverso il silenzio dell'amministrazione comunale. Il ricorso, però, venne respinto con sentenza n. 41 del 2021 del T.A.R. Latina, che escluse la sussistenza del silenzio inadempimento poiché il Comune aveva avviato tutta una serie di procedimenti, anche di natura ambientale, per la pianificazione urbanistica dell'area. 

2. Frattanto, con ricorso notificato il 18 ottobre 2014 e depositato il successivo 11 novembre 2014, i ricorrenti hanno promosso, dinanzi al T.A.R. Lazio, sede di Latina, un'azione risarcitoria del danno derivante dalla mancata esecuzione del giudicato del 1982, sul presupposto che questo comportasse l'obbligo conformativo del Comune di permettere il completamento della convenzione di lottizzazione del 1961. Il danno è stato indicato in due voci: un lucro cessante di 1.355.095,46 euro, pari al guadagno ritraibile dalla edificazione delle restanti unità abitative previste dal piano di lottizzazione sul terreno di proprietà; un danno da ritardo di 2.558.817,19 euro, pari agli interessi che i ricorrenti avrebbero ricavato se avessero investito in titoli pubblici il valore ritraibile dal completamento del piano di lottizzazione. I ricorrenti hanno, però, limitato la domanda al ristoro del danno da ritardo, adducendo di non aver rinunciato alla possibilità di ottenere "in natura" il bene della vita auspicato, mediante un provvedimento di conferma delle previsioni edificatorie della convenzione di lottizzazione. 

3. Il T.A.R. Latina, dopo aver istruito la causa con una consulenza tecnica d'ufficio (CTU), ha emesso la sentenza n. 499 del 5 luglio 2023 (non notificata), con la quale ha accolto parzialmente il ricorso, liquidando, in favore dei signori Bruno, un risarcimento pari a 50.000 euro, oltre interessi. Il giudice di primo grado ha riscontrato un ritardo del Comune di Sabaudia nell'esecuzione del giudicato. Tuttavia, ha ritenuto che il risarcimento non potesse essere parametrato alla volumetria realizzabile in base alla convenzione di lottizzazione, perché il giudicato non aveva cristallizzato la pretesa dei ricorrenti al completamento del piano, ma aveva riconosciuto loro unicamente la pretesa al mantenimento di una generale destinazione residenziale del lotto. Di conseguenza, il giudice ha liquidato il danno ex art. 1226 cod. civ., discostandosi dalle risultanze della CTU, che aveva invece commisurato il danno alla capacità volumetrica realizzabile in base alla convenzione urbanistica. Il T.A.R. ha considerato, quale periodo di ritardo imputabile al Comune, i sei anni intercorrenti tra il 2008, anno in cui è stato esperito il primo ricorso in ottemperanza, e il 2014, anno in cui il Comune di Sabaudia ha avviato la nuova pianificazione, ancora oggi in itinere. Il giudice ha sostenuto che non potesse essere risarcito il danno da ritardo per il periodo dal 1982, anno del (primo) giudicato, al 2008, stante la colpevole inerzia dei ricorrenti nell'intraprendere azioni giudiziarie per l'esecuzione del giudicato, le quali sono state promosse solo nel 2008, quando, oltretutto, era già decorsa la prescrizione decennale propria dell'ottemperanza. Parimenti, ad avviso del giudice di primo grado, non poteva essere considerato, ai fini risarcitori, il periodo successivo al 2014, perché sia il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1303 del 2015 di rigetto dell'ultima azione di ottemperanza, sia il T.A.R. Latina, con la sentenza n. 41 del 2021 di reiezione dell'azione avverso il silenzio, avevano stabilito che il Comune si fosse correttamente attivato per la riqualificazione urbanistica del terreno. 

4. Con ricorso notificato il 25 gennaio 2024 e depositato il 29 gennaio 2024, i signori Bruno hanno appellato la sentenza, lamentando l'insufficienza del risarcimento riconosciuto in loro favore. 

5. Con ricorso notificato e depositato il 25 marzo 2024, il Comune di Sabaudia ha, a sua volta, proposto appello incidentale, adducendo che la domanda risarcitoria avrebbe dovuto essere integralmente respinta. 

