Cons. Stato, sez. VI. ord., 20 luglio 2020, n. 4646

Sono rimessi alla Corte di Giustizia i seguenti quesiti: a) se le condotte che inverano lo sfruttamento abusivo di posizione dominate possano essere di per sé del tutto lecite ed essere qualificate “abusive” unicamente in ragione dell’effetto (potenzialmente) restrittivo ingenerato nel mercato di riferimento; oppure se le stesse debbano essere contrassegnate anche da una specifica componente di antigiuridicità, costituita dal ricorso a «metodi (o mezzi) concorrenziali diversi» da quelli «normali»; in quest’ultimo caso, sulla base di quali criteri si possa stabilire il confine tra la concorrenza «normale» e quella «falsata»; b) se la funzione dell’abuso sia di massimizzare il benessere dei consumatori, di cui il giudice debba misurare l’avvenuta (o il pericolo di) diminuzione; oppure se l’illecito concorrenziale abbia il compito di preservare di per sé la struttura concorrenziale del mercato, al fine di scongiurare la creazione di aggregazioni di potere economico ritenute comunque dannose per la collettività; c) se, in caso di abuso di posizione dominante consistito nel tentare di impedire che permanga il livello di concorrenza ancora esistente o il suo sviluppo, l’impresa dominante sia comunque ammessa a provare che – nonostante l’astratta idoneità dell’effetto restrittivo – la condotta è risultata priva di concreta offensività; se, in caso di risposta positiva, ai fini della valutazione in ordine alla sussistenza di un abuso escludente atipico, l’articolo 102 TFUE vada interpretato nel senso di ritenere sussistente in capo all’Autorità l’obbligo di esaminare in maniera puntuale le analisi economiche prodotte dalla parte sulla concreta capacità della condotta oggetto di istruttoria di escludere dal mercato i propri concorrenti; d) se l’abuso di posizione dominante debba valutarsi soltanto per i suoi effetti (anche soltanto potenziali) sul mercato, senza alcun riguardo al movente soggettivo dell’agente; oppure se la dimostrazione dell’intento restrittivo costituisca un parametro utilizzabile (anche in via esclusiva) per valutare l’abusività del comportamento dell’impresa dominante; oppure ancora se tale dimostrazione dell’elemento soggettivo valga soltanto a ribaltare l’onere della prova in capo all’impresa dominante (la quale sarebbe onerata, a questo punto, di fornire la prova che l’effetto escludente è mancato); e) se, in ipotesi di posizione dominante riferita una pluralità di imprese appartenenti al medesimo gruppo societario, l’appartenenza al predetto gruppo sia sufficiente per presumere che anche le imprese che non abbiano posto in essere la condotta abusiva abbiano concorso nell’illecito – cosicché all’Autorità di vigilanza sarebbe sufficiente dimostrare un parallelismo cosciente, sia pure non collusivo, delle imprese operanti all’interno del gruppo collettivamente dominante – oppure se (al pari di quanto accade per il divieto di intese) occorra comunque fornire la prova, anche indiretta, di una situazione concreta di coordinamento e strumentalità tra le varie imprese del gruppo in posizione dominante, in particolare al fine dimostrare il coinvolgimento della casa madre.

 

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 10092 del 2019, proposto da

SERVIZIO ELETTRICO NAZIONALE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Marco D’Ostuni, Aristide Police, Maurizio Russo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Aristide Police in Roma, via di Villa Sacchetti, n. 11;

contro

AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

ENEL S.P.A., ENEL ENERGIA S.P.A., ENI S.P.A., AXPO ITALIA S.P.A., GALA S.P.A., E.JA S.P.A. non costituite in giudizio;


GREEN NETWORK S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vincenzo Cerulli Irelli, Carlo Mirabile, Emilia Pulcini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Vincenzo Cerulli Irelli in Roma, via Dora n. 1;


AIGET - ASSOCIAZIONE ITALIANA DI GROSSISTI DI ENERGIA E TRADER, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gennaro D’Andria, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;


ASS.NE CODICI – CENTRO PER I DIRITTI DEL CITTADINO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Carmine Laurenzano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;


ASSOCIAZIONE ENERGIA LIBERA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Carlo Mirabile, Cesare San Mauro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Cesare San Mauro in Roma, via Guido D’Arezzo 2;


METAENERGIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Cesare San Mauro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Guido D’Arezzo 2;


sul ricorso numero di registro generale 10098 del 2019, proposto da ENEL S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Marcello Clarich, Vincenzo Meli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Marcello Clarich in Roma, viale Liegi, n. 32;

contro

AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

GREEN NETWORK S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vincenzo Cerulli Irelli, Carlo Mirabile, Emilia Pulcini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Vincenzo Cerulli Irelli in Roma, via Dora n. 1;


GALA S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, SERVIZIO ELETTRICO NAZIONALE S.P.A., ENEL ENERGIA S.P.A., ENI S.P.A., AXPO ITALIA S.P.A, E.JA S.P.A., non costituite in giudizio;


AIGET - ASSOCIAZIONE ITALIANA DI GROSSISTI DI ENERGIA E TRADER, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gennaro D0Andria, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;


ASS.NE CODICI – CENTRO PER I DIRITTI DEL CITTADINO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Carmine Laurenzano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;


sul ricorso numero di registro generale 10111 del 2019, proposto da ENEL ENERGIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Anglani, Claudio Tesauro, Sergio Fienga, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Sergio Fienga in Roma, Piazzale delle Belle Arti, n. 8;

contro

AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliatariaex legein Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

ENEL S.P.A., SERVIZIO ELETTRICO NAZIONALE S.P.A., ENI GAS E LUCE S.P.A., ENI S.P.A., GALA S.P.A., AXPO ITALIA S.P.A., E.JA S.P.A., non costituiti in giudizio;

GREEN NETWORK S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vincenzo Cerulli Irelli, Carlo Mirabile, Emilia Pulcini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Vincenzo Cerulli Irelli in Roma, via Dora n. 1;

ASS.NE CODICI – CENTRO PER I DIRITTI DEL CITTADINO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Carmine Laurenzano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

AIGET - ASSOCIAZIONE ITALIANA DI GROSSISTI DI ENERGIA E TRADER, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gennaro D’Andria, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma:

quanto al ricorso n. 10092 del 2019, della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 11958 del 2019

quanto al ricorso n. 10098 del 2019, della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 11957 del 2019;

quanto al ricorso n. 10111 del 2019, della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 11954 del 2019;

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti indicate in epigrafe;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 maggio 2020 il Cons. Dario Simeoli;

RITENUTO IN FATTO

1.– Come è noto, il servizio elettrico è definito “a rete” in quanto la fornitura del bene elettricità passa attraverso un sistema di trasmissione e distribuzione strutturalmente limitato e non replicabile. In considerazione di tale monopolio naturale, mentre le fasi di produzione e vendita sono state aperte alla concorrenza, la gestione delle reti di trasmissione e distribuzione è rimasta disciplinata in regime di monopolio (regolato) e sulla base di una concessione rilasciata dal Ministero dello Sviluppo economico.

