TAR Veneto, sez. I, 5 novembre 2025, n. 1999
La convenzione di arbitrato così conclusa, poiché espressione del libero scambio del consenso tra le parti della concessione, va intesa come negozio giuridico ad effetti processuali, ossia un accordo tipico previsto dalla legge (ex art. 218 del d.lgs. n. 36 del 2023) comportante il conferimento agli arbitri del compito di comporre la controversia. Detto accordo, quindi, trova il proprio fondamento nell’autonomia contrattuale delle parti e produce l’effetto di attivare uno strumento alternativo alla tutela giurisdizionale, seppur ad essa equivalente quanto a funzione decisoria della lite (ancorché il lodo irrituale non produca gli effetti della sentenza, poiché non è suscettibile di essere reso esecutivo ex art. 825 c.p.c.): esso realizza una sostituzione volontaria della tutela giurisdizionale con una composizione consensuale del conflitto, da cui deriva l’exceptio compromissi che ciascuna parte può sollevare dinanzi agli organi di giustizia statali.
La natura essenzialmente privata della convenzione arbitrale comporta che la sua impugnazione non rientri nel sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, bensì in quello del giudice ordinario, dinanzi al quale potranno essere azionati i rimedi generali riconosciuti dall’ordinamento per fondare l’invalidità del contratto.
Guida alla lettura
La vicenda trae origine dall’esecuzione di un contratto di concessione avente ad oggetto la realizzazione e la gestione di una infrastruttura stradale che prevedeva il pagamento di un canone annuo di disponibilità come corrispettivo per la messa a disposizione dell’opera. Sulla definizione e l’aggiornamento di tale canone sono emerse posizioni divergenti tra le parti che hanno portato alla controversia in commento. Al fine di risolvere il contrasto, ai sensi dell’art. 215 e seguenti del d.lgs. n. 36/2023, le parti hanno convenuto di procedere alla sottoscrizione di un accordo per la costituzione di un Collegio consuntivo tecnico [facoltativo] (in avanti CCT).
Preliminarmente è necessario focalizzare l’attenzione sull’istituto della CCT attualmente disciplinato dall’art. 215 all’art. 219 del d.lgs. n. 36/2023, nonché dal relativo allegato V.2. Lo strumento del CCT è stato introdotto nell’ordinamento interno con il d.l. 16 luglio 2020, n. 76 e confermato nella sua impostazione nell’attuale codice dei contratti. La principale funzione del CCT è quella “prevenire le controversie o consentire la rapida soluzione delle stesse o delle dispute tecniche di ogni natura che possano insorgere nell’esecuzione dei contratti” trattasi, quindi, di uno strumento di risoluzione alternativa delle controversie o, meglio, come definito dal Consiglio di Stato, di un arbitrato irrituale che sottrae la controversia alla giurisdizione ordinaria” (Cons. Stato, Sez. V, 7 giugno 2022, n. 4650).
Il CCT si esprime a mezzo di pareri o determinazioni che possono assumere la natura di lodo contrattuale, ai sensi dell'articolo 808-ter del c.p.c., e può avere natura alternativamente obbligatoria o facoltativa. Ai sensi del comma 1 dell’articolo 215 del d.lgs. n.36/2023, nei casi di contratti di lavori finalizzati alla realizzazione di opere pubbliche di importo pari o superiore alla soglia europea la costituzione del CCT è obbligatoria, negli altri casi l’art. 218 prevede la sua costituzione facoltativa.
Con l’approvazione del correttivo al codice, ovvero il d.lgs. 31 dicembre 2024, n. 209, il legislatore ha chiarito che l’obbligatorietà di cui al precitato art. 215 si applica anche nei casi in cui gli interventi siano resi nella forma dei contratti di concessione o di partenariato pubblico-privato.
Alla vicenda in esame la versione della norma applicabile ratione temporis è quella antecedente il correttivo del 2024, pertanto il CCT facoltativo.
L’intento del legislatore, chiarito nella relazione illustrativa al codice, è quello di inserire nell’ordinamento interno uno strumento utile a dirimere sul nascere i possibili contenziosi tra committente e appaltatore che rischierebbero di pregiudicare l’esecuzione tempestiva e a regola d’arte del contratto.
Posta tale necessaria ricostruzione normativa, venendo alla pronuncia in argomento, il giudice amministrativo evidenzia come l’accordo di costituzione di un CCT facoltativo è espressione del libero scambio del consenso, pertanto, trova il proprio fondamento nell’autonomia contrattuale delle parti che rappresentano una volontaria sostituzione della tutela giurisdizionale con una composizione consensuale del conflitto. La determinazione contrattuale assunta in sede di CCT avendo natura di atto privato comporta che la sua impugnazione non rientri nel sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, bensì in quello del giudice ordinario, dinanzi al quale potranno essere azionati i rimedi generali riconosciuti dall’ordinamento per fondare l’invalidità del contratto.
I giudici, inoltre, si esprimono anche in merito alla pretesa della ricorrente di attrarre il giudizio nella competenza del giudice amministrativo in ragione della possibile qualificazione della convenzione arbitrale come accordo reso ai sensi dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990, ovvero come accordo integrativo o sostitutivo del provvedimento. Nella pronuncia i giudici di prime cure rappresentano che l’accordo CCT essendo atto di natura privata nel quale le parti intervengono in posizione di parità al fine di risolvere una controversia tra loro insorta attinente a un rapporto di debito-credito non può qualificarsi come accordo ex art. 11 della legge n. 241 del 1990, in quanto non è assimilabile all’esercizio dell’attività amministrativa, manca, quindi, un provvedimento finale da determinare nel proprio contenuto discrezionale o da sostituire. Gli atti presupposti assunti dalla S.A. al fine di addivenire alla sottoscrizione dell’accordo, infatti, non afferiscono all’esercizio di alcun potere autoritativo, ma manifestano la volontà dell’amministrazione di procedere all’assunzione di un accordo nelle forme tipiche previste dalla legge e dagli specifici ordinamenti, trattasi, quindi, di atti endoprocedimentali di manifestazione della volontà dell’ente a contenuto non autoritativo. In definitiva non vi è, quindi, spendita di potere pubblicistico da parte dell’amministrazione, bensì negoziale, il cui sindacato è rimesso al giudice ordinario. Tanto vale anche per la nomina dei componenti del CCT, attività che rientra nella naturale attività contrattuale delle parti.
Ciò detto, il TAR Veneto con la sentenza in oggetto dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo il ricorso proposto per l’annullamento dell’accordo costitutivo del CCT, delle conseguenti determinazioni assunte dallo stesso e degli atti presupporti prodotti dalla S.A.