6. La causa è passata in decisione all'udienza pubblica del 10 luglio 2025.

DIRITTO

7. Come premesso, gli appelli principale e incidentale vertono su una sentenza di accoglimento parziale di un'azione risarcitoria, proposta dai signori Bruno nei confronti del Comune di Sabaudia, in relazione al danno asseritamente subito per il ritardo nell'esecuzione di un giudicato risalente al 1982. 

8. Occorre principiare dall'analisi dell'appello incidentale del Comune di Sabaudia, trattandosi di un appello autonomo, vertente su un capo assorbente della sentenza. Difatti, l'amministrazione comunale impugna la decisione di primo grado, nella parte in cui ha riconosciuto ai ricorrenti il diritto al risarcimento del danno. 

8.1. Lamentando la violazione dell'art. 2-bis l. 241/1990 e dell'art. 30 cod. proc. amm., nonché dei principi generali in tema di risarcimento del danno da ritardo, il Comune di Sabaudia ha dedotto che la sentenza vada riformata, poiché contrastante con il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui l'accertamento dell'ingiustizia del danno da ritardo non può prescindere dal riconoscimento della spettanza del "bene della vita" che la condotta dell'amministrazione ha tardato ad attribuire. Ebbene, nel caso di specie, il bene della vita auspicato dai ricorrenti, ossia l'edificabilità del lotto, sarebbe del tutto incerto, in quanto dipendente dall'esito del procedimento di variante urbanistica ancora in itinere. Pertanto, l'azione risarcitoria sarebbe stata azionata prematuramente e dovrebbe essere, allo stato, respinta, per insussistenza della prova della spettanza del bene della vita e, di conseguenza, per l'inconfigurabilità attuale di un "danno ingiusto" ex art. 2043 cod. civ. Il Comune richiama, in particolare, la sentenza del Consiglio di Stato n. 4473 del 2019, che ha confermato il rigetto (già pronunciato dal T.A.R.) della domanda risarcitoria avanzata, nei confronti del Comune di Sabaudia, dai proprietari di un terreno attiguo a quello dei signori Bruno e ugualmente oggetto della convenzione di lottizzazione mai portata a compimento: in tale caso (in tesi analogo a quello in esame), il Consiglio di Stato ha negato il diritto al risarcimento del danno da ritardo nell'esecuzione del giudicato, proprio in ragione dell'indeterminabilità della spettanza del bene della vita prima della riedizione del potere discrezionale di pianificazione urbanistica dell'area. 

8.2. L'appello incidentale è infondato. 

8.3. Il Comune evoca il noto insegnamento giurisprudenziale che subordina il risarcimento del danno – tanto da ritardo, quanto da illegittimo esercizio del potere – inferto a un interesse legittimo pretensivo alla prova della certa o probabile spettanza del bene della vita, ossia alla dimostrazione della conseguibilità dell'utilità sostanziale anelata dal ricorrente (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 1 dicembre 2020, n. 7622: «per danno ingiusto risarcibile ai sensi dell'art. 2043 Cod. civ. si intende non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto; ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto od al quale anela, e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l'equivalente economico»; Cons. Stato, Sez. VI, 1 dicembre 2023, n. 10400: «il danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa o dal "mancato esercizio di quella obbligatoria", ai sensi dell'art. 30, comma 2, c.p.a., non può di regola modo prescindere dalla spettanza di un bene della vita. Infatti, il risarcimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, è subordinato alla dimostrazione che l'aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e quindi alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene della vita collegato a tale interesse»). Dall'applicazione di tale canone ermeneutico discende l'irrisarcibilità ex ante del danno da lesione di un interesse legittimo pretensivo che si interfaccia con un potere discrezionale ancora non esercitato, poiché il margine di apprezzamento riservato alla pubblica amministrazione nella definizione della vicenda sostanziale impedisce di eseguire, in sede giurisdizionale, il giudizio prognostico di spettanza, certa o probabile, del bene della vita.

