Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 2025, n. 6894

 Come si desume dalla lettura dell’Accordo esso ha una valenza puramente ed esclusivamente economica rimanendone fuori posizioni di interesse legittimo, sicché le sue clausole devono essere interpretate alla luce delle disposizioni civilistiche in materia di nullità e/o di annullamento contrattuale (rispettivamente artt. 1418 e ss. e artt. 1441 e ss. cod. civ.) e non di quelle relative ai vizi del provvedimento amministrativo.

Il caso in esame rientra pienamente nella giurisdizione esclusiva di cui all’art. 133, comma 1, del c.p.a., sicché ad esso non si applica l’art. 31 comma 4 c.p.a. bensì l’art. 1422 del cod. civ., secondo il quale l’azione di nullità non è soggetta a prescrizione.

Sia la giurisprudenza amministrativa che quella costituzionale si sono pronunciate nel senso di escludere che le suddette compensazioni possano avere carattere meramente patrimoniale o di corrispettivo monetario, potendo essere richieste soltanto misure di carattere ambientale e territoriale, ossia volte al recupero dei valori ambientali eventualmente compromessi per via della realizzazione degli impianti per la produzione di energie rinnovabili; donde la nullità delle convenzioni analoghe a quella oggetto della presente controversia.

 

Guida alla lettura

Nella sentenza in commento il Consiglio di Stato ha scrutinato la validità di una clausola di un accordo ex art. 11 L. 241/1990 che subordinava il permesso di costruire una centralina idroelettrica al pagamento di un contributo economico periodico da parte della società istante; quesito esegetico che ha imposto un indugio sulla natura giuridica dell’accordo e sui connessi profili processuali.

Occorre, infatti, rammentare che l’art. 11 L. 241/1990 ha sin dalla sua introduzione alimentato un dibattito ermeneutico, in seno al quale sono emerse- essenzialmente- due tesi.

Una prima, definibile privatistica, che equipara l’accordo in esame a un contratto, valorizzando il richiamo contenuto nella norma ai principi e alle norme del codice civile in tema di obbligazioni e contratti e la previsione di cui al comma 4bis che sembra assimilare la delibera che precede la conclusione dell’accordo alla determina a contrarre; il comma 1bis dell’art. 1 L. 241/1990, inoltre, stabilisce che la pubblica amministrazione opera secondo le regole del diritto privato ogniqualvolta adotti atti di natura non autoritativa. Da tale premessa deriva l’applicazione delle norme del codice civile in materia di inadempimento, l’inammissibilità dell’autotutela e, dal punto di vista processuale, l’inapplicabilità del termine decadenziale di 180 giorni in caso di nullità.

Una seconda, invece, ritiene che all’accordo vada assegnata natura pubblicistica; si osserva, in specie, che la scelta legislativa di non utilizzare il termine contratto espliciti la volontà di introdurre una forma di esercizio consensuale del potere, il che viene corroborato anche dal tenore letterale poiché i principi in materia di obbligazioni e contratti operano solo “in quanto compatibili”. L’espressione “in quanto compatibili, infatti, dimostra che l’art. 11 non disciplina un contratto, ma un’ipotesi peculiare di provvedimento amministrativo che presenta profili di analogia- ma non di uguaglianza- con l’istituto di cui agli artt. 1321 e ss. c.c.; da ciò deriverebbe l’applicazione dell’autotutela- che sembra trovare conferma anche nel comma 4 che, al di là del nomen “recesso”, pare delineare una peculiare forma di revoca- e dei termini decadenziali di cui agli artt. 21 septies e 21 octies.

Ebbene, nella fattispecie concreta il Supremo consesso della giurisdizione amministrativa ha, innanzitutto, ritenuto inapplicabile il termine decadenziale di 180 giorni, osservando che l’accordo concluso tra le parti avesse natura eminentemente economica e, pertanto, non residuasse alcuna posizione di interesse legittimo; il Collegio ha soggiunto che, in ogni caso, la controversia rientrasse nella giurisdizione esclusiva del g.a., con conseguente operatività della “nullità imprescrittibile” di cui all’art. 1422 c.c. e non di quella “decadenziale” connotante il provvedimento amministrativo.