La pronuncia rinsalda la distinzione tra l’esercizio di attività pubblicistica e attività privatistica da parte della pubblica amministrazione e i suoi naturali riflessi sul riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario. Nel caso di specie la costituzione di un CCT facoltativo, e non obbligatorio per legge, rientra nella libertà negoziale delle parti poste in posizione di parità e senza spendita di potere pubblicistico da parte della S.A., pertanto tutte le controversie da esso derivanti, fintanto la sua costituzione e composizione, assorbono la competenza del giudice ordinario.
Pubblicato il 05/11/2025
N. 01999 /2025 REG.PROV.COLL.
N. 01564/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1564 del 2024, proposto da
Superstrada Pedemontana Veneta s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Cristina Lenoci e Romano Vaccarella, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Regione del Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Alessandro Botto, Chiara Cacciavillani, Marco De Cristofaro, Giacomo Quarneti, Antonella Cusin, Pierpaolo Agostinelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Collegio Consultivo Tecnico, Maria Rosaria Campitelli, Daniele Maccarrone, Laura Cappello, Giuseppe Martino di Giuda, Salvatore Pilato, non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
- dell’Accordo ex art. 11 della l. n. 241 del 1990, sottoscritto il 22 maggio 2024, costitutivo del Collegio Tecnico Consultivo;
- della D.G.R. della Regione del Veneto n. 538 del 14 maggio 2024, con cui è stata autorizzata la costituzione del predetto CCT;
- del Decreto del Direttore della Direzione Infrastrutture e Trasporti della Regione del Veneto n. 320 del 21 maggio 2024, con cui è stato approvato lo schema dell’Accordo costitutivo del CCT;
- di ogni atto ai predetti connesso, sia presupposto che conseguenziale, ancorché non conosciuto e/o comunque lesivo, ivi compresi, ove occorra e per quanto di interesse: il Decreto della Direzione Infrastrutture e Trasporti della Regione del Veneto n. 325 del 28 maggio 2024; la nota pec dei componenti del CCT del 17 giugno 2024 di individuazione del Presidente del CCT; la nota della Regione del Veneto prot. n. 293088 del 18 giugno 2024; la nota della Regione del Veneto prot. n. 359163 del 17 luglio 2024; le determinazioni del CCT n. 1/2024 e n. 2/2024; il verbale n. 1 del 25 luglio 2024; il verbale n. 2 del 13 settembre 2024; il verbale n. 3 del 15 ottobre 2024; il verbale n. 4 del 21 ottobre 2024; e il verbale n. 5 del 28 ottobre 2024.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione del Veneto; Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 aprile 2025 il dott. Alberto Ramon e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso in epigrafe, la società Superstrada Pedemontana Veneta s.p.a. ha impugnato l’“accordo costitutivo del Collegio Consultivo Tecnico ex art. 215 e seguenti del d.lgs. 31 marzo 2023 n. 36 e All. V.2. (Delibera di Giunta Regionale n. 261 del 21 marzo 2024 e All. A)” sottoscritto il 22 maggio 2024 con la Regione del Veneto, oltreché gli atti ad esso connessi, sia presupposti sia consequenziali.
1.1.Giova precisare che, con deliberazione n. 96 del 12 marzo 2006 del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), pubblicata nella G.U. n. 222 del 23 settembre 2006, è stato approvato il progetto preliminare dell’opera Superstrada a pedaggio Pedemontana Veneta, avente la Regione del Veneto quale soggetto proponente.
Con successiva deliberazione della Giunta Regionale del 30 giugno 2009, n. 1934, la Regione del Veneto ha aggiudicato, dopo un lungo contenzioso, la concessione per la progettazione, realizzazione e gestione della Superstrada Pedemontana Veneta, assentita mediante project financing, al R.T.I. costituito dalla mandataria Consorzio Stabile SIS s.c.p.a. (in seguito, solo SIS) e dalla mandante Itinere Infraestructuras s.a. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 31 luglio 2009 è stato dichiarato lo stato di emergenza determinatosi nel settore del traffico e della mobilità nel territorio delle province di Treviso e Vicenza; per effetto della suddetta dichiarazione emergenziale, con ordinanza n. 3802 del 15 agosto 2009, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha nominato l’ing. Silvano Vernizzi quale commissario delegato per l’emergenza determinatasi nel settore del traffico e della mobilità nell’area interessata dalla realizzazione della Superstrada Pedemontana Veneta, fissandone contestualmente i relativi poteri.
Con decreto n. 10 del 20 settembre 2010, il commissario delegato ha approvato il progetto definitivo dell’opera, dichiarandone la pubblica utilità, l’indifferibilità e l’urgenza, ai sensi dell’art. 2, comma 2, della succitata ordinanza n. 3802 del 2009.
Indi il commissario delegato ha stipulato con SIS, il 21 ottobre 2009, la convenzione per l’affidamento della progettazione definitiva ed esecutiva, della costruzione e della gestione della Superstrada Pedemontana Veneta.
Dipoi, il 25 febbraio 2011, la neocostituita società di progetto Superstrada Pedemontana Veneta s.p.a. (di seguito, SPV o concessionario) è subentrata a tutti gli effetti nella convenzione, ai sensi dell’art. 156 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163.
A fronte dei mutamenti apportati al progetto definitivo e delle sopravvenienze normative, il commissario delegato e SPV hanno sottoscritto, il 18 dicembre 2013, l’atto aggiuntivo alla convenzione del 2009, con contestuale modifica del piano economico-finanziario della concessione.
Il 31 dicembre 2016 è cessato, per lo spirare del relativo termine, il regime emergenziale a suo tempo dichiarato con D.P.C.M. 31 luglio 2009 e più volte prorogato; di conseguenza sono venuti meno i poteri del commissario delegato, con il confluire dell’opera nella gestione ordinaria della Regione del Veneto (nel prosieguo, anche concedente). A tal fine, con la deliberazione della Giunta Regionale n. 2027 del 6 dicembre 2016, è stata costituita la struttura di progetto “Superstrada Pedemontana Veneta” e, con le deliberazioni n. 2302 del 30 dicembre 2016 e n. 32 del 19 gennaio 2017, è stata istituita la figura del commissario straordinario per l’alta vigilanza sulla Superstrada Pedemontana Veneta.
1.2. Per quanto qui rileva, la convenzione del 21 ottobre 2009 aveva individuato, come principale fonte di finanziamento dell’opera, i proventi derivanti dai pedaggi, la cui riscossione era una facoltà del concessionario, stabilendo al contempo – a carico del concedente e a favore del concessionario – sia un contributo pubblico a fondo perduto in conto costruzione volto a garantire l’equilibrio economico-finanziario dell’opera, sia un canone annuo di disponibilità come corrispettivo per la messa a disposizione della Superstrada. Canone soggetto al meccanismo di conguaglio ex art. 15 della convenzione e avente una durata di trent’anni dall’entrata in esercizio della Superstrada o di qualsiasi tratto funzionale della stessa.
Con il terzo atto convenzionale (TAC), sottoscritto il 29 maggio 2017 e sostitutivo dell’originaria convenzione, le parti hanno previsto: che la durata della concessione rimanesse pari a trentanove anni dalla data di entrata in esercizio della Superstrada, intendendosi per tale l’entrata in esercizio dell’ultimo lotto funzionale, salva la facoltà di revisione del piano economico-finanziario (art. 3, comma 1); che i pedaggi fossero di esclusiva competenza del concedente e costituissero sua entrata patrimoniale, con riscossione a carico del concessionario in qualità di mandatario con rappresentanza del concedente (art. 8, comma 2); che la data di ultimazione dei lavori fosse l’11 settembre 2020 (art. 16, comma 3); che il contributo pubblico a fondo perduto in conto costruzione a carico del concedente fosse pari a € 914.910.000,00 (art. 20); che il canone annuo di disponibilità, sempre a carico del concedente, fosse fissato per il 2020 in € 153.946.814,27, da aggiornarsi automaticamente, per gli anni successivi, secondo quanto prescritto dall’Allegato G (art. 21, commi 3 e 4).
Più nel dettaglio, le parti hanno stabilito che detto canone di disponibilità fosse corrisposto al concessionario in rate mensili posticipate da pagarsi entro il primo giorno del mese successivo a quello di riferimento, con decorrenza dall’entrata in servizio dell’intera Superstrada (prevista, per l’appunto, nel 2020) fino alla scadenza della concessione (art. 21, comma 2), fatto salvo diverso accordo delle parti sulla remunerazione da corrispondere al concessionario nel caso di apertura di tratte funzionali dell’infrastruttura in via anticipata (art. 21, comma 7).
Con nota del 17 ottobre 2023, il concessionario ha comunicato alla Regione del Veneto l’entrata in esercizio, entro il mese di novembre, dell’intera Superstrada, mediante l’apertura dell’ultimo tratto funzionale, chiedendo quindi la corresponsione della totalità del canone di disponibilità come corrispettivo per la messa a disposizione dell’infrastruttura.
Con nota prot. n. 18258 del 12 gennaio 2024, la Regione del Veneto ha trasmesso al concessionario la “Procedura operativa relativa al pagamento del Canone di Disponibilità ex art. 21 del TAC sottoscritto in data 29 maggio 2017”, in virtù della quale il canone sarebbe stato “computato e corrisposto dal primo giorno del mese successivo alla data della messa in esercizio dell’intera infrastruttura”, con prima fattura “pari ad un dodicesimo dell’importo del canone stabilito al primo anno di messa in esercizio (canone annuale di € 153.946.814,27, IVA esclusa, canone mensile corrispondente di € 12.828.901,19, IVA esclusa)”.
Il concessionario, con nota del 22 gennaio 2024, ha tuttavia contestato l’importo del canone annuale indicato dalla Regione del Veneto, ritenendo che lo stesso dovesse essere pari a € 198.438.164,68, con una quota mensile di € 16.536.513,72, in virtù dall’aggiornamento del canone base stabilito per l’anno 2020 secondo i criteri di cui all’Allegato G al TAC (“Aggiornamento del canone di disponibilità per gli anni successivi al 2020”).
1.3. È necessario altresì precisare, per la miglior focalizzazione del thema decidendum, che la Giunta Regionale, con deliberazione n. 261 del 21 marzo 2024, ha approvato gli “Indirizzi operativi” per la nomina e il funzionamento del Collegio Consultivo Tecnico (CCT) per appalti di lavori di importo pari o superiore alla soglia di rilevanza europea e di servizi e forniture di importo pari o superiore ad un milione di euro, ai sensi degli artt. 215 e seguenti e dell’Allegato V.2 del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36. Con deliberazione n. 538 del 14 maggio 2024, la Giunta Regionale ha autorizzato altresì l’attivazione del CCT con riferimento al contratto di concessione della Superstrada Pedemontana Veneta, a fronte dell’emersione di “una diversa posizione tra Concedente e Concessionario sulla modalità di aggiornamento del Canone di Disponibilità”.
Indi, con decreto n. 320 del 21 maggio 2024 del Direttore della Direzione Infrastrutture e Trasporti della Regione del Veneto, è stato approvato lo schema dell’accordo costitutivo del CCT, in base al quale il Collegio sarebbe stato composto da cinque membri: due di nomina del concessionario, due di nomina del concedente, e il quinto, con funzioni di presidente, scelto di comune accordo dai componenti designati dalle parti o, in caso di disaccordo, dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Il 22 maggio 2024 è stato quindi stipulato tra la Regione del Veneto e SPV l’accordo costitutivo del CCT volto a risolvere le questioni tecniche e legali già sorte o che sorgeranno entro un anno dalla sottoscrizione dell’intesa e comunque, ove successiva, fino all’approvazione degli atti di collaudo tecnico amministrativo. Con il medesimo accordo, le parti hanno affidato al CCT il primo quesito concernente “quale sia il Canone di Disponibilità spettante al Concessionario dalla data dell’1 marzo 2024 fino al termine della concessione”.
Pertanto, con decreto n. 325 del 28 maggio 2024 della Direzione Infrastrutture e Trasporti della Regione del Veneto, sono stati designati i due componenti del CCT di pertinenza della stazione appaltante, ossia l’ing. Maria Rosaria Campitelli e l’avv. Daniele Maccarone. Allo stesso modo procedeva SPV, nominando l’avv. Laura Cappello e il prof. Giuseppe Martino di Giuda.
Con nota del 17 giugno 2024, i componenti così nominati hanno comunicato alle parti “che, a seguito della riunione tenutasi presso la Regione Veneto in data 11 giugno u.s., la Superstrada Pedemontana Veneta, nell’ambito della terna dei profili proposti dall’Ente per il ruolo di quinto componente e Presidente del Collegio, ha individuato, quale nominativo condiviso, il Consigliere della Corte dei Conti, Dott. Salvatore Pilato”, invitando di conseguenza “il Concedente e il Concessionario, comunicata la scelta al diretto interessato e raccoltane la disponibilità, a provvedere alla sua nomina formale”.
Con nota prot. n. 293088 del 18 giugno 2024, la Regione del Veneto ha trasmesso a SPV “per una formale condivisione” il testo della nota di richiesta di disponibilità ad accettare l’incarico indirizzata al designato presidente del CCT, corredata della dichiarazione sostitutiva di certificazione che il medesimo avrebbe dovuto rendere per ricoprire l’incarico, attestante l’inesistenza di cause di incompatibilità, astensione ed esclusione previste dalle linee guida ministeriali; di situazioni di conflitto di interesse; delle ipotesi di ricusazione di cui ai numeri dal 2 al 6 dell’art. 815 c.p.c.
Con nota prot. n. 359163 del 17 luglio 2024, la Regione del Veneto ha comunicato a SPV che il dott. Pilato aveva accettato l’incarico.
Il CCT così costituito si è dunque insediato nella riunione del 25 luglio 2024, allorquando, dopo aver sentito le parti, ha dato atto che le stesse “confermano la volontà di attribuire alle pronunce del Collegio efficacia di lodo contrattuale ex art. 808 ter c.p.c.”. Nella medesima seduta, il Collegio ha rilevato la necessità che le parti precisassero, entro il 10 settembre 2024, quale fosse la domanda proposta, presentando una dichiarazione congiunta contenente il quesito, nonché illustrassero le rispettive ragioni giuridiche, economiche e tecniche. Il Collegio ha altresì stabilito che dalla suddetta scadenza decorresse il termine di 45 giorni indicato dall’art. 4 dell’accordo costitutivo per l’adozione della determinazione finale, da pronunciarsi quindi entro il 25 ottobre 2024.
Sennonché SPV – con nota del 14 ottobre 2024, intervenuta dopo la discussione delle parti dinanzi al Collegio e il deposito delle memorie di replica – ha riferito ai singoli componenti del CCT e alla Regione del Veneto di essere venuta a conoscenza, a seguito “di una attività di ricognizione documentale online”, della sussistenza di “una invalidità ab origine della funzione assunta dal Dott. Pilato nel ruolo di Presidente e [di] una situazione di evidente incompatibilità dello stesso con tale funzione […] avendo il Dott. Pilato deliberato e assunto funzioni di controllo sulla medesima opera oggetto di concessione. Ciò tanto più considerato che l’operato della Corte dei Conti è qualificabile come funzione collaborativa e ausiliaria nei confronti dell’Ente Pubblico e potrebbe essere, quindi, considerata sostanzialmente di parte”. A fronte di tali rilievi, SPV ha invitato “formalmente il Dott. Salvatore Pilato a dimettersi nell’immediato come Presidente del Collegio Consultivo Tecnico e gli altri componenti dello stesso Collegio Consultivo Tecnico a sospendere urgentemente le sue attività”.
Ciò nonostante, il CCT, con determinazione n. 1 del 15 [ottobre] 2024, comunicata in pari data alle parti, ha reso la propria decisione sul quesito proposto, stabilendo che “all’esito e per effetto dell’interpretazione letterale, logico sistematica e secondo buona fede dell’art. 21, commi 1-6 TAC e dell’Allegato G, l’importo del Canone di Disponibilità determinato alla data del 1° marzo 2024 – individuata per l’avveramento della messa a disposizione e/o entrata in esercizio dell’intera Superstrada – è pari ad euro 153.946.814,27 con gli aggiornamenti dovuti per gli anni successivi al 2024 in conformità ai contenuti dell’Allegato G”.
Con determinazione n. 2 del 15 ottobre 2024, il CCT ha quindi liquidato i compensi dovuti al Presidente e ai componenti del Collegio.
Con nota del 21 ottobre 2024, il concessionario ha ribadito le ragioni di incompatibilità e/o di conflitto di interesse del dott. Pilato rispetto al ruolo di Presidente del CCT, nonché ha dichiarato di aver scoperto, dopo l’emissione delle determinazioni 1 e 2 del 15 ottobre 2024, la sussistenza di analoghi profili di criticità a carico dell’avv. Maccarone, componente designato dalla Regione del Veneto, il quale avrebbe svolto “attività di supporto al RUP inerenti gli aspetti legali stragiudiziali nell’ambito della concessione di realizzazione dell’opera Superstrada Pedemontana Veneta, ivi comprese le controversie tra Concedente e Concessionario rispetto agli obblighi contrattuali e alla gestione dei lavori”.
2. Avverso gli atti impugnati, SPV ha proposto i seguenti motivi di ricorso.
I. “Violazione di legge. Violazione del principio di buona amministrazione e di affidamento del cittadino nell’azione della P.A. di cui all’art. 97 Cost. Violazione del principio del giusto procedimento. Violazione e mancata e/o errata applicazione dell’art. 11 della l. n. 241 del 1990 in combinato disposto con l’art. 215 del d. lgs. n. 36 del 2023 e del relativo Allegato V.2., nonché e comunque con l’art. 42 del d. lgs. n. 50 del 2016. Violazione e mancata e/o errata applicazione dell’art. 815, commi 6 e 6-bis, c.p.c. Violazione e mancata applicazione degli artt. 2 e 3 della l. n. 241 del 1990. Violazione e mancata e/o errata applicazione dell’art. 16 del d. lgs. n. 36 del 2023 e dell’art. 6-bis della l. n. 241 del 1990, in uno agli artt. 2, 5 e 9 del d. lgs. n. 36 del 2023. Violazione e mancata e/o errata applicazione dell’art. 2.5. delle Linee Guida Anac approvate con D.M. del MIT n. 12 del 17 gennaio 2022. Violazione e mancata e/o errata applicazione dell’art. 7 dell’Allegato A alla DGR n. 261 del 21 marzo 2024. Eccesso di potere per erronea presupposizione, difetto assoluto di istruttoria, difetto assoluto di motivazione, contraddittorietà, illogicità, ingiustizia manifesta. Illegittimità in via autonoma ed in via derivata”.
Nella prospettiva attorea, il presidente del CCT e un componente di nomina regionale si troverebbero in una situazione di conflitto di interessi e/o di incompatibilità poiché, da un lato, il dott. Pilato si sarebbe già occupato della vicenda Superstrada Pedemontana Veneta, in qualità di Consigliere della Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per il Veneto, in tre diverse occasioni, tra cui come presidente dell’adunanza del 10 luglio 2022 che ha reso la deliberazione n. 102/2020/PARI concernente il giudizio di parificazione sul rendiconto generale della Regione del Veneto; dall’altro lato, l’avv. Maccarone avrebbe svolto attività di supporto al RUP per le questioni stragiudiziali attinenti proprio all’infrastruttura. Dette situazioni sintomatiche di un difetto di imparzialità né sarebbero state dichiarate dai diretti interessati, né sarebbero state verificate dalla Regione, neppure in seguito alle denunce presentate da SPV. Donde il contegno contra ius assunto dall’Amministrazione – che sarebbe stata investita di un obbligo di verifica circa l’assenza di cause di incompatibilità derivante da specifiche disposizioni di legge (art. 16 del d.lgs. n. 36 del 2023, art. 6-bis della legge n. 241 del 1990), dalla stessa Regione fatte proprie nell’accordo costitutivo del CCT sottoscritto il 22 maggio 2024 e, ancor più a monte, nell’Allegato A alla deliberazione della Giunta Regionale n. 261 del 2024 – e, in via derivata, l’illegittimità delle deliberazioni e dei verbali delle sedute del CCT.
II. “Violazione di legge. Violazione del principio di buona amministrazione e di affidamento del cittadino nell’azione della P.A. di cui all’art. 97 Cost. Violazione del principio del giusto procedimento. Violazione e mancata e/o errata applicazione degli artt. 12 e 133 Cod. proc. amm. Violazione e mancata e/o errata applicazione dell’art. 11 della l. n. 241 del 1990 in combinato disposto con l’art. 215 del d. lgs. n. 36 del 2023 e del relativo Allegato V.2. Violazione e mancata applicazione degli artt. 2 e 3 della l. n. 241 del 1990. Violazione e mancata e/o errata applicazione dell’art. 1.3. delle Linee Guida Anac approvate con D.M. del MIT n. 12 del 17 gennaio 2022. Violazione e mancata e/o errata applicazione dell’art. 164 del d. lgs. n. 50 del 2016. Eccesso di potere per erronea presupposizione in fatto ed in diritto, difetto assoluto di istruttoria, difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità, ingiustizia manifesta. Sviamento. Illegittimità in via autonoma ed in via derivata”.
In via subordinata, l’accordo costitutivo del CCT e, prima ancora, la deliberazione della Giunta Regionale n. 534 del 2024 sarebbero illegittimi per violazione dell’art. 12 c.p.a., nella parte in cui hanno deferito la risoluzione di una questione ricadente nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, relativa all’equilibrio economico-finanziario della concessione, ad un arbitrato irrituale: uno strumento di composizione delle controversie che implica rinuncia ad ogni controllo giurisdizionale (diverso da vizi della volontà) sull’esito dell’arbitrato. Con conseguente illegittimità derivata degli atti espressione del CCT
III. “Violazione di legge. Violazione del principio di buona amministrazione e di affidamento del cittadino nell’azione della P.A. di cui all’art. 97 Cost. Violazione del principio del giusto procedimento. Violazione e mancata e/o errata applicazione dell’art. 11 della l. n. 241 del 1990 in combinato disposto con l’art. 215 del d. lgs. n. 36 del 2023 e del relativo Allegato V.2. Violazione e mancata applicazione degli artt. 2 e 3 della l. n. 241 del 1990. Violazione e mancata e/o errata applicazione dell’art. 1.3. delle Linee Guida Anac approvate con D.M. del MIT n. 12 del 17 gennaio 2022. Violazione e mancata e/o errata applicazione dell’art. 143 del d. lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. dell’art. 164 del d. lgs. n. 50 del 2016. Violazione ed errata applicazione degli artt. 5 e 6 del d. l. n. 76/2020, conv. in l.n. 120/2020. Eccesso di potere per erronea presupposizione in fatto ed in diritto, difetto assoluto di istruttoria, difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità, ingiustizia manifesta. Sviamento. Illegittimità in via autonoma ed in via derivata”.
Sarebbe altresì inammissibile deferire a un CCT la controversia su una concessione assentita mediante finanza di progetto relativa a un’opera già consegnata e in esercizio: donde l’illegittimità diretta del relativo accordo costitutivo e, in via derivata, degli atti adottati dal consesso arbitrale. La convenzione impugnata, pur avendo la veste di un accordo ex art. 11 della legge n. 241 del 1990, non avrebbe ad oggetto un provvedimento amministrativo da sostituire mediante una manifestazione di volontà consensuale, bensì sarebbe espressione del potere autoritativo della Regione, volto a modificare unilateralmente l’originario equilibrio del PEF.
3. Si è costituita in giudizio la Regione del Veneto, eccependo, sotto plurimi profili, l’inammissibilità del ricorso:
a. per difetto di giurisdizione: l’atto costitutivo del CCT non sarebbe un accordo riconducibile all’art. 11 della legge n. 241 del 1990, quindi rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, bensì un accordo negoziale assoggettato a una speciale disciplina legislativa, la quale ammetterebbe che al medesimo CCT siano devolute decisioni, con efficacia di lodo irrituale, su questioni rientranti di per sé nella competenza decisoria degli organi giurisdizionali (anche laddove si trattasse di controversie in ipotesi riconducibili alla suddetta giurisdizione esclusiva). Ne seguirebbe la sottrazione al sindacato del giudice amministrativo dell’impugnazione sia dell’accordo costitutivo dell’arbitrato irrituale (e degli atti regionali ad esso prodromici), sia del lodo-contratto pronunciato;
b. per violazione del divieto di venire contra factum proprium: la devoluzione di una controversia a un CCT facoltativo, com’è quello oggetto di causa, scaturirebbe da un accordo negoziale tra le parti, sicché il successivo mancato gradimento circa le determinazioni assunte dal Collegio non permetterebbe di contestare l’accordo a monte costitutivo dello stesso;
c. per abuso del diritto e del processo: tanto nei confronti del presidente quanto nei confronti del componente del CCT avv. Maccarrone le circostanze da cui deriverebbe la presunta assenza di loro neutralità sarebbero state conoscibili dalla ricorrente ab origine, in quanto desumibili da atti pubblici assoggettati a pubblicazione o comunque da fonti aperte (internet). Inoltre, SPV non avrebbe contestato immediatamente la mancanza di imparzialità dei due componenti del Collegio, ma avrebbe atteso di conoscere, verosimilmente dai due arbitri dalla stessa nominati, che il CCT avesse deciso il quesito in senso a sé sfavorevole;
d. per difetto di una condizione dell’azione: nel secondo motivo di ricorso, SPV – pur deducendo che l’accordo costitutivo del CCT sarebbe invalido per violazione dell’art. 12 c.p.a., poiché afferente a una materia non sottraibile alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – non avrebbe avanzato alcuna domanda volta ad ottenere la decisione sulla res controversa, limitandosi a chiedere una pronuncia rescindente tesa a travolgere l’accordo originario tra le parti e in via derivata il lodo arbitrale: donde il difetto di interesse a una decisione nel merito del ricorso, siccome il petitum del presente giudizio sarebbe inidoneo a soddisfare l’interesse sostanziale per la cui asserita protezione SPV avrebbe agito in giudizio;
e. per mancata specificazione di motivi e per violazione, sotto altro profilo, del divieto di venire contra factum proprium: nel terzo motivo di ricorso, SPV avrebbe esposto degli argomenti difensivi contrari alla condotta dalla stessa tenuta in sede di accordo negoziale per la devoluzione della controversia a un arbitrato irrituale.
3.1. L’Amministrazione resistente ha finanche eccepito l’irricevibilità del ricorso per tardività dell’impugnazione dell’accordo del 22 maggio 2024 e degli atti regionali ad esso prodromici, nonché della assenza di neutralità in capo al presidente e a un componente del CCT: tutti detti atti, conoscibili ab origine dalla ricorrente, sarebbero anteriori di oltre 60 giorni rispetto alla notifica del gravame.
3.2. La Regione del Veneto ha infine contestato nel merito le censure avversarie, chiedendo una pronuncia di infondatezza delle stesse.
4. I controinteressati in epigrafe indicati, seppur correttamente intimati, non si sono costituiti in giudizio.
5. Alla camera di consiglio del 15 gennaio 2025, la ricorrente ha rinunciato all’istanza cautelare in vista della fissazione a breve dell’udienza di discussione del merito. Successivamente, la ricorrente ha prodotto in giudizio ulteriori documenti e una memoria, a cui è seguita la replica della resistente.
6. All’udienza pubblica del 16 aprile 2025, dopo approfondita discussione, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
7. Alla luce delle plurime questioni pregiudiziali sollevate dalla Regione del Veneto, giova evidenziare che, ai sensi degli artt. 76, comma 4, c.p.a. e 276, comma 2, c.p.c., le questioni processuali e di merito devono essere risolte “secondo l’ordine logico loro proprio, assumendo come prioritaria la definizione di quelle di rito rispetto a quelle di merito, e fra le prime la priorità dell’accertamento della ricorrenza dei presupposti processuali (nell’ordine, giurisdizione, competenza, capacità delle parti, ius postulandi, ricevibilità, contraddittorio, estinzione), rispetto alle condizioni dell’azione (tale fondamentale canone processuale è stato ribadito dall’Adunanza plenaria 3 giugno 2011, n. 10)” (cfr. Cons. Stato, Adunanze plenarie 25 febbraio 2014, n. 9; 7 aprile 2011, n. 4; 27 aprile 2015, n. 5).
Ne consegue che dev’essere scrutinata in via prioritaria l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
8. La richiamata eccezione di difetto di giurisdizione è fondata.
8.1. Al riguardo, va innanzitutto sottolineato come il petitum immediato del presente giudizio sia una pronuncia di invalidità o di inefficacia dell’accordo costitutivo del CCT del 22 maggio 2025, con conseguente caducazione, per illegittimità derivata, delle determinazioni assunte dal medesimo organo arbitrale.
L’accordo in esame richiama espressamente l’“art. 215 e seguenti del d.lgs. 31 marzo 2023 n. 36 e All. V.2”: non v’è dubbio, quindi, che la convenzione abbia ad oggetto un Collegio Consultivo Tecnico, inteso dal citato art. 215, comma 1, come strumento generale finalizzato a “prevenire le controversie o consentire la rapida soluzione delle stesse o delle dispute tecniche di ogni natura che possano insorgere nell’esecuzione dei contratti”.
Trattasi di uno strumento di risoluzione alternativa delle controversie (c.d. ADR) introdotto, in via temporanea e provvisoria, dagli artt. 5 e 6 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76 (c.d. decreto semplificazioni), convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120: in particolare, l’art. 6, comma 3, attribuiva alle determinazioni del Collegio la natura di lodo contrattuale ex art. 808-ter c.p.c., salvo diversa volontà delle parti. Sicché la veste dell’istituto era quella di “un arbitrato irrituale che, salvo tale diversa volontà delle parti (e salvo ricorra una delle cause di annullabilità dell’art. 808-ter, comma 2, c.p.c.), sottrae la controversia alla giurisdizione ordinaria” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 7 giugno 2022, n. 4650).
Il nuovo codice dei contratti pubblici, nel mettere a regime il CCT quale rimedio stragiudiziale di carattere generale, si è posto in linea di continuità con l’impostazione previgente, prevedendo – all’art. 215, comma 2, nella sua versione originaria applicabile ratione temporis alla vicenda in esame – che “il collegio consultivo tecnico esprime pareri o, in assenza di una espressa volontà contraria, adotta determinazioni aventi natura di lodo contrattuale ai sensi dell'articolo 808-ter del codice di procedura civile”.
Più nel dettaglio, l’art. 215 del d.lgs. n. 36 del 2023 – sempre nel suo testo originario – stabiliva l’obbligatorietà della costituzione del CCT per gli appalti di lavori diretti alla realizzazione delle opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea e per i contratti di forniture e servizi di importo pari o superiore a 1 milione di euro, senza includere (come invece esplicitato dal correttivo introdotto dal d.lgs. 31 dicembre 2024, n. 209) i contratti di concessioni o di partenariato pubblico privato inerenti la realizzazione di opere pubbliche sopra soglia. In tutti gli altri casi, l’art. 218 del d.lgs. n. 36 del 2023 – tuttora vigente nella sua formulazione originaria – consente alle stazioni appaltanti e agli enti concedenti di costituire un CCT (facoltativo, quindi), secondo le modalità di cui all’Allegato V.2, per risolvere problemi tecnici o giuridici di ogni natura suscettibili di insorgere anche nella fase antecedente alla esecuzione del contratto, ivi comprese le determinazioni delle caratteristiche delle opere e le altre clausole e condizioni del bando o dell’invito, nonché la verifica del possesso dei requisiti di partecipazione e dei criteri di selezione e di aggiudicazione.
Sulla scorta del tracciato quadro normativo, la deliberazione della Giunta Regionale
n. 538 del 14 maggio 2024 ha correttamente rilevato che il contratto di concessione per la progettazione, realizzazione e gestione della Superstrada Pedemontana Veneta non rientrasse tra i casi di attivazione obbligatoria del CCT, evidenziando al contempo come il rimedio stragiudiziale fosse pur sempre attivabile in via facoltativa “anche per affrontare solo specifiche tematiche, in accordo tra le parti”, tra cui la questione sulle modalità di aggiornamento del canone annuale di disponibilità previsto dall’art. 21 del TAC, rispetto alla quale la Regione del Veneto (con comunicazione della Direzione Infrastrutture e Trasporti prot. n. 18258 del 12 gennaio 2024) e SPV (con nota di risposta prot. n. 34880 del 23 gennaio 2024) avevano espresso posizioni discordi che le successive numerose interlocuzioni non erano riuscite a comporre.