8.4. Il richiamato indirizzo giurisprudenziale non è confacente al caso di specie, poiché il danno quivi evocato non è un danno da ritardo nella conclusione di un procedimento amministrativo, sussumibile entro le norme di cui agli artt. 2-bis l. 241/1990 e 30 cod. proc. amm. (richiamate dalla difesa comunale), bensì un danno da ritardo nell'esecuzione di un giudicato (portato dalla sentenza del T.A.R. Lazio n. 798 del 1982), tra l'altro intervenuto a seguito dell'illegittima privazione, ad opera dell'amministrazione, del bene della vita a suo tempo conseguito in base a una convenzione di lottizzazione. È dirimente osservare che il giudicato in questione, così come successivamente interpretato dalle numerose sentenze pronunciate nei giudizi di ottemperanza, ha riconosciuto ai ricorrenti la spettanza di un'utilità sostanziale, consistente nella conservazione della destinazione residenziale del terreno, inscalfibile dalla successiva attività pianificatoria del Comune, pena la violazione del giudicato stesso. Pertanto, l'intempestiva attribuzione, mediante la riedizione del potere di pianificazione urbanistica, di tale bene della vita, la cui spettanza è ormai attestata nel giudicato amministrativo, integra un danno ingiusto suscettibile di risarcimento. 

8.5. La fattispecie in esame si distingue da quella decisa con la sentenza del Consiglio di Stato n. 4473 del 2019, poiché lì il giudicato favorevole ai ricorrenti ha lasciato libero il Comune di Sabaudia di riqualificare urbanisticamente l'area, anche privandola della destinazione residenziale (Cons. Stato, Sez. IV, 1 luglio 2019, n. 4473: «la stessa sentenza n. 7250 del 2013, di cui si sottolinea nel primo motivo di appello l'elusione, non ha escluso che l'Amministrazione potesse riqualificare l'area, ma ha indicato un onere di motivazione in ordine alla compatibilità della lottizzazione con la nuova pianificazione: "Nel caso che ci occupa, è parimenti evidente che i precedenti giudicati, lungi dall'escludere la ripianificazione dell'area mediante una variante di PRG, o da comportare la necessaria reviviscenza della destinazione precedente, richiedono solamente un riesame motivato della compatibilità della lottizzazione… con la nuova pianificazione"»), mentre qui il giudicato ha cristallizzato la destinazione residenziale del terreno, limitando, conseguentemente, il margine di discrezionalità spettante all'amministrazione nella ripianificazione territoriale (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 20 febbraio 2014, n. 797, che ha dichiarato nullo, per violazione del giudicato, l'atto di adozione del PRG che aveva destinato il terreno a verde privato vincolato: «il giudicato, contrariamente a quanto affermato dal Tar con l'impugnata sentenza, non si è limitato a rimuovere un vizio con valenza formale, quale il "riscontrato difetto di motivazione" (questo sì produttivo del diritto solo ad ottenere una riedizione dell'esercizio del potere pianificatorio sic et simpliciter), ma si è pronunciato (favorevolmente per gli interessati) nel senso di statuire che le aree oggetto di lottizzazione "Le Colline del Lago" avevano una loro ben precisa connotazione urbanistica, per essere state già utilizzate all'uso residenziale, sicché di tale sostanziale situazione occorreva che il Comune tenesse debito conto, considerato soprattutto che le previsioni attuative recate dal Piano di lottizzazione non sono mai state dichiarate decadute. Se così è, il potere conformativo, derivante dal giudicato per l'Amministrazione comunale di Sabaudia, si atteggia nell'obbligo di sostanziale conservazione dello stato dei luoghi all'utilizzo residenziale a suo tempo approvato e di fatto mantenuto sia pure da coordinarsi con la normativa edilizia nelle more intervenute (considerato il lasso di tempo decorso); ma certamente la situazione del regime urbanistico connessa ad una permanente validità del piano attuativo più volte menzionato non poteva essere frustrata e integralmente messa in non cale da sopravvenienze di tipo paesaggistico invocate dal Comune, che, come più avanti si va ad esaminare, in realtà, nella specie, non possono costituire valida ragione per precludere la completa attuazione del Piano in parola»).