L’apertura del mercato della vendita è stata graduale. In particolare, la fase finale della filiera è stata inizialmente caratterizzata da una disciplina dicotomica, fondata sulla distinzione tra clienti “idonei” a essere titolare di rapporti di fonte contrattuale con un soggetto diverso dal proprio distributore locale, e clienti “non idonei” (domestici e piccole imprese), la cui speciale incapacità giuridica al riguardo trovava giustificazione nella valutazione normativa della loro inadeguatezza a negoziare i prodotti energetici in condizioni di compiuta consapevolezza e forza negoziale.

Successivamente, anche i clienti non idonei sono stati progressivamente abilitati al mercato libero ma, anche dopo la completa liberalizzazione, è rimasto intatto il potere dell’Autorità di intervenire, tramite i propri provvedimenti di regolazione, nella definizione delle condizioni di vendita dell’energia ai clienti finali.

Per “servizi di tutela” si intendono i servizi di fornitura di energia elettrica predisposto in favore dei clienti finali di piccole dimensioni (quali famiglie e piccole imprese) che non hanno ancora scelto un venditore nel mercato libero e che vengono serviti, in base alla legge, da una società collegata al distributore alle condizioni contrattuali ed economiche definite dall’Autorità di settore.

Il legislatore italiano ha prefigurato il definitivo passaggio dal mercato tutelato a quello libero – dove il cliente decide seleziona liberamente l’offerta ritenuta più adatta alle proprie esigenze – fissando le date a partire dalle quali i servizi di tutela (della componente di prezzo) non saranno più disponibili. Dopo vari rinvii, la data di transizione è stata da ultimo fissata al 1 gennaio 2021, per le piccole e medie imprese, e al 1 gennaio 2022 per le famiglie (cfr. decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162, convertito dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8).

Per comprendere appieno la fattispecie abusiva accertata, va pure ricordato che, nel settore energetico, l’unbuilding – cioè la separazione tra le varie componenti della filiera produttiva dell’impresa verticalmente integrata ex monopolista, ed in particolare la scissione del segmento non concorrenziale da quello aperto alla libera competizione degli operatori – è il dispositivo tecnico utilizzato per garantire l’uso “plurisoggettivo” delle infrastrutture. La liberalizzazione di taluni settori di attività economica richiede infatti che siano disciplinate, in favore di operatori ed utenti, le condizioni di accesso, interconnessione e ripartizione della capacità della rete attraverso la quale l’attività necessariamente si esplica. Le finalità in tal modo perseguite mirano a garantire la terzietà della gestione delle infrastrutture, ad impedire discriminazioni nell’accesso ad informazioni commercialmente sensibili, nonché ad evitare trasferimenti incrociati di risorse tra i segmenti delle filiere

Nel caso dell’ex monopolista Enel, l’impresa verticalmente integrata è stata disarticolata in diversi organismi societari che rivestono ciascuno un ruolo specifico all’interno della filiera, e segnatamente: i) Enel Energia è il fornitore per il mercato libero; ii) Servizio Elettrico Nazionale è la società del gruppo che gestisce il Servizio di Maggior Tutela per l’energia elettrica nelle aree nelle quali E-distribuzione è concessionaria del servizio di distribuzione; iii) E-Distribuzione è la concessionaria del servizio di distribuzione.

2.‒ L’odierno contenzioso scaturisce da un esposto pervenuto all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito: “Autorità”) da parte dell’Associazione Italiana di Grossisti di Energia e Trader (di seguito: “AIGET”) e dalle segnalazioni di singoli consumatori (tutte a partire dalla seconda metà dell’anno 2016), volti a denunciare l’utilizzo illecito di informazioni commercialmente sensibili, relative al titolare dell’utenza, da parte degli operatori che disporrebbero di tali dati in ragione della loro appartenenza al medesimo gruppo societario Enel.

Su queste basi, l’Autorità, in data 4 maggio 2017, avviava un procedimento istruttorio nei confronti delle società Enel s.p.a. (di seguito: Enel), Servizio Elettrico Nazionale S.p.a. (di seguito: SEN) e Enel Energia S.p.a. (di seguito: EE) per verificare se i comportamenti assunti congiuntamente dalle medesime configurassero una violazione dell’articolo 102 del TFUE.

A conclusione dell’istruttoria, con il provvedimento del 20 dicembre 2018, oggetto del presente giudizio, l’Autorità accertava che SEN e EE, con il coordinamento della capogruppo Enel, avevano posto in essere, dal gennaio 2012 e fino al maggio 2017, un abuso di diposizione dominante in violazione dell’art. 102 TFUE, comminando alle società del gruppo Enel, in solido tra loro, la sanzione pecuniaria di € 93.084.790,50.

Nelle motivazioni dell’atto sanzionatorio si legge che le predette società avrebbero attuato una strategia escludente nei mercati della vendita di energia elettrica ai clienti domestici e non domestici connessi in bassa tensione, volta a traghettare i clienti da SEN a EE. L’obiettivo del Gruppo ENEL sarebbe stato, in particolare, quello di evitare un passaggio in massa dei clienti SEN a fornitori terzi a seguito della futura (allo stato non ancora attuata) abolizione del servizio di maggior tutela (di seguito: “SMT”), che nelle modalità discusse in disegni di legge a partire dal 2015 avrebbe potuto comportare una riassegnazione delle utenze di SEN mediante “aste per pacchetti di clienti”.

La contestazione si fonda sui seguenti assunti:

i) SEN avrebbe raccolto consensi degli utenti a ricevere proposte commerciali (“Liste SEN”), con «modalità discriminatorie», consistenti nel chiedere consensi separati per le società del gruppo Enel e per i terzi;

ii) EE avrebbe lanciato, usando le Liste SEN, «specifiche offerte esclusivamente dedicate» alla clientela in SMT per convincerla a passare al mercato libero (di seguito: “ML”);

iii) le Liste SEN costituirebbero un «assetstrategico e irreplicabile» a causa della introvabile informazione implicita ivi contenuta (l’appartenenza degli utenti al SMT) e avrebbero consentito a EE di proporre offerte dedicate solo a questa categoria di clienti.

iv) le condotte in esame avrebbero avuto una «mera potenzialità dell’effetto restrittivo», data dalla circostanza che l’inclusione dei nomi dei clienti nelle Liste SEN (che, cumulando tutte le liste tra il 2012 ed il 2015, rappresenterebbero più del doppio del bacino di clienti medio dei primi 3 principali concorrenti di EE” in un singolo anno) avrebbe «sottratto ai concorrenti una rilevante porzione, superiore al 40%, di domanda contendibile», identificata con i «flussi di clienti in uscita dalla maggior tutela nel periodo di cui si detengono i dati (2014-2017)»;

v) la strategia escludente, secondo l’Autorità, sarebbe iniziata nel gennaio 2012 per fare fronte al rischio di perdita in blocco dei clienti SEN – in vista dell’annunciato proposito governativo (evocato per la prima volta nel disegno di legge concorrenza del maggio 2017) – si sarebbe concretizzata nello sfruttamento delle Liste SEN, da parte di EE, per proporre offerte commerciali mirate alla clientela in SMT, circostanza verificatasi nel marzo 2017, con l’offerta “Sempre con Te”;

3.– Le società del gruppo Enel presentavano autonomi ricorsi avverso il predetto provvedimento sanzionatorio.