Alla luce di quanto esposto, la sentenza in commento potrebbe essere interpretata quale approdo giurisprudenziale della tesi privatistica, ma tale sintesi appare, invero, incompleta e fallace. Il Consiglio di Stato, infatti, ha valorizzato correttamente le peculiarità della fattispecie concreta, in particolare osservando che la “clausola” oggetto di contestazione afferisse a un aspetto esclusivamente patrimoniale, riconducibile nell’alveo del diritto soggettivo, con conseguente applicazione delle disposizioni civilistiche afferenti alla validità del contratto. Peraltro, come evidenziato nella sentenza, la domanda del ricorrente/appellato non aveva carattere impugnatorio, ma mirava ad “espungere” dall’alveo dell’“intesa” ex art. 11 L. 241/1990 la previsione relativa al canone.

Chiariti gli aspetti sostanziali e processuali sopra richiamati, il Collegio ha, pertanto, accertato la nullità della clausola dell’accordo opinando che il permesso di costruire una centralina idroelettrica - o comunque di impianti di energia rinnovabile- può prevedere in capo al richiedente alcuni oneri “compensativi”, ad esempio la fornitura di energia elettrica ai cittadini, ma non anche obblighi di matrice eminentemente economica; in tal caso, infatti, si prefigurerebbe un vantaggio indebito dell’ente locale, non sorretto da un effettivo sinallagma. L’epilogo esegetico a cui è pervenuto il Consiglio di Stato è, inoltre, coerente con quanto statuito dalla Corte Costituzionale, ad esempio nella sentenza n. 124/2010 relativa a una legge 42/2008 della Regione Calabria.

La pronuncia in esame consente di affermare che se la domanda del ricorrente è diretta non all’impugnazione dell’accordo ex art. 11 L. 241/1990 ma alla declaratoria di nullità parziale riguardante una clausola disciplinante un aspetto eminentemente economico, viene in rilievo un diritto soggettivo che, pur rientrando nella giurisdizione del g.a. in via esclusiva ai sensi dell’art. 133 C.p.a., soggiace alle regole civilistiche dell’invalidità del contratto. Nulla per violazione di norma imperativa è la previsione “negoziale” che ponga a carico del privato l’obbligo di pagare un canone al Comune quale corrispettivo, rectius compensazione, del permesso di costruire in deroga una centralina idroelettrica.

 

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6374 del 2023, proposto dal Comune di Ton, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

la società Rotalenergia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Riccardo Montanaro, Cristiana Romano e Laura Ferrua Magliani, con domicilio digitale come da registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del T.r.g.a. Trento, sez. unica, 3 maggio 2023 n.63, che ha accolto il ricorso n. 96/2022 R.G. proposto per la dichiarazione di nullità ovvero l’annullamento:

dell’accordo procedimentale ai sensi dell’art. 11 della l. 7 agosto 1990 n.241, stipulato fra il Comune di Ton e la Rotalenergia S.r.l. con atto 11 giugno 2011 prot. n.2151, avente ad oggetto il rilascio di concessione edilizia in deroga, nella parte in cui esso prevede il pagamento di un canone annuo a favore del Comune;

e per la condanna del Comune di Ton alla restituzione delle somme percepite a tal titolo.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Rotalenergia s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 3 aprile 2025 la Cons. Emanuela Loria;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

FATTO e DIRITTO

1. In punto di fatto si rappresenta che la Società Rotalenergia S.r.l. (di seguito anche: “Rotalenergia”) gestisce, nel territorio del Comune di Ton (Trento), una centrale di produzione di energia idroelettrica, utilizzando un salto del Torrente Noce.

La derivazione necessaria alla produzione idroelettrica è stata concessa dalla Provincia Autonoma di Trento con determinazione dirigenziale n. 193 del 18 dicembre 2009, con durata prevista fino al 31 dicembre 2038.

1.1. L’impianto idroelettrico è stato regolarmente realizzato e messo in funzione.

La Società Rotalenergia è stata successivamente acquistata dalla Società Nord Energia, anch’essa operante nel settore della produzione energetica da fonti rinnovabili, attraverso l’acquisizione della Idro Triveneto s.r.l. (ex Kre Idro s.r.l.), proprietaria del 100% delle quote della Rotalenergia.

