Consiglio di Stato, Sez. IV, ordinanza 16 settembre 2014, n. 4089

 

Consiglio di Stato, Sez. IV, ordinanza 16 settembre 2014, n. 4089 

Presidente Giaccardi; Estensore Greco

 

In una gara di appalto, nel caso in cui le imprese partecipanti abbiano sottoscritto un protocollo di legalità, è discutibile che la violazione della dichiarazione d’impegno resa ai sensi dello stesso protocollo di legalità di dichiarare tutte le vicende inerenti l’appalto (ammesso che una tale violazione sia ravvisabile non solo nella omessa denuncia o segnalazione di condotte illecite altrui delle quali il concorrente avesse avuto a conoscenza, ma anche nel caso di mancata “autodenuncia” di reati commessi dallo stesso concorrente), oltre a legittimare l’esercizio da parte della stazione appaltante della facoltà di risoluzione del contratto di appalto – espressamente ricondotta dalla clausola citata all’art. 1456 c.c. – si riverberi anche sulla legittimità della retrostante procedura di gara (per giunta concretando un vizio idoneo a inficiare la sola ammissione del concorrente interessato, e non l’intera procedura selettiva).

 

BREVI ANNOTAZIONI

 

L’OGGETTO DELLA PRONUNCIA

 

L’ordinanza in esame affronta una tematica molto attuale e molto delicata: l’annullamento dell’aggiudicazione definitiva del contratto di appalto a seguito della violazione del Protocollo di Legalità che obbliga la stazione appaltante a garantire la trasparenza e la libera concorrenza nella realizzazione delle opere e degli interventi connessi allo svolgimento dell’Expo Milano 2015 (art. 3-quinquies del D.L. 135/2009, così come convertito in legge n. 166/2009).

In particolare, con il Protocollo è stato previsto l’impegno di dare notizia alle Istituzioni e all’Expo 2015 S.p.A. di ogni tentativo di estorsione, intimidazione o condizionamento di natura criminale in qualsiasi forma si fosse manifestato, nonché l’impegno di denunciare all’Autorità giudiziaria o agli organi di Polizia, ogni illecita richiesta di denaro, prestazione o altra utilità, formulate prima della gara e/o dell’affidamento, ovvero nel corso dell’esecuzione dei lavori.

Tale disciplina è stata poi compendiata con l’obbligo di inserimento di queste clausole nei bandi di gara,  con la specifica previsione che la loro violazione verrà sanzionata ex art. 1456 c.c.

 

IL PERCORSO ARGOMENTATIVO

 

Al fine di una migliore comprensione della soluzione data alla questione proposta dall’ordinanza del Consiglio di Stato, che sospende l’efficacia della sentenza del Tar Lombardia, Sez. I, 9 luglio 2014, n. 1802, è necessario partire proprio dall’esame dei fatti e dalle argomentazioni giuridiche poste a fondamento della sentenza di primo grado.

In sintesi, la vicenda trae origine dal ricorso proposto dalla una società, in proprio e in qualità di mandataria del costituendo RTI, nonché da parte di altre imprese mandanti, avverso l’aggiudicazione definitiva dell’appalto integrato di progettazione ed esecuzione di lavori per la realizzazione delle architetture di servizio del sito Expo Milano 2015. Con ulteriore domanda viene chiesta la dichiarazione di inefficacia e contestuale caducazione del contratto di appalto stipulato tra la stazione appaltante e il raggruppamento aggiudicatario, oltre al risarcimento dei danni. Le classificate al secondo posto chiedono la risoluzione del contratto, motivando la loro richiesta sulla scorta dell’indagine condotta dalla Procura riguardante il reato di turbativa d’asta, che ha portato all’applicazione di misure cautelari, tra l’altro, dell’amministratore unico della mandataria del raggruppamento aggiudicatario. A fondamento dell’impugnazione le ricorrenti deducono la violazione della legge di gara, ovvero del Protocollo di legalità, nonché la violazione dell’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006; chiedono, altresì, il risarcimento dei danni.

La società appaltante eccepisce a sua volta che l’esclusione del RTI aggiudicatario sarebbe illegittima, in difetto di una condanna definitiva.