9. Respinto l'appello incidentale, può procedersi all'analisi dell'appello principale proposto dai signori Bruno. 

9.1. Con un unico, articolato, motivo d'appello, i ricorrenti contestano la quantificazione del risarcimento effettuata nella sentenza di primo grado, in misura pari a euro 50.000 oltre interessi, a fronte di una pretesa risarcitoria di euro 2.558.817,19. 

Anzitutto, questi censurano la decisione di prime cure, laddove ha escluso che il danno potesse essere parametrato al valore ritraibile dal completamento della convenzione di lottizzazione, ancorandolo, piuttosto, a una generica destinazione residenziale del terreno. Ad avviso degli appellanti, il T.A.R. avrebbe fornito un'interpretazione riduttiva della regula iuris enunciata dalla sentenza n. 798 del 1982, come successivamente interpretata in sede di ottemperanza, circoscrivendola a un obbligo di conservazione della destinazione residenziale del lotto, quando, invece, essa avrebbe imposto al Comune di Sabaudia di ripianificare l'area mantenendo vigenti le previsioni della convenzione di lottizzazione a suo tempo approvata. La conclusione si ricaverebbe, in particolare, dal passaggio della sentenza di ottemperanza del Consiglio di Stato n. 797 del 2014, nel quale viene attestato che «l'area deputata ad ospitare le costruzioni previste dal piano di lottizzazione qui in rilievo si inserisce in un contesto urbanistico contrassegnato dalla preesistente presenza di opere di urbanizzazione e di strutture residenziali, per cui la restante edificazione che si intende eseguire in attuazione di detto piano non sarebbe altro che il "naturale" completamento di un contesto territoriale che ha conservato le caratteristiche morfologiche ed urbanistiche originariamente ad esso impresse, senza che l'Amministrazione comunale possa (e comunque non ha avuto cura di) giustificare il mutamento d'uso che ha inteso apporre al terreno de quo con la variante speciale di cui alla delibera consiliare n. 44/2010, disattendendo in concreto le prescrizioni rese dal dictum qui "ottemperando"». Di conseguenza, secondo gli appellanti, la capacità edificatoria derivante dal piano di lottizzazione rappresenterebbe un parametro equitativo adeguato per liquidare il danno da ritardo nella ripianificazione dell'area. 

In secondo luogo, gli appellanti contestano la sentenza per difetto di motivazione, questa non avendo illustrato le ragioni che hanno condotto alla liquidazione del danno in misura pari a 50.000 euro, ammontare comunque sproporzionato e inidoneo a ristorare il pregiudizio subito, né avendo giustificato la decisione di discostarsi dalle risultanze della CTU disposta in corso di causa, la quale aveva riconosciuto ai ricorrenti un risarcimento di importo ben maggiore. 

In terzo luogo, gli appellanti censurano la decisione del giudice di primo grado, nella parte in cui ha considerato, ai fini risarcitori, il solo periodo di sei anni intercorrente dal 2008 al 2014, a fronte di una sostanziale inattuazione del giudicato dal 1982 ad oggi. La sentenza sarebbe, per tale aspetto, contraddittoria rispetto al quesito formulato al CTU, che aveva indicato, quale termine per determinare il valore del danno, la data del passaggio in giudicato della sentenza del 1982 maggiorata del tempo necessario alla variazione urbanistica dell'area. A nulla rileverebbe il fatto che i ricorrenti abbiano atteso il 2008 per agire in ottemperanza della sentenza n. 798 del 1982, dal momento che l'amministrazione era tenuta d'ufficio a riclassificare l'area controversa. Ugualmente, non potrebbe scomputarsi, dal calcolo del danno da ritardo, il periodo successivo al 2014, in quanto, in tale anno, il Comune avrebbe posto in essere solo atti preparatori all'adozione della variante urbanistica, senza però concludere il relativo procedimento, dunque mantenendo l'atteggiamento di inerzia nell'attuazione del giudicato. La sentenza sarebbe, in ogni caso, erronea per aver sezionato la pretesa risarcitoria in diversi archi temporali, quando, invece, il contegno del Comune di Sabaudia dovrebbe essere valutato nella sua interezza e complessità. 