1.2. Il Comune di Ton e Rotalenergia hanno stipulato un accordo procedimentale ai sensi dell’art. 11 l. 241 del 1990, in data 11 maggio 2011 prot. n. 2151, il cui schema di convenzione tra il Comune di Ton e Rotalenergia è stato approvato dal Consiglio comunale di Ton con la deliberazione n. 11 del 22 marzo 2011 e prevede un procedimento articolato nel seguente modo:

a) presa d’atto dell’avvenuto rilascio della concessione idroelettrica in località La Rocchetta in capo alla Società;

b) valutazione da parte del Consiglio Comunale della possibilità di rilasciare una concessione edilizia in deroga per i lavori necessari alla realizzazione della centralina;

c) a seguito del rilascio del permesso edilizio in deroga da parte del Consiglio Comunale, il conseguente impegno della Società “a contribuire alla soddisfazione del fabbisogno energetico del Comune”;

d) questa finalità non sarebbe stata perseguita mediante “il trasferimento diretto di energia prodotta dalla centralina”, bensì “in via indiretta”, mediante una dazione di denaro per tutto il periodo di durata della concessione (dunque almeno fino al 2038);

e) individuazione delle modalità di calcolo del contributo economico, in misura fissa (euro 50.000,00), per i primi 15 anni, salva l’applicazione di variazioni sul valore unitario dell’energia elettrica;

f) per il periodo successivo, un calcolo che, partendo da un importo fisso annuale di Euro 18.000,00, assommasse ad esso un importo variabile, al momento calcolato sulla base di Euro 25.000,00, ma modificabile al variare delle “tariffe ministeriali in vigore in quel momento (tariffa media ponderata di vendita sul mercato dell’energia elettrica prodotta dalla centralina della Rocchetta)”.

2. Successivamente all’Accordo, venivano rilasciate due concessioni edilizie per la realizzazione delle opere:

- la concessione edilizia n. 43/11 del 6 giugno 2011;

- la variante alla precedente rilasciata in data 29 febbraio 2012 con il n. 11/12.

3. I lavori di realizzazione della centralina venivano completati in data 20 dicembre 2013 (cfr. doc. 9 fascicolo primo grado).

4. Con lettera prot. n. 1097 in data 7 marzo 2018, il Comune di Ton ha richiesto sia alla Nord Energia che alla Rotalenergia, il “contributo per lo sfruttamento a titolo idroelettrico della centralina della Rocchetta” pari a 50.000,00 Euro all’anno, in scadenza per la metà al 30 giugno e per la restante parte alla fine di dicembre.

Il titolo di questo “contributo” veniva fatta risalire all’accordo procedimentale stipulato da Comune e Rotalenergia in data 11 giugno (rectius: maggio) 2011, prot. n. 2151.

4.1. La società dava riscontro alla nota comunale con missiva del 12 marzo 2018, con la quale trasmetteva il parere del proprio legale, che concludeva, sulla base anche di precedenti giurisprudenziali specifici, nel senso della nullità della clausola convenzionale che aveva previsto la dazione annuale di denaro sopra ricordata

Seguiva una corrispondenza tra le parti in cui permanevano le medesime posizioni.

5. La società proponeva dunque ricorso dinnanzi al T.R.A.P. di Venezia, tendente a dimostrare la nullità della clausola dell’accordo stipulato tra Comune e Società, iscritto al Ruolo generale con il n. 9/2020.

Il Comune di Ton si costituiva in giudizio, spiegando le proprie difese.

Il T.R.A.P., con sentenza n. 1062 dell’11 maggio 2022, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice delle acque “in favore del Tribunale regionale Amministrativo della Provincia Autonoma di Trento” in base alla considerazione che il contenzioso ha ad oggetto una clausola di un accordo ex art. 11 della l. 241 del 1990.

