Consiglio di Stato, Sezione Sesta, ordinanza 11 febbraio 2013, n. 790.

Consiglio di Stato, Sezione Sesta, ordinanza 11 febbraio 2013, n. 790.
Giorgio Giovannini, Presidente   -   Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

E’ compatibile con i principi europei in materia di effettività della tutela la previsione dell’articolo 120, comma 5, del D. Lgs. n. 104/2010, che prevede, in materia di procedure ad evidenza pubblica, un termine di impugnazione di trenta giorni dall’invio delle comunicazioni ex articolo 79 del D. Lgs. n. 163/2006, indipendentemente dalla piena conoscenza dei plichi contenenti le offerte, oppure il computo del termine va calcolato a partire dal momento in cui l’interessato ha avuto accesso alle offerte con gli strumenti tipici del diritto di accesso ex articolo 79, comma 5-quater?

BREVI ANNOTAZIONI

L’OGGETTO DELLA PRONUNCIA

Con l’ordinanza di rimessione in commento la sesta Sezione del Consiglio di Stato ha sottoposto all’Adunanza Plenaria alcuni quesiti che vertono sul calcolo del dies a quo dal quale computare il termine decadenziale per l’impugnativa di una procedura ad evidenza pubblica.

In particolare, il supremo consesso si interroga sulla compatibilità con il diritto di difesa di un termine di soli trenta giorni per l’impugnativa degli atti pregiudizievoli da parte dei concorrenti non aggiudicatari (articolo 120, comma 5, del D. Lgs. n. 104/2010), decorrente dalla ricezione delle comunicazioni di cui all’articolo 79 del D. Lgs. n. 163/2006, non sempre idoneo a garantire l’effettiva conoscenza dell’atto lesivo che, in taluni casi, può essere assicurata solo dall’accesso agli atti di gara (e quindi in un momento successivo rispetto alla ricezione delle comunicazioni).

 

IL PERCORSO ARGOMENTATIVO

Nella pronuncia in commento, la sesta Sezione si sofferma sull’individuazione del dies a quo dal quale far decorrere il termine di trenta giorni per l’impugnazione degli atti di aggiudicazione delle procedure ad evidenza pubblica. Più specificamente, la Sezione individua alcune criticità nell’assicurare effettività alla tutela del diritto di difesa, ove la lesività dell’aggiudicazione sia resa conoscibile nei suoi elementi essenziali solo tramite l’esercizio del diritto di accesso agli atti disciplinato dal comma 5-quater dell’articolo 79 del Codice dei contratti. Sul punto, l’ordinanza di rimessione riporta due recenti decisioni (Consiglio di Stato, sez. V, 1° settembre 2011, n. 4895 e Consiglio di Stato, sez. III, 14 marzo 2012, n. 1428) che, valorizzando il principio della “piena conoscenza” dell’atto lesivo, hanno optato per l’applicabilità di un termine decadenziale massimo di quaranta giorni aggiungendo, ai trenta previsti dall’articolo 120, comma 5, del Codice del processo amministrativo, i dieci giorni contemplati dall’articolo 79, comma 5-quater, per l’esercizio del diritto di accesso agli atti di gara. Il combinato disposto delle due disposizioni, dunque, ben potrebbe portare l’interprete ad aggirare il termine previsto dallo stesso comma 5 dell’articolo 120 (trenta giorni) per sostituirlo con uno di quaranta. Del resto – aggiunge l’ordinanza – si tratta di operazione ermeneutica più rispettosa dei precetti comunitari, dei quali un interessante precipitato è la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, III Sezione, 28 gennaio 2010, causa C-406/08 (Uniplex), che sembra contemperare efficacemente il principio di effettività della tutela con quello di concentrazione ed accelerazione della tutela. Tuttavia, l’allungamento del termine di decadenza è sottoposto dallo stesso collegio a due limiti: a) che la lesività dell’atto possa essere apprezzata solo ed esclusivamente in forza dell’accesso agli atti di gara; b) che il termine aggiuntivo sia calcolato sugli effettivi giorni trascorsi per l’accesso, individuando quindi i quaranta giorni come un termine massimo.

 

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

La questione descritta nell’ordinanza affronta una problematica ricorrente in materia di appalti ed evidenzia indubbi profili problematici di compatibilità della tutela rispetto all’ordinamento comunitario. Tuttavia, la tesi proposta dal collegio remittente non presenta riscontri giurisprudenziali sufficientemente solidi; al contempo, in virtù della sua portata dirompente, necessita probabilmente di un’espressa previsione normativa. Occorrerà, dunque, valutare attentamente quale sarà il bilanciamento che sarà operato dall’Adunanza Plenaria tra i due interessi contrapposti, con la conseguente scelta fra esigenze di concentrazione e speditezza del processo e rafforzamento dell’effettività della tutela dei non aggiudicatari, tenendo presenti, in ogni caso, i principi comunitari.

