Consiglio di Stato, Sez. V 5 febbraio 2018, n. 734

La comunanza dei requisiti di partecipazione previsti per l’attività di trasporto e di smaltimento/recupero dei rifiuti va considerata, per un verso, divergente dal quadro normativo di riferimento e, per altro verso, concretamente ispirata ad una lettura ingiustificatamente restrittiva (non ricorrendo, di fatto, ragioni tecniche o normative che, al cospetto di una legge di gara sul punto non inequivocabile, imponessero di ritenere necessario in capo al soggetto che intendesse eseguire la sola attività di smaltimento/recupero, anche il possesso della qualificazione richiesta per il trasporto), per tale ragione contrastante con il superiore principio del favor partecipationis, il quale deve sempre trovare applicazione in presenza di clausole di gara ambigue, incerte o, comechessia, non univoche.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 603 del 2017, proposto da:
HTR Bonifiche S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale capogruppo mandataria di RTI con Ecoltecnica s.r.l, rappresentata e difesa dagli avvocati Enzo Robaldo, Pietro Ferraris e Maria Stefania Masini, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Roma, alla Via Antonio Gramsci, n. 24;

contro

Ecol-Service S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Alessandro Osnato e Max Diego Benedetti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alessandro Osnato in Milano, alla via Flavio Baracchini, n. 1;

nei confronti di

C.I.M. - Centro Interportuale Merci S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Manuela Sanvido e Giovanni Corbyons, con domicilio eletto presso lo studio Giovanni Corbyons in Roma, alla via Cicerone, n. 44;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Piemonte – Torino, sez. I, n. 1505/2016, resa tra le parti;

FATTO

1.- Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, HTR Bonifiche S.r.l, in proprio e nella qualità di mandataria del costituendo raggruppamento di imprese, impugnava la sentenza, meglio distinta in epigrafe, con la quale il TAR Piemonte aveva accolto il ricorso proposto dalla controinteressata Ecol-Service avverso l’aggiudicazione di un appalto di servizi indetto dalla società Centro Interportuale Merci (di seguito, CIM) avente ad oggetto il carico, trasporto e smaltimento/recupero di pietrisco derivante da ballast presente presso lo scalo ferroviario del centro intermodale da essa gestito.

2.- A sostegno del gravame:

a) premetteva che con bando spedito alla GUCE in data 5 dicembre 2014 CIM aveva indetto una procedura ristretta per l’affidamento, al prezzo più basso, dei “Servizi di carico, trasporto e smaltimento/recupero di pietrisco derivante da ballast presente presso lo scalo ferroviario Novara Boschetto”;

b) puntualizzava che, secondo quanto previsto dal bando (al punto II.2), la prestazione principale del contratto a stipularsi riguardava le attività di trasporto e smaltimento/recupero dei rifiuti, per un quantitativo presunto di 10.800 tonnellate;

c) assumeva che - per quanto considerati congiuntamente dalla stazione appaltante nella definizione della prestazione principale - trasporto e smaltimento/recupero di rifiuti fossero, in realtà, attività ontologicamente e tecnicamente distinte, per il cui svolgimento erano, conseguentemente, richiesti diversi tipologie di mezzi e strutture (segnatamente: camion, motrici e rimorchi scarrabili, per il trasporto; impianti di recupero o discarica, per le attività di recupero o smaltimento), e, di conserva, diversi requisiti di idoneità;

d) precisava che il c.d. ballast (o pietrisco da massicciata) si caratterizzava per la presenza di amianto, la cui attività di bonifica rientrava, per tal via, necessariamente nell’oggetto dell’appalto;

e) esponeva che, all’esito dell’accoglimento della propria domanda di partecipazione e della pedissequa formalizzazione dell’offerta, la stazione appaltante aveva, in prima battuta, avanzato riserve sulla propria composizione e sui requisiti posseduti (unitamente a quelli di altri concorrenti): riserve, peraltro, superate dalla successiva produzione di documentazione integrativa e dalla conseguente “riammissione” in gara;

f) si doleva del fatto che – proposto ricorso dalla controinteressata Ecol-Service s.r.l. avverso l’invito a partecipare alla gara, la propria ammissione alla stessa, la successiva determinazione di riammissione e la definitiva aggiudicazione – i primi giudici lo avessero inopinatamente accolto, nella ritenuta ed avversata carenza dei valorizzati requisiti di qualificazione, peraltro disattendendo anche le proprie preliminari eccezioni di inammissibilità.