6. La società, con atto notificato in data 3 giugno 2022, ha pertanto riassunto il ricorso dinanzi al T.R.G.A. di Trento, che dopo aver disposto incombenti istruttori a carico del Comune di Ton (che li ha eseguiti depositando relazione e documenti entro il termine stabilito del 31 gennaio 2023), ha accolto il primo motivo di ricorso proposto dalla ricorrente e ha conseguentemente dichiarato la nullità della clausola dell’Accordo procedimentale ai sensi dell’art. 11 della l. 241 del 1990, stipulato tra il Comune di Ton e Rotalenergia s.r.l. in data 11 giugno 2011, prot. n. 2151, con cui si prevede la corresponsione di un canone annuo in favore del Comune.

Il T.R.G.A. di Trento ha condannato il Comune di Ton alla restituzione alla ricorrente delle somme effettivamente percepite per effetto della clausola nulla, per l’importo totale di euro 440.310,09, oltre interessi ai sensi dell’art. 2033, decorrenti dal giorno della domanda.

La sentenza ha altresì respinto la domanda riconvenzionale proposta dal Comune, ed ha condannato il medesimo a corrispondere alla Rotalenergia le spese di lite nella misura di euro 2.000,00 oltre accessori di legge, e alla rifusione del contributo unificato corrisposto dalla ricorrente in primo grado.

Infine, stante l’accoglimento del motivo afferente la nullità dell’Accordo procedimentale, il T.R.G.A. di Trento ha dichiarato assorbito il secondo motivo di ricorso proposto, in via subordinata, da Rotalenergia e tendente ad ottenere la dichiarazione di annullabilità dell’Accordo stesso.

7. Il Comune di Ton ha proposto appello avverso la sentenza del 3 maggio 2023 n. 63 deducendo i seguenti motivi:

1. Violazione e falsa applicazione dell’art 31, comma 4 del codice del processo amministrativo. Erronea applicazione dell’art 1422 c.c. Sussistenza dei presupposti per dichiarare l’irricevibilità della domanda di nullità per intervenuta decadenza del termine di centoottanta giorni

2. Violazione e falsa applicazione dell’art 11 della legge 241/1990. Irricevibilità e/o inammissibilità e/o improponibilità della domanda per inapplicabilità dei rimedi negoziali di cui al codice civile all’accordo procedimentale stipulato tra il Comune di Ton e la Rotalenergia.

3. Violazione e falsa applicazione dell’art 11 della legge 241/1990 nonché degli artt. 1325, 1418 c.c. Insussistenza di un contrasto con norme imperative. Violazione e falsa applicazione dell’art 12, comma 6 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 e punto 2 dell’allegato 2 delle Linee Guida adottate con DM 10 settembre 2010 “Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.

L’appellante ha altresì riproposto ex art 101, secondo comma c.p.a. la domanda riconvenzionale rimasta assorbita:

L’accordo procedimentale del 11 maggio 2011 prevede l’obbligo di pagamento – a carico di Rotalenergia – dell’importo annuo di euro 50.000,00 (si dispone, infatti, che, per i primi 15 anni, Rotalenergia deve un importo fisso annuale di euro 50.000,00).

Dal 2013 al 2019 Rotalenergia ha integralmente versato la detta somma, mentre - con riguardo all’anno 2020, Rotalenergia ha effettuato unicamente i pagamenti di euro 622,15 e di euro 22.823,92, per un totale annuo versato pari ad euro 23.446,07;

- con riguardo all’anno 2021, Rotalenergia ha effettuato unicamente i pagamenti di euro 23.229,17 e di euro 24.589,04, per un totale annuo versato pari ad euro 47.818,21;

- per l’anno 2022, primo semestre, Rotalenergia ha effettuato unicamente il pagamento di euro 22.402,97;

Per l’effetto, il Comune di Ton è tuttora creditore - per l’anno 2020, dell’importo capitale di euro 26.553,93 (euro 50.000,00 – euro 622,15 – euro 22.823,92) e di interessi legali pari ad euro 224,54 (calcolati dal 1° gennaio 2021 al 1° settembre 2022);

- per l’anno 2021, dell’importo capitale di euro 2.181,79 (euro 50.000,00 – euro 23.229,17 – euro 24.589,04) e di interessi legali pari a euro 18,16 (calcolati dal 1° gennaio 2022 al 1 settembre 2022);

- per l’anno 2022, primo semestre, dell’importo capitale di euro 2.597,03 (euro 25.000,00 – euro 22.402,97) e di interessi legali pari a euro 5,60 (calcolati dal 30 giugno 2022 al 1° settembre 2022), e così per un TOTALE di euro 31.581,05, oltre ad interessi ex art. 1284, comma 4, c.c. ( ) sul capitale di euro 31.332,75 (euro 26.553,93 + euro 2.181,79 + euro 2.597,03).