Infine, gli appellanti si dolgono del fatto che il T.A.R. abbia incidentalmente giudicato prescritta la prima azione di ottemperanza, proposta nel 2008 a fronte di un giudicato risalente al 1982, poiché, così facendo, avrebbe violato il principio per cui la prescrizione è un'eccezione in senso stretto non rilevabile d'ufficio, oltre ad aver indebitamente giustificato l'atteggiamento inerte dell'amministrazione comunale. 

9.2. Anche l'appello principale è infondato. 

9.3. Il giudice di primo grado ha correttamente interpretato la regula iuris contenuta nel giudicato formatosi nella fattispecie, escludendo che vi sia stato un riconoscimento della pretesa dei ricorrenti a completare la convenzione di lottizzazione. Come condivisibilmente affermato dal T.A.R., «la tesi dei ricorrenti secondo cui dalla sentenza n. 798 del 1982 del T.A.R. Lazio (che nessuna parte ha depositato in giudizio) scaturisse l'obbligo per il comune di ripianificare il suolo ripristinando le previsioni del piano di lottizzazione del 1961 senza che residuasse alcun margine di discrezionalità è chiaramente infondata, essendo stata tale tesi smentita dalle due sentenze che il Consiglio di Stato ha reso in sede di ottemperanza dalla quali risulta invece che: a) "con il dictum di cui si discute" (cioè con la sentenza n. 797 del 2014) "questa Sezione ha riconosciuto, … la connotazione urbanistica di tipo residenziale all'area di proprietà dei sig.ri Bruno, con l'obbligo di conservare, quanto a tipologia, lo stato dei luoghi al predetto uso, da coordinarsi, il tutto, con la normativa edilizia nelle more intervenuta"; b) ciò "che è stato cristallizzato da questo giudice, come res intangibile, è la destinazione di carattere generale dell'area, quella residenziale, fermo restando però che tale qualità, quanto alla sua estensione e modalità di attuazione deve essere parametrata agli eventuali limiti e/o temperamenti connessi ai vincoli successivamente intervenuti"». Le sentenze del Consiglio di Stato emesse nei giudizi di ottemperanza hanno, in effetti, stabilito che il Comune dovesse mantenere la generale destinazione residenziale del terreno (il che gli impedisce di adibirlo a verde privato), ma rimanendo intatto, per il resto, il potere di ripianificazione urbanistica dell'area, specie alla luce della normativa edilizia e urbanistica sopravvenuta. 

Né si può, in senso contrario, valorizzare l'osservazione, contenuta nella sentenza del Consiglio di Stato n. 797 del 2014, secondo cui «la restante edificazione che si intende eseguire in attuazione di detto piano non sarebbe altro che il "naturale" completamento di un contesto territoriale che ha conservato le caratteristiche morfologiche ed urbanistiche originariamente ad esso impresse», trattandosi di un passaggio isolato di una ben più articolata motivazione, nella quale si chiarisce che l'obbligo conformativo discendente dal giudicato del 1982 consiste nella «sostanziale conservazione dello stato dei luoghi all'utilizzo residenziale a suo tempo approvato e di fatto mantenuto sia pure da coordinarsi con la normativa edilizia nelle more intervenute (considerato il lasso di tempo decorso)».

Del resto, con la sentenza n. 1303 del 2015, il Consiglio di Stato ha respinto un successivo ricorso in ottemperanza, che era stato promosso dai signori Bruno proprio sull'erroneo presupposto che il giudicato avesse imposto al Comune di aggiornare la convenzione di lottizzazione, permettendo il completamento delle sue previsioni; in tale frangente, il Consiglio di Stato ha puntualizzato che «ciò che è stato cristallizzato da questo giudice [con la sentenza n. 797 del 2014], come res intangibile, è la destinazione di carattere generale dell'area, quella residenziale, fermo restando però che tale qualità, quanto alla sua estensione e modalità di attuazione deve essere parametrata agli eventuali limiti e/o temperamenti connessi ai vincoli successivamente intervenuti» e che «questo giudice ha rimesso al Comune la decisione di ridisegnare, sia pure nel perimetro oggettivo sopra evidenziato (destinazione a zona edificabile), il regime urbanistico delle aree de quibus e ciò non poteva non avvenire, come appunto avvenuto, con la ripianificazione dei suoli interessati, a mezzo di una disciplina urbanistica da inserirsi nello strumento urbanistico generale. Tale finalità è stata giustamente perseguita a mezzo della decisione dell'Amministrazione di procedere, siccome ha proceduto, alla predisposizione di una proposta di pianificazione a mezzo di variante al PRG».