 

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 8446 del 2012, proposto dalla società Edilerica Appalti e Costruzioni a r.l., in proprio e in qualità di capogruppo mandataria di un R.T.I. costituendo, rappresentata difesa dagli avvocati Francesco Nardocci e Silvio Carloni, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Oslavia 14;

R.T.I. MCC Cerone Costruzioni Metalliche a r.l., rappresentato e difeso dall’avvocato Silvio Carloni, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Oslavia 14;

contro

Università degli Studi di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Consorzio Nazionale di Cooperative di Produzione e Lavoro "Ciro Minotti" s.c.p.a., rappresentato e difeso dagli avvocati Roberto Fariselli, Mirca Tognacci e Mario Sanino, con domicilio eletto presso Mario Sanino in Roma, viale Parioli, 180;
Serio Società Cooperativa a r.l.;
Moveco s.r.l.;

e con l’intervento di

ad adiuvandum:
A.C.E.R. Associazione dei Costruttori Edili di Roma e Provincia, rappresentata e difesa dall’avvocato Riccardo Barberis, con domicilio eletto presso Riccardo Barberis in Roma, via Antonio Pollaiolo 3


per la riforma della sentenza in forma semplificata resa dal t.a.r. dell’umbria, sez. i, n. 450/2012

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Perugia e del Consorzio Nazionale di Cooperative di Produzione e Lavoro "Ciro Minotti" s.c.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2012 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato Carloni e l’avvocato dello Stato Stigliano Messuti