È appena il caso di evidenziare che, essendo le dette obbligazioni previste nell’accordo ex art. 11 l. n. 241/1990 integrativo della concessione edilizia in deroga, la giurisdizione spetta pacificamente – in via esclusiva – al giudice amministrativo.”

8. La società si è costituita in giudizio depositando memoria difensiva con la quale ha argomentato in relazione alla infondatezza dell’appello e di tutte le domande dell’appellante e ha riproposto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 101, comma 2, del c.p.a., in via subordinata, il secondo motivo di ricorso, che è stato dichiarato assorbito dal giudice di primo grado, relativo all’annullabilità, ai sensi degli artt. 1427, 1435 e 1438 c.c. dell’accordo stesso.

9. Alla pubblica udienza del 3 aprile 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.

10. L’appello è infondato.

11. Con il primo motivo viene riproposta dall’appellante l’eccezione di tardività dell’azione di nullità dell’accordo integrativo di provvedimento amministrativo dell’11 maggio 2011, che – in tesi – sarebbe stata proposta oltre il termine decadenziale di centottanta giorni previsto dall’art. 31, comma 4, c.p.a., che, come noto, dispone che “la domanda volta all’accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di centottanta giorni”.

Detto termine sarebbe applicabile all’azione di accertamento della nullità dell’accordo procedimentale di cui all’art 11 della legge 241/1990 ancorché rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art 133, primo comma lett a) n.2).

Tale conclusione non potrebbe essere superata dalla previsione contenuta nell’art 31, quarto comma del codice del processo amministrativo ove è prevista la rilevabilità d’ufficio della nullità, pena lo svuotamento di significato della previsione del termine decadenziale. 11.1. Il motivo è infondato.

In primo luogo occorre rilevare che la giurisprudenza citata dall’appellante – in particolare Sez. III 3 luglio 2019 n. 4566, Sez. III 3 gennaio 2018 n. 28, Sez.VI 5 luglio 2022 n. 5593 e C.G.A. 26 ottobre 2020 n. 991 - si riferisce a fattispecie relativi alla impugnativa di provvedimenti amministrativa in sede di domande impugnatorie e quindi non nell’ambito della giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo.

Al contrario rispetto ai casi evocati, il caso in esame rientra pienamente nella giurisdizione esclusiva di cui all’art. 133, comma 1, del c.p.a., sicché ad esso non si applica l’art. 31 comma 4 c.p.a. bensì l’art. 1422 del cod. civ., secondo il quale l’azione di nullità non è soggetta a prescrizione.

12. Con il secondo motivo si argomenta in relazione al rapporto di presupposizione tra l’Accordo e i suoi atti preparatori (d.C.C. n. 11 del 22.3.2011, nonché la d.G.P. del 6.3.2011, n. 895) sicché il ricorso di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per non essere gli stessi stati impugnati dalla società tempestivamente.

12.1. Il motivo è infondato.

Dagli atti sopra citato risulta chiaramente la loro natura endoprocedimentale in quanto ivi si afferma che l’accordo in questione era ancora nella fase di “bozza” e di “schema di convenzione” sicché non vi era alcun onere, né possibilità di impugnare gli atti preparatori dell’accordo.

12.2. Sotto distinto profilo è infondata anche l’eccezione, dedotta in via subordinata dal Comune, secondo cui le domande di nullità e di annullamento proposte dalla società sarebbero improponibili in quanto – stanti gli interessi pubblici coinvolti - l’accordo sostituivo di provvedimento ora sub iudice non sarebbe assoggettato ai rimedi caducatori propri della normativa civilistica.