3.- Avverso la ridetta statuizione lamentava con plurimo ed articolato mezzo:

a) difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto la società CIM era, di fatto, soggetto privato che gestiva, come tale, un centro intermodale di trasporto e che, conseguentemente, non operava nei settori speciali, di tal che non era asseritamente obbligata ad applicare il codice dei contratti pubblici, con conseguente refluenza della controversia nell’alveo della giurisdizione ordinaria;

b) error in judicando e omessa pronuncia, quanto al disatteso apprezzamento della dedotta inammissibilità del ricorso di primo grado (non essendo stata, in tesi, la propria riammissione in gara ritualmente impugnata con l’atto introduttivo, ma solo per - tardiva - aggiunzione di motivi);

c) violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e travisamento dei presupposti di fatto e falsa applicazione delle norme ambientali: a suo dire, la decisione impugnata si baserebbe su censure non formalmente dedotte dalla ricorrente in primo grado e fonderebbe su un macroscopico errore nella definizione dell’oggetto dell’appalto, avendo ritenuto unitarie, sia sotto il profilo tecnico, sia sotto quello giuridico, o comunque inscindibilmente connesse, le attività di trasporto rifiuti e le attività di recupero e smaltimento, laddove i presupposti tecnici e normativi per il loro svolgimento dovevano riguardarsi quali completamente diversi;

d) error in judicando per violazione e falsa applicazione di legge, in quanto la disciplina di gara non avrebbe affatto previsto – a pena di esclusione – il possesso dei requisiti erroneamente applicati;

e) error in judicando per violazione del principio di massima partecipazione, quanto alla erronea qualificazione dell’iscrizione all’albo nazionale dei gestori ambientali quale requisito di ammissione (piuttosto che mero presupposto per la corretta esecuzione dell’appalto).

4.- Si costituiva in giudizio Ecol-Service s.r.l. che, nel resistere all’avverso gravame, devolutivamente reiterava, ex art. 101 cod. proc. amm., le ragioni di gravame rimaste assorbite in prime cure, con le quali:

a) aveva diffusamente argomentato – ai fini della prospettazione della ritenuta sussistenza della giurisdizione amministrativa – la natura di organismo pubblico di diritto comunitario della stazione appaltante;

b) aveva lamentato la sostanziale e irrituale modifica, per giunta ad opera di soggetti non dotati della relativa competenza, della legge di gara (asseritamente a diretto ed esclusivo vantaggio della controinteressata), in conseguenza della inopinata dequotazione dell’attività di trasporto rispetto a quella di smaltimento dei rifiuti, in tesi idonea, di fatto, a frammentare abusivamente la prestazione principale dell’appalto rispetto alle sue componenti unitarie;

c) aveva articolato domanda risarcitoria, in fatto disattesa sulla valorizzata idoneità e sufficienza degli effetti conformativi del giudicato a salvaguardare le valorizzate ragioni di pregiudizio.

5.- Si costituiva, altresì, il Centro Interportuale Merci s.p.a., che articolava, a sua volta, appello incidentale (improprio), con il quale lamentava:

a) omessa, erronea, contraddittoria e/o illogica motivazione della sentenza con riguardo alla respinta eccezione di inammissibilità del ricorso e tardività dei motivi aggiunti;

b) insufficiente, erronea, contraddittoria e/o illogica motivazione della sentenza con riguardo all'interpretazione della clausola di gara relativa alla esatta perimetrazione dell’oggetto dell’appalto.

6- Nel rituale contraddittorio delle parti, alla pubblica udienza del 19 ottobre 2017, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa è stata riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- Gli appelli, principale e incidentale, sono, nei sensi delle considerazioni che seguono, fondati e meritano di essere accolti.

2- In via preliminare deve essere esaminato e disatteso il primo motivo, comune all’appello principale e a quello incidentale, finalizzato alla contestazione della ricorrenza in re della giurisdizione amministrativa, con conseguente, asserita inammissibilità del ricorso di primo grado.

2.1.- Sul punto assumono concordemente le appellanti che:

a) la società Centro Interportuale Merci S.p.A. è un soggetto avente natura privata, che gestisce (in regime concorrenziale, con metodo imprenditoriale e a scopo lucrativo), un interporto o centro intermodale (struttura finalizzata, come tale, a consentire lo scambio di merci tra le diverse modalità di trasporto, necessariamente comprensivo di uno scalo ferroviario idoneo a formare e ricevere treni completi e di un collegamento con porti, aeroporti o viabilità di grande comunicazione);

b) nello specifico CIM gestisce un interporto caratterizzato dalla presenza di uno scalo ferroviario collegato con la viabilità di grande comunicazione (autostrade A4 e A26), in diretta concorrenza con i tre interporti in area piemontese (Novara, Torino, Rivalta Scrivia) e i vari interporti, non meno di dieci, della finitima area milanese;

c) pacifica la sussistenza della personalità giuridica e non disconosciuta la prevalente partecipazione pubblica (peraltro, adeguatamente documentata in atti) – si tratterebbe (come, del resto, esattamente affermato in premessa dai primi giudici, che pure ne avevano tratto non condivise conseguenze) di “impresa pubblica”: non sussistendo invero (avuto riguardo al ribadito perseguimento statutario dello scopo di lucro con metodo imprenditoriale) il requisito c.d teleologico (notoriamente riconnesso al preordinato soddisfacimento di specifiche esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale e commerciale), necessario ai fini della qualificazione in termini di organismo di diritto pubblico;

d) allora ai fini dell’applicazione della disciplina contenuta nella Parte terza del d. lgs. n. 163/2006 (formalmente applicabile ratione temporis alla vicenda procedimentale in contestazione ancorché, per i profili in esame, perfettamente conforme alla sopravvenuta disciplina di cui al d.lgs. n. 50/2016), si sarebbe dovuto far riferimento (ai sensi dell’art. 207) – oltreché all’ambito soggettivo, per l’appunto inclusivo delle imprese pubbliche – al concorrente ambito oggettivo (prefigurato dal necessario riferimento ad una delle attività di cui agli articoli da 208 a 213, inerenti i settori speciali o ex esclusi);

e) perciò le attività svolte non potevano considerarsi (alla stregua di una interpretazione restrittiva, preclusiva di letture estensive o applicazioni analogiche: cfr. in re, Corte di Giustizia CE 15 gennaio 1998, in causa C44/96 e Cons. Stato, ad, plen., n. 16/2011) né servizi di trasporto ex art. 210, né servizi attinenti a porti e aeroporti ex articolo 213;

f) siffatta, argomentata esclusione – per sé asseritamente idonea, in buona sostanza, a sottrarre le relative procedure di gara al regime codicistico ed alla conseguente vis actractiva della giurisdizione amministrativa – discenderebbe, altresì, dall’eloquente dato normativo di cui al previgente art. 37, comma 3 e 4, della legge n. 166/2002 (recante “Disposizioni sugli interporti”,nel quadro della normativa generale in materia di infrastrutture e trasporti), alla cui (sola) stregua l’articolo 5, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 158, era, positivamente, da intendere nel senso che fossero già ricomprese nel settore dei trasporti le opere strettamente funzionali alla realizzazione dei sistemi trasportistici, quali le strutture finalizzate all’intermodalità: con il che – trattandosi, in tesi, di disposizione all’evidenza frutto della sottesa ed implicita consapevolezza che la gestione di un interporto non costituisse, di per sé, servizio pubblico e neppure servizio “speciale” ai sensi della normativa europea, richiedendo, proprio per tale motivo, una espressa e positiva previsione estensiva per l’assoggettamento alla disciplina evidenziale – il mancato recepimento di analoga e corrispondente previsione all’atto del recepimento delle nuove direttive europee sugli appalti (2004/17/CE e 2004/18/CE) e della scrittura del nuovo codice dei contratti pubblici del 2006 avrebbe finito per dimostrare il chiaro intendimento per omissionem di sottrarre la materia, rimodulata la relativa disciplina, all’ambito applicativo di quest’ultimo;

g) in ogni caso – anche a voler ritenere, senza concedere, che CIM fosse impresa pubblica che opera nei settori speciali, avrebbe comunque dovuto trovare applicazione l’esplicito disposto dell’articolo 217, inteso a scolpire inapplicabile la normativa di evidenza pubblica agli appalti aggiudicati “per scopi diversi” dalle attività costituenti i servizi speciali (come tali rientranti nei c.d. appalti estranei, giusta Cons. Stato, ad. plen. n. 16/2011): nella specie, l’appalto per cui è causa non riguardava certamente una attività di “trasporto” intermodale, afferendo semmai al solo sedime ferroviario e, quindi, non poteva considerarsi né direttamente, né strumentalmente attinente alla intermodalità, come intesa dalla normativa di settore;

h) vere le esposte premesse, sarebbe allora errata la gravata sentenza, nella parte in cui aveva affermato che la gestione di un interporto rientrava nella attività di cui all’articolo 210 (“attività relative alla messa a disposizione o alla gestione di reti destinate a fornire un servizio al pubblico nel campo del trasporto ferroviario...”): nulla avendo, in realtà, la gestione di un interporto (impianto terminale di rete ferroviaria, nei chiariti sensi) con la gestione di una rete, trattandosi di una struttura unica e fissa; né potendo invocarsi la norma sugli impianti terminali di trasporto (art. 213), ove sono annoverate le attività di “messa a disposizione di aeroporti, porti marittimi o interni e di altri terminali di trasporto ai vettori aerei, marittimi e fluviali” (del resto, in definitiva, la rimozione di materiale risultante dalla sostituzione della massicciata è, per sé, attività meramente residuale e comunque non funzionale alla gestione dell’interporto).

2.2.- Siffatto ordine di argomentazione non può essere condiviso.

La Sezione ha già in altra occasione osservato – con orientamento dal quale, con le precisazioni di cui subito si dirà, non si ravvisano ragioni per discostarsi (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 agosto 2003, n. 4748) – che l’attività svolta dagli interporti è prevista e disciplinata per gran parte dalla legge 4 agosto 1990 n. 240, che li definisce in termini di “complesso organico di strutture e servizi integrati e finalizzati allo scambio di merci tra le diverse modalità di trasporto, comunque comprendente uno scalo ferroviario idoneo a formare o ricevere treni completi e in collegamento con porti, aeroporti e viabilità di grande comunicazione” (art. 1).

È evidente, con ciò, che gli interporti costituiscono, nel loro insieme, una delle infrastrutture fondamentali per il sistema nazionale dei trasporti ed in specie per assicurare a tale sistema la necessaria flessibilità, attraverso il collegamento dei vari sistemi trasportistici e la caratteristica della intermodalità che il sistema complessivo è chiamato ad acquisire.

Si comprende che la funzione di assicurare la costruzione degli interporti, la loro adeguatezza strutturale e la dotazione di servizi per un efficiente funzionamento (cfr. l’art. 5 della citata legge n. 240/90) sono coessenziali per l’esistenza delle società cui il legislatore, con l’art. 9 della stessa legge, ha direttamente affidato tali compiti, non rinunciabili né modificabili con atti di autonomia privata dei soci, perché definiti nelle convenzioni approvate dal Ministero dei Trasporti e sottoscritte dalle Società interessate.

Discende da ciò che ci si trova di fronte all’esercizio di un servizio pubblico, affidato per legge ad alcuni soggetti e che è aperto per la sua compiuta realizzazione anche ad interventi di privati per un apporto completivo ed integrativo (fermo restando che, coerentemente, i soggetti già individuati dal legislatore nell’art. 9 della legge 240 cit. devono comunque assicurare lo svolgimento del servizio)

È per questa ragione (già concretante l’assorbente ratio decidendi di Cons. Stato, n. 4748/2003, relativa alla analoga vicenda dell’Interporto di Padova) che la Sezione ribadisce che, restando ininfluente la natura degli atti con cui l’attività della società appellata può in concreto espletarsi (potendo, invero, trattarsi senz’altro di atti rientranti, come tali, nelle attività di diritto privato), permane la qualificazione pubblicistica sottesa ai fini perseguiti con gli atti stessi: dovendo con ciò escludersi la natura industriale o commerciale dell’attività svolta.

Ne discende ancora che – essendo incontestati e, per tal via, pacifici gli ulteriori due presupposti della sussistenza di personalità giuridica e della partecipazione pubblica maggioritaria, idonea a strutturare un controllo pubblicistico sulla gestione sociale – la CIM deve qualificarsi come organismo di diritto pubblico, come tale senz’altro assoggettato alla disciplina del d. lgs. n. 163/2006 (ed ora, in termini conformi, del d. lgs. n. 50/2016).

Varrà soggiungere che alla ribadita conclusione non osta – a dispetto delle argomentazioni valorizzate a contrariis da parte appellante – la mancata riproduzione, nel vigente sistema normativo, della previsione dell’art. 37, comma 3 della l. n. 166/2002: e ciò, a tacere di ogni altro rilievo, perché - nel contesto motivazionale della sentenza n. 4748/2003 – il relativo richiamo era dichiaratamente ad abundantiam. Il che del resto è ovvio, posto che la previsione de qua avrebbe una sua utilità solo quando si postulasse la mera sussistenza di un’impresa pubblica: non quando ricorre, nei riassunti sensi, un organismo di diritto pubblico, per il quale l’assoggettamento alla disciplina codicistica rimonta, appunto, alle regole generali e non discende da una previsione di specie di stretta interpretazione.

2.4.- In definitiva, sia pure con diversa ed emendata motivazione – non trattandosi, appunto, di impresa pubblica operante nei settori speciali, ma piuttosto di organismo di diritto pubblico – la sentenza impugnata appare conforme a diritto, nella parte in cui ha ritenuto sussistente la giurisdizione amministrativa, con ciò resistendo agli spiegati motivi di gravame.