4.‒ Il giudice di primo grado, con le sentenze n. 11954 del 2019 e n. 11951 del 2019, pronunciandosi sui ricorsi rispettivamente di EE e SEN, li accoglieva limitatamente alle censure relative alla durata del presunto abuso e ai criteri utilizzati dall’Autorità per calcolare la sanzione, osservando che:

i) quanto al primo profilo, l’unica offerta di EE dedicata agli utenti in SMT sarebbe stata «Sempre con te», lanciata il 20 marzo 2017, e pertanto la durata dell’infrazione potrebbe includere solo il «periodo settembre 2015 – maggio 2017» (incorrendo però, ad avviso delle odierne appellanti, in un errore: come statuito a chiare lettere nella motivazione della sentenza, l’abuso avrebbe dovuto decorrere dal 20.3.2017 e sarebbe, quindi, durato al più circa due mesi);

ii) riguardo al secondo aspetto, l’Autorità, sulla base delle proprie Linee Guida sulle sanzioni amministrative pecuniarie, avrebbe dovuto utilizzare come base del calcolo della sanzione il fatturato dell’ultimo anno intero della presunta infrazione: quello del 2016, quindi, non del 2017.

In ottemperanza alla predetta sentenza, l’Autorità, con provvedimento n. 28001 del 27 novembre 2019, rideterminava l’importo della sanzione in € 27.529.786,46.

4.1.– Con sentenza n. 11957 del 2019, il Tribunale Amministrativo regionale rigettava invece integralmente il ricorso proposto da Enel, confermando anche in punto di sanzione il provvedimento dell’Autorità.

5.– Avverso le predette sentenze hanno proposto separatamente appello le società sanzionate, chiedendo l’annullamento integrale del provvedimento sanzionatorio o, in via gradata, un’ulteriore riduzione della sanzione.

Le sentenze n. 11954 del 2019 e n. 11951 del 2019 sono state appellate anche dall’Autorità in via incidentale per le parti di rispettiva soccombenza.

5.1.– I motivi di appello ripropongono in sostanza le censure proposte in primo grado sia pure adattate all’impianto motivazione della sentenza gravata, e segnatamente:

a) mancherebbe sia la prova della strategia abusiva, sia la prova della potenziale capacità escludente delle condotte, in quanto:

i) inserire un nominativo in una lista di telemarketingnon sottrarrebbe il consumatore alla concorrenza, non comporterebbe alcun vincolo o impegno di fornitura, né impedirebbe neanche a quest’ultimo di figurare in altre liste, ricevere comunicazioni commerciali, scegliere o cambiare in qualsiasi momento, anche più volte, il proprio fornitore;

ii) il concreto utilizzo delle liste di «consensati» intra-gruppo al fine di proporre offerte dedicate ai clienti serviti in MT per favorirne il passaggio al ML sarebbe chiaramente inidoneo a produrre gli effetti identificati dal provvedimento di procacciare un rapido e massiccio passaggio di decine di milioni di clienti da SEN a EE; infatti, tra marzo e maggio 2017, nei soli due mesi intercorsi tra il lancio dell’offerta “Sempre con Te” dedicata agli utenti in SMT e la chiusura del canale di teleselling outbound, EE ha acquisito mediante l’uso delle Liste SEN appena 478 clienti (ossia lo 0,002% degli utenti SEN e lo 0,001% delle utenze elettriche);

iii) l’Autorità non avrebbe neppure preso in considerazione le evidenze economiche addotte dalle imprese sanzionate per dimostrare che la condotta contestata non era idonea a generare alcun effetto restrittivo della concorrenza e, in concreto, non ne ha prodotto alcuno;

iv) la performance positiva di EE nelle acquisizioni di clienti in SMT sarebbero riconducibile a due fattori, entrambi leciti, in grado di fornire una spiegazione alternativa e ben più convincente di quella ipotizzata dall’Autorità: le performances nel ML sono migliori per le società dello stesso gruppo cui appartiene l’impresa di distribuzione, nei territori di competenza di quest’ultima, anche se ciò non si traduce automaticamente in una posizione di dominanza; la capacità attrattiva del brand Enel sui clienti in SMT prescinde dalle Liste SEN;

v) le Liste SEN non sarebbero state né strategiche né irreplicabili, data la comprovata ampia disponibilità sul mercato di analoghe liste di clienti in SMT, più complete e a prezzi più bassi delle Liste SEN, nonché in ragione della loro dimensione insignificante, in termini quantitativi, rispetto alla dimensione del mercato e della clientela di SEN; EE non le avrebbe mai utilizzate per proporre offerte dedicate al SMT (dopo due soli mesi dal lancio dell’offerta “Sempre con Te” nel marzo 2017 ha chiuso l’attività di teleselling outbound, precludendosi spontaneamente qualsiasi uso delle Liste SEN); i concorrenti di EE non le avrebbero mai volute, preferendo acquistare altre liste di contatti ampiamente disponibili sul mercato;

vi) Le incongruenze sul piano logico e cronologico non sarebbero sanate dall’accoglimento parziale delle censure di SEN operato dalla sentenza di primo grado, che ha ridotto la durata del presunto illecito al solo periodo settembre 2015 - maggio 2017;

b) l’assenza di contraddittorio sull’accertamento della dominanza;

c) in subordine, l’erroneità nell’aver identificato la durata della condotta in un anno e nove mesi e non, come sostengono le appellanti, nella durata di soli due mesi;

d) Enel contesta poi anche l’utilizzo che l’Autorità ha fatto della presunzione semplice, di matrice giurisprudenziale, che sorregge la c.d. parent company liability: a partire dal 2014, sarebbe stata intrapresa una profonda operazione di ristrutturazione organica del Gruppo, ad esito della quale quest’ultimo avrebbe mutato i propri caratteri; in luogo di un modello fortemente centralizzato, nel quale la holding era stata titolare di un pregnante ruolo di direzione, si sarebbe approdati ad un modello a matrice che, decentrando i processi decisionali, consentirebbe di valorizzare le specificità delle attività in ciascuno dei paesi in cui il Gruppo Enel è attivo; in tale rinnovato contesto organizzativo, la società madre avrebbe assunto la ben più semplice funzione di promuovere sinergie e best practicestra le diverse società operative, dismettendo il proprio ruolo decisionale;

e) la sentenza resa nei confronti di Enel meriterebbe di essere riformata anche per avere il giudice di prime cure respinto integralmente il ricorso, differentemente da quanto fatto nei confronti di SEN e EE con le due coeve sentenze: tenuto conto che la valutazione di responsabilità si fonda su una valutazione complessiva ed inscindibile delle condotte considerate come espressione dell’azione unitaria di Enel, EE e SEN, sarebbe illogico un annullamento limitato alla sola posizione delle società operative, escludendo la holding dai suoi effetti.

6.– I ricorsi in epigrafe vanno riuniti per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.– L’articolo 102 del TFUE (exart. 82 del trattato CE) vieta, «nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo» (l’art. 3 della legge italiana n. 287 del 1990 ne ricalca il contenuto, stabilendo che «è vietato l’abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante […]».

La giurisprudenza europea e le comunicazioni della Commissione hanno più volte sottolineato che non è di per sé illegale che un’impresa sia in posizione dominante e che tale impresa dominante ha il diritto (e il dovere) di competere sulla base dei propri meriti. Il divieto concorrenziale trova invece fondamento nella «speciale responsabilità» delle imprese private dotate di un forte potere economico di mercato di non permettere che il suo comportamento ostacoli una concorrenza realmente competitiva e priva di distorsioni nel mercato comune.