Come si desume dalla lettura dell’Accordo esso ha una valenza puramente ed esclusivamente economica rimanendone fuori posizioni di interesse legittimo, sicché le sue clausole devono essere interpretate alla luce delle disposizioni civilistiche in materia di nullità e/o di annullamento contrattuale (rispettivamente artt. 1418 e ss. e artt. 1441 e ss. cod. civ.) e non di quelle relative ai vizi del provvedimento amministrativo (ex multis, Cons. Stato, Sez. VII, 19 agosto 2022, n. 7299).

13. Con il terzo motivo l’appellante ripropone le argomentazioni di merito del ricorso di primo grado.

In particolare, si sostiene che la clausola patrimoniale inserita nell’Accordo non avrebbe il suo titolo legittimante nella gestione dell'impianto, riguardando, piuttosto, il profilo edilizio–urbanistico derogatorio poiché:

- le aree ove la Società avrebbe voluto realizzare l'impianto erano assoggettate a vincoli pubblici derivanti dal PRG del Comune di Ton, sì che la società aveva presentato istanza di concessione in deroga;

- lo strumento derogatorio era allora previsto dall’art. 112 legge PAT 4 marzo 2008, n. 1, in consonanza con la disciplina nazionale di cui all'art. 14 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, e costituirebbe espressione della massima discrezionalità dell'Ente locale (o, più correttamente, del suo Consiglio Comunale) il quale può accordarlo o negarlo.

- la rinuncia del Comune ai vincoli previsti dallo strumento urbanistico sui fondi di interesse della società troverebbe una giustificazione nei vantaggi economici derivanti dalla stipulazione dell’Accordo, in un’ottica perequativa.

- l’art. 12 comma 6, d.lgs. n. 387 del 2003 (recante “Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”) sarebbe applicabile solamente alle Regioni e alle Province, ma non ai Comuni poiché solo i primi due Enti sono competenti al rilascio dell’autorizzazione unica per gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili; la disposizione non si riferisce ai permessi di costruire in deroga, come nel caso di specie;

- il d.m. 10 settembre 2010, recante, in attuazione dell’art.12, comma 10, d.lgs. n. 387/2003, le Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, avrebbe recepito le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa sulla materia de qua secondo la quale sarebbero ammissibili accordi che prevedano misure di compensazione e riequilibrio ambientale – nel caso in esame l’accordo sarebbe legittimo perché è accessorio al permesso di costruire in deroga rilasciato dal Comune all’appellante; la fonte normativa dell’accordo è costituita dall’ar.t 11 della l. n. 241 del 1990 sicché non sarebbe necessario rintracciare altre fonti legittimanti il potere esercitato dal comune.

13.1. Il motivo è infondato.

In primo luogo si rileva che l’accordo in esame è stato sottoscritto in data 11 maggio 2011. Conseguentemente, allo stesso non si applica la norma di sanatoria di cui all’art. 1, comma 953, della l. 145 del 2018, che ha introdotto una sanatoria generalizzata per le pattuizioni di carattere patrimoniale intervenute tra gli operatori del settore dell’energia elettrica e gli enti locali, purché “sulla base di accordi bilaterali sottoscritti prima del 3 ottobre 2010”.

Pertanto la non applicabilità di tale disposizione di sanatoria agli accordi successivi alla data indicata ne comporta la nullità.

13.2. A ciò si aggiunga che non si condivide l’interpretazione dell’appellante dell’art. 12 comma 10, d.lgs. n. 387 del 2003 e delle relative Linee guida approvate con il d.m. 10 settembre 2010 poiché, come rilevato dalla sentenza di questa stessa Sezione n. 558 del 18 gennaio 2021, “in ordine alla norma di sanatoria di cui all’art. 1, comma 953, del 30 dicembre 2018, n. 145, il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte costituzionale, con plurime ordinanze (Sez. V., ordd. nn. 677, 678, 679 del 2020 n. 8822 del 2019) la questione relativa alla sua conformità a molteplici articoli della Costituzione (artt. 3, 24, 11, 117, 3 e 41) nella parte in cui – in materia di autorizzazione degli impianti di energia rinnovabile – prevede che eventuali accordi recanti compensazioni di natura meramente patrimoniale, e non soltanto di carattere strettamente ambientale, siano comunque fatti salvi ove stipulati prima della entrata in vigore della Linee Guida di cui al d.m. 10 settembre 2010, in quanto una simile previsione introduce una sanatoria generalizzata ed indiscriminata che appare porsi in contrasto sia con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, vanificando di fatto diverse pronunzie giurisdizionali che avevano già dichiarato la nullità di simili accordi, sia con gli obblighi di matrice internazionale e comunitaria che intendono favorire il massimo sviluppo di tali forme di “energia pulita”.

