Cons. Stato, sez. VII, 6 ottobre 2025, n. 7784
La direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione osta a che il legislatore nazionale possa prorogare unilateralmente, mediante disposizioni legislative entrate in vigore dopo la data limite per la trasposizione di detta direttiva, la durata di concessioni di servizi e, in tale occasione, quale contropartita, in primo luogo, aumentare l’importo di un canone fissato forfettariamente e dovuto da tutti i concessionari interessati, indipendentemente dal loro fatturato, in secondo luogo, mantenere un divieto di trasferimento dei loro locali e, in terzo luogo, mantenere un obbligo di accettare tali proroghe al fine, per i concessionari suddetti, di essere autorizzati a partecipare a qualsiasi futura procedura di riattribuzione di tali concessioni.
Dalla direttiva 2014/23/UE discende l'obbligo dell’amministrazione aggiudicatrice di disapplicare la normativa recata dall’art. 1, comma 1047, legge n. 205/2017, con l'effetto di procedere con immediatezza alla indizione delle gare e il potere potere/dovere della medesima amministrazione di rideterminare le condizioni di un rapporto di concessione, qualificabile come rapporto di fatto, in modo da garantire l’equilibrio dell’originario rapporto, tenendo conto di vantaggi e svantaggi per tutte le parti, in modo onnicomprensivo e a condizione di reciprocità.
Guida alla lettura
La pronuncia in esame trae le proprie origini da una lunga e articolata controversia nata nell’ambito di un contratto di concessione per l’esercizio del gioco del bingo. In specifico, il gravame ha ad oggetto la richiesta di riforma della sentenza del TAR Lazio con la quale i giudici di primo grado hanno respinto le censure proposte dai ricorrenti finalizzate all’ottenimento dell’annullamento del provvedimento dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli che aveva negato la possibilità di riconsiderare l’equilibrio economico-finanziario del contratto concessorio in quanto era loro preclusa la possibilità di esercitare qualsivoglia intervento modificativo di una misura legislativamente predeterminata. Accedeva, infatti, che un concessionario avanzava nei confronti dell’Agenzia una domanda di rideterminazione del canone concessorio mensile di proroga tecnica, più volte elevato sulla scorta di atti normativi, al quale non riusciva a far fronte in ragione dello stato di grande difficoltà economico-finanziaria e carenza di liquidità dovuto alle conseguenze dell’emergenza epidemiologica da Covid 19.
Il TAR Lazio, nell’esprimersi sulla richiesta, in parte dichiarava improcedibile il ricorso e in parte lo respingeva dichiarando non apprezzabili di accoglimento le censure proposte sia in merito alla sussistenza del potere discrezionale in capo all’Agenzia di riconsiderare l’equilibrio economico-finanziario delle concessioni sia quelle concernenti la sostenuta illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1047, della legge n. 205/2017.
Nel proporre appello avverso la sentenza dei giudici amministrativi romani i ricorrenti hanno lamentato, tra i diversi motivi, anche il mancato obbligo di immediata disapplicazione delle disposizioni interne incompatibili con il diritto dell’Unione Europea nonché la sussistenza in capo all’Agenzia del potere/dovere di rinegoziare le condizioni del rapporto concessorio in via derogatoria rispetto a quanto previsto dalla legge n. 205/2017.
La Sezione VII del Consiglio di Stato, accolte le istanze dei ricorrenti, ha sospeso il ricorso e ha rimesso alla CGUE diverse questioni interpretative sulle quali la Corte si è pronunciata con sentenza del 20 marzo 2025 (C-728/22) chiarendo che:
- la Direttiva 2014/23, ratione temporis, trova applicazione ai contratti di concessione attribuiti prima della sua entrata in vigore e che siano stati prorogati da disposizioni legislative che hanno posto a carico dei concessionari interessati, tra l’altro, un obbligo di pagare un canone mensile, il cui importo è stato successivamente aumentato;
- le autorità aggiudicatrici, ai sensi della prefata direttiva, su domanda del concessionario, possono modificare le condizioni di esercizio della concessione, qualora eventi imprevedibili e indipendenti dalla volontà delle parti incidano in modo significativo sul rischio operativo posto a base della concessione.
Il Giudici di Palazzo Spada, fermi i chiarimenti statuiti dalla CGUE, hanno inteso chiarire che è da ritenersi pacifica l’applicazione della direttiva 2014/23 al contratto oggetto della lite in quanto i suoi presupposti sostanziali sono tali da permettere il qualificarsi dello stesso come concessione di servizi dato che il rapporto non scaturisce da provvedimenti di semplice autorizzazione o licenza amministrativa per l’esercizio di un’attività economica, bensì da contratti/convenzioni mediante i quali l’amministrazione aggiudicatrice consegue i benefici della prestazione di un servizio determinato, assicurando una remunerazione al prestatario, oltre ad essere stata affidata a seguito di gara pubblica europea.
Ciò detto, continuano i giudici, la Direttiva 2014/23 nell’armonizzare le possibili cause scatenanti una modifica del contratto concessorio senza che sia necessario organizzare una nuova procedura di attribuzione non ha escluso le modifiche imposte unilateralmente per via legislativa; pertanto, la modifica unilaterale introdotta ex lege, come nel caso che qui interessa, rientra in astratto nel pieno campo di applicazione dell’art. 43 della Direttiva in parola. Tanto vero, però, continuano i giudici, non vi è dubbio alcuno sul fatto che la modifica introdotta con la legge n. 205/2017 abbia comportato una variazione delle condizioni economiche della concessione di importo assai più consistente rispetto a quello previsto dall’art. 43 paragrafo 2 della Direttiva, pertanto deve ritenersi acclarata la incompatibilità con il diritto dell’Unione dell’art. 1, comma 1047, della legge n. 205/2017, nella parte in cui, modificando l’art. 1, comma 636, della legge n. 147/2013, ha prorogato l’efficacia temporale delle concessioni in essere e ha previsto un aumento del canone mensile dovuto, ed in ragione di detta incompatibilità, grava sullo Stato membro, in tutte le sue articolazioni interne, l’obbligo di disapplicare la norma interna contrastante con il diritto europeo.
Nel pronunciarsi definitivamente sulla lite, il Consiglio di Stato, fatti propri i principi statuiti dalla CGUE, accoglie in parte il ricorso e definitivamente chiarisce che:
- la direttiva 2014/23 osta al legislatore dello Stato membro di prorogare unilateralmente, mediante disposizioni legislative la durata di concessioni di servizi prevedendo come contropartita: l’aumento del canone fissato forfettariamente e dovuto da tutti i concessionari interessati, indipendentemente dal loro fatturato; il divieto del trasferimento dei loro locali; l’obbligo nei confronti dei concessionari di accettare tali proroghe al fine di poter partecipare alle future procedure di riattribuzione di tali concessioni.
- l’Agenzia già menzionata in qualità di amministrazione aggiudicatrice è obbligata, per violazione del diritto eurounitario, a disapplicare la normativa recata dall’art. 1, comma 1047, legge n. 205/2017 e ad esercitare il proprio potere/dovere di rideterminare le condizioni contrattuali in modo da garantire l’equilibrio economico-finanziario originario e, con immediatezza, dovrà procedere all’indizione delle nuove gare.
In conclusione, con la pronuncia in esame il Consiglio di Stato ribadisce il consolidato principio del primato del diritto eurounitario sul diritto interno con il conseguente obbligo da parte delle amministrazioni aggiudicatrici di disapplicare la norma nazionale in contrasto.