In termini strutturali, l’illecito dell’abuso di posizione dominante appare integrato dai seguenti tre elementi di fattispecie: la posizione dominante (individuale o collettiva), lo sfruttamento abusivo della stessa, nonché l’assenza di giustificazioni obiettive (preminenti sugli effetti restrittivi della concorrenza). Dalla decodificazione dei citati concetti giuridici indeterminati dipende la latitudine del controllo su di esse esercitabile da parte dei poteri pubblici.

2.‒ Il concetto di posizione dominante, quale si desume dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (a partire dalla nota pronuncia «Hoffmann-La Roche»), coincide con la definizione – divenuta celeberrima – della «situazione di potenza economica grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato di cui trattasi ed ha la possibilità di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti e, in ultima analisi, dei consumatori» (cfr. ex multis, Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 14 febbraio 1978, C - 27/76, United Brands).

Per comprovare l’esistenza di una posizione dominante vengono solitamente presi in considerazione i seguenti indici indiretti: i) la quota di mercato dell’impresa (sul presupposto che, soltanto ove tale quota sia elevata e detenuta in modo prolungato, la possibilità per i consumatori di rivolgersi altrove per i loro acquisti risulta limitata); ii) le possibilità di espansione dei concorrenti già presenti sul mercato ovvero di ingresso di imprese esterne ad esso; iii) l’eventuale contro-potere degli acquirenti.

Nel caso di specie, il mercato rilevante – da individuarsi di volta in volta in funzione della specifica tipologia di abuso contestata – è stato correttamente individuato:

i) quanto alla dimensione merceologica, nel mercato della vendita al dettaglio di energia elettrica ai clienti finali domestici e non domestici di minori dimensioni, ambito nel quale vengono offerti “beni” tra di loro sostituibili sul versante sia della domanda che dell’offerta;

ii) nella sua dimensione geografica, nel territorio in cui il gruppo Enel detiene una posizione di monopolio legale nel segmento della distribuzione elettrica.

All’interno delle predette coordinate merceologiche e geografiche, la posizione di dominanza del Gruppo Enel – ovvero la sua astratta capacità di ostacolare la concorrenza effettiva attraverso comportamenti indipendenti rispetto a concorrenti e consumatori (nel senso che iniziative di mercato possono essere adottate senza timori di reazioni efficaci) – si desume:

- dalla quota detenuta stabilmente nel mercato di riferimento: il gruppo Enel (attraverso le società dedicate, rispettivamente, alla maggior tutela e al mercato libero) è infatti il principale operatore in tutti i territori comunali di riferimento della propria società di distribuzione elettrica; sull’intera rete di distribuzione gestita da e-distribuzione risulta che il Gruppo Enel nel 2017 ha servito, nelle due modalità in maggior tutela e a libero mercato, l’80/85% dei clienti domestici e il 70/85% dei non domestici, laddove invece il secondo operatore detiene, in entrambi i casi, quote inferiori al 5%; è noto come, secondo la giurisprudenza europea, salvo circostanze eccezionali, una quota superiore al 50% del mercato costituisce già di per sé una prova dell’esistenza di tale posizione; a partire da Corte di giustizia, sentenza 13 febbraio 1979, causa 85/76);

- dal controllo di infrastrutture non replicabili: la società e-distribuzione ha distribuito nel 2016, sia in termini di volumi che di numero di POD serviti, circa l’85% dell’energia elettrica consumata in Italia;

- dal collegamento esistente tra i diversi segmenti coinvolti – quello della distribuzione e quello sul quale si spiegano i presunti effetti restrittivi – tale da porre l’impresa verticalmente integrata in posizione diversificata, e di vantaggio, rispetto ai suoi concorrenti sul mercato, appunto, collegato;

- dalla distanza tra la quota dell’impresa leader e quella dei concorrenti;

- dalla forza finanziaria della struttura verticalmente integrata: in termini generali il gruppo Enel rappresenta il principale player a livello nazionale, con quote in termini di volumi di energia pari a circa il 74% della clientela domestica e il 41% dei clienti business di piccole dimensioni.

In definitiva, quelle appena passate in rassegna, a parere del Collegio, sono tutte condizioni tali da consentire al Gruppo ENEL di determinarsi autonomamente nel mercato e di influire unilateralmente, con il suo comportamento, sulla struttura del mercato medesimo.

3.‒ Con riguardo al secondo elemento di fattispecie, si pongono invece rilevanti problemi interpretativi.

La disposizione del Trattato (come quella nazionale che la recepisce) lascia del tutto imprecisato il concetto di «sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato». Tale difficoltà ermeneutica è solo in parte agevolata dall’esemplificazione, contenuta nello stesso testo dell’art. 102 del TFUE, di alcune delle principali pratiche abusive (frutto per lo più della stratificata elaborazione giurisprudenziale), e in particolare: l’abuso da prezzi o condizioni gravose; l’abuso da preclusione; l’abuso da discriminazione; le pratiche leganti.

Tale elencazione casistica non esaurisce, infatti, le modalità di sfruttamento abusivo di posizione dominante vietate dal diritto dell’Unione europea, cosicché l’incertezza definitoria emerge in tutta la sua complessità in presenza di abusi “atipici”, rispetto ai quali la disposizione non offre parametri di definizione esauriente. Per gli stessi motivi non è di aiuto la distinzione classificatoria tra abuso di sfruttamento (le condotte finalizzate all’estrazione del profitto monopolistico) e di impedimento (le condotte volte a impedire o ostacolare iniziative altrui).

3.1.– Il primo dubbio riguarda la nozione stessa di «sfruttamento abusivo»: se cioè le condotte che lo inverano possano essere di per sé del tutto lecite ed essere qualificate “abusive” unicamente in ragione dell’effetto (potenzialmente) restrittivo ingenerato nel mercato di riferimento; oppure se le stesse condotte debbano essere necessariamente contrassegnate anche da una specifica componente di antigiuridicità oggettiva.

Alla luce della prima opzione ermeneutica – incentrato sull’uso “disfunzionale” di diritti e facoltà, e quindi similmente alla categoria dell’abuso del diritto – sarebbe dirimente, al fine di configurare l’abuso di posizione dominante, il mero discostamento rispetto al comportamento normalmente tenuto dai soggetti sottoposto a pressione concorrenziale: in concreto, una serie di comportamenti, perfettamente leciti se attuati da un’impresa in posizione concorrenziale, diverrebbero abusivi se posti in essere da un’impresa dominante allo scopo di rafforzare la sua posizione.

Nella seconda direzione – che avvicinerebbe l’abuso di posizione dominante al concetto di concorrenza sleale – sembrerebbero invece deporre le sentenze della Corte di Giustizia dove viene censurato il ricorso a «metodi (o mezzi) concorrenziali diversi» da quelli «normali», e dove la concorrenza «falsata» viene contrapposta a quella «fondata sulle prestazioni», in cui cioè i clienti sarebbero portati a scegliere liberamente l’impresa dominante in ragione della superiorità delle sue prestazioni (ex plurimis: Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 6 dicembre 2012 in C-457/10; 27 marzo 2012, in C-209/10).