La società Edilerica Appalti e Costruzioni a r.l. e la società MCC Cerone Costruzioni Metalliche a r.l. riferiscono di aver preso parte (in qualità – rispettivamente – di capogruppo mandataria e di mandante di un R.T.I. costituendo) alla procedura aperta da esperirsi con il metodo del prezzo più basso indetta dall’Università degli studi di Perugia per l’affidamento dei lavori di restauro e rifunzionalizzazione di un immobile sito in via della Tartaruga – Perugia (bando in data 28 marzo 2012).
All’esito delle operazioni di gara, l’amministrazione aggiudicatrice ha comunicato che il R.T.I. Edilerica si era classificato al secondo posto, mentre il Consorzio Nazionale Cooperative di Produzione e Lavoro ‘Ciro Menotti’ si era classificato al secondo posto (la comunicazione in questione, resa ai sensi dei commi 2, lettera c) e 5 dell’articolo 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, è stata resa con lettera raccomandata del 5 luglio 2012).
Il RTI appellante riferisce che “avendo interesse di verificare le modalità di svolgimento delle operazioni di gara, con particolare riferimento alla posizione del concorrente aggiudicatario, ha domandato di accedere agli atti di gara.
L’Università ha consentito l’accesso solo in data 26 luglio 2012 (ciò perché, come è stato riferito telefonicamente, il funzionario responsabile prima era in ferie), con l’ostensione degli atti e il contestuale rilascio di copia di parte della documentazione amministrativa e delle dichiarazioni del Consorzio ‘Ciro Menotti’”.
Il R.T.I. appellante riferisce, altresì, che solo a seguito dell’integrale disamina della documentazione di gara ha potuto rilevare l’esistenza di vizi nella formulazione dell’offerta da parte del Consorzio primo classificato i quali, ove correttamente apprezzati, ne avrebbero dovuto determinare l’esclusione dalla procedura.
In particolare, il vizio nella formulazione dell’offerta da parte del Consorzio aggiudicatario consisterebbe in ciò, di avere designato, quale consorziata che avrebbe eseguito i lavori, la Serio soc. coop. a r.l. e nel fatto che quest’ultima, a propria volta, avesse designato quale impresa esecutrice la Moveco soc. coop. a r.l.
In tal modo, il Consorzio appellato avrebbe posto in essere un inammissibile meccanismo di designazione ‘a cascata’ delle imprese designate per l’esecuzione dell’appalto.
Il R.T.I. osserva che i richiamati vizi nella formulazione dell’offerta non erano immediatamente evincibili dal contenuto della comunicazione resa ai sensi dell’articolo 79, comma 2, lettera c) del ‘Codice dei contratti’ (il quale si limita a stabilire l’obbligo per le stazioni appaltanti “[di comunicare] ad ogni offerente che abbia presentato un’offerta selezionabile, le caratteristiche e i vantaggi dell’offerta selezionata e il nome dell’offerente cui è stato aggiudicato il contratto o delle parti dell’accordo quadro”).
Pertanto, una volta avuta completa cognizione del contenuto dell’offerta dell’appellata, il R.T.I. appellante aveva provveduto a notificare il ricorso introduttivo dinanzi al T.A.R.
Ai fini della presente ordinanza di rimessione occorre osservare:
- che il termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso, decorrente dalla comunicazione di cui all’articolo 79 (comma 2, lettera c) e comma 5), computato ai sensi del comma 2 dell’articolo 120 del ‘codice’ – e tenuto conto della sospensione feriale dei termini –, veniva a scadenza il 19 settembre 2012,
- che la notifica del ricorso introduttivo è stata effettuata solo otto giorni dopo la scadenza del richiamato termine ultimo - ossia, il successivo 27 settembre 2012 –.
Con la sentenza oggetto del presente appello (adottata in forma semplificata ai sensi dell’articolo 60 del c.p.a.) il T.A.R. dell’Umbria ha dichiarato il ricorso in questione irricevibile, ritenendo che il terminus a quo per il computo del termine di impugnativa (pari a trenta giorni, ai sensi del comma 5 dell’articolo 120 del codice del processo amministrativo) coincidesse con il momento di ricezione della comunicazione di cui all’articolo 79 del medesimo codice.
Al riguardo i primi Giudici hanno osservato:
- che non sembrano applicabili al caso di specie i principi enunciati da questo Consiglio con la sentenza n. 2646/2011;
- che la vigente disciplina dell’impugnazione degli atti delle procedure di evidenza pubblica, recata dall’articolo 120 del ‘codice’, ispirata alla ratio di forte accelerazione impressa dalle esigenze di adattamento alla Direttiva 2007/66/CE (costituente il principale criterio ermeneutico nell’applicazione del citato art. 120), “non consent[e] di ritenere compatibile con il richiamato dato normativo la richiamata tesi della difesa ricorrente, anche alla luce dello specifico disposto del comma 7 dello stesso art. 120”.
La sentenza in questione è stata impugnata in sede di appello dalla società Edilerica Appalti e Costruzioni a r.l. e dalla società MCC Cerone Costruzioni Metalliche a r.l. le quali ne hanno chiesto la riforma articolando plurimi motivi.:
I) - In primo luogo l’appellante lamenta che i primi Giudici abbiano dichiarato la tardività del ricorso (il quale, tenuto conto del termine di sospensione feriale, era stato proposto il trentottesimo giorno successivo alla comunicazione di cui all’articolo 79 del ‘codice dei contratti’), senza tenere in adeguata considerazione il fatto che, anche nella materia delle pubbliche gare, il termine per l’impugnativa non può farsi decorrere dalla mera conoscenza dell’atto oggetto di impugnativa, bensì dal momento (nel caso di specie, di alcuni giorni successivo) in cui il soggetto inciso ha potuto apprezzarne la lesività e la concreta illegittimità (momento che, nel caso in esame, si è verificato solo a seguito dell’accesso agli atti esperito ai sensi del comma 5-quater dell’articolo 79 del ‘codice dei contratti’).
Sotto tale aspetto, i primi Giudici avrebbero omesso di considerare che le disposizioni sull’esperimento dei rimedi di tutela nella materia degli appalti pubblici, essendo in buona parte di derivazione comunitaria (in particolare: direttiva 89/665/CE, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE), devono essere interpretate in modo da garantire in massimo grado l’effet utile proprio delle disposizioni comunitarie oggetto di ravvicinamento delle legislazioni.
Sotto tale aspetto, le disposizioni in materia di termini e modalità di impugnativa (e, segnatamente, l’articolo 120 del c.p.a.) dovrebbero essere lette e interpretate alla luce del pertinente paradigma comunitario di riferimento (e, segnatamente, dell’articolo 2-quater della direttiva 89/665/CE, secondo cui il termine previsto dalle singole legislazioni nazionali per la proposizione del ricorso deve necessariamente decorrere dalla piena conoscenza da parte dell’interessato dei “motivi pertinenti” i quali hanno condotto all’aggiudicazione).