Si costituisce anche l’impresa aggiudicataria eccependo la tardività del ricorso e, nel merito, opponendo che alla luce dell’avvenuta stipula del contratto non sarebbe ammissibile né la domanda volta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia, né quella correlata al subentro delle ricorrenti e che il Protocollo di Legalità non equipara affatto sul piano delle conseguenze contrattuali la violazione degli obblighi di cui all’art. 4 del Protocollo stesso all’emissione di un’informativa interdittiva antimafia, c.d. tipica, qual’è quella di cui agli artt. 87 e 90 del d.lgs. n. 159/2011. Il menzionato art. 4 (Prevenzione e interferenze illecite e oneri a carico di Expo) difatti afferma che “per ciascuna gara indetta, Expo 2015 S.p.A. si impegna ad inserire, nella documentazione di gara, il Protocollo, quale documento di gara, normativo e contrattuale, che dovrà essere sottoscritto per accettazione dall’Appaltatore; a predisporre la documentazione di gara nel rispetto dei principi ispiratori del Protocollo (in particolare sarà prestata maggiore attenzione alla disciplina in materia di subappalto e di penali, nonché in ordine ai criteri di qualificazione ed alle modalità e i tempi di pagamento degli stati di avanzamento lavori); a predisporre nella parte relativa alle dichiarazioni sostitutive allegate al disciplinare di gara, da rendere da parte dei concorrenti alla gara medesima, l’impegno a informare immediatamente la Prefettura e Expo 2015 S.p.A. di ogni tentativo di estorsione, intimidazione o condizionamento di natura criminale (richiesta di tangenti, pressioni per indirizzare l’assunzione di personale o l'affidamento di lavorazioni, forniture, servizi o simili a determinate imprese, danneggiamenti o furti di beni personali o in cantiere, ecc.). L’impresa concorrente si impegna a denunciare all'autorità giudiziaria o agli Organi di Polizia ogni illecita richiesta di denaro, prestazione o altra utilità ad essa formulata prima della gara e/o dell’affidamento o nel corso dell'esecuzione dei lavori e comunque ogni illecita interferenza nelle procedure di aggiudicazione o nella fase di esecuzione dei lavori.)”.

Le parti ricorrenti lamentano anche un difetto di giurisdizione che, però, il Giudice di primo grado liquida come infondato, ritenendo che le clausole previste dal Protocollo siano clausole da non intendersi quale generale dichiarazione di intenti, bensì un atto di rilevanza integrativa della lex specialis, per cui le problematiche inerenti allo stesso rientrano nella giurisdizione del g.a. e tra queste anche la clausola risolutiva espressa prevista dal Protocollo.

Parimenti infondata risulta, secondo i Giudici del Tar, l’eccezione di irricevibilità del ricorso dovuta all’emissione di provvedimenti di custodia cautelare da parte della Procura che indaga sui fatti. Le parti ricorrenti motivano la loro azione deducendo che, con la sottoscrizione della dichiarazione di adesione al Protocollo in sede di gara e contemporaneamente violandone le disposizioni, l’aggiudicataria avrebbe formulato una falsa dichiarazione, che sarebbe rilevante ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett h) del d.lgs. n. 163/2006. Tale censura è disattesa dal Tar, ritenendo che le dichiarazioni di impegno sottese dalle clausole del Protocollo, sebbene integrino la lex specialis, al punto che la loro omissione avrebbe dato luogo all’esclusione dalla gara, non riguardano i requisiti di ordine generale di cui al citato art. 38.

La risoluzione del contratto troverebbe il suo fondamento, secondo l’esposizione del Giudice di primo grado, nella condotta emergente dalla indagini della Procura milanese, condotta che dimostrerebbe come la stazione appaltante non avrebbe posto in essere alcuna attività volta a ripristinare la legalità violata.