3.2.– Una seconda notazione riguarda poi il bene giuridico protetto.

Pare di potersi affermare che, mentre l’intesa restrittiva «per oggetto», concretandosi in un’illecita ripartizione del mercato, sia di per sé illecita, senza che sia necessario l’esame dei suoi effetti (ex plurimis, Corte di Giustizia, sentenza del 20 novembre 2008, Beef Industry Development Society e Barry Brothers, C 209/07), per l’abuso di posizione dominante non operi analoga presunzione di abusività delle iniziative di mercato assunte dall’impresa dominante (ed infatti: mentre l’intesa per oggetto è di per sé illecita anche se i prezzi sono equi, nel caso dell’abuso occorre che i prezzi siano iniqui).

Si pone tuttavia il problema di comprendere quale sia l’effetto economico censurato dal divieto di sfruttamento abusivo. Dal fondamento dell’illecito dipendono infatti significative ricadute applicative, e segnatamente:

1) assegnando alla nozione di abuso la funzione di massimizzare il benessere totale e, in particolare, quello dei consumatori, il giudice dovrebbe in qualche modo misurarne la diminuzione in conseguenza del comportamento illecito (in via diretta, comparando il benessere ex ante ed ex post, ovvero utilizzando criteri alternativi quali quello dell’impresa altrettanto efficiente e del sacrificio del profitto);

2) assegnando invece all’illecito concorrenziale il compito soltanto di preservare la struttura concorrenziale del mercato, il giudice dovrebbe astenersi dall’accertare se il comportamento della impresa dominante abbia causato un danno ai consumatori, limitandosi più semplicemente a verificare se il comportamento possa avere conseguenze sulla struttura, sulla varietà, la qualità o l’innovazione.

Sul punto, si registrano prese di posizioni non univoche: la Commissione, con riguardo proprio agli abusi da «preclusione anticoncorrenziale», ha affermato che: «[…] l’attuazione coercitiva delle norme ha lo scopo di garantire che le imprese dominanti non ostacolino lo svolgimento della concorrenza effettiva precludendo il mercato ai loro concorrenti in modo anticoncorrenziale con conseguenti effetti negativi per il benessere dei consumatori, sia in forma di prezzi più elevati di quelli altrimenti vigenti sia in altra forma, ad esempio limitando la qualità o riducendo la scelta dei consumatori» (cfr. Comunicazione 2009/C 45/02); nel senso invece che l’illecito in esame sia orientato alla preservazione della struttura concorrenziale indipendentemente dal danno cagionato ai consumatori, sembrano deporre alcune pronunce della Corte di Giustizia (in particolare i casi 15 marzo 2007, causa C-95/04, “British Airways”; 6 ottobre 2009, cause riunite C-501/06 P, C-513/06 P, C-515/06 P e C-519/06, in “GlaxoSmithKline”; 2 aprile 2009, causa C-202/07, “France Télécom”).

3.3.– Secondo un orientamento che appare consolidato in giurisprudenza, l’illecito dell’abuso di posizione dominante può essere accertato anche in fase preparatoria, prima che abbia prodotto effetti restrittivi (ex plurimis: Tribunale di primo grado, 29 marzo 2012, in C-498/07). A questa stregua, non è necessaria la prova attuale degli effetti dell’abuso, essendo sufficiente la dimostrazione della mera potenzialità dell’effetto restrittivo (ex plurimis: Corte di Giustizia dell’Unione Europea 17 febbraio 2011, causa C-52/09).

Se costituisce un abuso di posizione dominante qualsiasi comportamento consistente, non solo nell’impedire effettivamente, ma anche soltanto nel tentare di impedire che permanga il livello di concorrenza ancora esistente o il suo sviluppo, ciò significa che l’atto idoneo a pregiudicare i concorrenti per un operatore in posizione dominante è di per sé sufficiente a permettere l’accertamento della violazione e l’applicazione dell’apparato sanzionatorio.

Non è tuttavia chiaro se – pur in presenza di un comportamento astrattamente idoneo alla produzione di effetti restrittivi – sia comunque ammessa la prova da parte dell’impresa sanzionata che nessun effetto restrittivo si è “storicamente” realizzato, che cioè la condotta contestata è risultata priva di offensività in concreto. In caso di risposta positiva, se sussista in capo all’Autorità antitrust l’obbligo di riscontrare in maniera puntuale le analisi economiche eventualmente prodotte dalla parte sanzionata per dimostrare la concreta incapacità della condotta oggetto di istruttoria di escludere dal mercato i propri concorrenti.

3.4.‒ Sotto altro profilo, si tratta di capire se l’abuso di posizione dominante sia illecito rilevante esclusivamente sul terreno “oggettivo”, da valutarsi cioè soltanto per i suoi effetti (anche solo potenziali) sul mercato, senza alcun riguardo al movente soggettivo dell’agente; oppure se la prova dell’intento restrittivo costituisca un parametro utilizzabile per valutare l’abusività del comportamento dell’impresa dominante (in tal senso appare orientata la sentenza del Tribunale di primo grado, 30 settembre 2003, causa T-203/01, Manufacture française des pneumatiques Michelin c. Commissione, secondo cui, ai fini dell’applicazione dell’art. 102 TFUE, «la prova in merito all’oggetto e quella relativa all’effetto anticoncorrenziale si confondono. Infatti, se si dimostra che lo scopo perseguito dal comportamento di un’impresa in posizione dominante è di restringere la concorrenza, detto comportamento potrà anche avere tale effetto»; nello stesso senso lo stesso Tribunale di primo grado 30 gennaio 2007, causa T-340/03, France Télécom SA c. Commissione).

Adottando questa seconda opzione interpretativa, occorre capire se la prova dell’intento abusivo debba essere considerata sufficiente a ricondurre al comportamento gli effetti anticoncorrenziali contestati, oppure se essa valga soltanto a ribaltare l’onere della prova in capo all’impresa dominante (la quale sarebbe onerata a questo punto, di fornire la prova che l’effetto escludente è invece mancato).

3.5.– Come si è visto sopra, la posizione dominante presupposta nel presente giudizio riguarda una pluralità di imprese appartenenti al medesimo gruppo societario che, per quanto giuridicamente indipendenti l’una dall’altra, dal punto di vista economico si presentano nel mercato di riferimento come un’entità collettiva. È l’art. 102 del TFUE, del resto, a prevedere espressamente che una posizione dominante possa essere detenuta collettivamente (o congiuntamente) da più imprese.

L’abuso di posizione dominante collettiva realizzato da un gruppo societario suscita il seguente ulteriore quesito probatorio.

In particolare, si tratta di capire se l’appartenenza al medesimo gruppo sia sufficiente per presumere che anche le imprese che non abbiano posto in essere la condotta abusiva abbiano concorso nell’illecito – cosicché all’Autorità di vigilanza sarebbe sufficiente dimostrare un parallelismo cosciente sia pure non collusivo delle imprese operanti all’interno del gruppo collettivamente dominante – oppure se (al pari di quanto accade per il divieto di intese) occorra comunque fornire la prova, anche indiretta, di una situazione concreta di coordinamento e strumentalità tra le varie imprese del gruppo in posizione dominante, in particolare al fine di dimostrare il coinvolgimento della casa madre.