6.2.2. Peraltro la Corte costituzionale - con la sentenza n. 124 del 1 aprile 2010 concernente una questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione alla legge della Regione Calabria n. 42 del 2008, nella parte in cui si stabiliva una serie di condizioni e di oneri economici per il rilascio dell’autorizzazione unica per l’installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili - ha dichiarato l’incostituzionalità in parte qua della legge regionale poiché erano ivi previsti oneri e condizioni a carico del richiedente l’autorizzazione che si concretizzavano in vantaggi economici per la regione e per gli altri enti locali e, quindi, si configuravano quali compensazioni di carattere economico espressamente vietate dal legislatore statale.

Pertanto, sia la giurisprudenza amministrativa che quella costituzionale, si sono pronunciate nel senso di escludere che le suddette compensazioni possano avere carattere meramente patrimoniale o di corrispettivo monetario, potendo essere richieste soltanto misure di carattere ambientale e territoriale, volte ossia al recupero dei valori ambientali eventualmente compromessi per via della realizzazione degli impianti per la produzione di energie rinnovabili; donde la nullità delle convenzioni analoghe a quella oggetto della presente controversia.

6.2.3. Va pertanto rilevato come la interpretazione proposta dal Comune della disposizione di sanatoria di cui all’art. 1, comma 953, l. n. 145 del 2018 non sia accoglibile poiché in contrasto con il tenore testuale e la ratio delle norme di cui agli artt. 12, comma 6, d.lgs. n. 387 del 2003 e 1, comma 5 l. n. 239 del 2004, che, nel contemperare l’interesse alla tutela dell’ambiente – attraverso la incentivazione della realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili – con quello alla tutela del paesaggio, prevedono che siano posti a carico dei titolari degli impianti oneri di carattere ambientale e territoriale – che tengano conto delle caratteristiche e delle dimensioni degli impianti eolici e del loro impatto – giammai di carattere economico.”

13.3. Peraltro, neanche il ricorso all’istituto dell’Accordo ai sensi dell’art. 11 l. n. 241 del 1990 s.m.i. può consentire di superare i divieti imposti dall’ordinamento con norme di carattere imperativo agli accordi con cui si prevedono dazioni in denaro da parte dei privati ai Comuni per la produzione di energia elettrica.

Si condivide ed è esente dai vizi sollevati con l’appello l’affermazione della sentenza appellata secondo la quale “nemmeno la monetizzazione del fabbisogno energetico ed elettrico comunale costituisce una idonea causa giustificatrice. Rientra tra i compiti istituzionali dell’Ente assicurare tale fabbisogno, per cui la pattuizione patrimoniale di cui è causa si conferma irrimediabilmente come mancante di sinallagma, oltreché in contrasto con norme imperative.”

14. Conclusivamente, per le suindicate motivazioni, l’appello deve essere respinto come anche conseguentemente la domanda riconvenzionale.

Risulta improcedibile la domanda dell’appellata relativa alla declaratoria di annullamento della clausola dell’Accordo dell’11 maggio 2011 prot. n. 2151, con cui si prevede la corresponsione di un canone annuo in favore del Comune.

15. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante a rifondere alla intimata società le spese del presente grado di giudizio, che liquida in euro 8.500,00 (ottomila cinquecento/00) oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 aprile 2025 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Gambato Spisani, Presidente FF

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Emanuela Loria, Consigliere, Estensore

Ofelia Fratamico, Consigliere

Eugenio Tagliasacchi, Consigliere