In primo grado, si ritiene quindi che l’illegittimità dell’aggiudicazione sarebbe comprovata dalle condotte “inveratesi nella preordinata finalità di illecitamente condizionare il procedimento di gara. Inequivocabili riscontri provengono, in particolare, dall’analisi degli atti di indagine che le ricorrenti hanno depositato in giudizio”. La documentazione evidenzierebbe la costituzione di una associazione criminosa, della quale avrebbero fatto parte tra gli indagati, l’alto dirigente di Expo 2015 Spa e l’amministratore unico della società mandataria del raggruppamento aggiudicatario finalizzata alla turbativa di gara in questione. Sempre secondo la ricostruzione del Giudice di primo grado, il risultato delle attività criminose avrebbe portato all’aggiudicazione dell’appalto al RTI capeggiato dalla predetta mandataria; affermando che attraverso il comportamento attivo dei principali soggetti qui indicati, si sarebbe del tutto sfasata la procedura di gara, azzerando anche le minime condizioni di trasparenza essenziali per l’espletamento della stessa. A sostegno della decisione viene richiamato il “considerando n. 39” della Direttiva 2004/18/CE che prevede la verifica dell’idoneità degli offerenti nelle procedure aperte e dei candidati nelle procedure ristrette e negoziate con pubblicazione di un bando di gara nonché nel dialogo competitivo e la loro selezione dovrebbero avvenire in condizioni di trasparenza, conferma che la garanzia di procedure scevre da possibilità illeciti (soprattutto EXPO 2015) costituisca una precondizione di legittimità delle medesime. Pertanto, le accertate condotte sostanziate da indizi gravi, che giustificano la disposizione cautelare di primo grado, non possono che ritenersi contrastanti sia con il diritto comunitario, sia con il diritto nazionale e sono tali per cui, secondo quanto deciso dalla sentenza di primo grado, non sembra necessario attendere gli esiti dei futuri giudizi per affermare che l’alterazione delle condizioni di trasparenza integrino un motivo sufficiente per disporre l’annullamento dell’aggiudicazione del contratto.

La tesi difensiva afferma, invece, che la vicenda deve essere ricondotta nell’alveo dell’art. 135 del d.lgs. n. 163/2006, espressamente richiamato anche dal contratto di appalto, che si occupa dell’eventuale risoluzione del contratto per reati accertati, cosicché non essendo intervenuto un accertamento definitivo, il contratto non sarebbe risolvibile; l’art. 125, comma 3, c.p.a. prevede espressamente che la sospensione o l’annullamento dell’affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato e il risarcimento del dovuto può avvenire solo per equivalente; inoltre, la norma trova applicazione nelle procedure di cui all’art. 140 d.lgs. n. 163/2006 come statuito dal 4 comma del medesimo art. 125 c.p.a.

I Giudici di primo grado insistono sulla premessa che la disposizione del Protocollo di Legalità autorizza ipso iure alla risoluzione del contratto, avendo il Protocollo di Legalità una valenza eterointegrativa della lex specialis del bando; fondamento, tra l’altro, di un diritto potestativo derivante sia dalla disciplina positiva, che dall’elaborazione giurisprudenziale, che consentono la risoluzione del contratto non preclusa dall’esercizio della facoltà di recesso prevista dall’art. 1385 c.c., dato che rientra nell’alveo dell’autonomia privata la facoltà di rinunciare agli effetti della risoluzione del contratto. In questo caso, devono comunque essere applicati i principi che regolano la materia del recesso, tra cui quello secondo cui il recesso può considerarsi legittimo solo alla luce del presupposto che l’inadempimento non sia di scarsa importanza. L’affermazione del principio di disponibilità dell’effetto risolutorio implica, però, la responsabilizzazione della stazione nell’individuare le soluzioni che possano garantire la tempestiva conclusione delle opere; il che non può essere interpretato nel senso di dequotazione della trasparenza perché, in questo modo, viene assicurata la piena tutela dell’interesse pubblico a che gli appalti siano affidati a concorrenti affidabili. Né alla risoluzione del contratto potrebbe ostare il fatto che le indagini parrebbero allo stato circoscritte alla posizione dell’impresa capogruppo mandataria, restando esclusa la società mandante.

Gli effetti dell’aggiudicazione e dell’eventuale decisione della stazione appaltante di risolvere il contratto, non possono che estendersi alla mandante che avrebbe dovuto profondere maggiore accortezza; né, la risoluzione del contratto può essere impedita dall’avvio dei lavori; si deve, perciò, escludere che un nuovo affidamento dei lavori comporti la loro soluzione di continuità.