9.4. Una volta chiarito che il Comune di Sabaudia non è tenuto conservare le capacità di sviluppo edificatorio del fondo riconosciute nella convenzione di lottizzazione del 1961, va conseguentemente escluso che il risarcimento del danno possa essere ancorato alla volumetria realizzabile in base a tale convenzione. Ciò spiega per quale ragione il giudice di primo grado si è discostato dalle conclusioni a cui era giunto il CTU incaricato della liquidazione del risarcimento: questi, infatti, aveva stimato il danno proprio in base alla cubatura residua ritraibile dalla convenzione urbanistica (v. pag. 12-14 della relazione depositata nel giudizio di primo grado). 

La quantificazione del danno è stata, quindi, effettuata in via equitativa, ai sensi dell'art. 1226 cod. civ., tenendo conto dei seguenti parametri, entrambi enunciati nella sentenza di primo grado: in primo luogo, il bene della vita riconosciuto dal giudicato amministrativo, consistente nella destinazione residenziale del suolo, individuata, tuttavia, in maniera solo generale e, pertanto, senza l'indicazione di una capacità edificatoria alla quale ancorare il quantum risarcitorio; in secondo luogo, il periodo temporale di colpevole inerzia del Comune (sul quale si tornerà a breve). La stima che ne è conseguita è, per forza di cose, il frutto di un giudizio elastico, a fronte dell'assenza di dati matematici in base ai quali parametrare la liquidazione. 

Occorre, inoltre, disattendere la censura di sproporzione mossa alla quantificazione del risarcimento effettuata dal T.A.R., in quanto del tutto generica e, comunque, poggiante sul confronto dell'importo liquidato dal giudice con il quantum calcolato dai ricorrenti (nonché dal CTU) in base alla volumetria riconosciuta nell'originaria convenzione di lottizzazione, la quale, come più volte esposto, non è un parametro adeguato alla liquidazione equitativa del risarcimento nel caso di specie.

9.5. La sentenza di primo grado resiste alle critiche mosse nell'appello anche con riferimento all'arco temporale tenuto in considerazione dal giudice ai fini della stima del danno. Esso è stato commisurato in sei anni, tra il 2008 e il 2014, escludendo i periodi anteriori e successivi. A tal riguardo, il T.A.R. ha osservato che, «nonostante i ricorrenti abbiano sostenuto di aver attivato diligentemente i mezzi a propria tutela (si veda in particolare l'ultima memoria), così in effetti non è stato dato che a fronte di una sentenza pronunciata nel 1982, essi hanno proposto il ricorso per l'esecuzione del giudicato solo nel 2008 (tra l'altro non può fare a meno di osservarsi che, non risultando atti interruttivi della prescrizione, la loro azione avrebbe potuto essere paralizzata se solo il comune si fosse all'epoca costituito e avesse eccepito la prescrizione dell'azione); a questo rilievo si aggiunge che il comune di Sabaudia – dopo la prima esecuzione (censurata dalla sentenza n. 797 del 2014 del Consiglio di Stato che ha affermato la nullità della delibera del 2010 con cui il comune aveva ritenuto di attuare il giudicato) ha dato nuovo impulso al procedimento di ripianificazione con una serie di atti che prima il Consiglio di Stato (con la citata sentenza n. 1303 del 2015) e poi questa stessa sezione (con la sentenza n. 41 del 2021) ha ritenuto costituissero legittima attuazione del giudicato. In sostanza di ritardo colpevole può parlarsi per il solo periodo compreso tra la proposizione del ricorso per l'ottemperanza accolto dalla sezione con la sentenza n. 1591 del 2 novembre 2008 (per il periodo precedente il ritardo avrebbe potuto essere evitato ove fossero stati tempestivamente azionati i mezzi a tutela del diritto all'esecuzione del giudicato) e la approvazione della delibera C.C. n. 21 del 14 settembre 2014 (che il Consiglio di Stato ha ritenuto legittima esecuzione del giudicato). Si tratta quindi di un periodo di circa sei anni». 