Pubblicato il 06/10/2025
N. 07784/2025REG.PROV.COLL.
N. 03765/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALAINA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3765 del 2022, proposto da Anib - Associazione Nazionale Italiana Bingo, in persona del legale rappresentante pro tempore, e Play Game S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Alvise Vergerio Di Cesana e Luca Porfiri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alvise Vergerio Di Cesana in Roma, Lungotevere Marzio, 3;
contro
il Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi,12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda, n. 13036/2021
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1° luglio 2025 il Cons. Daniela Di Carlo e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Anna Colabolletta e gli avvocati Alvise Vergerio Di Cesana e Luca Porfiri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La s.r.l. Anib, in qualità di associazione rappresentativa dei concessionari del bingo, e la s.r.l. Play Game in qualità di concessionario per l’esercizio del gioco del bingo e quale soggetto aderente alla associazione medesima, appellano la sentenza di cui in epigrafe, con la quale il TAR del Lazio ha respinto il loro ricorso volto ad ottenere l’annullamento della nota del 18 novembre 2020, con cui l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha denegato le seguenti istanze:
- disponga l’immediata e temporanea sospensione del pagamento del canone relativo alla proroga tecnica fino al ripristino delle originarie condizioni di equilibrio economico- finanziario alterate dalla pandemia e, in ogni caso, fino al termine dell’attuale emergenza epidemiologica da Covid-19;
- ridetermini il canone concessorio in una misura che tenga conto dell’effettiva capacità contributiva di ogni concessionario, sostituendo al canone provvisorio di € 2.800,00 mensili (flat tax oggetto della richiamata ordinanza del TAR Lazio), una revisione in aumento dell’aggio spettante ai Monopoli, maggiorato dello 0,70%. In questo modo si otterrebbe un’entrata erariale complessiva superiore a quella realizzabile con il solo versamento del canone provvisorio di € 2.800,00 mensili, peraltro ancorata (l’entrata) all’effettiva capacità contributiva del concessionario;
- in estremo subordine, accetti il versamento dell’importo mensile di € 2.800,00 nelle more della definizione delle controversie giudiziarie pendenti, senza che venga pretesa la presentazione di alcuna ulteriore fideiussione, posto che quella in essere, pari a ben € 516.000,00, è già in grado di garantire il pagamento del canone mensile nella misura (illegittima) di € 7.500,00.
2. In particolare, le società ricorrenti avevano sollecitato l’intervento dell’Agenzia per porre fine allo stato di gravissima difficoltà economico- finanziaria e di sostanziale carenza di liquidità nella quale versavano nell’esercitare la concessione in una situazione di significativo disequilibrio, sia in relazione all’emergenza legata all’epidemia da COVID-19, sia in considerazione dell’aumento del canone concessorio mensile dovuto ai sensi dell’art. 1, comma 1047, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), nella parte in cui, modificando il comma 636 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Legge di stabilità 2014), ne aveva innalzato la misura, già peraltro oggetto di aumento con la previsione recata dall’art. 1, comma 934, della legge n. 208/2015.
In sintesi, era accaduto che l’importo mensile del canone di proroga tecnica, dagli iniziali euro 2.800,00 previsti dalla legge n. 147/2013, era stato elevato ad euro 5.000,00 dalla legge n. 208/2015 e poi ulteriormente aumentato sino ad euro 7.500,00 dalla attuale legge n. 205/2017, posta a base della emanazione della nota qui impugnata.
3. Con la suddetta nota, le richieste avanzate dalle società ricorrenti venivano respinte con la motivazione che risulta preclusa la possibilità di esercitare qualsivoglia intervento modificativo di una misura legislativamente predeterminata, qual è quella relativa alla pretesa del pagamento del canone concessorio fissato dal legislatore, trattandosi di materia regolata da norme primarie (e giammai modificabili da provvedimenti amministrativi) e per le quali l’Agenzia è spogliata di qualsiasi potere di scelta.
4. Le società ricorrenti hanno impugnato la nota ritenendola illegittima per i seguenti motivi:
- Disapplicazione della norma di cui alla legge n. 147/2013, come modificata dalle leggi nn. 208/2015 e 205/2017, per contrasto con il diritto dell’Unione Europea di cui agli artt. 15, 16, 20 e 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, all’art. 3 del Trattato dell’Unione Europea e agli artt. 8, 49, 56, 12, 145 e 151 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.
La norma recata dall’art. 1, comma 636, comma 1, lett. c), della legge n. 147/2013, come modificata dalle leggi n. 208/2015 e n. 205/2017, nella parte in cui prevede un canone mensile unico pari ad € 7.500,00 per tutti i concessionari indipendentemente dalle rispettive capacità di guadagno delle rispettive sale, si pone in aperto contrasto con numerose disposizioni del diritto dell’Unione che ne impongono la disapplicazione, costituendo un motivo di disuguaglianza tra gli operatori economici del settore, oltre che un’evidente violazione dei principi a tutela della concorrenza.
- Violazione degli artt. 15, 16, 20 e 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, dell’art. 3 del Trattato dell’Unione Europea e degli artt. 8, 49, 56, 12, 145 e 151 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria, travisamento dei fatti, sviamento, difetto di motivazione, manifesta irragionevolezza.
Le considerazioni formulate nel paragrafo che precede svelano anche che il provvedimento di diniego impugnato è stato adottato in evidente carenza dei presupposti e di istruttoria, oltre che in violazione delle norme di diritto europeo richiamate, in quanto alcun accertamento è stato svolto dall’Agenzia al fine di accertare la sostenibilità del canone fisso mensile rispetto alle effettive capacità di guadagno delle sale.
- Domanda di accertamento della ricorrenza dei presupposti di rinegoziazione delle convenzioni di concessione ai fini del riequilibrio economico-finanziario delle stesse.
La disapplicazione della norma primaria, che l’Agenzia invoca quale unico ostacolo alla rinegoziazione delle concessioni, mira a ristabilire l’equilibrio economico-finanziario ai sensi dell’art. 175, decreto legislativo n. 50/2016, il cui comma 2 specificatamente prevede, quali condizioni di esercizio delle concessioni, convenienza economica e sostenibilità. L’emergenza epidemiologica ha reso ancor più evidente tale perduto equilibrio, aggravando il disallineamento tra l’importo del canone concessorio e l’effettivo valore del servizio dato in concessione. Il giudice amministrativo, nell’esercizio della propria giurisdizione esclusiva di cui all’art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a., può accertare e dichiarare la ricorrenza dei presupposti affinché le Amministrazioni resistenti, ciascuna per quanto di propria competenza, procedano alla rinegoziazione delle convenzioni di concessione delle società ricorrenti, ai fini del riequilibrio economico finanziario delle stesse, con rideterminazione del relativo canone mensile in misura proporzionale al numero delle cartelle effettivamente vendute.
- Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma, 1047, della legge n. 205/2017, dell’art. 1, comma 934, della n. 208/2015 e dell’art. 1, comma 636, della n. 147/2013. Violazione dell’art. 165 D.Lgs. n. 50/2016. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria, travisamento dei fatti, sviamento, difetto di motivazione, irragionevolezza manifesta.
La risposta negativa fornita dall’Agenzia con il provvedimento impugnato si rivela illegittima anche perché in contrasto con l’interpretazione costituzionalmente orientata della stessa normativa di rango primario che la medesima Agenzia ha erroneamente posto a base della propria determinazione di rigetto, posto che a fronte di una grave alterazione del sinallagma contrattuale l’Amministrazione non può lasciare il privato senza alcuna forma di tutela delle proprie posizioni giuridiche soggettive.
- Violazione degli art. 2 e 42 Cost., nonché degli artt. 1175, 1366, 1374 e 1375 c.c. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria, travisamento dei fatti, sviamento, difetto di motivazione, irragionevolezza manifesta.
Si insiste ancora a dire, sotto diverso profilo, che nel rendere l’impugnata risposta negativa l’Agenzia ha altresì tralasciato di considerare che esistono altre norme di rango primario, se non addirittura costituzionale, che inducono a ritenere l’esistenza di un potere/dovere della P.A. di procedere a rinegoziare il rapporto convenzionale di concessione, in presenza di eventi gravi e imprevedibili in grado di alterare il sinallagma dello stesso.
- Illegittimità derivata dall’illegittimità dell’art. 1, comma 1047, della n. 205/2017, dell’art. 1, comma 934, della n. 208/2015, dell’art. 1, comma 636, della legge n. 147/2013, per contrasto con gli artt. 2, 3, 41, 42, 53 e 97 Cost. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria, travisamento dei fatti, sviamento, difetto di motivazione, irragionevolezza manifesta.
Nella denegata ipotesi in cui si volesse seguire la tesi dell’Agenzia e ritenere così che il provvedimento di diniego impugnato abbia un contenuto in qualche modo necessitato per effetto delle norme primarie in esso richiamate, lo stesso si rivelerebbe comunque illegittimo per illegittimità derivata delle medesime norme, in quanto in contrasto con gli art. 2, 3, 41, 42, 53 e 97 Costituzione.
- Natura tributaria dell'onere concessorio. Illegittimità derivata dall’illegittimità della disposizione di cui all’art. 1, comma 636, della legge n. 147/2013, e successive modifiche ed integrazioni, per violazione degli artt. 3 e 53 Costituzione. Malgrado il nomen iuris, il canone concessorio mensile imposto va qualificato come un tributo, essendo lo Stato un monopolista, mentre i concessionari privati sono tenuti al pagamento dei prelievi e non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei servizi.
- Chiedevano, inoltre, le società ricorrenti, di sottoporre alla Corte costituzionale la questione di costituzionalità della prefata normativa in riferimento agli artt. 2, 3, 41, 42, 53 e 97 della Costituzione, nonché alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea quella della sua compatibilità rispetto ai principi di certezza, tutela della concorrenza ed effettività, nonché in relazione agli artt. 15, 16, 20 e 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, 3 del Trattato dell’Unione Europea e 8, 49, 56, 12, 145 e 151 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.
5. Con la sentenza qui impugnata, il TAR ha in parte dichiarato improcedibile il ricorso (motivando come fossero venute meno le circostanze in base alle quali si era richiesto all’Agenzia di soprassedere dal pretendere il pagamento dell’intero canone), e per la restante parte lo ha respinto, disattendendo sia le censure incentrate sull’asserita sussistenza del potere discrezionale in capo all’Agenzia di riconsiderare l’equilibrio economico-finanziario delle concessioni, sia quelle concernenti la sostenuta illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1047, della legge n. 205/2017, in buona sostanza riportandosi, in motivazione, ai principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 49/2021.
6. Nell’appellare la sentenza, le società ricorrenti hanno lamentato:
- Ingiustizia grave e manifesta per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria. Violazione degli artt. 111 Cost., 132 c.p.c. e 118, comma 1, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.
La genericità della motivazione addotta in sentenza a sostegno della parziale declaratoria di improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse, renderebbe impossibile comprendere a quali, tra gli specifici sette motivi di ricorso formulati dalle società ricorrenti, abbia voluto far riferimento il TAR, con conseguente illegittimità della sentenza appellata per manifesta genericità della motivazione e violazione degli artt. 111 Cost., 132 c.p.c. e 118, comma 1, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.
- Erronea e illegittima mancata disapplicazione della norma di cui alla legge n. 147/2013, come modificata dalle leggi nn. 208/2015 e 205/2017, malgrado il contrasto con il diritto dell’Unione Europea di cui agli artt. 15, 16, 20 e 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, all’art. 3 del Trattato dell’Unione Europea e agli artt. 8, 49, 56, 12, 145 e 151 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Violazione dell’art. 112 c.p.c. Ingiustizia grave e manifesta per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria.
La sentenza impugnata sarebbe errata anche nella parte in cui, disattendendo le censure incentrate sull’illegittima predeterminazione di un canone mensile unico pari a 7.500,00 euro per tutti i concessionari indipendentemente dalle rispettive capacità di guadagno, ha disvelato di avere travisato, in violazione dell’art. 112 c.p.c., il contenuto del primo motivo di ricorso, con il quale non si era affatto richiesto di riconoscere in capo all’Agenzia la sussistenza di un potere discrezionale di provvedere sull’istanza contra o praeter legem, ma si era invece domandato di dichiarare l’obbligo gravante sull’Agenzia di provvedere sulla ridetta istanza disapplicando il regime ex lege di proroga tecnica contenuto nelle leggi n. 147/2013, n. 208/2015 e n. 205/2017, in quanto incompatibile con il diritto dell’Unione Europea.
- Violazione degli artt. 15, 16, 20 e 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, dell’art. 3 del Trattato dell’Unione Europea e degli artt. 8, 49, 56, 12, 145 e 151 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria, travisamento dei fatti, sviamento, difetto di motivazione, manifesta irragionevolezza. Violazione dell’art. 112 c.p.c. Ingiustizia grave e manifesta per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria.
L’esame del suddetto motivo sarebbe stato del tutto pretermesso dal TAR, con conseguente necessità che sul medesimo si pronunci ora il giudice d’appello, con pieno effetto devolutivo.
- Domanda di accertamento della ricorrenza dei presupposti di rinegoziazione delle convenzioni di concessione ai fini del riequilibrio economico-finanziario delle stesse. Violazione dell’art. 112 c.p.c. Ingiustizia grave e manifesta per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria.
In questo caso il TAR ha esaminato il motivo, ma lo avrebbe respinto sulla base di motivazioni apparenti e inconsistenti, senza cioè comprendere quali erano le ragioni di doglianza alla base delle censure proposte, ovverossia l’intenzione di dolersi non del carattere eccezionale del regime di proroga tecnica, bensì delle gravi conseguenze che ne erano scaturite e che avevano portato ad imporre ai concessionari un canone rideterminato in aumento, fonte di grave squilibrio convenzionale rispetto al rapporto inizialmente oggetto di aggiudicazione, per di più aggravato dalla crisi epidemiologica da COVID-19.
- Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma, 1047, della legge n. 205/2017, dell’art. 1, comma 934, della n. 208/2015 e dell’art. 1, comma 636, della n. 147/2013. Violazione dell’art. 165 D.Lgs. n. 50/2016. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria, travisamento dei fatti, sviamento, difetto di motivazione, irragionevolezza manifesta. Violazione dell’art. 112 c.p.c. Ingiustizia grave e manifesta per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria.
Anche l’esame della suddetta censura, incentrata sulla necessità di dare una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa istitutiva del regime ex lege di proroga tecnica, sarebbe stato del tutto pretermesso dal TAR, con conseguente necessità, per il giudice d’appello, di scrutinarla integralmente.
- Violazione degli art. 2 e 42 Cost., nonché degli artt. 1175, 1366, 1374 e 1375 c.c. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria, travisamento dei fatti, sviamento, difetto di motivazione, irragionevolezza manifesta. Violazione dell’art. 112 c.p.c. Ingiustizia grave e manifesta per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria.
Pure in questo caso il TAR avrebbe del tutto pretermesso lo scrutinio del motivo, tralasciando di motivare circa il quadro normativo, sia pubblicistico sia civilistico, in base al quale le società ricorrenti rivendicavano l’esistenza di un potere/dovere della P.A. di rinegoziare le condizioni del rapporto convenzionale di concessione, in presenza di eventi gravi e imprevedibili in grado di alterare il sinallagma dello stesso.
- Illegittimità derivata dall’illegittimità dell’art. 1, comma 1047, della n. 205/2017, dell’art. 1, comma 934, della n. 208/2015, dell’art. 1, comma 636, della legge n. 147/2013, per contrasto con gli artt. 2, 3, 41, 42, 53 e 97 Cost. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria, travisamento dei fatti, sviamento, difetto di motivazione, irragionevolezza manifesta. Violazione dell’art. 112 c.p.c. Ingiustizia grave e manifesta per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria.
La sentenza impugnata sarebbe errata anche nella parte in cui, pure a volere seguire la tesi dell’Agenzia che il provvedimento di diniego impugnato abbia un contenuto necessitato per effetto delle norme primarie in esso richiamate, ha escluso che lo stesso si rivelerebbe comunque illegittimo per illegittimità derivata delle medesime norme, poiché in contrasto con gli art. 2, 3, 41, 42, 53 e 97 Costituzione.
- Natura tributaria dell'onere concessorio. Illegittimità derivata dall’illegittimità della disposizione di cui all’art. 1, comma 636, della legge n. 147/2013, e successive modifiche ed integrazioni, per violazione degli artt. 3 e 53 Cost. Violazione dell’art. 112 c.p.c. Ingiustizia grave e manifesta per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria.
Anche tale censura, che investe aspetti di illegittimità costituzionale tutt’affatto che scrutinati nella menzionata sentenza n. 49/2021), sarebbe stata del tutto obliterata dal TAR, con conseguente ulteriore profilo di illegittimità della pronuncia appellata e necessità di devolvere la questione al giudice d’appello.
7. Si sono costituiti il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, instando per il rigetto dell’appello.
8. Con l’ordinanza cautelare n. 2891/2022, la Sezione ha accolto l’istanza delle società ricorrenti e ha ordinato all’Amministrazione di non procedere, fino alla definizione dell’appello, alla riscossione delle somme ancora dovute, ferme quelle già riscosse.
9. Con l’ordinanza n. 4180/2023, la Sezione ha respinto l’ulteriore istanza cautelare formulata dalle società ricorrenti, ritenendo che le esigenze prospettate fossero già state interamente soddisfatte e che non vi fosse nessun elemento nuovo da valutare.
10. Con l’ordinanza n. 4471/2023, pronunciata sull’istanza delle società ricorrenti volta alla revocazione della precedente ordinanza n. 4180 del 2023 e alla corretta esecuzione di quella n. 2891 del 2022, la Sezione ha accolto il motivo rescindente incentrato sul travisamento in fatto della domanda effettivamente proposta dalle ricorrenti, ma in rescissorio ha respinto le nuove richieste cautelari, sia perché fondate su una normativa (art. 1, comma 124, legge n. 197/2022) successiva all’adozione dell’atto impugnato e alla proposizione dei motivi di ricorso, sia perché il nuovo atto adottato sulla base della ridetta normativa è stato oggetto di autonoma impugnazione con ricorso straordinario al Capo dello Stato.
11.- Con l’ordinanza interlocutoria n. 10261/2022, è stato sospeso il giudizio e sono state rimesse alla CGUE, ai sensi dell’art. 267 TFUE, le seguenti questioni interpretative:
- Se la direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, nonché i principi generali desumibili dal Trattato, e segnatamente gli artt. 49 e 56, TFUE debbano essere interpretati nel senso che essi trovano applicazione a fronte di concessioni di gestione del gioco del Bingo le quali siano state affidate con procedura selettiva nell’anno 2000, siano scadute e poi siano state reiteratamente prorogate nell’efficacia con disposizioni legislative entrate in vigore successivamente all’entrata in vigore della direttiva ed alla scadenza del suo termine di recepimento.
- Nel caso in cui al primo quesito sia fornita risposta affermativa, se la direttiva 2014/23/UE osta ad una interpretazione o applicazione di norme legislative interne, o prassi applicative sulla base delle norme stesse, tali da privare l’Amministrazione del potere discrezionale di avviare, su istanza degli interessati, un procedimento amministrativo volto a modificare le condizioni di esercizio delle concessioni, con o senza indizione di nuova procedura di aggiudicazione a seconda che si qualifichi o meno modifica sostanziale la rinegoziazione dell’equilibrio convenzionale, nei casi in cui si verifichino eventi non imputabili alle parti, imprevisti ed imprevedibili, che incidono in modo significativo sulle condizioni normali di rischio operativo, finché perdurino tali condizioni e per il tempo necessario per eventualmente ripristinare le condizioni originarie di esercizio delle concessioni.
- Se la direttiva 89/665/CE, quale modificata dalla direttiva 2014/23/UE, osta ad una interpretazione o applicazione di norme nazionali interne, o prassi applicative sulla base delle norme stesse, tali che il Legislatore o l’Amministrazione pubblica possano condizionare la partecipazione alla procedura per la riattribuzione delle concessioni di gioco all’adesione del concessionario al regime di proroga tecnica, anche nell’ipotesi in cui sia esclusa la possibilità di rinegoziare le condizioni di esercizio della concessione al fine di ricondurle in equilibrio, in conseguenza di eventi non imputabili alle parti, imprevisti ed imprevedibili, che incidono in modo significativo sulle condizioni normali di rischio operativo, finché perdurino tali condizioni e per il tempo necessario per eventualmente ripristinare le condizioni originarie di esercizio delle concessioni.
- Se, in ogni caso, gli artt. 49 e 56 del TFUE e i principi di certezza ed effettività della tutela giuridica, nonché il principio del legittimo affidamento ostino ad una interpretazione o applicazione di norme legislative interne, o prassi applicative sulla base delle norme stesse, tali da privare l’Amministrazione del potere discrezionale di avviare, su istanza degli interessati, un procedimento amministrativo volto a modificare le condizioni di esercizio delle concessioni, con o senza indizione di nuova procedura di aggiudicazione a seconda che si qualifichi o meno modifica sostanziale la rinegoziazione dell’equilibrio convenzionale, nei casi in cui si verifichino eventi non imputabili alle parti, imprevisti ed imprevedibili, che incidono in modo significativo sulle condizioni normali di rischio operativo, finché perdurino tali condizioni e per il tempo necessario per eventualmente ripristinare le condizioni originarie di esercizio delle concessioni.
- Se gli artt. 49 e 56 del TFUE e i principi di certezza ed effettività della tutela giuridica, nonché il principio del legittimo affidamento ostino ad una interpretazione o applicazione di norme nazionali interne, o prassi applicative sulla base delle norme stesse, tali che il Legislatore o l’Amministrazione pubblica possano condizionare la partecipazione alla procedura per la riattribuzione delle concessioni di gioco all’adesione del concessionario al regime di proroga tecnica, anche nell’ipotesi in cui sia esclusa la possibilità di rinegoziare le condizioni di esercizio della concessione al fine di ricondurle in equilibrio, in conseguenza di eventi non imputabili alle parti, imprevisti ed imprevedibili, che incidono in modo significativo sulle condizioni normali di rischio operativo, finché perdurino tali condizioni e per il tempo necessario per eventualmente ripristinare le condizioni originarie di esercizio delle concessioni.
- Se, più in generale, gli artt. 49 e 56 del TFUE e i principi di certezza ed effettività della tutela giuridica, nonché il principio del legittimo affidamento ostino a una normativa nazionale (quale quella che rileva nella controversia principale, la quale prevede a carico dei gestori delle sale Bingo il pagamento di un oneroso canone di proroga tecnica su base mensile non previsto negli originari atti di concessione, di ammontare identico per tutte le tipologie di operatori e modificato di tempo in tempo dal legislatore senza alcuna dimostrata relazione con le caratteristiche e l’andamento del singolo rapporto concessorio.
12. Al fine di vagliare la ricevibilità del rinvio, la Corte ha richiesto al giudice rimettente documentati chiarimenti in ordine a taluni fatti del giudizio principale, e precisamente: (t)enuto conto dell'oggetto delle domande di pronuncia pregiudiziale, dirette all'interpretazione degli articoli 49, 56 e 63 TFUE, e alla luce dei requisiti stabiliti dall’articolo 94 del Regolamento di procedura, come precisati ai punti 9 e da 14 a 20 delle Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale, si chiede al giudice del rinvio di indicare, in modo circostanziato, sotto quali profili le concessioni di cui è causa presentino un interesse transfrontaliero certo ai sensi della giurisprudenza della Corte (v., tra le altre, sentenza del 14 luglio 2016, Promoimpresa e a., C-458/14 e C-67/15, EU:C:2016:558, punti 65 e 66) e, pertanto, un elemento di collegamento con le citate libertà di circolazione.
13. Con l’ordinanza interlocutoria n. 9837/2023, la Sezione ha reso chiarimenti conformemente al punto 18 del nuovo testo delle Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale, indicando sia le ragioni per le quali si ritiene che elementi prevalenti depongano nel senso della applicabilità della Direttiva 2014/23/UE alle concessioni per cui è causa, sia le ragioni per le quali, in riferimento alle domande di pronuncia pregiudiziale dirette all'interpretazione degli articoli 49, 56 e 63 TFUE, sussiste l’interesse transfrontaliero certo.
14. Con sentenza del 20 marzo 2025, la Corte di Giustizia, Sezione V, ha deciso la causa oggetto del presente rinvio (C-728/22) unitamente a quelle, riunite, oggetto di altri due rinvii pregiudiziali (C-729/22 e C-730/22).
15. Per quanto di interesse, la Corte ha risposto alla prima questione dichiarando che (l)a direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, deve essere interpretata nel senso che essa è applicabile ratione temporis a dei contratti di concessione, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), di detta direttiva, i quali siano stati attribuiti prima dell’entrata in vigore della direttiva 2014/23, ma siano stati prorogati da disposizioni legislative che hanno posto a carico dei concessionari interessati, quale contropartita, in primo luogo, un obbligo di pagare un canone mensile, il cui importo è stato successivamente aumentato, in secondo luogo, un divieto di trasferimento dei loro locali e, in terzo luogo, un obbligo di accettare tali proroghe per essere autorizzati a partecipare a qualsiasi futura procedura di riattribuzione di dette concessioni, laddove dette disposizioni legislative siano esse stesse entrate in vigore dopo la data limite di trasposizione della direttiva 2014/23. In tale situazione, gli articoli 49 e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi non sono applicabili (cfr. il punto 67 della motivazione e il correlato dispositivo).
16. Sulla premessa della applicabilità ratione temporis della prefata direttiva 2014/23 alle concessioni oggetto di causa, la Corte ha risposto alla seconda questione dichiarando che gli articoli 5 e 43 della direttiva stessa devono essere interpretati nel senso che essi non ostano ad un’interpretazione o ad un’applicazione di norme legislative interne, o a prassi applicative fondate su tali norme, tali da privare l’autorità aggiudicatrice del potere di avviare, su domanda di un concessionario, un procedimento amministrativo inteso a modificare le condizioni di esercizio della concessione in parola, qualora eventi imprevedibili e indipendenti dalla volontà delle parti incidano in modo significativo sul rischio operativo di tale concessione, finché perdurino tali condizioni e per il tempo necessario per eventualmente ripristinare le condizioni originarie di esercizio della concessione stessa (cfr. i punti da 101 a 105 della motivazione e il correlato dispositivo).
17. La Corte ha dichiarato irricevibile la terza questione, mentre ha dichiarato che non occorre rispondere alle questioni quarta, quinta e sesta, dato che, nelle controversie di cui ai procedimenti principali, le ricorrenti di tali procedimenti contestano delle modifiche che devono essere valutate alla luce della direttiva 2014/23.
18. Proseguito il giudizio, le parti hanno continuato ad insistere sulle rispettive tesi difensive. In particolare, fornendo una lettura della sentenza della CGUE diametralmente opposta, sul presupposto della manifesta contrarietà con la direttiva 2014/23 della contestata disciplina nazionale della proroga tecnica recata dall’art. 1, commi 636 e 637, della legge n. 147/2013, come modificata dall’art. 1, comma 934, della legge n. 208/2015 e dall’art. 1, comma 1047, della legge n. 205/2017, le società ricorrenti hanno insistito per la sua immediata e totale disapplicazione in base al principio della primazia del diritto dell’Unione, mentre il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli lo hanno radicalmente escluso, tanto più nella presente controversia, in cui nemmeno figura, tra i motivi di impugnazione alla nota del 18 novembre 2020, quello volto a censurare la illegittimità del sistema ex lege di proroga tecnica e il suo rapporto con l’art. 43 della Direttiva 2014/23, con conseguente inammissibilità del motivo nuovo dedotto per la prima volta in appello (art. 104, comma 1, c.p.a.) e divieto per il giudice di pronunciare ultrapetita (art. 112 c.p.c.).
19.- Alla udienza pubblica del 1° luglio 2025, la causa è passata in decisione sulla previa discussione delle parti.
20. Vanno anzitutto respinte le eccezioni di inammissibilità ex art. 104, comma 1, c.p.a. e ultrapetizione ex art. 112 c.p.c. sollevate dal Ministero dell’economia e delle finanze e dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli in riferimento alla asserita mancata proposizione, tra i motivi di ricorso di primo grado, di quello volto a censurare la illegittimità del sistema ex lege di proroga tecnica e il suo rapporto con l’art. 43 della Direttiva 2014/23, con conseguente sostenuta inapplicabilità ai fini del decidere, a parere delle suddette Amministrazioni, dei principi di diritto affermati dalla Corte con riferimento al rapporto tra la proroga tecnica e l’art. 43 della Direttiva 2014/23/UE.
Mette conto, infatti, rammentare, che i concessionari del bingo hanno presentato all’Agenzia istanze tese ad ottenere la sospensione immediata del canone mensile dovuto a titolo di regime di proroga tecnica nell’ammontare fissato dalla legge n. 205/2017, in modo da tener conto dell’effettiva capacità contributiva di ciascun concessionario che si trovava a dover far fronte alle difficoltà finanziarie dovute sia all’emergenza epidemiologica da COVID-19, sia all’applicazione della normativa nazionale che aveva introdotto, assieme al carattere oneroso delle concessioni, il regime della proroga tecnica, sostituendo al canone provvisorio di € 2.800,00 mensili una revisione in aumento dell’aggio spettante ai Monopoli, maggiorato dello 0,70%.
In particolare, le prefate istanze miravano ad evidenziare all’Agenzia come il sistema ex lege della proroga tecnica avesse caratterizzato il rapporto giuridico nascente dalle concessioni di gioco in modo non solo differente rispetto a quello originariamente sorto, che era per l’appunto gratuito, ma peggiorativo delle condizioni della parte contrattuale privata, sia sotto l’aspetto principale del pagamento del canone mensile dovuto, via via aumentato (legge n. 147/2013, legge n. 208/2015 e legge n. 205/2017), sia sotto altri aspetti ritenuti comunque non secondari dai concessionari, quali il divieto di trasferimento dei locali e il vincolo ad accettare le proroghe e le modifiche al rapporto al fine di essere autorizzati a partecipare alla futura procedura di riattribuzione delle concessioni di gioco.
Nelle intenzioni dei concessionari del bingo, non vi era quindi quella di contestare alla radice, al fine di ottenerne la demolizione in toto, del sistema ex lege della proroga tecnica, e di sottrarsi così all’obbligo di pagamento del canone mensile dovuto, bensì solo quella, diversa, di ottenere il riequilibrio del rapporto proprio sulla base della medesima normativa posta a fondamento della modifica contrattuale ex parte publica, in via alternativa, e cioè o attraverso la disapplicazione della ridetta normativa in modo da tener conto dell’effettiva capacità contributiva di ciascun concessionario, sostituendo al canone provvisorio di € 2.800,00 mensili una revisione in aumento dell’aggio spettante ai Monopoli, maggiorato dello 0,70%, oppure attraverso la rinegoziazione delle condizioni di concessione.
A riprova, vi è il fatto che, nelle summenzionate istanze, denegate dalla nota del 18 novembre 2020 qui impugnata, i concessionari adducevano a motivo dell’insussistenza dell’obbligo di prestare ulteriore fideiussione per la differenza di canone dovuta, la sufficienza del versamento dell’importo mensile di € 2.800,00.
Detto in altri termini, i concessionari non rivendicavano la disapplicazione totale del regime ex lege di proroga tecnica (anche se sembrano farlo ora, o perlomeno così è sembrato in base alla discussione orale), bensì, al contrario, essi insistono affinché la sua applicazione non sia a senso unico, e cioè a totale ed esclusivo favore della parte pubblica, con sacrificio della sola parte privata. È dunque evidente che, mirando i concessionari ad ottenere una applicazione della legge compatibile con i principi della Costituzione e con il diritto dell’Unione, vi è titolo ad interrogarsi se la norma di legge recata dall’art. 1, comma 1047, legge n. 205/2017, nella misura in cui essa si innesta, modificandolo ex parte publica, nel rapporto giuridico concessorio disciplinato dalla Direttiva 2014/23/UE e dalla normativa nazionale di recepimento di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, applicabile alla presente controversia, sia legittima anche laddove venga interpretata e applicata, nella prassi amministrativa dell’Agenzia, nel senso di disconoscere qualsivoglia proprio potere di riesaminare il rapporto convenzionale.
21. Venendo ai motivi di appello, in primo luogo va rilevata l’erronea declaratoria di parziale improcedibilità del ricorso di primo grado, in quanto le misure interinali e normative non avevano fatto venir meno l’interesse dei concessionari a ottenere comunque una riduzione del canone dovuto.