Al riguardo, la sentenza in epigrafe si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza comunitaria, la quale ha chiarito che il termine per la proposizione del ricorso in materia di appalti non può essere semplicemente fatto decorrere dal momento della conoscenza dell’atto lesivo, bensì da quello in cui l’interessato è venuto a conoscenza della violazione normativa posta a fondamento dell’aggiudicazione.
La stessa giurisprudenza comunitaria ha – altresì – chiarito che gli ordinamenti nazionali devono assicurare all’interessato la disponibilità di un termine pieno ed effettivo per la proposizione del ricorso: ciò comporta che, laddove in un primo momento l’interessato non abbia potuto avere piena conoscenza delle violazioni sottese all’aggiudicazione, il termine per l’impugnativa dovrà necessariamente decorrere ex novo dal momento in cui egli abbia avuto tale conoscenza.
La giurisprudenza della Corte di giustizia ha, altresì, sancito l’obbligo per i Giudici nazionali di disapplicare le disposizioni nazionali le quali si pongano in contrasto con il principio di diritto comunitario appena richiamato.
Del resto, anche parte della giurisprudenza del Consiglio di Stato ha affermato che l’articolo 120 del c.p.a., letto in combinato disposto con l’articolo 79 del ‘codice dei contratti’, deve essere inteso nel senso che il termine per l’impugnativa avverso un’aggiudicazione in ipotesi illegittima non possa che decorrere dal momento in cui l’interessato abbia avuto piena e adeguata conoscenza delle caratteristiche (e dei vantaggi) dell’offerta selezionata.
Opinando in senso diverso si giungerebbe alla conseguenza (invero, inammissibile) di far gravare sul partecipante alla gara un onere particolarmente stringente – quello di impugnare gli atti entro il ridottissimo termine di 30 giorni, salva la possibilità di proporre motivi aggiunti – senza porre lo stesso in condizione di disporre di tale termine in modo pieno ed effettivo, al fine di operare una scelta processuale consapevole, pur nel limitato tempo a disposizione.
Conseguentemente, la sentenza in epigrafe dovrebbe essere riformata per non aver considerato che, nelle ipotesi in cui la comunicazione di cui all’articolo 79 del ‘codice dei contratti’ non ponga l’interessato in condizione di conoscere per intero le caratteristiche dell’offerta (e i relativi vizi), il termine per l’impugnativa dovrebbe essere prorogato almeno di un ulteriore termine di dieci giorni (ossia, del termine previsto dal comma 5-quater del medesimo articolo 79 per esercitare l’accesso integrale agli atti della procedura di gara).
Laddove i primi Giudici avessero operato nel modo appena indicato avrebbero dovuto concludere nel senso della tempestività del ricorso introduttivo, il quale era stato proposto dopo solo otto giorni dal decorso del termine di trenta giorni a partire dal giorno della comunicazione di cui all’articolo 79, cit.
II) Nel merito, il R.T.I. appellante ribadisce nella presente sede di appello il motivo (già articolato in primo grado e non esaminato dal T.A.R. per avere esso ritenuto assorbente il profilo della tardività del ricorso) secondo cui il Consorzio nazionale Cooperative di Produzione e Lavoro ‘Ciro Menotti’ avrebbe dovuto essere escluso dalla gara per avere illegittimamente designato quale impresa consorziata che avrebbe eseguito i lavori la soc. Serio soc. coop. a r.l., mentre questa aveva – a sua volta – designato quale impresa esecutrice la Moveco soc. coop. a r.l. (che era stata indicata genericamente come ‘associata’ dalla cooperativa Serio).
Secondo l’appellante, il richiamato sistema di indicazione ‘a cascata’ dell’impresa esecutrice si porrebbe in contrasto con la disciplina di settore, la quale consente tale tipologia di designazione solo in caso di consorzio il quale – a propria volta – designi un altro consorzio. Al contrario, ciò non sarebbe possibile nel caso, che qui ricorre, in cui una consorziata (che non è essa stessa un Consorzio, come la soc. Serio) indichi quale impresa esecutrice una semplice associata (quale la soc. Moveco), la quale non è legata da un rapporto organico né con il Consorzio Ciro Menotti, né con la cooperativa Moveco (e che pertanto non potrebbe legittimamente giovarsi, ai fini della partecipazione alla gara, dei requisiti del Consorzio).
In definitiva, sarebbe stato necessario disporre l’esclusione dalla gara del Consorzio Ciro Menotti per violazione della previsione di cui al comma 7 dell’articolo 37 del ‘Codice dei contratti’, secondo cui “i consorzi di cui all’articolo 34, comma 1, lettera b) sono tenuti ad indicare, in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorre”.
III) Sempre nel merito, il R.T.I. appellante ribadisce nella presente sede di appello il motivo (già articolato in primo grado e non esaminato dal T.A.R. per la ritenuta tardività del ricorso) secondo cui l’Università degli Studi di Perugia avrebbe operato in modo gravemente illegittimo (e con rilevanti profili di colposità) per avere difeso il proprio operato con affermazioni ellittiche ed elusive anche quando l’odierna appellante aveva indicato, attraverso l’informativa di cui all’articolo 243-bis del ‘codice dei contratti’ l’esistenza di profili di illegittimità connessi all’aggiudicazione e la propria intenzione di proporre ricorso avverso la stessa.
L’appellante ha, altresì, articolato domanda risarcitoria finalizzata all’integrale ristoro del danno patito in conseguenza degli atti illegittimi posti in essere dall’Università degli Studi di Perugia nell’ambito della complessiva vicenda.
Si è costituito in giudizio il Consorzio Nazionale Cooperative di Produzione e Lavoro ‘Ciro Menotti’, il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.
Nella Camera di consiglio del giorno 11 luglio 2012 il ricorso è stato trattenuto in decisione, anche al fine di rendere una decisione in forma semplificata (del che è stata data puntuale comunicazione alle parti presenti).
Il Collegio, tuttavia, ha rilevato che un punto di diritto sottoposto al suo esame può dar luogo a contrasti giurisprudenziali e ha, pertanto , deciso di rimettere la decisione del ricorso all’Adunanza plenaria (comma 1 dell’articolo 99 del c.p.a.).
All’esito della medesima Camera di consiglio il Collegio ha, comunque, reso l’ordinanza cautelare n. 4857/2012 con cui ha accolto l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza in epigrafe, impedendo – in particolare – la stipula del contratto con il Consorzio appellato.
 