4.– Le questioni sopra svolte hanno una diretta ricaduta sulla fattispecie oggetto del presente giudizio.

4.1.– Secondo l’impostazione accusatoria, l’abuso di posizione dominante posto in essere dal Gruppo Enel si innesta su un duplice vantaggio: da una parte l’accesso privilegiato all’informazione e dall’altro la percezione, da parte del consumatore, di una sostanziale continuità tra le forniture in maggior tutela e quelle offerte dalle società di vendita collegate.

L’abuso perpetrato dal Gruppo Enel, finalizzato a indurre gli utenti del servizio di maggior tutela a passare sul mercato libero, sarebbe consistito nel trasferimento dei contatti dei propri clienti in maggior tutela tramite SEN (l’esclusiva disponibilità di anagrafiche di clienti del servizio di maggior tutela) alla controllata Enel Energia, a condizioni non accessibili ai concorrenti. Il movente e le circostanze sarebbero ben precisi: l’abuso è stato posto in essere nel peculiare periodo di transizione dalla maggior tutela al mercato libero.

L’escamotage adottato dal Gruppo Enel per operare tale trasferimento sarebbe stata la richiesta di una doppia liberatoria per la privacy: una legata alla condivisione dei dati personali intra-gruppo, l’altra verso terze parti. L’acquisizione del consenso dei clienti della maggior tutela allo sfruttamento commerciale dei propri dati personali sarebbe avvenuta in modalità differenziata e discriminatoria. Andrebbe considerato infatti che il cliente è di fatto indotto a ritenere che il rilascio del primo consenso sia necessario e funzionale alla gestione del rapporto in essere con il proprio fornitore e tende pertanto a fornirlo, negando invece quello rivolto ad altri operatori. Tale differenziazione, in particolare, avrebbe portato alla logica conseguenza di ottenere un consenso allo sfruttamento per finalità commerciali anche da parte di società estranee al perimetro del gruppo pari al solo 30% dei consensi privacy per finalità commerciali complessivamente acquisiti. In questo modo, SEN ha ristretto quantitativamente rispetto a quelli accessibili ad ENEL Energia, il numero delle anagrafiche dei clienti accessibili agli operatori concorrenti lasciando potenzialmente a questi ultimi solo una limitatissima parte di dati.

La strategia escludente si sarebbe poi concretizzata nell’utilizzo da parte di Enel Energia di tali anagrafiche per la commercializzazione di specifiche offerte dedicate alla clientela ancora servita in maggior tutela, fra le quali da ultimo l’offerta “Sempre con te”. Tali anagrafiche, essenziali per EE, hanno consentito di sviluppare azioni commerciali mirate, tese a far transitare internamente il cliente dal MT al ML.

4.2.– Nella vicenda controversa risulta quindi che:

- quello contestato è un abuso escludente “atipico”, in quanto volto ad impedire la crescita o la diversificazione dell’offerta di impresa concorrente;

- la condotta posta in essere dal Gruppo Enel è di per sé lecita (sul piano civilistico), in quanto non è stata contestata la violazione di alcuna specifica norma sul trattamento dei dati personali e le liste SEN risultano essere state acquistate a prezzo di mercato;

- l’intero tema istruttorio ruota intorno alla verifica se la condotta dell’impresa dominante rivesta o meno un grado significativo di offensività, tale da essere in grado di perseguire l’intento di escludere gli altri operatori presenti nel mercato libero attraverso lo svuotamento della base clienti servita in maggior tutela (offensività concreta contestata dalle imprese del gruppo Enel, sulla base dei seguenti rilievi: l’unico canale acquisitivo che consentiva l’utilizzo delle Anagrafiche era il teleselling outboundche rappresenta tipicamente uno dei canali meno performanti; l’offerta “Sempre con te” non prevedeva nessuna durata minima del rapporto contrattuale per cui ciascun cliente, avuta notizia di un’offerta commerciale più favorevole, avrebbe potuto cambiare operatore in qualsiasi momento; Enel Energia aveva concretamente utilizzato le Anagrafiche per la proposizione dell’offerta “Sempre con te” solo dal 20 marzo 2017 al 1° giugno 2017; gli aderenti all’offerta “Sempre con te” contattati mediante le liste SEN erano stati in tutto appena 478, pari allo 0,002% circa degli utenti SEN);

- le parti hanno prodotto nel corso del procedimento antitrust studi economici volti a dimostrare che la propria condotta non aveva in concreto prodotto effetti escludenti;

- l’Autorità ha raccolto materiale istruttorio (soprattutto scambio e-mail) al fine di dimostrare l’esistenza della volontà strategica del gruppo di neutralizzare il più possibile gli esiti del superamento del sistema di maggior tutela;

- la tesi dell’Autorità – secondo cui il gruppo ENEL aveva continuato a godere sia di una osmosi informativa intra-gruppo, sia di una struttura unitaria, quanto meno ai vertici, tali da rendere credibile che le informazioni venissero scambiate e le opzioni venissero decise a livello integrato – viene contestata da Enel sul presupposto che, a partire dal 2014, sarebbe stata intrapresa una profonda operazione di ristrutturazione organica del Gruppo, ad esito della quale la società madre avrebbe assunto la ben più semplice funzione di promuovere sinergie e best practicestra le diverse società operative, dismettendo il proprio ruolo decisionale.

5.– Le questioni interpretative sopra svolte hanno dunque portata dirimente ai fini della soluzione della presente controversia, e non constano allo stato prese di posizione univoche da parte della Corte di Giustizia. Emerge, pertanto, la necessità di deferire l’affare alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 TFUE. L’ordinamento dell’Unione Europea, privo di un autonomo sistema di tutela giurisdizionale, affida a questo fondamentale meccanismo di “coordinamento”, il compito di assicurare l’uniforme applicazione ed interpretazione delle norme di sua derivazione e di supportare il lavoro dei giudici nazionali (cfr. ex plurimis: Corte di Giustizia UE, 27 febbraio 2018, C-64/16, Associação Sindical dos Juízes Portugueses c. Tribunal de Contas, par. 32).

Pertanto, si formulano alla Corte di Giustizia i seguenti quesiti:

1) Se le condotte che inverano lo sfruttamento abusivo di posizione dominate possano essere di per sé del tutto lecite ed essere qualificate “abusive” unicamente in ragione dell’effetto (potenzialmente) restrittivo ingenerato nel mercato di riferimento; oppure se le stesse debbano essere contrassegnate anche da una specifica componente di antigiuridicità, costituita dal ricorso a «metodi (o mezzi) concorrenziali diversi» da quelli «normali»; in quest’ultimo caso, sulla base di quali criteri si possa stabilire il confine tra la concorrenza «normale» e quella «falsata»;

2) Se la funzione dell’abuso sia di massimizzare il benessere dei consumatori, di cui il giudice debba misurare l’avvenuta (o il pericolo di) diminuzione; oppure se l’illecito concorrenziale abbia il compito di preservare di per sé la struttura concorrenziale del mercato, al fine di scongiurare la creazione di aggregazioni di potere economico ritenute comunque dannose per la collettività;

3) Se, in caso di abuso di posizione dominante consistito nel tentare di impedire che permanga il livello di concorrenza ancora esistente o il suo sviluppo, l’impresa dominante sia comunque ammessa a provare che – nonostante l’astratta idoneità dell’effetto restrittivo – la condotta è risultata priva di concreta offensività; se, in caso di risposta positiva, ai fini della valutazione in ordine alla sussistenza di un abuso escludente atipico, l’articolo 102 TFUE vada interpretato nel senso di ritenere sussistente in capo all’Autorità l’obbligo di esaminare in maniera puntuale le analisi economiche prodotte dalla parte sulla concreta capacità della condotta oggetto di istruttoria di escludere dal mercato i propri concorrenti;

4) Se l’abuso di posizione dominante debba valutarsi soltanto per i suoi effetti (anche soltanto potenziali) sul mercato, senza alcun riguardo al movente soggettivo dell’agente; oppure se la dimostrazione dell’intento restrittivo costituisca un parametro utilizzabile (anche in via esclusiva) per valutare l’abusività del comportamento dell’impresa dominante; oppure ancora se tale dimostrazione dell’elemento soggettivo valga soltanto a ribaltare l’onere della prova in capo all’impresa dominante (la quale sarebbe onerata, a questo punto, di fornire la prova che l’effetto escludente è mancato);

5) Se, in ipotesi di posizione dominante riferita una pluralità di imprese appartenenti al medesimo gruppo societario, l’appartenenza al predetto gruppo sia sufficiente per presumere che anche le imprese che non abbiano posto in essere la condotta abusiva abbiano concorso nell’illecito – cosicché all’Autorità di vigilanza sarebbe sufficiente dimostrare un parallelismo cosciente, sia pure non collusivo, delle imprese operanti all’interno del gruppo collettivamente dominante – oppure se (al pari di quanto accade per il divieto di intese) occorra comunque fornire la prova, anche indiretta, di una situazione concreta di coordinamento e strumentalità tra le varie imprese del gruppo in posizione dominante, in particolare al fine dimostrare il coinvolgimento della casa madre.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta),

VISTO l’art. 267 del TFUE e l’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia delle Comunità europee;

VISTO l’art. 3 della legge 13 marzo 1958, n. 204;

VISTE le “Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale” (2019/C 380/01);

RIMETTE alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale indicata in motivazione;

SOSPENDE i giudizi riuniti fino alla definizione della questione pregiudiziale;

DISPONE che copia conforme all’originale della presente ordinanza, unitamente a copia integrale dei fascicoli delle cause riunite, sia trasmesso, in plico raccomandato, alla Cancelleria della Corte di Giustizia dell’Unione Europea;

RISERVA alla sentenza definitiva ogni ulteriore pronuncia, anche in ordine alle spese ed onorari dei presenti giudizi riuniti.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2020 con l’intervento dei magistrati:

Sergio De Felice, Presidente

Diego Sabatino, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere, Estensore

Guida alla lettura

Con recente ordinanza n. 4646 dello scorso 20 luglio la VI sezione del Consiglio di Stato ha deferito alla Corte di Giustizia diversi quesiti giuridici (come innanzi meglio indicati) afferenti alle condotte che si sostanziano in abuso di posizione dominate. 

L’analisi avanzata dal Collegio trae avvio dalle fonti (europea e nazionale) che si occupano dello sfruttamento abusivo, in specie vietando lo stesso(artt, 102 TFUEexart. 82 Trattato CE – e 3 l. n. 287/1990, i quali rispettivamente statuiscono che è fatto divieto «nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo» e che «è vietato l’abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante […]»).

L’indicato divieto di condotte di sfruttamento abusivo della posizione dominante, invero, non “va confuso”, a parere dei Giudici, con una più generica presenza di posizione dominante di un’impresa: “non è di per sé illegale che un’impresa sia in posizione dominante e che tale impresa dominante ha il diritto (e il dovere) di competere sulla base dei propri meriti. Il divieto concorrenziale trova invece fondamento nella «speciale responsabilità» delle imprese private dotate di un forte potere economico di mercato di non permettere che il loro comportamento ostacoli una concorrenza realmente competitiva e priva di distorsioni nel mercato comune”.

Il concetto di posizione dominante, quale si desume dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (a partire dalla nota pronuncia «Hoffmann-La Roche»), coincide con la definizione- divenuta celeberrima - della «situazione di potenza economica grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato di cui trattasi ed ha la possibilità di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti e, in ultima analisi, dei consumatori»(cfr. ex multis, Corte giust. UE, 14 febbraio 1978, in causa C-27/76).

Per comprovare l’esistenza di una posizione dominante vengono solitamente presi in considerazione i seguenti indici indiretti: i) la quota di mercato dell’impresa(sul presupposto che, soltanto ove tale quota sia elevata e detenuta in modo prolungato, la possibilità per i consumatori di rivolgersi altrove per i loro acquisti risulta limitata); ii) le possibilità di espansione dei concorrenti già presenti sul mercato ovvero di ingresso di imprese esterne ad esso; iii)l’eventuale contro-potere degli acquirenti.

Come innanzi precisato le disposizioni normative del Trattato e nazionale di recepimento vietano il “solo” sfruttamento abusivo della posizione dominante. Dal punto di vista strutturale l’illecito dell’abuso di posizione dominante appare integrato dai seguenti tre elementi di fattispecie: i) la posizione dominante (individuale o collettiva); ii) lo sfruttamento abusivo della stessa; iii) l’assenza di giustificazioni obiettive(preminenti sugli effetti restrittivi della concorrenza). Dalla decodificazione dei citati concetti giuridici indeterminati che, dunque, aprono la strada all’esercizio di un potere discrezionale tecnico da parte dell’Autorità amministrativa di settore, dipende la latitudine del controllo esercitabile da parte dei poteri pubblici.

Con riguardo al secondo elemento di fattispecie, che invero costituisce il fulcro intorno al quale rotea l’intero illecito abusivo, si pongono rilevanti problemi interpretativi, tenuto conto che di esso non è dato riscontrare alcuna definizione normativa. Tale difficoltà ermeneutica è solo in parte agevolata dall’esemplificazione, contenuta nello stesso testo dell’art. 102 del TFUE, di alcune delle principali pratiche abusive (frutto per lo più della stratificata elaborazione giurisprudenziale), e in particolare: l’abuso da prezzi o condizioni gravose; l’abuso da preclusione; l’abuso da discriminazione; le pratiche leganti. Tale elencazione casistica non esaurisce, infatti, le modalità di sfruttamento abusivo di posizione dominante vietate dal diritto dell’Unione europea, cosicché l’incertezza definitoria emerge in tutta la sua complessità in presenza di abusi “atipici”, rispetto ai quali la disposizione non offre parametri di definizione esauriente. Per gli stessi motivi non è di aiuto la distinzione classificatoria tra abuso di sfruttamento (le condotte finalizzate all’estrazione del profitto monopolistico) e di impedimento (le condotte volte a impedire o ostacolare iniziative altrui).

Ecco, allora, che speciale rilievo assume l’analisi dei differenti quesiti che sorgono in materia, così da diradare foschie particolarmente insidiose in fase applicativa.

Il primo dubbio riguarda la nozione stessa di «sfruttamento abusivo»: se cioè le condotte che lo inverano possano essere di per sé del tutto lecite ed essere qualificate “abusive” unicamente in ragione dell’effetto (potenzialmente) restrittivo ingenerato nel mercato di riferimento; oppure se le stesse condotte debbano essere necessariamente contrassegnate anche da una specifica componente di antigiuridicità oggettiva.

Alla luce della prima opzione ermeneutica - incentrata sull’uso “disfunzionale” di diritti e facoltà, e quindi similmente alla categoria dell’abuso del diritto - sarebbe dirimente, al fine di configurare l’abuso di posizione dominante, il mero discostamento rispetto al comportamento normalmente tenuto dai soggetti sottoposti a pressione concorrenziale: in concreto, una serie di comportamenti, perfettamente leciti se attuati da un’impresa in posizione concorrenziale, diverrebbero abusivi se posti in essere da un’impresa dominante allo scopo di rafforzare la sua posizione. Nella seconda direzione - che avvicinerebbe l’abuso di posizione dominante al concetto di concorrenza sleale - sembrerebbero invece deporre le sentenze della Corte di Giustizia dove viene censurato il ricorso a «metodi (o mezzi) concorrenziali diversi» da quelli «normali», e dove la concorrenza «falsata» viene contrapposta a quella «fondata sulle prestazioni», in cui cioè i clienti sarebbero portati a scegliere liberamente l’impresa dominante in ragione della superiorità delle sue prestazioni (in termini, ex plurimis, Corte giust. UE, 6 dicembre 2012 in causa C-457/10; Id., 27 marzo 2012, in causa C-209/10).

Una seconda notazione riguarda poi il bene giuridico protetto.

Pare di potersi affermare che, mentre l’intesa restrittiva «per oggetto», concretandosi in un’illecita ripartizione del mercato, sia di per sé illecita, senza che sia necessario l’esame dei suoi effetti(così, Corte giust. UE, 20 novembre 2008, in causa C 209/07), per l’abuso di posizione dominante non operi analoga presunzione di abusività delle iniziative di mercato assunte dall’impresa dominante (e infatti, ricorda la Corte, “mentre l’intesa per oggetto è di per sé illecita anche se i prezzi sono equi, nel caso dell’abuso occorre che i prezzi siano iniqui”).

Si pone tuttavia il problema di comprendere quale sia l’effetto economico censurato dal divieto di sfruttamento abusivo. Dal fondamento dell’illecito dipendono infatti significative ricadute applicative, e segnatamente: 1) assegnando alla nozione di abuso la funzione di massimizzare il benessere totale e, in particolare, quello dei consumatori, il giudice dovrebbe in qualche modo misurarne la diminuzione in conseguenza del comportamento illecito(in via diretta, comparando il benessere ex anteed ex post,ovvero utilizzando criteri alternativi quali quello dell’impresa altrettanto efficiente e del sacrificio del profitto); 2) assegnando invece all’illecito concorrenziale il compito soltanto di preservare la struttura concorrenziale del mercato, il giudice dovrebbe astenersi dall’accertare se il comportamento della impresa dominante abbia causato un danno ai consumatori, limitandosi più semplicemente a verificare se il comportamento possa avere conseguenze sulla struttura, sulla varietà, la qualità o l’innovazione.

Secondo un orientamento che appare consolidato in giurisprudenza, poi, l’illecito dell’abuso di posizione dominante può essere accertato anche in fase preparatoria, prima che abbia prodotto effetti restrittivi(ex plurimisTrib. primo grado, 29 marzo 2012, in causa T-498/07). A questa stregua, non è necessaria la prova attuale degli effetti dell’abuso, essendo sufficiente la dimostrazione della mera potenzialità dell’effetto restrittivo(in termini Corte giust. UE, 17 febbraio 2011, in causa C-52/09). Se costituisce un abuso di posizione dominante qualsiasi comportamento consistente non solo nell’impedire effettivamente, ma anche soltanto nel tentare di impedire che permanga il livello di concorrenza ancora esistente o il suo sviluppo, ciò significa che l’atto idoneo a pregiudicare i concorrenti per un operatore in posizione dominante è di per sé sufficiente a permettere l’accertamento della violazione e l’applicazione dell’apparato sanzionatorioNon è tuttavia chiaro se - pur in presenza di un comportamento astrattamente idoneo alla produzione di effetti restrittivi - sia comunque ammessa la prova da parte dell’impresa sanzionata che nessun effetto restrittivo si è “storicamente” realizzato, che cioè la condotta contestata è risultata priva di offensività in concreto. In caso di risposta positiva, se sussista in capo all’Autorità antitrust l’obbligo di riscontrare in maniera puntuale le analisi economiche eventualmente prodotte dalla parte sanzionata per dimostrare la concreta incapacità della condotta oggetto di istruttoria di escludere dal mercato i propri concorrenti.

Sotto altro profilo, poi, si tratta di capire se l’abuso di posizione dominante sia illecito rilevante esclusivamente sul terreno “oggettivo”, da valutarsi cioè soltanto per i suoi effetti (anche solo potenziali) sul mercato, senza alcun riguardo al movente soggettivo dell’agente; oppure se la prova dell’intento restrittivo costituisca un parametro utilizzabile per valutare l’abusività del comportamento dell’impresa dominante(in tal senso appare orientata la sentenza del Tribunale di primo grado, 30 settembre 2003, in causa T-203/01, secondo cui, ai fini dell’applicazione dell’art. 102 TFUE, “la prova in merito all’oggetto e quella relativa all’effetto anticoncorrenziale si confondono. Infatti, se si dimostra che lo scopo perseguito dal comportamento di un’impresa in posizione dominante è di restringere la concorrenza, detto comportamento potrà anche avere tale effetto”; nello stesso senso lo stesso Tribunale di primo grado, 30 gennaio 2007, in causa T-340/03). Adottando questa seconda opzione interpretativa, occorre capire se la prova dell’intento abusivo debba essere considerata sufficiente a ricondurre al comportamento gli effetti anticoncorrenziali contestati, oppure se essa valga soltanto a ribaltare l’onere della prova in capo all’impresa dominante(la quale sarebbe onerata a questo punto, di fornire la prova che l’effetto escludente è invece mancato).

Ultimo aspetto da analizzare attiene all’ipotesi in cui la posizione dominante riguarda una pluralità di imprese appartenenti al medesimo gruppo societario che, per quanto giuridicamente indipendenti l’una dall’altra, dal punto di vista economico si presentano nel mercato di riferimento come un’entità collettiva. Al riguardo va premesso che è lo stesso art. 102 del TFUE a prevedere espressamente che una posizione dominante possa essere detenuta collettivamente (o congiuntamente) da più imprese. In casi quale quello in oggetto, sorge l’ulteriore quesito probatorio. In particolare, si tratta di capire se l’appartenenza al medesimo gruppo sia sufficiente per presumere che anche le imprese che non abbiano posto in essere la condotta abusiva abbiano concorso nell’illecito- cosicché all’Autorità di vigilanza sarebbe sufficiente dimostrare un parallelismo cosciente sia pure non collusivo delle imprese operanti all’interno del gruppo collettivamente dominante - oppure se (al pari di quanto accade per il divieto di intese) occorra comunque fornire la prova, anche indiretta, di una situazione concreta di coordinamento e strumentalità tra le varie imprese del gruppo in posizione dominante, in particolare al fine di dimostrare il coinvolgimento della casa madre.