Il periodo anteriore al 2008 è stato escluso dalla parametrazione del risarcimento in base al disposto degli artt. 1227, co. 2, cod. civ. e 30, co. 3, cod. proc. amm., secondo cui il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti dalla legge. Il giudice, infatti, ha ritenuto negligente la scelta dei ricorrenti di attendere solo il 2008 per portare a esecuzione un giudicato formatosi nel 1982, senza aver, frattanto, assunto iniziative per stimolare la riedizione del potere pianificatorio comunale. A tal proposito, il ricorso in appello non contiene una puntuale critica al percorso logico seguito dal giudicante, ma si limita a sostenere che il contegno inerte dei ricorrenti sia irrilevante, poiché il Comune avrebbe dovuto d'ufficio avviare il procedimento di variante urbanistica per eseguire il giudicato. La censura, tuttavia, è fuori fuoco: la circostanza che il procedimento amministrativo propedeutico all'ottemperanza del giudicato fosse da avviare d'ufficio non toglie rilievo al disinteresse dimostrato dagli appellanti nel lungo arco temporale antecedente al 2008, durante il quale questi non hanno in alcun modo tentato di porre fine all'indolenza dell'amministrazione, pur avendo a disposizione l'azione di ottemperanza, così concorrendo colposamente nella provocazione del danno da ritardo. 

A tale riguardo, non è vietato al giudice evidenziare, incidentalmente, che il diritto all'esecuzione del giudicato avrebbe potuto essere dichiarato prescritto, ove il Comune lo avesse eccepito, in quanto azionato dopo dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza del 1982: non si tratta di rilevare d'ufficio la prescrizione, in spregio agli artt. 2946 e 2953 cod. civ. (applicabili all'ottemperanza, in ragione della natura prescrizionale – e non decadenziale – del termine di dieci anni sancito dall'art. 114, co. 1, cod. proc. amm.: sul punto, cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 4 dicembre 2020, n. 4), perché la considerazione spesa dal giudicante non è volta a respingere la domanda di ottemperanza (ormai accolta in via definitiva con la sentenza del Consiglio di Stato n. 797 del 2014); trattasi, piuttosto, di un'argomentazione volta a corroborare la sussistenza di un concorso colposo del danneggiato nella provocazione del danno ex art. 1227, co. 2, cod. civ., vista l'ingiustificata inerzia di questi nel proporre iniziative funzionali all'esecuzione del giudicato. 

Il periodo successivo al 2014 è stato parimenti espunto dalla stima del risarcimento del danno, poiché in tale anno il Comune di Sabaudia ha avviato le attività propedeutiche alla ripianificazione urbanistica dell'area, le quali sono state avallate in sede giurisdizionale sia dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1303 del 2015 pronunciata nel giudizio di ottemperanza, sia dal T.A.R. Latina, con la sentenza n. 44 del 2021 relativa a un giudizio avverso il silenzio. Le critiche mosse a tale punto motivazionale non possono essere favorevolmente apprezzate, giacché contengono una surrettizia censura alle sentenze succitate, entrambe passate in giudicato. In particolare, i ricorrenti sostengono che il Comune abbia solo adottato degli atti preparatori al procedimento di variante urbanistica, ma abbia omesso di concluderlo; tuttavia, tale circostanza avrebbe dovuto essere fatta valere appellando la sentenza del T.A.R. n. 44 del 2021, che, viceversa, aveva escluso la sussistenza di un silenzio inadempimento a fronte delle iniziative procedimentali assunte dall'amministrazione. 

10. Per le ragioni esposte, sia l'appello incidentale sia l'appello principale vanno respinti, con conseguente conferma della sentenza di primo grado. 

11. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del secondo grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sugli appelli principale e incidentale, li respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata. 

Spese del secondo grado di giudizio compensate. 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2025 con l'intervento dei magistrati:

Vincenzo Neri, Presidente

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Michele Conforti, Consigliere

Ofelia Fratamico, Consigliere

Martina Arrivi, Consigliere, Estensore