DIRITTO
 

1. Aspetti generali della questione
1.1. Giunge all’esame del Collegio il ricorso in appello proposto da una società attiva nel settore delle ristrutturazioni la quale aveva partecipato a una gara per appalti pubblici di lavori indetta dall’Università degli studi di Perugia (classificandosi al secondo posto della graduatoria finale) avverso la sentenza del T.A.R. dell’Umbria con cui è stato dichiarato irricevibile per tardività il ricorso proposto avverso gli atti con cui l’appalto in questione era stato aggiudicato al Consorzio nazionale Cooperative di Produzione e Lavoro ‘Ciro Menotti’.
2. Il necessario rinvio all’Adunanza plenaria e i quesiti da rivolgere all’Organo nomofilattico.
2.1. Il Collegio ritiene che una fra le questioni di diritto dibattute fra le parti (e che è stata ritenuta dirimente dai primi Giudici ai fini del decidere) possa dar luogo a contrasti giurisprudenziali e che, quindi, sia opportuno deferire la controversia all’esame dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato ai sensi del comma 1 dell’articolo 99 del c.p.a.
2.2. In particolare, si ritiene di sottoporre all’Adunanza plenaria le seguenti questioni:
I) “Se il quadro normativo nazionale in tema di impugnativa in sede giurisdizionale degli atti relativi a procedure di aggiudicazione di gare ad evidenza pubblica (e, segnatamente, il comma 5 dell’articolo 120 del c.p.a., letto in combinato disposto con il comma 2, lettera c), con il comma 5 e con il comma 5-quater dell’articolo 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n, 163) debba essere inteso, anche alla luce della matrice comunitaria che lo ispira (direttiva 89/665/CE come modificata dalla direttiva 2007/66/CE), nel senso che il termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso principale:
a) decorre dal giorno della ricezione della comunicazione di cui al comma 2, lettera c) e di cui al comma 5 dell’articolo 79 del ‘codice dei contratti’ nel solo caso in cui la presunta violazione delle disposizioni comunitarie e nazionali poste a fondamento del ricorso sia immediatamente percepibile dal contenuto di tale comunicazione, mentre
b) decorre dal giorno in cui è stato possibile ottenere integrale accesso agli atti della procedura ai sensi del comma 5-quater del medesimo articolo 79 (e comunque non oltre il decimo giorno dalla comunicazione di cui al comma 2, lettera c) e di cui al comma 5 del medesimo articolo) nel caso in cui la presunta violazione non fosse percepibile dal contenuto della dichiarazione e sia resa palese solo a seguito dell’esperito accesso agli atti”;
II) (nel caso in cui il tenore delle disposizioni della cui interpretazione si discute - e, segnatamente, del comma 5 dell’articolo 120 del c.p.a., letto in combinato disposto con il comma 2, lettera c), con il comma 5 e con il comma 5-quater dell’articolo 79 del decreto legislativo 12 aprile 206, n, 163 – non sia suscettibile dell’interpretazione dinanzi ipotizzata sub I),) “Se si ritenga compatibile con i princìpi costituzionali di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale (articolo 24, Cost.) e con il principio comunitario dell’effet utile il quadro normativo nazionale in tema di impugnativa in sede giurisdizionale degli atti relativi a procedure di aggiudicazione di gare ad evidenza pubblica, per la parte in cui – per un verso – assoggetta a un termine notevolmente accelerato l’impugnativa degli atti in questione e – per altro verso – determina una ulteriore, sostanziale, riduzione dei termini per l’impugnativa nelle ipotesi in cui la presunta violazione non sia direttamente percepibile dal contenuto della dichiarazione di cui al richiamato articolo 79 e sia resa palese solo a seguito dell’esperito accesso agli atti (in tal modo ponendo a carico del soggetto ricorrente lo sfavorevole effetto processuale dell’ulteriore riduzione del termine effettivamente a disposizione ai fini dell’impugnativa e per un numero di giorni pari a quello necessario per avere piena conoscenza degli atti della gara possibile oggetto di impugnativa e dei relativi profili di illegittimità)”.
3. Il quadro normativo di riferimento.
3.1. Ai fini della presente ordinanza di rimessione vengono in particolare in rilievo quattro disposizioni:
a) in primo luogo, il comma 5 dell’articolo 120 del c.p.a. (articolo rubricato ‘Disposizioni specifiche ai giudizi di cui all’articolo119, coma 1, lettera a)’), il cui primo periodo stabilisce che “per l’impugnazione degli atti di cui al presente articolo [ivi compresi gli atti di aggiudicazione che nel caso in esame vengono in rilievo, n.d.E.] il ricorso, principale o incidentale e i motivi aggiunti, anche avverso atti diversi da quelli già impugnati, devono essere proposti nel termine di trenta giorni, decorrente, per il ricorso principale e per i motivi aggiunti, dalla ricezione della comunicazione di cui all’ articolo 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, o, per i bandi e gli avvisi con cui si indice una gara, autonomamente lesivi, dalla pubblicazione di cui all’ articolo 66, comma 8, dello stesso decreto; ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza dell’atto”;
b) in secondo luogo, l’articolo 79, comma 2, lettera c) del decreto legislativo 163 del 2006 (c.d. ‘codice dei contratti’), secondo cui “[le stazioni appaltanti comunicano] c) ad ogni offerente che abbia presentato un’offerta selezionabile, le caratteristiche e i vantaggi dell’offerta selezionata e il nome dell’offerente cui è stato aggiudicato il contratto o delle parti dell’accordo quadro”;