In definitiva, così come recentemente ribadito dall’Adunanza Plenaria n.14 del 20 giugno 2014 “nella fase privatistica la Pa si pone  ( …) con la controparte in posizione di parità che però, è stato precisato, è tendenziale (Corte Cost. n. 53 e n. 43 citate) con ciò sintetizzando l’effetto delle disposizioni per cui, pur nel contesto di un rapporto paritetico, sono apprestate per l’Amministrazione norme speciali, derogatorie, del diritto comune, definite di autotutela privatistica ( Ad Pl. 6 del 2014); ciò evidentemente, perché l’attività dell’Amministrazione, pur se esercitata secondo moduli privatistici, è sempre volta al fine primario dell’interesse pubblico, con la conseguente previsione, su tale presupposto, di regole specifiche e distinte; la posizione dell’ Amministrazione nella fase del procedimento di affidamento dei lavori pubblici aperta con la stipulazione del contratto è definita dall’insieme di norme comuni, civilistiche, e di quelle speciali, individuate dal codice dei contratti pubblici, operando l’Amministrazione, in forza di queste ultime in via non integralmente paritetica rispetto al contraente privato, fermo restando che le sue posizioni di specialità, essendo l’Amministrazione comunque parte di un rapporto che rimane privatistico, restano limitate alle singole norme che lo prevedono”. Quindi, fermo restando che il potere di risoluzione del contratto resta nella sfera della disponibilità della società Expo spa, secondo il Tar sussistono in concreto i presupposti per i ricorrenti di ottenere l’affidamento.

La sentenza del Tar viene impugnata dall’amministrazione appaltante ed approda davanti al Consiglio di Stato, che sinteticamente accoglie le tesi del ricorrente in appello, sottolineando, in primo luogo, che l’eccezione di tardività dell’impugnativa di primo grado non è per nulla destituita di fondatezza a fronte della piena conoscenza degli atti censurati e della loro lesività,  ovvero di una asserita conoscenza dei vizi di legittimità a causa di fatti sopravvenuti ed estranei; che, inoltre, con specifico riguardo al vizio della violazione della dichiarazione di impegno resa ai sensi dell’art. 4, comma 2, del Protocollo di legalità, è quantomeno dubbio che, oltre a legittimare l’esercizio della facoltà di risoluzione del contratto, la violazione si possa anche riverberare sulla legittimità della procedura di gara e dei contratti già conclusi.

Rileva, infine, il Consiglio di Stato che la sopravvenuta disciplina di cui al d.l. 24 giugno 2014, n. 90, in forza della quale risulta in concreto nominato un Commissario Straordinario, oltre a rafforzare le esigenze cautelari, costituisce dimostrazione ex post della non automatica incidenza sulla legittimità degli atti di gara delle indagini penali in corso.

Il Consiglio di Stato conclude con la  sospensione l’esecutività della sentenza di primo grado.

 

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

 

La decisione del Consiglio di Stato in ordine alla specifica materia assume una particolare rilevanza soprattutto per l’importanza e l’imponenza dei fatti e delle vicende intricate oggetto di indagini giudiziarie.

Tanto più importante è la decisione della sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, se si tiene conto del fatto che ribalta l’interpretazione data dai Giudici di primo grado in ordine alla nuova disciplina di cui al d.l. 24 giugno 2014, n. 90, in forza del quale la nomina di un Commissario Straordinario nella gestione dell’impresa aggiudicataria, secondo i Giudici di Palazzo Spada, non farebbe altro che rafforzare le esigenze cautelari e costituirebbe una valida prova, che  allo stato degli atti non vi è alcuna esigenza di caducare in modo automatico la legittimità degli atti di gara già espletati, seppur oggetto di indagini giudiziarie.

In definitiva, la violazione della dichiarazione di impegno resa ai sensi del Protocollo di legalità, di dichiarare tutte le vicende inerenti all’appalto, non legittimerebbe affatto l’esercizio automatico, da parte della stazione appaltante, della facoltà di risoluzione del contratto di appalto già stipulato e non può, pertanto, riverberarsi sulla retrostante procedura, per giunta concretandosi in un vizio di idoneità volta ad inficiare la sola ammissione del concorrente interessato e non dell’intera procedura selettiva.