22. In ordine logico vanno poi esaminate le censure che si incentrano sull’obbligo di immediata e diretta disapplicazione da parte dell’Agenzia delle disposizioni interne incompatibili con il diritto dell’Unione e sulla sussistenza, in capo all’Agenzia medesima, del potere di rinegoziare le condizioni del rapporto concessorio, in particolare per quanto riguarda i modi e i tempi di pagamento del canone, in via derogatoria rispetto a quanto previsto dalla legge n. 205/2017.
23. In particolare, i concessionari insistono sui ridetti obblighi in capo all’Agenzia sulla base delle previsioni recate dagli artt. 5 e 43 della direttiva 2024/23/UE, trasposta nell’ordinamento interno dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.
24. La prima questione giuridica riguarda, quindi, la applicabilità della suddetta direttiva ai contratti di concessione per cui è causa.
Al quesito deve darsi risposta affermativa, posto che i diritti di gestione che sono stati affidati alle società ricorrenti soddisfano i presupposti sostanziali per essere qualificati come concessioni di servizi ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), della Direttiva 2014/23/UE (in coerenza con la risposta data dalla Corte di Giustizia al primo quesito con la sentenza del 20 marzo 2025, v., in particolare, il punto 67).
Come già evidenziato alla Corte nell’ordinanza interlocutoria n. 9837/2023, i rapporti in essere non scaturiscono da provvedimenti di semplice autorizzazione o licenza amministrativa per l’esercizio di un’attività economica, bensì si tratta di contratti/convenzioni accessive al provvedimento di concessione, mediante i quali l’amministrazione aggiudicatrice consegue i benefici della prestazione di un servizio determinato, assicurando una remunerazione al prestatario (v. sentenza del 14 luglio 2016, Promoimpresa, cause riunite C-458/14 e C-67/15, EU:C:2016:558, punti 46-48).
In particolare, il corrispettivo dei concessionari consiste nel diritto di gestire detti giochi in favore degli utenti finali, e la sua entità è data dalla raccolta che deriva dalla vendita delle cartelle (quindi dalla gestione del servizio), dedotti il prelievo erariale, le vincite e la quota che spetta al soggetto preposto al controllo centralizzato del gioco.
Si rientra quindi nella definizione di cui al cit. art. 5 della direttiva n. 2014/23/UE, secondo cui: “un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più amministrazioni aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera a) ad uno o più operatori economici, ove il corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o in tale diritto accompagnato da un prezzo”.
Inoltre, il Considerando (35) della direttiva esclude dall’ambito di applicazione della direttiva stessa le sole concessioni esercitate sulla base di un diritto esclusivo concesso mediante una procedura non ad evidenza pubblica, ma nel caso all’esame le concessioni sono state aggiudicate a più operatori a seguito di gara pubblica europea.
Ancora, le concessioni in questione raggiungono la soglia prevista dall’articolo 8 della direttiva.
La direttiva si applica, inoltre, ai contratti di concessione in essere, anche sul piano temporale, in quanto gli stessi, benché nascenti da titoli concessori rilasciati anteriormente alla entrata in vigore della direttiva, sono stati prorogati nella loro efficacia dalla legge n. 205/2017, e dunque successivamente alla scadenza del termine (18 aprile 2016) previsto per la trasposizione della direttiva medesima.
25. Così stando le cose, l’articolo 43 della cit. direttiva rappresenta la disposizione alla luce della quale, a partire dall’adozione della legge n. 205/2017, deve essere valutata la compatibilità con il diritto dell’Unione di una modifica, quale quella che qui ricorre, consistente nel prorogare la durata delle concessioni quale contropartita, in primo luogo, di un obbligo di pagare un canone a titolo di corrispettivo, rideterminato in aumento rispetto alla legge precedente (legge n. 147/2013); in secondo luogo, di un divieto di trasferimento dei locali; e, in terzo luogo, di un obbligo di accettare qualsiasi modifica al fine di essere autorizzati a partecipare alla futura procedura di riattribuzione di dette concessioni.
26. Su questo specifico profilo, la Corte è stata netta nell’affermare che l’art. 43 della direttiva 2014/23 ha proceduto ad un’armonizzazione esaustiva delle ipotesi in cui le concessioni possono essere modificate senza che sia necessario organizzare una nuova procedura di attribuzione, e inoltre che, in base al tenore letterale dello stesso articolo, non risulta che quest’ultimo riguardi unicamente le modifiche effettuate a seguito di una negoziazione tra il concessionario e l’amministrazione aggiudicatrice, ben potendo ricomprendere le modifiche imposte unilateralmente per via legislativa. Ha, infatti, precisato la Corte, che il fatto che il Considerando (75) della direttiva 2014/23 preveda che una modifica sostanziale della concessione attesta l’intenzione delle parti di rinegoziare le condizioni essenziali di quest’ultima, non può limitare l’ambito di applicazione dell’articolo 43, quale risulta dal chiaro tenore letterale di quest’ultimo.
Occorre quindi concludere che la modifica unilaterale introdotta ex lege rientra in astratto nel pieno campo di applicazione dell’art. 43.
27. La seconda questione giuridica è se la modifica in questione rientri o meno in una delle ipotesi contemplate dall’articolo 43, paragrafo 1 o 2.
A questo proposito, va anzitutto escluso che ricorra l’ipotesi contemplata dall’articolo 43, paragrafo 1, lettera a), in quanto essa presuppone l’esistenza di una specifica clausola prevista nel contratto di concessione, che qui manca (punto 79 della sentenza del 20 marzo 2025 della Corte di Giustizia).
Pure da escludere è che ricorra una delle ipotesi contemplate dalle lettere da b) a d) del citato articolo 43, paragrafo 1, perché esse presuppongono che la modifica venga effettuata per una delle ragioni espressamente previste da tali disposizioni, vale a dire: (i) nel caso in cui si siano resi necessari lavori o servizi supplementari da parte del concessionario iniziale; (ii) nel caso in cui una modifica sia determinata da circostanze che un’amministrazione aggiudicatrice diligente o un ente aggiudicatore diligente non poteva prevedere; (iii) oppure nel caso in cui un nuovo concessionario sostituisca quello al quale l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore aveva inizialmente assegnato la concessione in questione.
Con particolare riferimento alla circostanza imprevedibile, va escluso che in essa possano essere fatte rientrare le conseguenze della mancata programmazione dello Stato in materia di organizzazione dei giochi, essendo irrilevanti le difficoltà organizzative addotte dallo Stato rispetto alle competenze e funzioni demandate in materia agli altri enti territoriali, come le Regioni e i Comuni.
Va inoltre escluso che ricorra l’ipotesi contemplata dall’articolo 43, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2014/23, in quanto essa ha ad oggetto le modifiche che, «a prescindere dal loro valore, non sono sostanziali ai sensi del paragrafo 4». È tale, cioè sostanziale, la modifica che «…muta sostanzialmente la natura della concessione rispetto a quella inizialmente conclusa».
Nella vicenda all’esame, la decisione del legislatore di prolungare la durata della concessione oltre quella prevista al momento dell’attribuzione iniziale, sia pure controbilanciata da oneri gravosi a carico del concessionario (obbligo di versare il canone mensile maggiorato, divieto di trasferire i locali e obbligo di accettare le modifiche al fine di potere partecipare alla futura procedura di riattribuzione), ha senz’altro mutato la sostanza della natura della concessione rispetto a quella inizialmente prevista, atteso che essa ha introdotto un elemento essenziale nel contratto che, ove fosse stato incluso nella procedura iniziale, sarebbe stato in grado di attrarre ulteriori partecipanti alla gara (punti 82 e ss. della sentenza del 20 marzo 2025 della Corte di Giustizia).
Va infine escluso che ricorra l’ipotesi contemplata dall’articolo 43, paragrafo 2, della direttiva 2014/23, la quale presuppone modifiche che siano di ammontare inferiore alla soglia fissata dall’articolo 8 della medesima direttiva; il cui importo sia altresì inferiore al 10% dell’importo della concessione iniziale; e infine che non modifichino la natura generale della concessione di cui trattasi, ipotesi, tutte, che qui non ricorrono (punto 87 della sentenza del 20 marzo 2025 della Corte di Giustizia).
Non vi è infatti dubbio che la legge n. 205/2017 abbia determinato una modifica delle condizioni economiche delle concessioni di importo assai più consistente rispetto a quello previsto dall’art. 43 paragrafo 2.
Come già evidenziato nell’ordinanza interlocutoria n. 9837/2023, dai dati dell’Ente italiano di ricerca Eurispes relativi all’anno 2018 emerge che i ricavi lordi delle 203 sale Bingo attive in Italia al 31 dicembre 2018, derivante dalla vendita delle cartelle, si sono assestati a circa 273 milioni di euro, ovvero in media a 1,346 milioni di euro all’anno per ogni sala.
Ciò significa che, per ogni anno di proroga della concessione, è verosimile che i concessionari abbiano raccolto gioco per un valore che mediamente si attesta su 1,346 milioni di euro. Valore che, moltiplicato per gli anni di durata della proroga (oltre 10) o, per i rapporti concessori che vanno dal 2018 (anno in cui è entrata in vigore la legge n. 205/2017) a tutto il 2020 (data in cui ha avuto inizio il presente contenzioso), porta ad una raccolta di gioco complessiva, maturata nel corso della proroga considerata, di 13mln ovvero di 3,9mln di euro. Poiché il valore della concessione è dato dall’insieme della raccolta del gioco, è quindi certo che la proroga di cui si discute e il relativo regime abbiano portato modifiche di ammontare superiore alla soglia di cui all’art. 8 della dir. 2014/23/CE (5.186.000 euro), e comunque superiore al 10% del valore iniziale della concessione. Conclusione che non muta sottraendo il valore del canone.
Al medesimo esito si perviene anche seguendo il ragionamento della Corte di Giustizia (punto 91 della motivazione), ovverossia partendo dall’ipotesi che le concessioni avessero tutte un valore iniziale pari alla soglia prevista dall’art. 8 della direttiva 2014/14/CE (5.186.000) e dall’assunto che la proroga intervenuta nel 2017 fosse la prima che si applicava a tali concessioni: infatti, tale proroga per non superare il 10% dell’ammontare iniziale della concessione in questione, non avrebbe potuto eccedere una durata di poco superiore agli otto mesi, dovendosi precisare che l’aumento del canone viene detratto dall’aumento del valore delle concessioni generato dalla loro proroga. Deve quindi ritenersi che la modifica in questione non rientra in alcuna delle ipotesi tassativamente previste dal citato articolo 43, paragrafo 1 o 2 e che, di conseguenza, l’art. 43 osta a una siffatta modifica introdotta da una disposizione di legge.
28.- La terza questione attiene alle conseguenze giuridiche derivanti dall’avere, il legislatore, unilateralmente variato la concessione in mancanza delle condizioni per potervi procedere senza indizione di una nuova procedura di attribuzione.
Sulla base delle considerazioni esposte al punto precedente deve ritenersi definitivamente acclarata la incompatibilità con il diritto dell’Unione dell’art. 1, comma 1047, della legge n. 205/2017, nella parte in cui, modificando l’art. 1, comma 636, della legge n. 147/2013, ha prorogato l’efficacia temporale delle concessioni in essere e ha previsto un aumento del canone mensile dovuto.
In particolare, in ragione di detta incompatibilità, grava sullo Stato membro, in tutte le sue articolazioni interne, l’obbligo di disapplicare la norma interna contrastante con il diritto europeo.
Dalla disapplicazione della legge, in quanto attività strumentale mirante a ristabilire la legalità violata, non può tuttavia derivare un vuoto di regolazione amministrativa del rapporto di fatto restato senza titolo giuridico per effetto della disapplicazione della norma che ha previsto la proroga; ciò sarebbe oltretutto contrario anche alle aspettative rivendicate dai concessionari, che hanno anche in sede di discussione ribadito il loro precipuo interesse a fare salvi gli incassi ritratti dalla gestione dei giochi.
A questo proposito, la stessa Corte ha precisato che, (p)er il caso in cui si constatasse che l’articolo 43 della direttiva 2014/23 osta ad una siffatta modifica, occorre precisare che la ricorrente nel procedimento principale non può ricavarne un argomento per pretendere che vengano disapplicate soltanto le disposizioni mediante le quali il legislatore nazionale ha aumentato l’importo del canone. Infatti, oltre alla circostanza che tale aumento è inscindibile dalla proroga della concessione in quanto esso costituisce la contropartita di quest’ultima, il fatto di disapplicare soltanto tale aumento del canone avrebbe come conseguenza di operare una modifica dell’equilibrio della concessione a favore del concessionario in un modo che non era previsto nel contratto di concessione iniziale e, dunque, di procedere ad una modifica sostanziale di tale contratto, quando invece, ai sensi dell’articolo 43, paragrafo 1, lettera e), di detta direttiva, letto in combinato disposto con il paragrafo 5 del medesimo articolo, in caso di modifica sostanziale di un contratto di concessione è richiesta una nuova procedura di assegnazione (punto 95 della motivazione).
In precedenza è stato evidenziato come i concessionari non hanno rivendicato la disapplicazione totale del regime ex lege di proroga tecnica, chiedendo, al contrario, che la sua applicazione non sia a senso unico, e cioè a totale ed esclusivo favore della parte pubblica, con sacrificio della sola parte privata. L’accoglimento integrale delle loro pretese condurrebbe, tuttavia, a una disapplicazione a senso unico, a totale ed esclusivo favore della parte privata, con sacrificio dei soli interessi pubblici sottesi alla richiamata disciplina eurounitaria e nazionale.
Nessuna delle due soluzioni (applicazione o disapplicazione parziale) è compatibile con il diritto dell’Unione europea, come si ricava dal menzionato punto 95 della sentenza della Corte di Giustizia.
Applicando i suddetti principi al caso all’esame, ne deriva quindi:
- l’obbligo dello Stato di porre fine alla accertata violazione del diritto dell’Unione, lo stesso ostando a che il legislatore nazionale possa prorogare unilateralmente, mediante disposizioni legislative entrate in vigore dopo la data limite per la trasposizione di detta direttiva, la durata di concessioni di servizi e, in tale occasione, quale contropartita, in primo luogo, aumentare l’importo di un canone fissato forfettariamente e dovuto da tutti i concessionari interessati, indipendentemente dal loro fatturato, in secondo luogo, mantenere un divieto di trasferimento dei loro locali e, in terzo luogo, mantenere un obbligo di accettare tali proroghe al fine, per i concessionari suddetti, di essere autorizzati a partecipare a qualsiasi futura procedura di riattribuzione di tali concessioni.
- L’obbligo dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, quale amministrazione aggiudicatrice, di disapplicare la normativa recata dall’art. 1, comma 1047, legge n. 205/2017, con l’ineliminabile effetto (non oggetto del presente contenzioso, ma conseguenza della disapplicazione) di procedere con immediatezza alla indizione delle gare.
- Il potere/dovere della medesima Amministrazione di rideterminare le condizioni di un rapporto di concessione, qualificabile come rapporto di fatto, in modo da garantire l’equilibrio dell’originario rapporto, tenendo conto di vantaggi e svantaggi per tutte le parti, in modo onnicomprensivo e a condizione di reciprocità (punti 77 e 95 della motivazione).
30. A tal fine, ai sensi dell’art. 34, comma 1, lett. e) del c.p.a., si prevedono quali misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato: 1) la necessità di rideterminare l’importo del canone (rectius, dell’indennità di occupazione) mensile dovuto dai concessionari sulla base del fatturato dai medesimi prodotto, senza quindi fare riferimento a criteri astratti, quale ad esempio la previsione di un canone fissato forfettariamente e dovuto da tutti i concessionari interessati indipendentemente dal loro fatturato; 2) la necessità di bilanciare i vantaggi e gli svantaggi derivati dallo stato di fatto derivato dal regime di proroga tecnica, considerando quale vantaggio l’avere il concessionario beneficiato del prolungamento del termine di durata del rapporto, seppur di mero fatto, senza soffrire la naturale alea derivante dalla partecipazione alla gara, e quale svantaggio quello di non avere potuto trasferire i locali.
31. Nulla osta a che detto potere/dovere di revisione sia esercitato dall’Amministrazione, sulla base di proprie scelte discrezionali, anche attraverso provvedimenti temporanei e provvisori, che tengano luogo del provvedimento definitivo per il tempo necessario a che lo stesso sia adottato, stante la evidente complessità della istruttoria che andrà effettuata in relazione ai fatturati prodotti dagli operatori economici, fermo restando che il definitivo rapporto di dare/avere tra le parti sarà quello previsto dal provvedimento definitivo.
32. Resta, inoltre, inteso, che la suddetta attività di rideterminazione del canone (rectius, dell’indennità di occupazione) mensile dovuto è strumentale solamente ad elidere le conseguenze economiche sfavorevoli derivanti dall’illegittima variazione della concessione senza indizione di nuova procedura di attribuzione ex lege n. 205/2017, e dunque essenzialmente a neutralizzare i meccanismi di previsione di canoni in via automatica e forfettaria anziché previa valutazione dell’effettivo fatturato dei singoli operatori economici, e non già a ristorare i suddetti operatori dalle lamentate difficoltà economico-finanziarie e carenze di liquidità collegate all’emergenza epidemiologica da COVID-19.
Infatti, in relazione a tali ultimi squilibri convenzionali, che nulla hanno a che vedere con la violazione del diritto dell’Unione in materia di variazione delle concessioni, va fatta applicazione del principio, anch’esso affermato dalla Corte, che il diritto dell’Unione non impone agli Stati membri l’obbligo di prevedere che una concessione debba necessariamente potere essere modificata nelle ipotesi contemplate dall’art. 43 della direttiva 2014/23.
Infatti, il Considerando (75) della direttiva 2014/23 conferma l’assunto che l’obiettivo del cit. art. 43 è solamente quello di chiarire le condizioni alle quali le modifiche apportate ad una concessione in corso di esercizio impongono una nuova procedura di attribuzione, e non già quello o anche quello di imporre agli Stati membri di prevedere che una concessione debba necessariamente poter essere modificata in ciascuna delle ipotesi considerate.
Inoltre, anche l’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), secondo comma, della direttiva 2014/23, nella parte in cui definisce la nozione di «concessione di servizi» come un contratto nel quale si reputa che il concessionario interessato assuma il rischio di gestione del servizio «in condizioni operative normali», ma non prevede affatto che tale definizione possa servire (anche) quale fondamento per esigere dagli Stati membri che essi accordino alle autorità aggiudicatrici il potere di avviare, su domanda di un concessionario, un procedimento amministrativo inteso a modificare le condizioni di esercizio di una concessione, qualora degli eventi imprevisti e imprevedibili, indipendenti dalla volontà delle parti, incidano in modo significativo sul rischio operativo di tale concessione.
33. Tale assetto, oltre che compatibile con il diritto dell’Unione, appare altresì conforme a Costituzione.
In particolare, le società ricorrenti lamentano la violazione dei doveri inderogabili di solidarietà sociale in riferimento agli artt. 2 e 42 Cost.; di protezione del contraente da eventi imprevedibili e abnormi in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost.; di uguaglianza ed effettività della tutela in riferimento all’art. 3 Cost.; di buona amministrazione in riferimento all’art. 97 Cost.; di protezione dei concessionari da prelievi di natura tributaria in mancanza delle garanzie previste dall’art. 53 Cost..
Nessuno dei parametri evocati dalle società ricorrenti pone tuttavia dubbi di costituzionalità.
Muovendo, infatti, dai principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 49/2021, occorre evidenziare che:
- la valorizzazione dei beni pubblici, nel cui novero rientrano i rapporti concessori, impone forme di gestione improntate al principio di onerosità: la Corte riconosce la legittimità di interventi legislativi che adeguano i canoni di godimento dei beni pubblici, in quanto volti a perseguire obiettivi di equità e razionalizzazione dell'uso di tali beni, in conformità agli articoli 3 e 97 della Costituzione. L'incremento dei canoni, anche significativo, risponde quindi a finalità di sistema e costituisce un elemento fisiologicamente riconducibile al rischio normativo di impresa nei mercati intensamente regolati.
- Nei settori regolamentati, come quello del gioco, la Corte evidenzia che la forte componente pubblicistica può giustificare l'imposizione di sacrifici e limitazioni in funzione del perseguimento degli interessi pubblici sottesi alla regolazione di queste attività imprenditoriali.
- Rispetto alla tutela dell'impresa economica, la Corte afferma che i riflessi del differimento della gara sul calcolo di convenienza economica degli operatori non appaiono determinanti.
- Infine, rispetto al principio di responsabilità legislativa nella gestione delle discipline transitorie di proroga tecnica, le criticità evidenziate dalla Corte con riferimento alle prassi disfunzionali del costante e reiterato rinvio delle gare, potranno trovare adeguata soluzione e componimento in via amministrativa attraverso le modalità di riesercizio del potere di revisione sopra illustrate (punti 29, 30 e 31 della motivazione).
Tali principi, che hanno condotto alla declaratoria di infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, sono senz’altro applicabili anche alla odierna controversia, stante la identità delle disposizioni di legge rilevanti ai fini del decidere e la corrispondenza rispetto ai parametri costituzionali evocati.
Infine, non pone dubbi di costituzionalità nemmeno il parametro riferito all’art. 53 Cost., allora non evocato dinanzi alla Corte e qui invece sì.
Sulla base della consolidata giurisprudenza costituzionale (in particolare, la sentenza n. 128/2022), il prelievo tributario si caratterizza per la sua natura coattiva e per l'assenza di corrispettività diretta, è finalizzato al concorso alle pubbliche spese ed è posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacità contributiva. Al contrario, il canone concessorio, che si colloca nell'ambito delle entrate patrimoniali dell'ente pubblico, trova la sua giustificazione nella necessità di trarre un corrispettivo per l'uso esclusivo concesso contrattualmente o in base a provvedimento amministrativo a soggetti terzi, esattamente come nel caso che qui ricorre.
Pertanto, risiedendo la distinzione fondamentale tra i due istituti nella presenza (canone) o assenza (tributo) del carattere sinallagmatico del rapporto, non ha pregio porre dubbi di costituzionalità in riferimento a parametri costituzionali (art. 53 Cost.) irrilevanti rispetto ad una richiesta di pagamento che trova il proprio fondamento e giustificazione nel fatto che il concessionario privato esercita un diritto di godimento esclusivo su un bene pubblico, ed è perciò tenuto a pagare un corrispettivo proporzionato al vantaggio ottenuto.
34. In definitiva, alla luce delle considerazioni appena illustrate, l’appello è da accogliere in parte, con riferimento cioè alle censure articolate con il primo, il secondo e il terzo motivo, incentrate sull’obbligo di disapplicazione e revisione dei rapporti in essere al fine di ricondurli in equilibrio in conseguenza della disapplicazione del regime ex lege di proroga automatica per contrasto con il diritto dell’Unione, anche attraverso l’esercizio di poteri in via provvisoria e interinale.
Per la restante parte, invece, l’appello va respinto, ritenuta la manifesta infondatezza delle riproposte questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione all’art. 1, comma 1047, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020) in riferimento agli artt. 2, 3, 41, 42, 53 e
97 Costituzione.
35.- Ai fini del riesercizio del potere, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli osserverà i vincoli conformativi nascenti dal presente giudicato, e nello specifico quelli illustrati, ai sensi dell’art. 34, comma 1, lett. e), c.p.a., nei capi 29, 30 e 31 che precedono.
36.- Le spese del doppio grado sono compensate in considerazione della complessità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, e per la restante parte lo respinge e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie in parte nei sensi indicati in motivazione il ricorso di primo grado e lo respinge nel resto, annullando la nota del 18 novembre 2020, fermi gli ulteriori provvedimenti nei sensi indicati in motivazione.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1° luglio 2025 con l'intervento dei magistrati:
Roberto Chieppa, Presidente
Daniela Di Carlo, Consigliere, Estensore
Angela Rotondano, Consigliere
Pietro De Berardinis, Consigliere
Marco Morgantini, Consigliere