A ben vedere, la stessa motivazione della deliberazione giuntale n. 538 del 2024 mette in luce come la scelta delle parti della concessione in parola di rinunciare alla tutela giurisdizionale a favore di una pronuncia arbitrale sia stata frutto dell’esplicarsi della loro libera volontà negoziale, senza che nel processo costitutivo del CCT intervenisse l’esercizio del potere autoritativo da parte della Regione. In specie, prima che l’ente concedente si pronunciasse sull’“opportunità di procedere con l’attivazione del CCT”, dando così mandato alla Direzione Infrastrutture e Trasporti di costituire il CCT facoltativo ai sensi dell’art. 218 del d.lgs. n. 36 del 2023, la stessa Amministrazione aveva “acquisito sia il preliminare assenso da parte del Concessionario in merito all'applicazione dell'istituto del CCT con comunicazione del 30.04.2024, sia formale parere del Commissario Autorità Vigilante Superstrada Pedemontana Veneta, Avv. Marco Corsini, nominato con Decreto del Presidente della Regione del Veneto n. 6/2017, ai sensi e con i poteri di cui all'art. 20 del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, che con nota prot. reg. n. 208132 del 29.04.2024 ha espressamente auspicato che una soluzione possa essere trovata attraverso l'istituto facoltativo del Collegio Consultivo Tecnico”.
Nello specifico, SPV, nella citata nota del 30 aprile 2024, ha ritenuto di “condividere
la proposta di attivare l’istituto del Collegio Consultivo Tecnico”, trasmettendo all’ente concedente “il Testo revisionato del Verbale di Costituzione con le modifiche proposte dal Concessionario”. Attraverso tale comunicazione – che risulta dirimente per dimostrare la libera scelta di SPV di percorrere la via dell’arbitrato anziché rivolgersi all’autorità giurisdizionale – il concessionario ha espresso il proprio assenso preliminare rispetto sia al ricorso al rimedio stragiudiziale, sia al quesito da sottoporre al costituendo CCT, rimasto in seguito immutato.
A valle della deliberazione giuntale n. 538 del 2024, l’ente concedente, mercé decreto dirigenziale n. 320 del 21 maggio 2024, ha quindi approvato lo schema di accordo per la costituzione del CCT già condiviso con il concessionario e dallo stesso finanche revisionato.
Infine, le parti del contratto di concessione hanno stipulato, il 22 maggio 2024, l’accordo costitutivo del CCT, che riproduceva la clausola – già in precedenza condivisa dagli stessi paciscenti – per cui “le Parti concordano che le decisioni del Collegio, ove non diversamente disposto dalla legge, abbiano sempre efficacia di lodo contrattuale ex art. 808 ter c.p.c.”.
8.2. La convenzione di arbitrato così conclusa, poiché espressione del libero scambio del consenso tra le parti della concessione, va intesa come negozio giuridico ad effetti processuali, ossia un accordo tipico previsto dalla legge (ex art. 218 del d.lgs. n. 36 del 2023) comportante il conferimento agli arbitri del compito di comporre la controversia. Detto accordo, quindi, trova il proprio fondamento nell’autonomia contrattuale delle parti e produce l’effetto di attivare uno strumento alternativo alla tutela giurisdizionale, seppur ad essa equivalente quanto a funzione decisoria della lite (ancorché il lodo irrituale non produca gli effetti della sentenza, poiché non è suscettibile di essere reso esecutivo ex art. 825 c.p.c.): esso realizza una sostituzione volontaria della tutela giurisdizionale con una composizione consensuale del conflitto, da cui deriva l’exceptio compromissi che ciascuna parte può sollevare dinanzi agli organi di giustizia statali.
In quanto manifestazione del potere negoziale, con l’arbitrato irrituale – a cui è assimilabile il CCT – le parti intendono affidare al collegio arbitrale la soluzione di una controversia esclusivamente attraverso lo strumento della determinazione contrattuale: un atto, di rilevanza sostanziale, che disciplini i loro rapporti avente gli effetti di una composizione amichevole (nel caso di conferimento agli arbitri della potestà di decidere secondo equità) o di un negozio di accertamento “riconducibile alla volontà delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà” (cfr. Cass., Sez. I, 2 dicembre 2015, n. 24558; cfr., altresì, Cass., Sez. II, 3 gennaio 2024, n. 112; Cass., Sez. I, 5 luglio 2023,
n. 18973; Cass., Sez. I, 30 dicembre 2021, n. 42049). D’altronde, gli stessi artt. 808- ter, comma 1, c.p.c. e 215, comma 2, del d.lgs. n. 36 del 2023 definiscono la decisione del Collegio come determinazione contrattuale: un atto quindi privato, qualificato in modo eloquente dal legislatore con la medesima espressione (“determinazione”) già utilizzata nell’art. 1349 c.c. per l’atto, senz’altro negoziale, dell’arbitratore.
Pertanto, l’accordo costitutivo di CCT si situa, in via esclusiva, nell’ambito dell’autonomia privata, in quanto per l’appunto negozio giuridico ad effetti processuali, riconducibile alla fattispecie tipica dell’art. 218 del codice dei contratti pubblici e assoggettato alla disciplina specifica dettata dal legislatore al riguardo: ossia gli artt. 215 e seguenti e l’Allegato V.2 del medesimo codice, peraltro espressamente richiamati nella convenzione qui impugnata.
La natura essenzialmente privata della convenzione arbitrale comporta che la sua impugnazione non rientri nel sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, bensì in quello del giudice ordinario, dinanzi al quale potranno essere azionati i rimedi generali riconosciuti dall’ordinamento per fondare l’invalidità del contratto. Sicché quest’ultima è la sola sede ove è possibile censurare la non compromettibilità della controversia sottoposta al CCT, facendo valere la dedotta nullità della convenzione per contrasto con la norma imperativa posta dall’art. 12 c.p.a.
Del resto, allo stesso giudice ordinario è riservata in via esclusiva la cognizione sull’annullabilità del lodo contrattuale per il ristretto numero di ipotesi previsto dall’art. 808-ter, comma 2, c.p.c., tra cui l’invalidità della convenzione di arbitrato a monte, come espressamente previsto dalla stessa disciplina speciale dettata per il CCT (art. 217, comma 3): azione di annullamento del lodo che SPV ha peraltro già proposto dinanzi al Tribunale di Venezia (R.G. n. 26944/2024).
8.3. La ricorrente, al riguardo, insiste nondimeno nell’affermare la potestas iudicandi di questo plesso giurisdizionale, sostenendo che la convenzione andrebbe qualificata come accordo ex art. 11 della legge n. 241 del 1990, relativamente al quale sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, oppure che la stessa sarebbe espressione del potere autoritativo dell’Amministrazione mediatamente esercitato, con conseguente soggezione alla giurisdizione di legittimità. Entrambi gli argomenti difensivi si appuntano sul fatto che la costituzione del CCT non sia stata una libera scelta dell’operatore economico, ma si sia posta quale espressione del potere autoritativo della Regione volto a soddisfare l’interesse pubblico alla rapida risoluzione della controversia sorta nella fase esecutiva della concessione.
Tuttavia, l’accordo costitutivo del CCT facoltativo è una convenzione arbitrale, espressione dell’autonomia negoziale delle parti, assoggettata alla speciale disciplina dettata dal legislatore in materia, contenuta negli art. 215 e seguenti del d.lgs. n. 36 del 2023. È questa specifica disciplina che ammette che al CCT siano devolute decisioni, con efficacia di lodo ex art. 808-ter c.p.c., su questioni che di per sé rientrerebbero nella giurisdizione degli organi statali: si tratta di una sede alternativa alla giurisdizione, legislativamente prevista e disciplinata per i contratti pubblici. Una sede alternativa che implica una volontaria rinuncia alla giurisdizione idonea ad operare – ma la questione è comunque rimessa al giudice ordinario – anche laddove la controversia sia riconducibile alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, stante il carattere speciale, e quindi derogatorio, della disciplina sui CCT rispetto all’art. 12 c.p.a.
Ne consegue che la convenzione del 22 maggio 2024 – in quanto atto privato, stipulato da due soggetti in posizione di parità al fine di costituire uno strumento alternativo per la risoluzione della controversia tra loro insorta attinente a un rapporto di debito- credito (ossia il quantum del canone di disponibilità annuale dovuto dal concedente al concessionario) – non possa qualificarsi come accordo ex art. 11 della legge n. 241 del 1990, perché non è assimilabile all’esercizio consensuale dell’attività amministrativa. Stipulando la convenzione, le parti hanno infatti esercitato esclusivamente il loro potere negoziale, derivante dal contratto di concessione. Nel caso di specie manca, quindi, un provvedimento finale da determinare nel proprio contenuto discrezionale o da sostituire.
Più in generale, deve escludersi che un accordo costitutivo di CCT facoltativo sia un esercizio del potere pubblico, sia pure in via mediata o indiretta (nell’accezione specificata da Corte Cost., 6 luglio 2004, n. 204, ripresa da Corte Cost., 15 luglio 2016,
n. 179, proprio con riguardo agli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento amministrativo). Invero “consentire la rapida risoluzione” della controversia, per richiamare l’incipit dell’art. 215 del d.lgs. n. 36 del 2023, non costituisce l’interesse pubblico perseguito, in via autoritativa, dall’ente concedente mediante la conclusione dell’accordo qui impugnato, ma rappresenta la causa tipica del negozio ad effetti processuali previsto dalla citata disposizione normativa. Negozio giuridico che rimane espressione dell’autonomia privata delle parti, dalla cui conclusione non è possibile desumere, in via automatica, la coercizione della volontà di SPV.
Del resto, con specifico riguardo al caso di specie, l’accordo è intervenuto per comporre in via stragiudiziale una controversia sorta nella fase esecutiva della concessione, concernente la quantificazione del canone di disponibilità spettante a SPV quale suo diritto di credito ex art. 21 del TAC. Sennonché l’ente concedente, nel corso della vita della concessione, detiene poteri di indirizzo, di controllo e di vigilanza sull’attività del concessionario, ma non esplica poteri autoritativi in ordine alla modifica del contenuto del rapporto concessorio. Ciò esclude in radice che la Regione del Veneto, attraverso la costituzione del CCT, abbia esercitato il proprio potere amministrativo al fine di modificare unilateralmente l’equilibrio del PEF cristallizzato nel contratto di concessione.
Peraltro, non fanno certo presumere l’esercizio del potere autoritativo (nei fatti, inesistente) i provvedimenti regionali qui impugnati di autorizzazione all’attivazione del CCT e di approvazione dello schema dell’accordo costitutivo. Non è infatti contestabile che la parte pubblica possa stipulare un atto negoziale, qual è la convenzione di arbitrato, solo dopo aver manifestato nelle forme di legge (in specie, con deliberazioni dell’organo esecutivo o decreti dirigenziali) la volontà di addivenire alla sua conclusione. Trattasi di atti di manifestazione della volontà dell’ente, a contenuto non autoritativo.
8.4. Da ultimo, è opportuno precisare che il difetto di giurisdizione involge non soltanto il momento costitutivo del CCT, oggetto specifico del ricorso in esame, ma anche quello di designazione dei suoi componenti.
In particolare, la designazione di soggetti idonei a ricoprire l’incarico di componenti di un CCT attiene a una fase diversa e successiva alla decisione – frutto di accordo tra le parti di un contratto pubblico – di devolvere la controversia a uno strumento alternativo alla giurisdizione: una fase nell’ambito della quale le parti versano in posizione assolutamente paritaria. Non v’è quindi esercizio di potere pubblicistico da parte dell’ente concedente, bensì di potere negoziale, il cui sindacato è rimesso al giudice ordinario.
Applicando in via analogica gli stessi principi generali regolanti l’arbitrato, deve ritenersi che il rapporto che si instaura fra l’intero Collegio e tutte le parti sia di attività professionale, secondo la speciale disciplina dettata dall’Allegato V.2 al codice dei contratti pubblici. Segnatamente, il rapporto che lega ciascuna parte con il componente designato è assimilabile al mandato (cfr. Cass., Sez. I, 3 gennaio 2001, n. 58), da intendersi come mandato nell’interesse proprio e del terzo (ossia la controparte nella convenzione arbitrale), dato che la determinazione finale – avente gli effetti del lodo contrattuale ai sensi dell’art. 808-ter c.p.c. – è parificabile a un negozio di accertamento riconducibile alla volontà degli stessi litiganti. Con l’accettazione della nomina dei componenti del CCT viene quindi a instaurarsi un rapporto che lega l’intero Collegio a tutte le parti, a prescindere da chi abbia compiuto la designazione. Dunque l’ente concedente, nella fase della scelta dei componenti del Collegio (che, come testé chiarito, è successiva alla decisione di costituire il CCT), non agisce come soggetto pubblico, ma come parte di un contratto, chiamato, al pari del soggetto privato, a contribuire alla costituzione di un organismo di risoluzione stragiudiziale della controversia (cfr. TA.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 11 novembre 2024, n. 1582). Di conseguenza, l’esercizio del potere di scelta dei componenti del CCT – in quanto attività che si sviluppa totalmente sul terreno dell’autonomia privata – è sottratto al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo.
9. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Il giudizio potrà essere riproposto nel termine indicato dall’art. 11, comma 2, c.p.a. dinanzi al giudice ordinario, ferme restando le preclusioni e le decadenze eventualmente intervenute.
La fondatezza dell’esaminata eccezione implica il necessario assorbimento di tutte le restanti questioni processuali e di merito.
10. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti costituite le spese del giudizio, in considerazione della pronuncia in rito nonché dei profili di novità e di complessità della questione di giurisdizione.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e indica il termine di cui all’art. 11, comma 2, c.p.a. per riproporre il giudizio dinanzi al giudice ordinario.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 16 aprile 2025 con l'intervento dei magistrati:
Leonardo Pasanisi, Presidente Nicola Bardino, Primo Referendario
Alberto Ramon, Referendario, Estensore