3.- Parimenti infondato è il secondo motivo di appello, con il quale le parti censurano la sentenza impugnata per non aver recepito l’argomentata tardività dei motivi aggiunti, con i quali la ricorrente di prime cure aveva impugnato la nota del CIM, datata 16 aprile 2016, recante la (ri)ammissione in autotutela del raggruppamento appellante.

3.1.- In realtà, ad avviso della Sezione, la nota de qua – emessa all’esito della produzione di documentazione integrativa e chiarificativa, sollecitata dall’emersione di talune perplessità della stazione appaltante in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione – non può riguardarsi quale atto di ammissione (o riammissione), per giunta a valersi quale autotutela, e ciò stante l’assenza di una precedente e formale determinazione espulsiva, a fronte della quale essa potesse concretare contrarius actus.

Si deve per tal via convenire con i primi giudici, secondo i quali la nota de qua non può che essere intesa alla stregua di atto meramente endoprocedimentale, in quanto suo tramite la stazione appaltante prospettava semplicemente una applicazione interpretativa della legge di gara, senza tuttavia modificarne in senso proprio i contenuti. D’altra parte è anche esatto che le censure mosse avverso l’aggiudicazione definitiva risultavano comechessia esaustivamente compendiate nel ricorso introduttivo e rispetto ad esse i ridetti motivi aggiunti non aggiungevano specifici e ulteriori apporti deduttivi, con il che la contestazione della nota in questione non risultava (e non risulta) determinante né ai fini della procedibilità dell’originario ricorso, né ai fini della integrazione del thema decidendum tracciato nello stesso atto introduttivo.

4.- Fondato, invece, è il terzo motivo dell’appello principale, anch’esso comune all’appello incidentale improprio di CIM.

4.1.- In proposito, importa rammentare che, nella articolazione del gravame di prime cure, la controinteressata Ecol-Service:

a) aveva premesso che il punto II.2 del bando di gara, a fronte di un valore complessivo dell'appalto stimato in € 2.040.000, di cui € 37.400 per oneri di sicurezza, oltre I.V.A., individuava un prestazione “principale”, rappresentata dal "trasporto, smaltimento/recupero del rifiuto" (per un valore stimato di € 1.825.200), e due prestazioni “secondarie”, rappresentate dall'"analisi dei campionamenti" e dal "caricamento su mezzo di trasporto ed attività accessorie" (per un importo stimato rispettivamente di € 11.400 e di € 156.000);

b) aveva evidenziato che HTR, mandataria del raggruppamento aggiudicatario, pur avendo dichiarato in offerta di voler svolgere, all'interno del raggruppamento orizzontale con la mandante Ecoltecnica S.r.l., l'83,32% del valore della prestazione individuata dalla legge di gara come principale, era risultata essere sprovvista dell'iscrizione all'Albo Nazionale dei Gestori Ambientali per le categorie e le classi, richieste dal bando di gara a pena di esclusione, necessarie per il trasporto di rifiuti speciali non pericolosi sopra le 6.000 tonnellate (categoria 4, classe D) e di rifiuti speciali pericolosi sopra le 6.000 tonnellate (categoria 5, classe D);

c) aveva, di conserva, lamentato che l'ammissione alla gara raggruppamento appellante, risultato poi aggiudicatario, fosse in contrasto con il successivo punto III.2.1 del bando di gara, il quale, per l’appunto, imponeva, a pena di esclusione, il possesso in capo ai concorrenti dell'iscrizione all'A.N.G.A. per le categorie 10B classe E, 5 classe D e 4 classe D, con la specificazione che “nel caso di raggruppamento temporaneo di imprese [...] i requisiti di cui al punto b) [avrebbero potuto] essere posseduti cumulativamente dalle imprese partecipanti o consorziate”, fermo restando che “ciascuna delle imprese raggruppate o consorziate [dovesse] comunque possedere l'iscrizione per le categorie specifiche relative alle attività che [avrebbe eseguito] all'interno del raggruppamento”, essendo, a tal fine, prescrittivamente necessaria “l'indicazione delle quote di partecipazione al raggruppamento/consorzio di ciascun componente, nonché delle parti del servizio che ogni componente dell'ATI o del consorzio [avrebbe svolto]”.

4.2.- I primi giudici, sulla scorta di una articolata e complessiva ricostruzione dei contenuti prescrittivi della lex specialis di procedura, hanno condiviso siffatto ordine di critiche, ritenendo, per un verso, che la prestazione identificata come principale dovesse ritenersi infrazionabile e, per altro e consequenziale verso, che fosse necessario il possesso, in capo alla mandataria del raggruppamento, di tutti requisiti per la stessa richiesti.

A tale conclusione la sentenza impugnata addiviene argomentando, da un lato, dal tenore della norma di gara che, mentre descriveva due distinte prestazioni accessorie, ne individuava una sola principale e, dall'altro, dal rilievo per cui le attività di trasporto e smaltimento/recupero fossero, in quanto tali, strettamente connesse e consequenziali, sì da giustificarne la loro considerazione unitaria. Assume, poi, che la espressa previsione della sanzione espulsiva militerebbe per la considerazione dei requisiti per cui è causa in termini di requisiti di partecipazione alla gara e non di esecuzione del contratto.

4.3.- La Sezione è di diverso avviso.

Importa premettere, avuto complessivo riguardo alla normativa di settore, che la raccolta e il trasporto dei rifiuti, da una parte, e il recupero e lo smaltimento degli stessi, dall’altra, costituiscono attività che, alla stregua della normativa generale sulla gestione dei rifiuti (cfr., in particolare, gli artt. 182, 188 e 208 d. lgs. n. 502/2006), devono ritenersi autonome e distinte non solo sotto il profilo tecnico, ma anche sotto quello giuridico e normativo, postulando, non a caso, distinti ed autonomi titoli abilitativi ai fini del relativo esercizio.

Segnatamente: a) per la raccolta/trasporto rifiuti è richiesta l’iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali per le categorie 4 e 5, laddove b) per il recupero/smaltimento è richiesto il rilascio della autorizzazione integrata ambientale di cui all’art. 208 d.lgs. 152 cit..

Per tal via, è un fatto che un operatore economico abilitato a trasportare rifiuti non potrebbe per definizione, in forza della mera iscrizione alle categorie 4 e 5, effettuare un’attività di recupero e smaltimento, per la quale si impone il ricorso ad un impianto all’uopo autorizzato.

Vero è, piuttosto e semmai, che, il trasportatore dei rifiuti, in forza dell’art. 188 del d.lgs. 152 cit., potrebbe sempre affidare ad un intermediario il recupero o lo smaltimento: e ciò a condizione che detto intermediario risulti iscritto (art. 212) alla categoria 8 dell’Albo nazionale.

Trattandosi, allora, necessariamente di attività distinte ed autonome, appare, in definitiva, evidente che:

a) per un verso, anche nella prospettiva del bando oggetto di contestazione, le stesse non potessero giammai essere, ai fini del possesso dei relativi requisiti abilitativi, oggetto di considerazione unitaria (in quanto, in tesi, oggetto “principale” dell’appalto, come tale contrapposto alle prestazioni qualificate “secondarie”);

b) per altro verso, l’iscrizione all’albo per le categorie 4 e 5 (necessaria, nei rammentati sensi, solo per la raccolta e il trasporto) potesse – in forza di quella ritenuta unitarietà – estendersi anche (a ritenuta pena di esclusione) al recupero ed allo smaltimento.

La conclusione è avvalorata e corroborata dal rilievo che, in forza del ricordato art. 188, il produttore del rifiuto che debba disfarsene, laddove non si rivolga direttamente all’impianto di recupero/smaltimento (per il quale è richiesta l’autorizzazione integrata di cui pure si è detto), può comunque affidare il relativo servizio ad un intermediario, per la cui attività è richiesta esclusivamente l’iscrizione per la categoria 8 (o anche – come importa puntualizzare – alla categoria 10, le quante volte si trattasse, come nella specie, di recupero di amianto).

4.4.- Sulle esposte premesse, opina la Sezione che l’intendimento, relativamente ai prescritti requisiti, dell’attività di trasporto e di smaltimento/recupero quale indissolubilmente legate (intendimento favorito dalla mera e comune inclusione nell’ambito delle prestazioni “principali” dello stipulando contratto) sia, per un verso, divergente dal riassunto quadro normativo di riferimento e, per altro verso, concretamente ispirata ad una lettura ingiustificatamente restrittiva (non ricorrendo, di fatto, ragioni tecniche o normative che, al cospetto di una legge di gara sul punto non inequivocabile, imponessero di ritenere necessario in capo al soggetto che intendesse eseguire la sola attività di smaltimento/recupero, anche il possesso della qualificazione richiesta per il trasporto), palesandosi, per tal via – come esattamente prefigurato con le formalizzate doglianze – contrastante con il superiore principio del favor partecipationis, il quale deve sempre trovare applicazione in presenza di clausole di gara ambigue, incerte o, comechessia, non univoche (cfr. ex permultis Cons. Stato, sez. V, 15 marzo 2016, n. 1024).

Si giustifica, per l’effetto, ed anzi si impone, una interpretazione plausibilmente estensiva (correttamente valorizzata dalla stazione appaltante) della normativa di gara, alla cui stregua la prestazione principale del contratto (trasporto, smaltimento/recupero del rifiuto) non potesse essere intesa necessariamente come unitaria e indivisibile, non potendo, di conserva, ritenersi obbligatorio in capo alla mandataria il possesso dei requisiti di idoneità richiesti per attività che, pur ricomprese all’interno della prestazione principale, la stessa ha dichiarato che non intendeva svolgere.

4.5.- La riassunta ragione – in quanto più liquida – è idonea, di per sé, a giustificare l’accoglimento del gravame: potendo, con ciò, restare sullo sfondo la questione – su cui non è dato, allo stato, registrare un unitario e conforme intendimento giurisprudenziale – se, piuttosto che quali requisiti di partecipazione (scolpiti a pena di esclusione) le prescritte qualificazioni dovessero riguardarsi quali mere condizioni di esecuzione del contratto (cfr., sul punto, ancora di recente ed in senso divergente Cons. Stato, sez. V, 5 luglio 2017, n. 3303 e Id., sez. V, 19 aprile 2017, n. 1825).

5.- Alla luce delle riassunte argomentazioni e potendo ritenersi assorbiti gli ulteriori profili di doglianza, i proposti appelli devono essere, negli evidenziati limiti, accolti, con il che – in riforma della impugnata sentenza – il ricorso di primo grado deve essere respinto.

La complessità e l’incertezza della materia trattata giustifica, ad avviso del Collegio, l’integrale compensazione, tra le parti costituite, di spese e competenze di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Guida alla lettura

Dopo aver ribadito la natura di organismo di diritto pubblico di un interporto, attesa la peculiare funzione pubblica che tale figura ricopre assicurando flessibilità e maggiore comunicabilità al sistema nazionale dei trasporti, il Consiglio di Stato, intervenuto in materia di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento rifiuti, mette in evidenza l’eterogeneità delle condotte di raccolta e trasporto (da un lato) e recupero e smaltimento (dall’altro), sia sul piano tecnico che su quello giuridico-normativo. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, infatti, è lo stesso Codice ambiente a disciplinare titoli abilitativi differenti: mentre per la raccolta e il trasporto è richiesta l’iscrizione nell’Albo nazionale dei gestori ambientali (ANGA), per il recupero e lo smaltimento è necessario che il titolare sia munito di autorizzazione del proprio impianto.

La netta linea di separazione tra le due attività comporta la logica conseguenza per cui i presupposti dell’una non possono essere posti dalla stazione appaltante a sostegno dell’altra. Ne consegue l’illegittimità di una clausola del bando che nel considerare le predette attività in forma unitaria subordini entrambe al possesso di un medesimo requisito.

A dire il vero, la posizione assunta dal collegio giudicante si pone in attrito con quanti ritengono che i predetti titoli abilitativi più che requisiti di partecipazione rappresentano delle condizioni di esercizio del diritto, in quanto tali rilevanti solo per la fase di esecuzione del contratto.

Il vento neoliberista degli ultimi decenni ha assegnato alla procedura ad evidenza pubblica una nuova funzione, questa volta ponendosi dal punto di vista degli operatori del mercato: accanto all’interesse pubblico alla corretta ed efficiente spendita del danaro pubblico nel mercato, infatti, l’evidenza pubblica assume la specifica funzione di garantire la più ampia partecipazione degli operatori economici agli appalti pubblici.

La concorrenzialità nell’aggiudicazione pertanto, quale principio di matrice europea, trova la sua stella polare nel principio di massima partecipazione alla gara.

La duplicità di funzione di cui la procedura ad evidenza pubblica risulta essere titolare ha ricevuto così l’avallo da parte della giurisprudenza europea la quale, nel dichiarare che uno degli obiettivi della normativa comunitaria in materia di appalti pubblici è costituito dall’apertura alla concorrenza nella misura più ampia possibile e che è nell’interesse del diritto comunitario che venga garantita la più ampia partecipazione possibile di offerenti ad una gara d’appalto, ha aggiunto che siffatta apertura alla concorrenza è prevista non soltanto con riguardo all’interesse comunitario alla libera circolazione dei prodotti e dei servizi, ma anche nell’interesse stesso dell’amministrazione aggiudicatrice che può disporre in tal modo di un’ampia scelta circa l’offerta più vantaggiosa e più rispondente ai bisogni della collettività pubblica interessata (cfr. Corte di Giustizia UE, sez. IV, 23 dicembre 2009 in causa C-305/08).

Il principio del favor partecipationis si pone così in funzione strumentale rispetto alle finalità fondamentali dell’evidenza pubblica.

A seguito dell’intervento legislativo del aprile 2016, in attuazione della Direttiva 24/2014/UE, l’ordinamento interno assegna maggiore centralità al principio di concorrenzialità sotto l’influenza sovranazionale.

Con maggiore impegno esplicativo, l’art. 2 del D.lgs. 50/2016 evidenzia la specifica tensione dell’intero impianto normativo verso la libera concorrenza nel mercato, con la conseguenza per cui ove i provvedimenti adottati in applicazione del codice degli appalti non realizzino detta finalità violano le regole stesse ed i principi di libera concorrenza.

La prescrizione normativa contenuta nell’art. 30 comma 1, poi, oltre a parametrare la procedura di affidamento e di esecuzione dei lavori, dei servizi e delle forniture ai principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza (principi ispirati alla tutela della pubblica amministrazione per il controllo ed il miglior utilizzo delle finanze pubbliche), impone il rispetto dei principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità, tutti propedeutici al corretto funzionamento del mercato. Proseguendo nella lettura, la disposizione mette in risalto la necessità di garantire la massima partecipazione delle piccole e medie imprese, con tali espressioni intendendosi quelle che hanno meno di 50 occupati ed un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiore a 10 milioni di euro (le prime), ovvero quelle che hanno meno di 250 occupati e un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro o un bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro (pe seconde).

Con riferimento ai requisiti di partecipazione, l’art. 83 comma 2 del Codice appalti prevede la necessità che i predetti siano attinenti e soprattutto proporzionati all’oggetto dell’appalto, proprio in virtù della necessità di ampliare il più possibile la platea dei partecipanti alla gara, quale necessità propedeutica a garantire alla stazione appaltante l’assegnazione della gara alle migliori condizioni presenti nel mercato di riferimento.

Con specifico riferimento alla massima partecipazione per le piccole e medie imprese, poi, l’art. 51 del medesimo Codice, proprio al fine di favorire l’accesso alle gare pubbliche delle piccole e medie imprese, nel rispetto delle Direttive comunitarie, disciplina la suddivisione degli appalti in lotti funzionali o prestazionali, e in ogni caso prevedendo che il valore di ogni singolo lotto debba risultare “adeguato” così da poter garantire la partecipazione alle piccole e medie imprese. Ereditando il principio di parcellizzazione della gara, in funzione propedeutica al principio del favor partecipationis, il nuovo Codice, a differenza del precedente, accanto alla suddivisione in lotti funzionali (ove ciò risulti economicamente conveniente) prevede altresì la suddivisione in lotti prestazionali.

La suddivisione dell’appalto in lotti, come detto, costituisce nell’architettura del sistema lo strumento principale per favorire la partecipazione alla gara delle piccole e medie imprese: trattasi di un’attività discrezionale che richiede una complessa analisi di mercato da porre a sostegno della decisione attraverso un corposo impianto motivazionale (cfr. TAR Lazio, sez. II, 26 gennaio 2017, n. 1345).

Il frazionamento dell’appalto può avvenire su base quantitativa, facendo in modo che il valore delle singole gare sia adeguato alle capacità delle PMI, o su base qualitativa, per adattare meglio l’oggetto e il contenuto delle prestazioni richieste alle peculiarità produttive delle PMI.

Ne deriva che maggiore è la parcellizzazione dell’oggetto di gara minore risulta essere il perimetro territoriale o prestazionale del singolo lotto, con conseguente aumento del bacino dei partecipanti in virtù di meno stringenti requisiti di partecipazione.

In chiusura occorre evidenziare come gli strumenti del raggruppamento temporaneo di imprese e l’avvalimento, sebbene si pongano nella medesima direzione dell’allargamento della platea dei partecipanti alla gara, lo loro efficacia applicativa risulti fortemente limitata dal momento che tali strumenti richiedono la volontà discrezionale non solo dell’impresa necessitante, bensì di tutte le imprese coinvolte. Ne consegue che l’astratta possibilità di costituire un RTI o di ricorrere all’avvalimento non esclude che una preclusione alla possibile partecipazione individuale dell’impresa si concreti in un vulnus al principio del favor partecipationis e, quindi, in una lesione sia alla sfera giuridica dell’impresa che non può partecipare individualmente sia alle finalità pubblicistiche a base della normativa in materia.