L’ordinanza del Consiglio di Stato sospende l’efficacia della sentenza del Tar Lombardia, in vista della decisione sul merito, atteso anche che sotto il profilo del periculum in mora, l’interesse rappresentato dalla parte appellante appare ancorato agli effetti dell’annullamento dell’aggiudicazione che espone l’Ente committente al rischio di una gravissima condanna al risarcimento per equivalente in caso di mancato esercizio di risoluzione del contratto di appalto.

 

PERCORSO BIBLIOGRAFICO

 

F. Caringella, M. Giustiniani (a cura di), Manuale di diritto amministrativo, IV, I Contratti pubblici, Ed. Dike, Roma, 2014, pp. 516 ss., 1522 e ss.; F. Caringella, M. Giustiniani, O. Toriello, La Riforma Renzi della Pubblica Amministrazione, Ed. Dike, Roma, 2014; F. Caringella, S. Mazzamuto, G. Morbidelli, Manuale di diritto amministrativo, Ed. Dike 2014, Roma; F. Caringella, L. Tarantino, Codice amministrativo V edizione, 2014, Ed. Dike, Roma.  

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

 

ORDINANZA

 

sui seguenti ricorsi in appello:

 

1) nr. 6681 del 2014, proposto da EXPO 2015 S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Guido Greco, Manuela Muscardini e Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Principessa Clotilde, 2,

 

contro

COSTRUZIONI PERREGRINI S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandataria di costituenda a.t.i., rappresentata e difesa dagli avv.ti Sergio Colombo, Elvira Poscio e Massimo Letizia, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Monte Santo, 68,

nei confronti di

- IMPRESA COSTRUZIONI GIUSEPPE MALTAURO S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e in qualità di capogruppo mandataria di a.t.i., non costituita; - COMMISSARIO UNICO DEL GOVERNO PER EXPO 2015, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12;

 

 

2) nr. 7342 del 2014, proposto dall’AMMINISTRAZIONE PER LA STRAORDINARIA E TEMPORANEA GESTIONE DELL’IMPRESA COSTRUZIONI GIUSEPPE MALTAURO S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, e dall’U.T.G. - PREFETTURA DI MILANO, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,

contro

COSTRUZIONI PERREGRINI S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita,

nei confronti di

EXPO 2015 S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita,

entrambi per la riforma

della sentenza, pronunciata ex art. 60 c.p.a. dal T.A.R. della Lombardia, Sezione Prima, nr. 1802 depositata in data 9 luglio 2014, non notificata.

 

 

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l’art. 98 cod. proc. amm.;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Costruzioni Perregrini S.r.l. e del Commissario Unico del Governo per Expo 2015;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Viste le domande di sospensione dell'efficacia della sentenza del Tribunale amministrativo regionale di accoglimento del ricorso di primo grado, presentate in via incidentale dalle parti appellanti;

Relatore, alla camera di consiglio del giorno 16 settembre 2014, il Consigliere Raffaele Greco;

Uditi gli avv.ti Greco e Clarizia per Expo 2015 S.p.a., l’avv. Colombo per Costruzioni Perregrini S.r.l. e l’avv. dello Stato Figliolia per l’Amministrazione statale;

 

 

Rilevato che può prescindersi, nella presente fase, dalle eccezioni preliminari articolate avverso l’appello dell’Amministrazione Straordinaria dell’Impresa Maltauro S.p.a., apparendo assorbentemente assistita da fumus l’impugnazione proposta da Expo 2015 S.p.a. per le ragioni meglio di seguito esposte;

Ritenuto, al riguardo e in particolare:

- che è tutt’altro che destituita di fondatezza l’eccezione di tardività dell’impugnativa di primo grado reiterata col primo motivo d’appello, tenuto conto della consolidata giurisprudenza in tema di irrilevanza, a fronte della piena conoscenza degli atti censurati e della loro lesività, di una asserita conoscenza successiva dei vizi di legittimità acquisita a causa di fatti sopravvenuti estranei agli atti medesimi (tenuto conto, fra l’altro, che nel caso di specie tale conoscenza successiva si assume da parte appellante discendere non già da una sopravvenuta conoscenza di atti della serie procedimentale culminata nell’aggiudicazione – ché non è contestata la piena conoscenza di detti atti a seguito della comunicazione ritualmente ricevuta ai sensi dell’art. 79, d.lgs. 12 aprile 2006, nr. 163 – ma dalla “nuova luce” gettata sulla vicenda amministrativa dalle notizie di stampa in merito alle indagini penali in corso per gravi reati commessi nel corso della gara per cui è causa);

- che, con specifico riguardo ai vizi ravvisati dal primo giudice, è quanto meno discutibile che nella specie la violazione della dichiarazione d’impegno resa ai sensi dell’art. 4, comma 2, del Protocollo di legalità (ammesso che una tale violazione sia ravvisabile non solo nella omessa denuncia o segnalazione di condotte illecite altrui delle quali il concorrente avesse avuto a conoscenza, ma anche nel caso di mancata “autodenuncia” di reati commessi dallo stesso concorrente), oltre a legittimare l’esercizio da parte della stazione appaltante della facoltà di risoluzione del contratto di appalto – espressamente ricondotta dalla clausola citata all’art. 1456 c.c., e che lo stesso primo giudice ha riconosciuto rientrare nella sfera di autonomia dell’Amministrazione committente – si sia riverberata anche sulla legittimità della retrostante procedura di gara (per giunta concretando un vizio idoneo a inficiare la sola ammissione del concorrente interessato, e non l’intera procedura selettiva);

Ritenuto altresì, quanto al profilo del periculum in mora, che l’interesse rappresentato dalla parte appellante appare manifestamente ancorato agli effetti dell’annullamento dell’aggiudicazione, che espone l’Ente committente al rischio di una pesantissima condanna a risarcimento per equivalente in caso di mancato esercizio della facoltà di risoluzione del contratto di appalto, pur formalmente rimesso dal T.A.R. all’autonoma valutazione della parte pubblica (e dal quale, ove di fatto esercitato, deriverebbe per converso un diverso e gravissimo pregiudizio all’interesse pubblico alla sollecita realizzazione delle opere oggetto dell’appalto);

Rilevato, ancora, che la sopravvenuta disciplina di cui al d.l. 24 giugno 2014, nr. 90 (in forza della quale risulta in concreto oggi nominato un Commissario Straordinario nella gestione dell’impresa aggiudicataria, con sostanziale estromissione dei soggetti sottoposti ad indagini), oltre a rafforzare le esigenze cautelari rappresentate dalle parti appellanti, costituisce la piena dimostrazione ex post– contrariamente a quanto sostenuto dal primo giudice – della non automatica incidenza sulla legittimità degli atti di gara delle indagini penali in corso, pur nell’estrema gravità dei reati ipotizzati, essendo evidente che il legislatore si è posto il problema dei rimedi da predisporre per fattispecie come quella oggi all’esame ed ha predisposto un meccanismo, quello del “commissariamento” dell’impresa appaltatrice fino all’esito del procedimento penale, ritenuto idoneo a conciliare l’interesse pubblico alla rapida esecuzione dell’opera pubblica con l’esigenza di impedire la percezione dei profitti d’impresa da parte di soggetti sospettati di illeciti, almeno fino alla conclusione del procedimento penale (soluzione nella quale – è appena il caso di sottolinearlo – natura del tutto recessiva è stata attribuita all’interesse a subentrare nella commessa delle altre imprese partecipanti alla gara, le quali evidentemente potranno far valere le proprie ragioni in altre e diverse sedi);

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), riuniti gli appelli in epigrafe, accoglie l’istanza cautelare (Ricorso numero: 6681/2014) e, per l’effetto, sospende l’esecutività della sentenza impugnata.

Fissa per la decisione del merito l’udienza pubblica del 18 dicembre 2014.

Tenuto conto della novità delle questioni esaminate, compensa tra le parti le spese della presente fase del giudizio d’appello.

La presente ordinanza sarà eseguita dall’Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 settembre 2014 con l’intervento dei magistrati:

 

 

Giorgio Giaccardi, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere, Estensore

Diego Sabatino, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere