Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 1182 del 20 febbraio 2019

Il diniego di iscrizione nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori (white list) non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa è disciplinato dagli stessi principi che regolano l’interdittiva antimafia, in quanto si tratta di misure volte alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica amministrazione.

Non è ostativo al diniego di iscrizione alla white liste la circostanza che la società che ha presentato la relativa istanza abbia costituito una associazione antiracket.

 

 

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6145 del 2018, proposto dalla -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Felice Laudadio e Ferdinando Scotto presso il cui studio in Roma, via Valadier n. 44 è elettivamente domiciliata, 

contro

la Prefettura di Modena e il Ministero dell’interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, 

per la riforma

della sentenza del Tar Emilia Romagna, sede di Bologna, sez. I, n. -OMISSIS-, che ha respinto il ricorso proposto per l’annullamento della nota del -OMISSIS-, con la quale la Prefettura di Modena ha respinto la domanda della società ricorrente di iscrizione nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa (c.d. white list) con contestuale adozione di informazione interdittiva antimafia in danno della stessa società.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Prefettura di Modena e del Ministero dell’interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2019 il Cons. Giulia Ferrari e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. La -OMISSIS-, società con sede in Milano operante nel settore delle attività edili e connesse, ha impugnato dinanzi al Tar Emilia Romagna, sede di Bologna, la nota del -OMISSIS-, con la quale la Prefettura di Modena ha respinto la domanda della società ricorrente di iscrizione nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa (c.d. white list) con contestuale adozione di informazione interdittiva antimafia in danno della stessa società.

2. Avverso la sentenza della sez. I del Tar Bologna n. -OMISSIS-, che ha respinto il ricorso, in data 9 luglio 2018 la società -OMISSIS-ha notificato atto di appello, depositato il successivo 26 luglio, deducendo:

a) Error in procedendo et in judicando – Violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 159 del 2016 – Omesso/erroneo esame di un punto decisivo della controversia - Irragionevolezza - Illogicità - Ingiustizia manifesta - Violazione di legge ai sensi dell’art. 21, l. n. 241 del 1990 - Violazione art. 23 dichiarazione universale dei diritti umani - Violazione artt. 4, 27, 113 Cost..

Erroneamente il Tar ha fondato la propria statuizione, in primis, sull’erronea valutazione effettuata dalla Prefettura del rapporto tra il sig. -OMISSIS-, ritenuto in contatto con alcuni esponenti di clan malavitosi della Regione Campania, e i titolari della-OMISSIS-, società che invece opera nelle Regioni del Nord Italia, in particolare in Emilia Romagna.

La società in questione, oggi colpita da interdittiva antimafia ai sensi del d.lgs. n. 159 del 2016, è amministrata dai signori -OMISSIS-, -OMISSIS-e -OMISSIS-, quest’ultimo procuratore della ditta, divenuti vittime della drastica misura adottata dal Prefetto di Modena che ha impedito illegittimamente lo svolgersi dell’attività di impresa.

Il giudizio di permeabilità mafiosa a danno dei sig.ri -OMISSIS-e -OMISSIS-, dunque, poggia essenzialmente sulla relazione che questi ultimi avrebbero intrattenuto con il sig. -OMISSIS-, accusato di essere in contatto con-OMISSIS-, noto capoclan del Napoletano che gestirebbe e influenzerebbe gli affari imprenditoriali di zona, in particolare con riferimento alla concessione di pubbliche commesse ed appalti. La sentenza richiama “rapporti economici” tra il -OMISSIS- e il -OMISSIS-, rapporti invece inesistenti. Aggiungasi che i titolari di -OMISSIS-sono stati promotori di denunce contro diversi esponenti di clan mafiosi e contro il noto-OMISSIS-.

b) Error in procedendo et in judicando in relazione al d.lgs. n. 159 del 2016 – Omesso/erroneo esame di un punto decisivo della controversia – Irragionevolezza – Illogicità – Ingiustizia – Manifesta violazione di legge ai sensi dell’art. 21, l. n. 241 del 1990 – Violazione art. 23 dichiarazione universale dei diritti umani – Violazione artt. 4, 27 e 113 Cost..

Nella ricostruzione effettuata dal Prefetto di Modena, la cessione del ramo aziendale -OMISSIS-originariamente in proprietà del sig. -OMISSIS-, in favore dell’impresa-OMISSIS-, rappresenterebbe l’elemento paradigmatico e determinante l’arbitrario giudizio sull’impresa destinataria di informativa antimafia ex d.lgs. n. 159 del 2016. Tale convincimento scaturisce da una serie di intercettazioni ambientali e telefoniche da cui emergerebbe l’intento criminoso del sig. -OMISSIS- - inibito a causa di interdittiva antimafia inflitta alla propria impresa -OMISSIS-- di avvalersi di -OMISSIS-per partecipare a gare pubbliche.

È dirimente che non esistono intercettazioni ambientali e telefoniche compromettenti a carico dei soci della -OMISSIS- o che facciano emergere finanche la percezione di attuare il disegno criminoso proposto dal -OMISSIS-. Analoga deduzione viene svolta a pag. 22 dell’atto interdittivo, laddove rileva il convincimento circa l’esistenza di “una strategia commerciale comune”.

Tuttavia alcun riferimento, finanche indiziario a fatti e/o elementi oggettivamente sintomatici della dedotta “strategia commerciale comune”, viene riportato – perché inesistente – nell’interdittiva: tutto è circoscritto a mera congettura.

c) Error in procedendo et in judicando in relazione al d.lgs. n. 159 del 2016 – Omesso/erroneo esame di un punto decisivo della controversia – Irragionevolezza –Illogicità – Ingiustizia manifesta – Violazione di legge ai sensi dell’art. 21, l. n. 241 del 1990 – Violazione art. 23 dichiarazione universale dei diritti umani – Violazione artt. 4, 27 e 113 Cost.

L’antinomia più eclatante del caso di specie attiene all’accusa di costituzione di una simulata associazione antiracket da parte dei soci della -OMISSIS- avente l’unico scopo di accreditarsi l’opinione pubblica e le forze dell’ordine, secondo una strategia suggerita dallo stesso-OMISSIS- e celando, in questo modo, la “vera natura” della società.

E’ logicamente inconcepibile che i titolari della -OMISSIS- – persone che hanno denunziato estorsioni, hanno dato impulso a processi penali contro esponenti di noti clan mafiosi compreso lo stesso-OMISSIS- – abbiano potuto istituire una associazione antiracket con scopi fraudolenti, anche solo ed esclusivamente per accreditarsi l’opinione pubblica, operando contro ogni tipo di logica comportamentale etica e psicologica.

3. Si sono costituiti in giudizio la Prefettura di Modena e il Ministero dell’interno, che hanno sostenuto l’infondatezza dell’appello.

4. Alla pubblica udienza del 14 febbraio 2019 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Come esposto in narrativa, è appellata la sentenza del Tar Bologna, sez. I, n. -OMISSIS-, che ha respinto il ricorso proposto per l’annullamento della nota del -OMISSIS-, con la quale la Prefettura di Modena ha rigettato la domanda della società ricorrente di iscrizione nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori (categorie “demolizione di edifici ed altre strutture, sistemazione del terreno per il cantiere edile; movimenti di terra quali gli scavi, i livellamenti, i riporti del terreno, gli sbancamenti) non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa (c.d. white list), con contestuale adozione di informazione interdittiva antimafia in danno della stessa società.

Va preliminarmente chiarito che il diniego di iscrizione nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa é disciplinato dagli stessi principi che regolano l’interdittiva antimafia, in quanto si tratta di misure volte alla salvaguardia dell'ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica amministrazione (Cons. St., sez. I, 1 febbraio 2019, n. 337; id. 21 settembre 2018, n. 2241).

Ha chiarito la Sezione (24 gennaio 2018, n. 492) che le disposizioni relative all'iscrizione nella cd. white list formano un corpo normativo unico con quelle dettate dal codice antimafia per le relative misure antimafia (comunicazioni ed informazioni), tanto che, come chiarisce l'art. 1, comma 52-bis, della l. n. 190 del 2012, introdotto dall'art. 29, comma 1, d.l. n. 90 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla l. n. 114 del 2014, "l'iscrizione nell'elenco di cui al comma 52 tiene luogo della comunicazione e dell'informazione antimafia liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per la quali essa è stata disposta"; “l'unicità e l'organicità del sistema normativo antimafia vietano all'interprete una lettura atomistica, frammentaria e non coordinata dei due sottosistemi - quello della cd. white list e quello delle comunicazioni antimafia - che, limitandosi ad un criterio formalisticamente letterale e di cd. stretta interpretazione, renda incoerente o addirittura vanifichi il sistema dei controlli antimafia”.

Come di recente ribadito dalla Sezione (30 gennaio 2019, n. 758, riprendendo un ormai consolidato orientamento del giudice di appello), l’informazione antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, ti-OMISSIS-dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa.

Ha aggiunto la Sezione (n. 758 del 2019) che lo stesso legislatore – art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 – ha riconosciuto quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di “eventuali tentativi” di infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”. Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori.

Il pericolo di infiltrazione mafiosa è, dunque, la probabilità che si verifichi l’evento.

L’introduzione delle misure di prevenzione, come quelle qui in esame, è stata dunque la risposta cardine dell’Ordinamento per attuare un contrasto all’inquinamento dell’economia sana da parte delle imprese che sono strumentalizzate o condizionate dalla criminalità organizzata.

Una risposta forte per salvaguardare i valori fondanti della democrazia.

La sopra richiamata funzione di “frontiera avanzata” dell’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come ati-OMISSIS- del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini. E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758).

In tale direzione la verifica della legittimità dell’informativa deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un’ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (qual è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).

Ai fini della sua adozione, da un lato, occorre non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).

Da quanto sopra esposto consegue che anche in relazione al diniego di iscrizione nella white list – iscrizione che presuppone la stessa accertata impermeabilità alla criminalità organizzata – è sufficiente il pericolo di infiltrazione mafiosa fondato su un numero di indizi tale da rendere logicamente attendibile la presunzione dell’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.

2. Prima di passare all’esame dei motivi di appello, il Collegio - prendendo spunto da un accenno fatto nel terzo motivo su un possibile contrasto della disciplina nazionale con l’art. 23 della Dichiarazione universale dei diritti umani e con i principi della Carta costituzionale, per violazione della libertà di impresa - ricorda che la normativa antimafia è espressione della potestà di cui all’art. 117, comma 1, lett. h) …. “ordine pubblico e sicurezza” ed e) … “tutela della concorrenza…” Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale 1 alla CEDU, sul presupposto che la formula elastica adottata dal legislatore per la disciplina delle interdittive antimafia – che consente di procedere in tal senso anche solo su base indiziaria – deve ritenersi quale corretto bilanciamento dei valori coinvolti. Infatti, se da una parte è opportuno fornire adeguata tutela alla libertà di esercizio dell’attività imprenditoriale, dall’altra non può che considerarsi preminente l’esigenza di salvaguardare l’interesse pubblico al presidio del sistema socio-economico da qualsivoglia inquinamento mafioso (Cons. St., sez. III, 9 ottobre 2018, n. 5784). Non vi sono dubbi che l’esigenza di tutela della libertà di tutti i cittadini e di salvaguardia della convivenza democratica sono finalità perfettamente coincidenti con i principi della CEDU, ed anche la formula “elastica” adottata dal legislatore nel disciplinare l’informativa interdittiva antimafia su base indiziaria ha il suo fondamento nella ragionevole esigenza del bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41 Cost. e l’interesse pubblico alla salvaguardia dell’ordine pubblico e alla prevenzione dei fenomeni mafiosi che, del resto, mediante l’infiltrazione nel tessuto economico e nei mercati, compromettono anche – oltre alla sicurezza pubblica – il valore costituzionale di libertà economica, indissolubilmente legato alla trasparenza e alla corretta competizione nelle attività con cui detta libertà si manifesta in concreto nei rapporti tra soggetti dell’ordinamento.

Ha ancora chiarito la Sezione (n. 5784 del 2018) che per quanto poi concerne la "presunzione di non colpevolezza", il giudizio, fondato secondo il criterio del "più probabile che non", costituisce un regola che si palesa "consentanea alla garanzia fondamentale della presunzione di non colpevolezza", di cui all’art. 27, comma 2, Cost., cui è ispirato anche il punto 2 del citato art. 6 CEDU", in quanto "non attiene ad ipotesi di affermazione di responsabilità penale" (Cass. civ., sez. I, 30 settembre 2016, n. 19430). Da molto tempo, infatti, le consorterie di tipo mafioso hanno esportato fuori dai tradizionali territori di origine l’uso intimidatorio della violenza ed hanno creato vere e proprie -OMISSIS-. Si tratta di quelle aree opache nelle quali notoriamente i proventi di attività illecite vengono reinvestiti in imprese formalmente estranee (perché intestate a prestanome “puliti”) e dispersi in una miriade di società collegate da vincoli di vario tipo con l’organizzazione criminale. Il legislatore, allontanandosi dal modello della repressione penale, ha conseguentemente impostato l'interdittiva antimafia come strumento di interdizione e di controllo sociale, al fine di contrastare le forme più subdole di aggressione all'ordine pubblico economico, alla libera concorrenza ed al buon andamento della Pubblica amministrazione. Il carattere preventivo del provvedimento prescinde, quindi, dall'accertamento di singole responsabilità penali, essendo il potere esercitato dal Prefetto espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2015, n. 455; 23 febbraio 2015, n. 898).

3. Fatta questa breve premessa, può passarsi all’esame dell’appello, con il quale la società tenta di minare in radice il presupposto sul quale si fonda l’impugnato diniego di iscrizione nella white list, e cioè la vicinanza del sig. -OMISSIS-, amministratore della-OMISSIS-, al sig. -OMISSIS-, quest’ultimo vicino al sig.-OMISSIS-, capoclan del napoletano. Il provvedimento impugnato in primo grado sarebbe, ad avviso dell’appellante, manifestamente illogico, avendo scambiato una vittima della mafia – quale è la stessa società – con gli artefici dei crimini mafiosi, che soffocano l’economia e, più in generale, la società civile.

I motivi di appello, che per ragioni di ordine logico possono essere esaminati congiuntamente, sono privi di pregio.

Ritiene infatti il Collegio che una visione globale degli “indizi” individuati nell’impugnato diniego di iscrizione siano tali da far ritenere “più probabile che non” la contiguità della società con il Clan dei -OMISSIS-– fazione -OMISSIS-.

In particolare, l’ordinanza di custodia cautelare del 7 luglio 2015, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Napoli in occasione della cd. -OMISSIS-, ha rivelato vicende dell’organizzazione camorristica dei -OMISSIS-, in particolare coinvolgendo 16 soggetti (-OMISSIS- +15), ritenuti, a vario titolo, responsabili di condotte criminose di cui agli artt. 416 bis (associazione di tipo mafioso), 321 in relazione all’art. 319, 7, l. n. 203 del 1991 (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio con raggravante di aver agito al fine di agevolare il sodalizio mafioso), 110, 416 bis (concorso esterno in associazione di tipo mafioso), 326, 7, l. n. 203 del 1991 (rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio con l’aggravante di aver agito al fine di agevolare il sodalizio mafioso), 12 quinquies, d.lgs. n. 356 del 1992, 7, l. n. 203 del 1991 (trasferimento fraudolento dì valori al fine eludere le disposizioni in materia di confisca e di prevenzione, reati commessi con la finalità di agevolare il sodalizio mafioso), 353, 7, l. n. 203 del 1991 (turbata libertà degli incanti con raggravante di aver agito al fine di agevolare il sodalizio mafioso), 7, comma 3, l. n. 195 del 1974, in relazione all’art. 4, l. n. 659 del 1981, 7, l. n. 203 del 1991 (finanziamento illecito ai partiti con l’aggravante di aver agito al fine di agevolare il sodalizio mafioso).

Questa ordinanza – alla quale, contrariamente a quanto si afferma nell’atto di appello, si fa riferimento solo ai fini di assumere elementi di fatto che testimoniano la vicinanza tra -OMISSIS- e -OMISSIS- – si basa sulle intercettazioni ambientali e telefoniche realizzate in e-OMISSIS-immediatamente successiva alla cattura dello storico latitante-OMISSIS- nonché sulle dichiarazioni di collaboratori di giustizia come -OMISSIS-e -OMISSIS-; dalla stessa si evincono rapporti personali ed economici intercorsi tra il sig. -OMISSIS-, procuratore speciale della -OMISSIS- -OMISSIS-, e -OMISSIS-, detto ‘-OMISSIS-’ o ‘-OMISSIS-’, imprenditore nato a -OMISSIS-, ma residente stabilmente a Caserta. Figlio di -OMISSIS-e fratello di -OMISSIS-e -OMISSIS-, è legato da rapporti di parentela con -OMISSIS--OMISSIS-, detto ‘-OMISSIS-‘, cognato di-OMISSIS-.

L’ordinanza cautelare, come correttamente rilevato nell’appello, non afferma l’esistenza di provvedimenti restrittivi della libertà personale degli amministratori della -OMISSIS- -OMISSIS-, ma la stretta vicinanza, emersa in più occasione, tra -OMISSIS- e -OMISSIS-, questi sì oggetto di misura cautelare.

Si evince anche l’operazione di cessione di ramo di azienda tra la società -OMISSIS-interdetta nel 2009 perché riconducibile a-OMISSIS-, il cui legale rappresentante era -OMISSIS-, e la -OMISSIS- -OMISSIS-, operazione che in astratto avrebbe consentito – senza che quindi rilevi il raggiungimento dell’obiettivo perseguito – di aggiudicarsi commesse pubbliche. Dall’intercettazione ambientale del dialogo avvenuto a bordo dell'-OMISSIS-di -OMISSIS- si evince a chiare lettere il disegno del -OMISSIS- – e quindi di -OMISSIS- – di partecipare agli appalti banditi dal Comune di Caserta utilizzando “le credenziali della Ditta del testimone di giustizia -OMISSIS-”, la cui presenza sicuramente avrebbe fugato ogni dubbio sulla liceità della procedura di assegnazione e preannunciando, in caso di aggiudicazione, anche una manifestazione antiracket.

Non rileva, a tal fine, quale sia stato l’oggetto della cessione, essendo interesse primario di -OMISSIS- quello di avvicinarsi a soggetti che agli occhi dell’opinione pubblica passavano come vittime della criminalità organizzata, né che l’accertamento e l’asseveramento della consistenza del ramo d’azienda sia stato fatto da un tecnico nominato dal giudice, essendo determinante solo la volontà di cessione.

Non rileva neanche, per smontare il costrutto argomentativo sul quale si fonda la Prefettura nell’impugnato diniego di iscrizione alla whait liste, la circostanza che i soci della -OMISSIS- -OMISSIS- avessero costituito una associazione antiracket. Si tratta di un nuovo strumento utilizzato dalla mafia per insinuarsi nell’economia del Paese: accreditarsi l’opinione pubblica e le forze dell’ordine, passando per vittima della criminalità organizzata, di cui, invece, si muovono le fila. Lo stesso -OMISSIS- aveva denunciato tentativi di estorsione e aveva detto di essere in animo di costituire una associazione antiracket. Passare per vittima di un reato può essere un ottimo espediente per celare di essere, invece, tra i mandanti dello stesso.

Giova aggiungere che, come emerge dall’ordinanza di custodia cautelare del 7 luglio 2015, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Napoli, la circostanza che gli imprenditori (e tra questi anche -OMISSIS-) versassero una somma al clan non deve apparire distonica rispetto alla ricostruzione sino ad ora operata. Ha chiarito un collaboratore di giustizia che gli imprenditori erano tenuti al mantenimento del clan, anche se con il clan gestivano gli affari e se, grazie allo stesso clan, ricevevano commesse. Si tratta, in sostanza, di un sistema consolidato e radicato, in cui gli imprenditori concorrono in maniera consistente al mantenimento del clan grazie alle tangenti commisurate ai lavori ottenuti. Non è, però, una tangente ‘ti-OMISSIS- quanto, piuttosto, una sorta di corrispettivo che l’imprenditore versa al clan in cambio dell’aggiudicazione dei lavori (veicolata grazie proprio agli appoggi presso la Regione Campania), della protezione del cantiere e della diretta mediazione con il clan del luogo ove i lavori vanno realizzati. E’ una ‘commissione’ per il contratto di agenzia stipulato con il clan di-OMISSIS- che abilita quest’ultimo a trattare con i clan locali (diversi da quello di -OMISSIS-) per facilitare l’esecuzione dei lavori, ossia per impedire la rituale visita di emissari camorristici presso il cantiere per la formulazione della richiesta estorsiva e che legittima il boss di -OMISSIS- a riscuotere la commissione sul lavoro assegnato grazie alle sue influenze sui settori regionali a ciò preposti.

Altro indice rilevatore della vicinanza di -OMISSIS- a -OMISSIS- è l'ospitalità che il primo ha offerto il 28 e il 29 maggio 2013 al secondo, giustificata dall’appellante come evento naturale “che un imprenditore che intenda cedere un ramo della propria azienda abbia un incontro con l’imprenditore che intenda finalizzare tale acquisto. È solo ed esclusivamente questo il motivo per cui è stata data ospitalità al sig. -OMISSIS-: poter definire l’acquisto del ramo aziendale!”. Risulta al Collegio tutt’altro che frequente che per ogni atto di compravendita l’alienante riceva ospitalità dall’acquirente, finalizzata alla stipula dell’atto.

Altro episodio di non secondario rilievo emerge da una intercettazione ambientale tra -OMISSIS- e -OMISSIS-, dal quale si evince che insieme si stavano recando ad una manifestazione antiracket a Mondragone, poi annullata per impervie condizioni atmosferiche.

4. In considerazione della globalità di indizi a riprova di fitta rete di intrecci, cointeressenze economiche e frequentazioni tra almeno un socio della -OMISSIS- -OMISSIS- e un esponente del clan dei -OMISSIS-, l’impugnato provvedimento di esclusione dalla white list, con contestuale adozione di informazione interdittiva, appare sfuggire ai vizi denunciati, con conseguente reiezione dell’appello.

5. Considerata la possibilità che la società -OMISSIS- -OMISSIS- (o i propri rappresentanti, persone fisiche) abbia ricevuto somme di denaro quale vittima del racket, il Collegio manda al Prefetto di Modena di trasmettere, ove già non fatto, gli atti del giudizio alle autorità competenti all’iscrizione al Fondo di rotazione per le vittime della criminalità organizzata e all’eventuale riconoscimento di somme a titolo di danni patrimoniali conferiti ai soci della -OMISSIS- -OMISSIS- per gli episodi estorsivi di cui sarebbero state vittime, per verificare l’effettiva esistenza dei presupposti o la necessità di procedere in autotutela.

6. Non avendo le amministrazioni resistenti depositato propri scritti difensivi in replica ai motivi di appello, le spese e gli onorari del giudizio devono essere compensate tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa tra le parti in causa le spese e gli onorari del grado di giudizio.

Manda alla Segreteria di trasmettere la presente sentenza e gli atti di causa al Prefetto di Modena, per gli adempimenti di competenza, indicati nella parte motiva.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2019

 

 

Guida alla lettura

In linea di continuità con la posizione della I Sezione del Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, sez. I, 1° febbraio 2019, n. 337; Id., 21 settembre 2018, n. 2241), i Giudici della III Sezione, nella pronuncia in commento, hanno affermato che le disposizioni relative all’iscrizione nella cd. white list formano un corpo normativo unico con quelle dettate dal codice antimafia per le relative misure antimafia (comunicazioni ed informazioni), tanto che, come chiarisce l’art. 1, comma 52-bis, L. n. 190 del 2012 - come introdotto dall’art. 29, comma 1, D.l. n. 90 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 114 del 2014 -  “l’iscrizione nell’elenco di cui al comma 52 tiene luogo della comunicazione e dell’informazione antimafia liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per la quali essa è stata disposta”.

Ancora, a parere del Supremo Consesso amministrativo deve affermarsi che “l’unicità e l’organicità del sistema normativo antimafia vietano all’interprete una lettura atomistica, frammentaria e non coordinata dei due sottosistemi - quello della cd. white list e quello delle comunicazioni antimafia - che, limitandosi ad un criterio formalisticamente letterale e di cd. stretta interpretazione, renda incoerente o addirittura vanifichi il sistema dei controlli antimafia”.

L’iscrizione alla cd. white list, dunque, presuppone un’accertata impermeabilità alla criminalità organizzata, ex adverso anche il mero pericolo di infiltrazione mafiosa fondato su un numero di indizi tale da rendere logicamente attendibile la presunzione dell’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata potendo costituire legittimo argomento per negare la predetta iscrizione.

Ha aggiunto la Sezione che la normativa antimafia è espressione della potestà di cui all’art. 117, comma 1, lett. h) …. “ordine pubblico e sicurezza” ed e) … “tutela della concorrenza…” Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale 1 alla CEDU, sul presupposto che la formula elastica adottata dal legislatore per la disciplina delle interdittive antimafia – che consente di procedere in tal senso anche solo su base indiziaria – deve ritenersi quale corretto bilanciamento dei valori coinvolti. Infatti, se da una parte è opportuno fornire adeguata tutela alla libertà di esercizio dell’attività imprenditoriale, dall’altra non può che considerarsi preminente l’esigenza di salvaguardare l’interesse pubblico al presidio del sistema socio-economico da qualsivoglia inquinamento mafioso (in termini Cons. Stato, sez. III, 9 ottobre 2018, n. 5784).

Ora, non sembrano porsi dubbi che l’esigenza di tutela della libertà di tutti i cittadini e di salvaguardia della convivenza democratica sono finalità perfettamente coincidenti con i principi della CEDU, ed anche la formula “elastica” adottata dal legislatore nel disciplinare l’informativa interdittiva antimafia su base indiziaria ha il suo fondamento nella ragionevole esigenza del bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41 Cost. e l’interesse pubblico alla salvaguardia dell’ordine pubblico e alla prevenzione dei fenomeni mafiosi che, del resto, mediante l’infiltrazione nel tessuto economico e nei mercati, compromettono, in uno alla sicurezza pubblica, il valore costituzionale di libertà economica, indissolubilmente legato alla trasparenza e alla corretta competizione nelle attività con cui detta libertà si manifesta in concreto nei rapporti tra soggetti dell’ordinamento.

Quanto poi al profilo della presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27, comma 2 Cost., oltre che all’art. 6 CEDU, il quale parrebbe contrastato dall’applicazione nei ricostruiti termini delle misure interdittive antimafia e dell’iscrizione nella cd. white list,  la Corte ha precisato che trattasi di un principio valevole esclusivamente in ambito penale, non anche, come nell’ipotesi di cui si discute, nel differente settore amministrativo.

Il legislatore, infatti, allontanandosi dal modello della repressione penale, ha impostato l’istituto dell’interdittiva antimafia come strumento di interdizione e di controllo sociale, al fine di contrastare le forme più subdole di aggressione all’ordine pubblico economico, alla libera concorrenza ed al buon andamento della Pubblica amministrazione.

Il carattere preventivo del provvedimento prescinde, quindi, dall’accertamento di singole responsabilità penali, il potere esercitato dal Prefetto costituendo espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata (cfr. Cons. Stato, sez. III, 30 gennaio 2015, n. 455; Id., 23 febbraio 2015, n. 898).

Alla luce di tutto quanto sopra, e venendo ad analizzare più da vicino la vicenda di cui è causa, il Collegio afferma che in plurime occasioni la costituzione di una associazione antiracket ha rappresentato uno strumento utilizzato dalla mafia per insinuarsi nell’economia del Paese, accreditandosi l’opinione pubblica e le forze dell’ordine, passando per vittima della criminalità organizzata, di cui, invece, si muovono le fila.

Passare per vittima di un reato, infatti, può essere un ottimo espediente per celare di essere, al contrario, tra i mandanti dello stesso.

Ne discende consecutivamente la non sufficienza ai fini del diniego di iscrizione nella cd. white list, della costituzione da parte della società richiedente della costituzione di un’associazione antiracket.