c) in terzo luogo l’articolo 79, comma 5, lettera a) del medesimo decreto, secondo cui “[in ogni caso l’amministrazione comunica d’ufficio] a) l’aggiudicazione definitiva, tempestivamente e comunque entro un termine non superiore a cinque giorni, all’aggiudicatario, al concorrente che segue nella graduatoria, a tutti i candidati che hanno presentato un’offerta ammessa in gara, a coloro la cui candidatura o offerta siano state escluse se hanno proposto impugnazione avverso l’esclusione, o sono in termini per presentare dette impugnazioni, nonché a coloro che hanno impugnato il bando o la lettera di invito, se dette impugnazioni non siano state ancora respinte con pronuncia giurisdizionale definitiva”;
d) in quarto luogo, l’articolo 79, comma 5-quater del ridetto articolo 79, secondo cui “fermi i divieti e differimenti dell’accesso previsti dall’articolo 13, l’accesso agli atti del procedimento in cui sono adottati i provvedimenti oggetto di comunicazione ai sensi del presente articolo è consentito entro dieci giorni dall’invio della comunicazione dei provvedimenti medesimi mediante visione ed estrazione di copia. Non occorre istanza scritta di accesso e provvedimento di ammissione, salvi i procedimenti di esclusione o differimento dell’accesso adottati ai sensi dell’articolo 13. Le comunicazioni di cui al comma 5 indicano se ci sono atti per i quali l’accesso è vietato o differito, e indicano l’ufficio presso cui l’accesso può essere esercitato, e i relativi orari, garantendo che l’accesso sia consentito durante tutto l’orario in cui l’ufficio è aperto al pubblico o il relativo personale presta servizio”.
4. Inquadramento sistematico della questione.
4.1. La questione che il Collegio ritiene di rimettere all’Adunanza plenaria concerne i rapporti fra:
- da un lato, la previsione dinanzi richiamata sub a) (la quale ha introdotto un termine decadenziale particolarmente breve per l’impugnativa degli atti delle pubbliche gare) e
- dall’altro, le previsioni di cui all’articolo 79 del ‘Codice dei contratti’ il quale, se – per un verso – garantisce che ai soggetti interessati sia data tempestiva comunicazione degli elementi essenziali relativi all’avvenuta aggiudicazione (e dall’avvenuta comunicazione decorre in via ordinaria il termine di trenta giorni per l’impugnativa), per altro verso lascia residuare la possibilità (invero, fisiologica) per cui neppure a seguito di tale comunicazione l’interessato possa avere piena conoscenza dei profili di possibile illegittimità connessi all’aggiudicazione. In tali casi, infatti, è ben possibile che la piena conoscenza dei profili di illegittimità dell’atto lesivo sia in concreto acquisita solo a seguito dell’esperito accesso agli atti (accesso per il quale il richiamato comma 5-quater reca modalità semplificate ed accelerate, stabilendo che esso è consentito entro il termine di dieci giorni dalla comunicazione di cui ai precedenti commi 2 e 5).
4.2. Ci si domanda, quindi, se (anche in considerazione delle particolari esigenze di tutela connesse alla derivazione comunitaria delle disposizioni sostanziali e processuali di cui trattasi e, comunque, nel bilanciamento fra i vari interessi coinvolti) si possa fornire un’interpretazione del richiamato quadro normativo tale per cui il termine di trenta giorni per l’impugnativa del provvedimento di aggiudicazione non decorra sempre dal momento della comunicazione di cui ai commi 2 e 5 dell’articolo 79, ma sia incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto (che si ritenga) leso dall’aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell’atto e dei relativi profili di illegittimità (laddove questi non fossero oggettivamente evincibili dalla richiamata comunicazione e – comunque – entro il limite dei dieci giorni che il richiamato comma 5-quater fissa per esperire la particolare forma di accesso - semplificato ed accelerato - ivi disciplinata).
4.3. Qui di seguito, i principali elementi che depongono nel senso di fornire risposta favorevole al primo dei richiamati quesiti, anche in considerazione del fatto che la questione qui esaminata ha dato luogo o può dare luogo a contrasti giurisprudenziali.
4.3.1. In primo luogo, il Collegio ritiene di richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui in via di principio, la piena conoscenza dell’atto censurato (acquisita la quale inizia a decorrere il termine decadenziale per l’impugnativa) si concretizza con la cognizione, da parte del soggetto interessato, degli elementi essenziali quali l’autorità emanante, l’oggetto, il contenuto dispositivo ed il suo effetto lesivo, perché tali elementi sono sufficienti a rendere il legittimato all’impugnativa consapevole dell’incidenza dell’atto nella sua sfera giuridica e a dargli la concreta possibilità di rendersi conto della lesività del provvedimento, senza che sia necessaria la compiuta conoscenza della motivazione e degli atti del procedimento, che può rilevare solo ai fini della proposizione dei motivi aggiunti (Cons. Stato, IV, 26 gennaio 2010 n. 292).
Si è condivisibilmente affermato, tuttavia, che detti elementi essenziali devono essere tali da consentire all’interessato di poter valutare se l’atto è illegittimo o meno. In difetto, si deve ritenere che il destinatario abbia una mera facoltà, non un onere, di impugnare subito l’atto per poi proporre i motivi aggiunti, ben potendo attendere di conoscere la motivazione dell’atto per poter, una volta avuta completa conoscenza del contenuto dell’atto, quindi dell’effetto lesivo dello stesso, valutare se impugnarlo o meno (ex multis, Cons. Stato, VI, 8 febbraio 2007 n. 522). Ciò in quanto, ai sensi dell’art. 3 l. 7 agosto 1990, n. 241, la motivazione è obbligatoria, sicché la mera notizia che esiste un provvedimento non può essere equiparata alla piena conoscenza del provvedimento medesimo. Di conseguenza, la piena conoscenza del provvedimento presuppone la conoscenza del contenuto essenziale dell’atto, non potendo il termine per l’impugnazione decorrere dalla semplice conoscenza del suo contenuto dispositivo sfavorevole, ma occorrendo anche la consapevolezza dei vizi da cui eventualmente l’atto è affetto, conseguita attraverso la valutazione della motivazione (Cons. Stato, V, 4 gennaio 2011, n. 8).
La giurisprudenza di questo Consiglio ha altresì osservato che la verifica della “piena conoscenza” dell’atto lesivo da parte del ricorrente, ai fini di individuare la decorrenza del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale, deve essere estremamente cauta e rigorosa, non potendo basarsi su mere supposizioni ovvero su deduzioni, pur sorrette da apprezzabili argomentazioni logiche. Essa deve risultare incontrovertibilmente da elementi oggettivi, ai quali il giudice deve riferirsi, nell’esercizio del suo potere di verifica di ufficio della eventuale irricevibilità del ricorso, o che devono essere rigorosamente indicati dalla parte che, in giudizio, eccepisca l’irricevibilità del ricorso instaurativo del giudizio.
Ebbene, queste essendo le coordinate sistematiche attraverso cui riguardare la questione in oggetto, ne consegue che non appare condivisibile far decorrere il termine per l’impugnativa dal momento della semplice conoscenza degli elementi essenziali dell’offerta risultata vincitrice (ci si riferisce alla comunicazione relativa “[alle] caratteristiche [e ai] vantaggi dell’offerta” di cui alla lettera c) del comma 2 dell’articolo 79, cit.), in specie nelle ipotesi in cui – come nel caso in esame – da tale comunicazione non fossero in alcun modo evincibili gli ulteriori e diversi aspetti sui quali si sono in seguito innestate le censure di illegittimità (aspetti di cui l’interessato è potuto venire a conoscenza solo a seguito dell’accesso).
4.3.2. In secondo luogo, l’appellante ha correttamente richiamato un orientamento giurisprudenziale comunitario in quale sembra effettivamente deporre nel senso che il termine per la proposizione di impugnative in materia di procedure di affidamento relative ad appalti c.d. ‘sopra soglia’ decorra dalla data in cui l’interessato sia stato posto in condizione di conoscere della illegittimità dell’atto della serie procedimentale (in particolare: dell’aggiudicazione), con obbligo per il Giudice nazionale di disapplicare l’eventuale disposizione processuale di diritto interno la quale connetta il decorso di tale termine da un momento diverso (e, in particolare, dal momento anteriore in cui è stata resa nota la sola aggiudicazione con la generica indicazione delle relative caratteristiche e vantaggi).
Al riguardo, appare pertinente ai fini della presente decisione la sentenza della Corte di giustizia delle CE, III Sezione, 28 gennaio 2010 in causa C-406/08 (Uniplex) con cui è stato affermato che:
- “l’art. 1, n. 1, della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, esige che il termine per proporre un ricorso diretto a far accertare la violazione della normativa in materia di aggiudicazione di appalti pubblici ovvero ad ottenere un risarcimento dei danni per la violazione di detta normativa decorra dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della violazione stessa”;
- “la direttiva 89/665, come modificata dalla direttiva 92/50, impone al giudice nazionale di prorogare il termine di ricorso, esercitando il proprio potere discrezionale, in maniera tale da garantire al ricorrente un termine pari a quello del quale avrebbe usufruito se il termine previsto dalla normativa nazionale applicabile fosse decorso dalla data in cui egli era venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della violazione della normativa in materia di aggiudicazione di appalti pubblici. Qualora le disposizioni nazionali relative ai termini di ricorso non si dovessero prestare ad un’interpretazione conforme alla direttiva 89/665, come modificata dalla direttiva 92/50, il giudice nazionale sarebbe tenuto a disapplicarle, al fine di applicare integralmente il diritto comunitario e di proteggere i diritti che questo attribuisce ai singoli”.
Sotto tale aspetto il Collegio ritiene che, contemperando la statuizione della Corte di Giustizia (la quale ipotizza una sorta di “proroga [del] termine di ricorso” jussu judicis al fine di consentire il conseguimento dell’effet utile da parte della disposizione processuale di matrice comunitaria) con l’evidente ratio di concentrazione ed accelerazione sottesa alla previsione di diritto interno in tema di termine decadenziale d’impugnativa e di accesso agli atti di gara (in particolare: comma 5-quater dell’articolo 79 del ‘Codice dei contratti’), il punto di equilibrio fra le richiamate esigenze possa essere individuato in una lettura del complessivo quadro normativo tale, per cui il dies a quo per il decorso del termine decadenziale d’impugnativa sia posticipato sino a decimo giorno dalla comunicazione di aggiudicazione ex art. 79, cit. (ossia al momento in cui il concorrente, agendo in modo diligente, potrà aver avuto conoscenza integrale della documentazione di proprio interesse, attivando le modalità semplificate di accesso agli atti di cui al medesimo comma 5-quater).
Naturalmente, ciò sarebbe possibile a due condizioni:
a) che, effettivamente, il profilo di illegittimità lamentato in sede di impugnativa non fosse in alcun modo desumibile dal tenore della comunicazione di cui all’articolo 79;
b) che il richiamato termine di dieci giorni (aggiuntivo rispetto a quello di trenta giorni per la proposizione dell’impugnativa ai sensi dell’articolo 120, comma 5 del c.p.a.) dovrebbe essere corrispettivamente ridotto nelle ipotesi in cui, esperito l’accesso agli atti della gara, la pertinente documentazione sia stata resa disponibile in un termine inferiore rispetto a quello di dieci giorni di cui al più volte richiamato comma 5-quater.
4.3.3. In terzo luogo si osserva che la giurisprudenza di questo Consiglio si è già, in alcune ipotesi, dimostrata sensibile all’esigenza di operare (nella materia in questione) un delicato bilanciamento fra:
- (da un lato) l’evidente ratio acceleratoria sottesa alla dimidiazione del termine decadenziale per l’impugnativa nel c.d. ‘rito appalti’ e la necessità che tale finalità non possa essere ostacolata o derogata attraverso il riconoscimento di possibili escamotages di ordine processuale. In quest’ottica, ogni temperamento al carattere apparentemente tassativo della regola del termine di trenta giorni dovrebbe essere limitata a quanto strettamente necessario per conseguire un obiettivo di tutela costituzionalmente garantito (ci si riferisce, in particolare ai canoni di pienezza ed effettività della tutela in sede giurisdizionale e di inviolabilità del diritto di difesa di cui all’articolo 24, Cost)
- (dall’altro) l’esigenza di evitare che l’imposizione di un termine di per sé molto breve, unita alla necessità – in talune ipotesi – di impiegare alcuni giorni (dieci, secondo il modello di cui all’articolo 79, comma 5-quater) per avere piena conoscenza degli atti di gara, renda impossibile o eccessivamente difficoltoso l’esercizio pieno ed effettivo di tale diritto (in tali ipotesi, se l’amministrazione impiega l’intero termine di dieci giorni per consentire all’interessato l’accesso integrale agli atti di gara, quest’ultimo disporrà di un termine di soli venti giorni utili per spiegare le proprie difese in relazione ad atti della cui illegittimità abbia potuto conoscere solo a seguito dell’accesso – ossia, di un termine pari a un terzo di quello ordinariamente previsto per la proposizione del ricorso -).
Si segnala al riguardo la sentenza di questo Consiglio, V, 1° settembre 2011, n. 4895, la quale ha stabilito che la legge, attraverso il combinato disposto degli artt. 79, codice dei contratti pubblici e 120 c.p.a. ha inteso delimitare ad un massimo di quaranta giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione (sia o meno accompagnata dal provvedimento o dai verbali di gara recanti la motivazione: 10 giorni per esercitare l’accesso decorrenti dalla comunicazione + 30 giorni per la proposizione del ricorso).
In termini simili si è espresso Cons. Stato, III, 14 marzo 2012, n. 1428, il quale ha ritenuto la tempestività di un ricorso proposto successivamente alla scadenza del termine di 30 giorni dalla comunicazione di cui all’articolo 79 del ‘Codice dei contratti’ in un’ipotesi in cui tale comunicazione non risultava idonea a consentire la piena conoscenza degli atti sottesi all’aggiudicazione (piena conoscenza che era stata conseguita solo in un secondo momento, a seguito dell’accesso agli atti).
Nell’occasione, questo Giudice di appello ha affermato che l’obbligo posto in capo alla stazione appaltante di rendere edotti i soggetti non aggiudicatari dei risultati della gara può intendersi correttamente adempiuto, al fine di garantire ricorsi efficaci e tempestivi contro le violazioni delle disposizioni applicabili in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, attraverso la comunicazione dell’atto di affidamento nella sua forma integrale e, ove dallo stesso ( come appunto si rileva nel caso di specie ) non risultino comunque gli elementi di cui sopra, attraverso l’invio dei verbali di gara, come pure d’altronde previsto dal citato comma 5.
5. Conclusioni sul punto.
5.1. Per le ragioni sin qui esposte, si ritiene di sottoporre all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato i quesiti dinanzi esposto al paragrafo 2.2., sub I) e II).
6. Nel merito
6.1. Laddove l’Adunanza plenaria ritenesse superabile il profilo di tardività sottolineato dai primi Giudici, si ritiene che sussistano elementi tali da concludere nel senso della fondatezza dell’appello (con particolare riguardo al secondo motivo), dal momento che, effettivamente, il sistema di indicazione ‘a cascata’ dell’impresa esecutrice da parte del Consorzio Nazionale di Cooperative ‘Ciro Menotti’ appare in contrasto con la pertinente disciplina di settore.
In particolare, il comma 7 dell’articolo 37 del ‘Codice dei contratti’ (secondo cui “i consorzi di cui all’articolo 34, comma 1, lettera b) sono tenuti ad indicare, in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorre”) sembra ammettere la richiamata tipologia di designazione solo in caso di consorzio il quale – a propria volta – designi un altro consorzio e non anche nell’ipotesi, che qui ricorre, in cui una consorziata (che non è essa stessa un Consorzio, come la soc. Serio) indichi quale impresa esecutrice una semplice associata (quale la soc. Moveco), la quale non è legata da un rapporto organico né con il Consorzio Ciro Menotti, né con la cooperativa Moveco.
7. Conclusioni.
7.1. Per le ragioni fin qui esposte, il Collegio ritiene che l’intera controversia vada devoluta all’esame dell’Adunanza Plenaria, affinché siano definite le segnalate delicate questioni, aventi carattere di massima.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) rimette l’esame della intera controversia all’esame all’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99 del Codice del processo amministrativo.
Spese al definitivo.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2012 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giovannini, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere, Estensore
Gabriella De Michele, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere