TAR Sicilia, sez. I, 28 ottobre 2025, n. 2373
Deve premettersi che, secondo il consolidato orientamento anche del Giudice di appello, la verifica della legittimità dell’informativa deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire una ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (quale è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).
Ai fini dell’adozione dell’interdittiva occorre, da un lato, non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri.
L’informazione antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa.
E’ stato anche chiarito che “…gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti penali, o possono finanche essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, n. 4693 del 15 settembre 2014), purché sia configurabile una pluralità di “indizi gravi, precisi e concordanti, oggettivamente riscontrabili, che secondo l’esperienza comune assumono un significato univoco” (Consiglio di Stato, Sez. IlI, n. 452 del 20 gennaio 2020)…” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 23 dicembre 2022, n. 11265).
Giova a tale proposito ricordare che alcune operazioni societarie possono disvelare un’attitudine elusiva della normativa antimafia ove risultino in concreto inidonee a creare una netta cesura con la pregressa gestione subendone, anche inconsapevolmente, i tentativi di ingerenza.
Proprio con riguardo all’incidenza dei legami familiari, la giurisprudenza sopra citata ha ripetutamente affermato che la Prefettura può dare rilievo ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, laddove tali rapporti, per la loro natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lascino ritenere, in virtù della logica del ‘più probabile che non’, che le decisioni inerenti alla sua gestione possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia mediante il contatto col congiunto (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 23 dicembre 2022, n. 11265).
Ed invero la giurisprudenza ha precisato che l’interdittiva antimafia può legittimamente fondarsi anche su fatti risalenti nel tempo, purché dall’analisi del complesso delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell'attività di impresa. Il mero decorso del tempo è, infatti, in sé un elemento neutro, che non smentisce da solo la persistenza di legami, vincoli e sodalizi e, comunque, non dimostra da solo l'interruzione di questi, se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi indiziari.
…osserva il Collegio che in generale la valutazione del giudice della prevenzione penale si fonda su parametri non sovrapponibili alla ricognizione probabilistica del rischio di infiltrazione, che costituisce invece presupposto del provvedimento prefettizio, e rispetto ad essa si colloca in un momento successivo. Non è pertanto casuale che nella sistematica normativa il controllo giudiziario (e le relative valutazioni: inclusa quella sull’ammissione) presupponga l’adozione dell'informativa: rispetto alla quale rappresenta un post factum.
Sul piano finalistico, controllo giudiziario e prevenzione collaborativa sono accomunati dall’avvertita necessità di ripensare la reazione ordinamentale antimafia, aggiungendo alle tradizionali misure ablatorie nuovi strumenti di self cleaning, così che lo Stato possa affiancare le imprese non del tutto compromesse dal contagio mafioso nel percorso “terapeutico” di recupero ad una piena dimensione di legalità. Sul piano della tempistica, si differenziano perché le misure di prevenzione collaborativa intervengono nella fase amministrativa di controllo e non necessitano, diversamente da ciò che accade nel controllo giudiziario, né della previa impugnazione dell’interdittiva (che, in quella fase, non è ancora stata emessa) e nemmeno della successiva accettazione della domanda da parte del Tribunale della prevenzione, essendo rimesse alla discrezionale adozione da parte del Prefetto.
In particolare è stato di recente precisato che: … l’esercizio – in senso negativo – del potere di applicazione delle misure di cd. prevenzione collaborativa di cui all’art. 94-bis d.lvo n. 159/2011, quale alternativa preventiva alla sottoposizione ad interdittiva dell’impresa nei cui confronti siano riscontrati i tentativi di condizionamento mafioso, non richiede necessariamente la formulazione di una apposita motivazione intesa ad escludere la sussistenza dei relativi presupposti, potendo questa evincersi de relato dalle ragioni addotte dal Prefetto a fondamento della configurazione del pericolo infiltrativo …
Guida alla lettura
La sentenza del T.A.R. Sicilia in commento è di rilevante importanza in quanto affronta molteplici aspetti che ruotano attorno all’istituto dell’informazione interdittiva antimafia.
- Valutazione dei fatti e discrezionalità
In primis, viene affrontata la tematica della discrezionalità che connota il provvedimento.
Infatti, i giudici amministrativi richiamano la sentenza n. 7890/2021 del Consiglio di Stato che ha puntualizzato come l’interdittiva antimafia sia caratterizzata da “un giudizio prognostico latamente discrezionale” che tiene conto del pericolo di infiltrazione mafiosa secondo un ragionamento “induttivo, di tipo probabilistico” che, in quanto tale, non necessita della stessa certezza probatoria richiesta in sede penale. Si tratta, invero, di una fattispecie di pericolo tipica del diritto della prevenzione.
Inoltre, gli elementi oggetto di valutazione non devono essere presi in considerazione singolarmente, ma rapportati tra di loro e considerati in modo unitario.
- Rapporto tra interdittiva e processo penale
La pronuncia in commento richiama, altresì, la sentenza del Consiglio di Stato n. 11265/2022 per ricordare che gli elementi oggetto di valutazione nell’istruttoria prefettizia non devono necessariamente avere una rilevanza penale o essere oggetto di un giudizio penale o, ancora, possono essere presi in considerazione anche se il giudizio penale è sfociato nell’assoluzione o nel proscioglimento.
- Operazioni societarie
Come noto, tra le misure di self cleaning, ovvero quelle misure, per così dire, di ravvedimento con le quali l’operatore economico dimostra di recidere i rapporti con la mafia rimuovendo quelle situazioni che ne hanno consentito un collegamento, vi sono le operazioni societarie tra cui, ad esempio, la revoca di incarichi agli organi gestionali della società.
Orbene, i giudici di prime cure rilevano come tali misure, al tempo stesso, possano essere al contrario indice di commistione con la mafia lì dove siano meramente formali e, quindi, finalizzate a eludere la normativa antimafia essendo inidonee a sciogliere concretamente i rapporti con la precedente gestione e continuando a subire, invece, i tentativi di ingerenza (nel caso di specie i giudici evidenziano come la prefettura nell’istruttoria aveva riscontrato che “i componenti della compagine societaria sono inseriti in un articolato contesto familiare caratterizzato da plurimi, ramificati e rilevanti rapporti parentali con esponenti di sodalizi criminali operanti nel territorio …, ma con estensione nell’intero ambito provinciale …”).
Sul punto il T.A.R. mette in luce come dall’acquisizione “delle informazioni di polizia, è stata in particolare documentata la permanenza di un contesto parentale fortemente controindicato che investe il ramo familiare …, ritenendosi probabile il rapporto di contiguità mafiosa dei suddetti parenti che si configura a base rigidamente familiare. La frequentazione ed i rapporti con soggetti controindicati – tutt’altro che isolati (…) – hanno fatto ritenere al Prefetto, unitamente agli altri fatti gravemente indizianti, il rischio che la compagine societaria sia collocata in un contesto relazionale complessivamente sintomatico di un periodo di infiltrazione della criminalità nell’impresa”).
- Legami familiari
Altro elemento che può essere oggetto di valutazione da parte della Prefettura sono i legami familiari tra titolari, soci, amministratori, direttori generali degli operatori economici e persone appartenenti all’organizzazione mafiosa. Tali rapporti hanno rilevanza se “per la loro natura, intensità o per altre caratteristiche concrete” possano far ritenere che le decisioni prese dalla società, anche indirettamente, siano suscettibili di essere influenzate dalla mafia per il tramite del rapporto parentale.
Se così è, irrilevanti diventano gli esiti favorevoli agli indagati/imputati di un giudizio penale.
- Rilevanza temporale dei fatti
Possono avere rilevanza ai fini dell’adozione dell’informazione antimafia anche fatti risalenti nel tempo se, considerati complessivamente, siano comunque idonei a far ritenere attuale e concreto il pericolo di infiltrazioni mafiose.
Peraltro, ricordano i giudici amministrativi, l’infiltrazione mafiosa è proprio caratterizzata dalla permanenza nel tempo data dall’instaurarsi di legami stabili con il tessuto imprenditoriale e dalla capacità di adeguarsi ai cambiamenti modificando forma economica e giuridica.
- Rapporti tra interdittiva, prevenzione collaborativa e controllo giudiziario
Nel caso di specie la ricorrente ha ritenuto che l’interdittiva antimafia non abbia tenuto conto della possibilità per l’impresa di essere bonificata per il tramite di misure alternative e che in favore di tale doglianza vi sarebbero sia la pronuncia del giudice della prevenzione che ha ritenuto che gli elementi posti a base dell’interdittiva non abbiano una rilevanza tale da affermare che l’impresa sia nella disponibilità di un soggetto socialmente pericoloso sia l’adozione del modello di organizzazione, gestione e controllo di cui al D.Lgs. n. 231/2001, la nomina di un organismo di vigilanza monocratica, il cambio della sede sociale della società e la modifica del testo dei patti sociali.
Sul punto il T.A.R. evidenzia come “la valutazione del giudice della prevenzione penale si fonda su parametri sovrapponibili alla ricognizione probabilistica del rischio di infiltrazione, che costituisce invece presupposto del provvedimento prefettizio, e rispetto ad essa si colloca in un momento successivo”. Ed è in base a ciò che il controllo giudiziario presuppone l’adozione dell’informativa rispetto alla quale rappresenta un post factum.
A tal fine, richiama la sentenza del Cons. Stato, Sez. III, 16 giugno 2022, n. 4912, in base alla quale il controllo giudiziario interviene in una fase successiva all’interdittiva che costituisce presupposto non sindacabile e per tale ragione è proiettato alla gestione futura dell’attività d’impresa, a differenza dell’interdittiva che, invece, deriva da un’attività istruttoria svolta dal Prefetto che concerne l’impresa nel suo complesso compresi fatti risalenti nel tempo lì dove ancora rilevanti.
È in tale contesto che assumono rilievo le misure di prevenzione collaborativa ex art. 94 bis D.Lgs. n. 231/2001 introdotte con l’art. 49, comma 1 D.Lg. n. 152/2011.
Tali misure “replicano il modello del controllo giudiziario di cui all’art. 34 bis del D.Lgs. n. 159/2011, con il quale condividono il presupposto applicativo del tentativo di agevolazione occasionale e alcune delle misure previste ai fini della sua rimozione”.
Dal punto di vista della finalità “controllo giudiziario e prevenzione collaborativa sono accomunati dall’avvertita necessità di ripensare la reazione ordinamentale antimafia, aggiungendo alle tradizionali misure ablatorie nuovi strumenti di self cleaning, così che lo Stato possa affiancare le imprese non del tutto compromesse dal contagio mafioso nel percorso ‘terapeutico’ di recupero ad una piena dimensione di legalità”.
Con riferimento al fattore temporale, tali misure si differenziano in quanto quella di prevenzione collaborativa interviene nella fase amministrativa di controllo e non richiede né (ovviamente) l’impugnazione dell’interdittiva che non è stata in tale fase neanche disposta né dell’accettazione della domanda da parte del Tribunale della prevenzione in quanto l’applicazione è legata all’adozione da parte del Prefetto che sul punto effettua una valutazione discrezionale.
Ai sensi dell’art. 94 bis D.Lgs. n. 159/2011, poi, le misure di prevenzione collaborativa cessano di avere efficacia una volta intervenuto il controllo giudiziario disposto dal Tribunale delle misure di prevenzione.
Inoltre, ai fini del computo temporale di sottoposizione dell’impresa al controllo giudiziario, si dovrà tenere conto del periodo nel quale ha trovato applicazione la misura di prevenzione collaborativa in quanto andrà scomputato dalla durata del primo.
Il T.A.R. ricorda come l’art. 94 bis ha la finalità di individuare delle misure di prevenzione alternative rispetto all’interdittiva antimafia che siano caratterizzate dalla proporzionalità sulla base di quanto effettivamente riscontrato al termine dell’attività svolta dalla prefettura, ma anche di diversificare il trattamento che si applica in presenza di agevolazioni occasionali. Ciò si diversifica nettamente rispetto a quanto avviene in sede giudiziaria a seguito di adozione dell’interdittiva antimafia.
La gradualità delle misure che possono essere applicate dal prefetto risponde sia all’esigenza di conservare il più possibile l’integrità aziendale sia a quella di applicare l’interdittiva come extrema ratio da applicare ai casi più gravi.
Discostandosi dall’ordinanza cautelare adottata dal CGARS, il T.A.R. ritiene che il prefetto non debba indicare nella motivazione dell’interdittiva i fatti specifici sulla base dei quali non è stato possibile applicare le misure previste dall’art. 94 bis e ciò sulla base del dato normativo.
Infatti, il Prefetto non ha l’obbligo di motivare l’applicazione della misura della gestione collaborativa a fronte dell’elevata discrezionalità di tipo tecnico di cui dispone, come si evince dal comma 1 del predetto articolo. A fronte di tale tipologia di discrezionalità, il Giudice amministrativo non può sostituirsi con proprie valutazioni a quelle svolte dal prefetto.
Secondo il T.A.R., la mancanza dei presupposti per poter applicare la misura di cui all’art. 94 bis e quindi il motivo per cui non può essere disposta la si può dedurre implicitamente/indirettamente dalla motivazione relativa all’interdittiva antimafia lì dove emerga “con chiarezza la natura strutturale e permanente” di elementi di inquinamento mafioso. A tal proposito i giudici amministrativi richiamano la sentenza del Consiglio di Stato n. 7195/2025 che ha statuito che la mancata applicazione delle misure di prevenzione collaborativa non necessita di motivazione in merito all’assenza dei presupposti per la sua applicazione potendo desumersi “de relato” dalle motivazioni adottate dal Prefetto per l’applicazione dell’interdittiva antimafia.
Pubblicato il 28/10/2025
N. 02373/2025 REG.PROV.COLL.
N. 00135/2025 REG.RIC.
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
I N NOME D E L POPOLO I T A L I A NO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 135 del 2025, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Massimiliano Valenza, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Corleone, Città Metropolitana di Reggio Calabria, non costituiti in giudizio;
Ministero dell'Interno, U.T.G. - Prefettura di Agrigento in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliataria ex lege in Palermo, via Mariano Stabile 182;
Libero Consorzio Comunale di Agrigento in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso dall’avvocato Diega Alaimo Martello, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento
quanto al ricorso introduttivo:
- del provvedimento n. -OMISSIS-, con cui la Prefettura di Agrigento ha emesso una interdittiva antimafia nei confronti della ricorrente;
- della nota, ricevuta il -OMISSIS-, con cui il Comune di Corleone ha disposto “con effetto immediato l’interruzione dei lavori nell’attesa dei successivi provvedimenti che verranno posti in essere per la revoca dell’affidamento in argomento”;
- della Determina n. -OMISSIS- con cui il Comune di Corleone ha disposto “di revocare in autotutela, in ossequio ai principi di buona amministrazione ex art. 97 della Costituzione e ai sensi dell’art. 21-quinquies della L.241/1990 e ss.mm.ii., la determina di efficacia dell’aggiudicazione n. -OMISSIS-, relativa ai lavori di “Rafforzamento dei servizi sportivi con abbattimento delle barriere architettoniche dei campetti e spazi adiacenti ubicati in C.da -OMISSIS-”, con la quale era stata dichiarata l’efficacia dell’aggiudicazione degli stessi lavori alla società ai sensi dell’art. 17, comma 5 del D.lgs. n. 36/2023 e di escludere l’impresa dalla gara in argomento per mancanza dei requisiti inerenti l’art. 94 comma 2 del D.lgs. 36/2023 – Cause di esclusione automatica, richiesti in sede di gara;
quanto al primo ricorso per motivi aggiunti:
- della determinazione dirigenziale n. -OMISSIS-, con cui il Libero Consorzio Comunale di Agrigento ha disposto la revoca dei lavori affidati alla -OMISSIS-;
quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti:
- della determinazione R.G. N. -OMISSIS- con cui la Città Metropolitana di Reggio Calabria ha disposto la risoluzione del contratto di appalto in essere (ripristino funzionale e messa in sicurezza tratti stradali comune di -OMISSIS- - sp 109 dism - OMISSIS- canale-russellina) con la società ricorrente in ragione dell’interdittiva resa dalla Prefettura di Agrigento;
- di tutti gli altri atti presupposti, connessi, e consequenziali citati nei predetti provvedimenti – mai comunicati o trasmessi al ricorrente, ivi incluse segnalazioni, pareri, relazioni, corrispondenza ed eventuali atti istruttori.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, dell’U.T.G. - Prefettura di Agrigento e del Libero Consorzio Comunale di Agrigento;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2025 il dott. Francesco Mulieri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con ricorso notificato il 22 gennaio 2025 e depositato il 23 gennaio successivo, la società ricorrente ha chiesto l’annullamento previa sospensiva:
- del provvedimento n. -OMISSIS-, con cui la Prefettura di Agrigento ha emesso una interdittiva antimafia nei suoi confronti;
- della nota, ricevuta il -OMISSIS-, con cui il Comune di Corleone ha disposto “con effetto immediato l’interruzione dei lavori nell’attesa dei successivi provvedimenti che verranno posti in essere per la revoca dell’affidamento in argomento”;
- della determina n. -OMISSIS- con cui il Comune di Corleone ha disposto di revocare in autotutela la determina di efficacia dell’aggiudicazione n. -OMISSIS-, relativa ai lavori di “Rafforzamento dei servizi sportivi con abbattimento delle barriere architettoniche dei campetti e spazi adiacenti ubicati in C. da -OMISSIS-.
Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:
I. SULLA VANIFICAZIONE DELLE GARANZIE PROCEDIMENTALI. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 10 BIS L. 241/1990. VIOLAZIONE DELL’ART. 92 D. LGS 159/2011. VIOLAZIONE DELL’ART. 6 E 13 CEDU. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DEL GIUSTO PROCESSO E DEL DIRITTO DI DIFESA E DEL PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO. CONTRADDITTORIETÀ, INCOERENZA ED IRRAGIONEVOLEZZA DEI PROVVEDIMENTI IMPUGNATI ILLOGICITÀ, ARBITRIO E INGIUSTIZIA MANIFESTI.
La ricorrente lamenta la violazione delle garanzie procedimentali, sostenendo che il peso dell’interdittiva non sarebbe corrispondente a quello del c.d. preavviso.
II. SULLA GENERALE VETUSTÀ ED INCONSISTENZA DEL QUADRO ISTRUTTORIO.VIOLAZIONE DELL’ART. 3 L. 241/1990 - DIFETTO DI MOTIVAZIONE. VIOLAZIONE DELL’ART. 84, 90 E SS. D.LGS. 159/2011. IRRAGIONEVOLEZZA, ILLOGICITÀ, ARBITRIO E INGIUSTIZIA MANIFESTI. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI LEGALITÀ FORMALE E SOSTANZIALE.
La ricorrente deduce la vetustà del quadro istruttorio posto a fondamento dell’interdittiva (fondata essenzialmente sulla figura dei suoceri del sig. -OMISSIS-, sig.ri -OMISSIS- e -OMISSIS-, in quanto precedenti titolari delle quote sociali e fondatori della società) unita ad una ingigantita ed allo stesso tempo inattendibile descrizione dei fatti che non terrebbe conto dell’esito delle segnalazioni ivi menzionate; inoltre nessuna delle vicende indicate dalla Prefettura avrebbe nulla a che vedere con la mafia o con ambienti di tipo mafioso.
III. INCONSISTENZA DEI SINGOLI ELEMENTI ADDOTTI DALLA PREFETTURA A SOSTEGNO DEL PROVVEDIMENTO. VIOLAZIONE DELL’ART. 3 L. 241/1990 -DIFETTO DI MOTIVAZIONE. VIOLAZIONE DELL’ART. 84, 90 E SS. D.LGS. 159/2011. IRRAGIONEVOLEZZA, ILLOGICITÀ, ARBITRIO E INGIUSTIZIA MANIFESTI. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI LEGALITÀ FORMALE E SOSTANZIALE.
La ricorrente deduce che delle segnalazioni riportate dalla Prefettura all’interno del provvedimento impugnato non ve ne sarebbe una sola che possa in alcun modo evocare anche solo lontanamente il condizionamento mafioso, sia in considerazione della risalenza dei fatti, sia della loro natura, sia infine dell’esito degli accertamenti condotti dall’Autorità Giudiziaria.
IV. IN SUBORDINE: ILLEGITTIMITÀ DEL PROVVEDIMENTO IMPUGNATO NELLA PARTE IN CUI NON HA TENUTO CONTO DELLE EVENTUALI MISURE ALTERNATIVE RISPETTO ALLA INTERDITTIVA. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 94 BIS D.LGS. 159/2011. ECCESSO DI POTERE PER VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI LEALE COLLABORAZIONE DIFETTO DI ISTRUTTORIA VIOLAZIONE DELL’ART. 97 COST. E DEL PRINCIPIO DI LEALE AMMINISTRAZIONE.
Secondo la ricorrente le stesse circostanze su cui si fonda l’interdittiva impugnata avrebbero dovuto indurre il Prefetto ad apprezzare la tenue intensità di tale pericolo di condizionamento, e per contro la certa possibilità di ottenere bonifica della ditta individuale attraverso misure alternative rispetto alla interdittiva tout court; il provvedimento impugnato si limiterebbe sul punto a generiche formule di stile.
2. – Con ricorso notificato il 6 febbraio 2025 e depositato il 6 marzo successivo, la società ricorrente ha presentato motivi aggiunti, meramente riproduttivi del ricorso introduttivo del giudizio, avverso il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione di un appalto di lavori adottato dal Libero Consorzio Comunale di Agrigento con determinazione n.-OMISSIS-, avente natura meramente conseguenziale rispetto all’interdittiva emessa dalla Prefettura di Agrigento, che costituisce l’oggetto principale dell’impugnazione. Con ricorso notificato e depositato il 6 marzo 2025, la società ricorrente ha presentato motivi aggiunti, anch’essi meramente riproduttivi del ricorso introduttivo, con i quali ha impugnato altresì il provvedimento del -OMISSIS- con cui la Città Metropolitana di Reggio Calabria ha disposto la risoluzione del contratto di appalto in essere con la società ricorrente in ragione dell’interdittiva resa dalla Prefettura di Agrigento.
3. – Per resistere al ricorso e sostenere la legittimità dei provvedimenti impugnati si sono costituiti il Ministero dell’Interno, la Prefettura di Agrigento ed il Libero Consorzio Comunale di Agrigento.
4.- Con ordinanza cautelare n. -OMISSIS-, la domanda cautelare di parte ricorrente è stata respinta. Il provvedimento di questo TAR è stato riformato con ordinanza del CGARS n. -OMISSIS- con la quale sono stati ritenuti sussistenti “evidenti elementi di fumus boni iuris almeno in relazione al IV motivo dell’appello cautelare, con il quale – subordinatamente rispetto ai precedenti motivi dell’appello - si censura la violazione dell’art. 94-bis d.lgs. 159/2011, che disciplina la c.d. prevenzione collaborativa”.
Il Giudice d’appello ha ritenuto in particolare che “non appaiono indicati nella motivazione del provvedimento impugnato specifici fatti che non consentano di ritenere applicabili le misure di cui all’art. 94-bis (non implausibilmente supportate, invece, dalle argomentazioni difensive svolte nel IV motivo di appello cautelare in esame)”; e che il Prefetto si sia limitato “ad affermare genericamente, in buona sostanza, la non emendabilità della situazione rilevata, a fronte della necessità di compiere il massimo sforzo per individuare un percorso virtuoso che consenta concretamente all’impresa di "bonificarsi" riallineandosi con il contesto economico sano e affrancandosi dal condizionamento delle infiltrazioni mafiose”.
5.- In vista dell’udienza di merito, tutte le parti hanno depositato memorie. La società ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso, evidenziando di aver chiesto ed ottenuto il controllo giudiziario, disposto con decreto n. -OMISSIS- del Tribunale di Palermo, Sez. I, Penale, Misure di Prevenzione. L’Avvocatura dello Stato, per le resistenti Amministrazioni, ha insistito per il rigetto del ricorso sollevando comunque, in relazione al quarto motivo di ricorso, “dubbi di procedibilità per sopravvenuta carenza di interesse”, in considerazione della richiesta da parte della ricorrente del controllo giudiziario volontario.
Il Libero Consorzio Comunale di Agrigento ha eccepito l’improcedibilità del ricorso per motivi aggiunti atteso che, a seguito della sopra citata ordinanza cautelare del CGA, i lavori affidati sono stati eseguiti dalla -OMISSIS- e collaudati.
La ricorrente ha replicato a quanto dedotto dalla difesa erariale con apposita memoria.
6.- All’udienza pubblica del 21.10.2025, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. - In via preliminare il Collegio prende atto dell’avvenuta esecuzione dei lavori relativi all’accordo quadro biennale con un solo operatore economico per l'affidamento dei lavori di manutenzione ordinaria degli edifici scolastici di competenza del Libero Consorzio Comunale di Agrigento; tale circostanza è idonea a rendere definitiva l’inutilità (sul piano pratico) di un’eventuale pronuncia di
annullamento degli atti impugnati con il primo ricorso per motivi aggiunti e a concretare, pertanto, la sopravvenuta carenza di interesse al suddetto gravame.
2. - Passando all’esame del ricorso introduttivo, il primo motivo è infondato atteso che la Prefettura di Agrigento ha tenuto conto sia del contenuto delle memorie endoprocedimentali presentate dalla ricorrente, sia di quanto emerso nel corso della successiva audizione, ritenendo le argomentazioni di parte ricorrente tali da non privare di fondamento le negative risultanze istruttorie già prospettate in fase di emanazione di preavviso di informativa antimafia interdittiva.
3. - Il secondo ed il terzo motivo, in quanto strettamente connessi, possono essere congiuntamente esaminati.
Dette censure – con le quali la ricorrente contesta le valutazioni discrezionali operate dal Prefetto e compendiate nel provvedimento oggi impugnato – risultano infondate.
Deve premettersi che, secondo il consolidato orientamento anche del Giudice di appello, “la verifica della legittimità dell’informativa deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire una ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (quale è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).
Ai fini dell’adozione dell’interdittiva occorre, da un lato, non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).
Ciò che connota la regola probatoria del “più probabile che non” non è un diverso procedimento logico, ma la (minore) forza dimostrativa dell’inferenza logica, sicché, in definitiva, l’interprete è sempre vincolato a sviluppare un’argomentazione rigorosa sul piano metodologico, “ancorché sia sufficiente accertare che l’ipotesi intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme, ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità, ovvero, con formulazione più appropriata, la c.d. probabilità cruciale” (Cons. St., sez. III, 26 settembre 2017, n. 4483).
Come ribadito dalla Sezione (27 dicembre 2019, n. 8883, riprendendo un ormai consolidato orientamento del giudice di appello), l’informazione antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa.
Ha aggiunto la Sezione (n. 8883 del 2019) che lo stesso legislatore – art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 – ha riconosciuto quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di “eventuali tentativi” di infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”. Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori…” (Consiglio di Stato, Sez. III, 25 novembre 2021 n. 7890).
Per quanto attiene agli elementi indiziari, deve inoltre rammentarsi che i dati e i fatti valorizzati dal Prefetto devono essere valutati non atomisticamente, ma in chiave unitaria, al fine di valutare l’esistenza o meno di un pericolo di una permeabilità della struttura imprenditoriale a possibili tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, secondo la valutazione di tipo induttivo che la norma attributiva rimette al potere cautelare dell’amministrazione; e, d’altro canto, non è necessario che la Prefettura fornisca la “effettiva prova” del condizionamento, per quanto sopra rilevato dalla costante giurisprudenza (v. C.G.A., Sez. giurisd., 18 settembre 2023, n. 593).
E’ stato anche chiarito che “…gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti penali, o possono finanche essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, n. 4693 del 15 settembre 2014), purché sia configurabile una pluralità di “indizi gravi, precisi e concordanti, oggettivamente riscontrabili, che secondo l’esperienza comune assumono un significato univoco” (Consiglio di Stato, Sez. IlI, n. 452 del 20 gennaio 2020)…” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 23 dicembre 2022, n. 11265).
Nel caso di specie, le informazioni assunte dalla Prefettura nella fase istruttoria hanno evidenziato che l’amministratrice unica e socia di maggioranza della società si inserisce in un contesto familiare che vede la presenza di soggetti condannati per reati di criminalità organizzata e destinatari di misure di prevenzione e che l’impresa opera nell’ambito di settori imprenditoriali analoghi a quelli esercitati da società riconducibili ai familiari attinti, anche recentemente, da provvedimenti giudiziari e provvedimenti prefettizi di diniego all’iscrizione nella white list.
In particolare:
- dal 26/10/2023, la società è amministrata da -OMISSIS-, coniugato con -OMISSIS figlia
di -OMISSIS-;
- -OMISSIS- ha acquisito la titolarità delle quote sociali dalla suocera -OMISSIS-, coniugata con -OMISSIS-, procedendo alla sua sostituzione nella rappresentanza legale della società e della titolarità delle quote societarie immediatamente dopo l’emanazione, da parte della Prefettura, del preavviso di informazione interdittiva antimafia e di diniego alla permanenza nella “white list” istituita presso la Prefettura di Agrigento del 10/10/2023;
- il sopra menzionato cambio di compagine societaria è stato ritenuto un chiaro tentativo di eludere la normativa sulla documentazione antimafia, atteso lo strettissimo rapporto di parentela e di affinità tra il subentrante -OMISSIS- e -OMISSIS-, a sua volta facente parte di un contesto familiare che vede la presenza di soggetti condannati per reati di criminalità organizzata e destinatari di misure di prevenzione.
Il repentino cambio di titolarità al vertice della società ricorrente e gli elementi acquisiti nei riguardi del socio unico ed amministratore della società in esame hanno fatto ritenere sussistente il pericolo di infiltrazioni mafiose in presenza di idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rilevatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose.
Giova a tale proposito ricordare che alcune operazioni societarie possono disvelare un’attitudine elusiva della normativa antimafia ove risultino in concreto inidonee a creare una netta cesura con la pregressa gestione subendone, anche inconsapevolmente, i tentativi di ingerenza (Cons. Stato, sez. III, 30/10/2023, n. 9343).
Le informazioni assunte dalla Prefettura nella fase istruttoria hanno evidenziato che i componenti della compagine societaria sono inseriti in un articolato contesto familiare caratterizzato da plurimi, ramificati e rilevanti rapporti parentali con esponenti di sodalizi criminali operanti nel territorio favarese ma con estensione nell’intero ambito provinciale agrigentino.
Attraverso l’acquisizione delle informazioni di polizia, è stata in particolare documentata la permanenza di un contesto parentale fortemente controindicato che investe il ramo familiare -OMISSIS-, ritenendosi probabile il rapporto di contiguità mafiosa dei suddetti parenti che si configura a base rigidamente familiare. La frequentazione ed i rapporti con soggetti controindicati – tutt’altro che isolati, come nel caso di specie – hanno fatto ritenere al Prefetto, unitamente agli altri fatti gravemente indizianti, il rischio che la compagine societaria sia collocata in un contesto relazionale complessivamente sintomatico di un pericolo di infiltrazione della criminalità nell’impresa.
Proprio con riguardo all’incidenza dei legami familiari, la giurisprudenza sopra citata ha ripetutamente affermato che la Prefettura può dare rilievo ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, laddove tali rapporti, per la loro natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lascino ritenere, in virtù della logica del ‘più probabile che non’, che le decisioni inerenti alla sua gestione possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia mediante il contatto col congiunto (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. III, 23 dicembre 2022, n. 11265).
La pluralità, l’univoca convergenza e la gravità di tali rapporti rendono irrilevante non solo l’assoluzione da responsabilità penale, ma anche la circostanza che essi si collocano in un arco temporale non recente.
Ed invero la giurisprudenza ha precisato che “l’interdittiva antimafia può legittimamente fondarsi anche su fatti risalenti nel tempo, purché dall’analisi del complesso delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell’attività di impresa. Il mero decorso del tempo è, infatti, in sé un elemento neutro, che non smentisce da solo la persistenza di legami, vincoli e sodalizi e, comunque, non dimostra da solo l'interruzione di questi, se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi indiziari. Peraltro, occorre considerare che l’infiltrazione mafiosa, per la natura stessa delle organizzazioni criminali dalla quale promana e per la durevolezza dei legami che essi instaurano con il mondo imprenditoriale, ha una stabilità di contenuti e, insieme, una mutevolezza di forme, economiche e giuridiche, capace di sfidare il più lungo tempo e di occupare il più ampio spazio disponibile” (ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, 15 aprile 2024, n. 3391; Id., sez. V, 11 aprile 2022, n. 2712; id. 6 giugno 2022, n. 3391)” (cfr., da ultimo, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 04/07/2025 n. 5063).
Pertanto il Collegio ritiene che la Prefettura abbia adeguatamente vagliato il complessivo quadro indiziario caratterizzato da stretti legami di parentela e cointeressenze tra la società di che trattasi e soggetti controindicati, in uno ad altre riportate circostanze che, complessivamente, ben potevano ragionevolmente essere indizianti di una situazione di pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione
dell’impresa.
4.1. – Con riferimento al quarto motivo - con il quale, in via subordinata, la ricorrente ha dedotto che le stesse circostanze su cui si fonda l’interdittiva impugnata avrebbero dovuto indurre il Prefetto ad apprezzare la tenue intensità del pericolo di condizionamento, e per contro la possibilità, ritenuta certa dalla stessa ricorrente, di ottenere la bonifica della ditta individuale attraverso misure alternative rispetto alla interdittiva – la ricorrente nella propria memoria conclusionale ha evidenziato che:
1) il Giudice penale (v. decreto n. -OMISSIS- del Tribunale di Palermo, Sez. I Penale, Misure di Prevenzione) nel concedere la misura del controllo giudiziario ha ritenuto che “gli elementi di prova posti a fondamento del provvedimento prefettizio non indicano la sussistenza di sufficienti indizi che consentano di affermare che l’impresa odierna istante sia nella diretta o indiretta disponibilità di un soggetto socialmente pericoloso”;
2) ha provveduto ad adottare il modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del D.lgs. n. 231/2001, la nomina di un organismo di vigilanza monocratico, a variare la sede sociale della società, la sua durata e a sostituire il testo di patti sociali vigente.
Quanto all’improcedibilità della censura dedotta dalla difesa erariale ha precisato, da un lato, che il controllo giudiziario volontario ha per presupposto la pendenza del giudizio amministrativo mentre la prevenzione collaborativa inizierebbe in epoca successiva alla data di deposito della sentenza, consentendo alla società odierna ricorrente un più lungo periodo di attività; dall’altro il proprio interesse affinché il controllo sia effettuato da un esperto nominato dalla Prefettura.
Ciò posto, osserva il Collegio che in generale la valutazione del giudice della prevenzione penale si fonda su parametri non sovrapponibili alla ricognizione probabilistica del rischio di infiltrazione, che costituisce invece presupposto del provvedimento prefettizio, e rispetto ad essa si colloca in un momento successivo.
Non è pertanto casuale che nella sistematica normativa il controllo giudiziario (e le relative valutazioni: inclusa quella sull’ammissione) presupponga l’adozione dell'informativa: rispetto alla quale rappresenta un post factum (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 11 gennaio 2021, n. 338).
La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che “Mentre il controllo giudiziario è parentesi cautelare ed emendativa che consegue ad un accertamento amministrativo che si ritiene presupposto e non sindacabile - ed è dunque tutto incentrato su una prognosi che guarda al futuro affrancamento dai rischi che seppur occasionalmente in passato hanno condizionato l'imprenditore - l'informativa (anche quella eventualmente successiva al controllo giudiziario) è invece frutto di una visione ampia che ingloba anche la storia dell'imprenditore, i suoi legami passati e le pregresse vicende, nei limiti in cui esse siano ancora significative e portatrici di un potenziale pregiudicante ancora provvisto di riverberi attualità. Ciò consente al Prefetto di giustificare le sue valutazioni, utilizzando, seppur per meglio inquadrare e qualificare le sopravvenienze, lo sfondo in cui le vicende sono maturate e la storia in cui esse si innestano” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 16 giugno 2022 n. 4912).
Pertanto, com’è stato rilevato dalla giurisprudenza di legittimità, la peculiarità (e la diversità) dell'accertamento del giudice penale, “necessariamente successivo al provvedimento prefettizio”, “sta però nel fatto che il fuoco della attenzione e quindi del risultato di analisi deve essere posto non solo su tale pre-requisito, quanto piuttosto, valorizzando le caratteristiche strutturali del presupposto verificato, sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni (nel caso della amministrazione, anche vere intromissioni) che il giudice delegato può rivolgere nel guidare la impresa infiltrata”. In questa direzione si è ulteriormente precisato che la valutazione sull'esistenza di “un'infiltrazione connotata da occasionalità non sia finalizzata all'acquisizione di un dato statico — consistente nella cristallizzazione della realtà preesistente: una mera fotografia del passato — bensì alla argomentata formulazione di un giudizio prognostico circa l'emendabilità della situazione rilevata, connotata da condizionamento e/o agevolazione di soggetti o associazioni criminali, mediante l'intera gamma degli strumenti previsti dall'art. 34-bis” (Cass. pen., Sez. VI, 14 gennaio 2021 n. 1590, come richiamata da Cons. di St., Ad. Plen. n. 8/2023).
In tale quadro si inseriscono le misure di prevenzione collaborativa di cui all’art. 94 bis del D.lgs. n. 231/2001, le quali sono state introdotte con l’art. 49, c. 1, del d.l. n. 152/2021, e che sono finalizzate a contrastare i tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale.
Dette misure replicano il modello del controllo giudiziario di cui all’art. 34 bis del d.lgs. n. 159/2011, con il quale condividono il presupposto applicativo del tentativo di agevolazione occasionale e alcune delle misure previste ai fini della sua rimozione.
Sul piano finalistico, controllo giudiziario e prevenzione collaborativa sono accomunati dall’avvertita necessità di ripensare la reazione ordinamentale antimafia, aggiungendo alle tradizionali misure ablatorie nuovi strumenti di self cleaning, così che lo Stato possa affiancare le imprese non del tutto compromesse dal contagio mafioso nel percorso “terapeutico” di recupero ad una piena dimensione di legalità.
Sul piano della tempistica, si differenziano perché le misure di prevenzione collaborativa intervengono nella fase amministrativa di controllo e non necessitano, diversamente da ciò che accade nel controllo giudiziario, né della previa impugnazione dell’interdittiva (che, in quella fase, non è ancora stata emessa) e nemmeno della successiva accettazione della domanda da parte del Tribunale della prevenzione, essendo rimesse alla discrezionale adozione da parte del Prefetto.
L’art. 94 bis del d. lgs. n. 159/2011 prevede infatti che: “3. Le misure di cui al presente articolo cessano di essere applicate se il tribunale dispone il controllo giudiziario di cui all'articolo 34 bis, comma 2, lettera b). Del periodo di loro esecuzione può tenersi conto ai fini della determinazione della durata del controllo giudiziario.
4. Alla scadenza del termine di durata delle misure di cui al presente articolo, il prefetto, ove accerti, sulla base delle analisi formulate dal gruppo interforze, il venir meno dell'agevolazione occasionale e l'assenza di altri tentativi di infiltrazione mafiosa, rilascia un'informazione antimafia liberatoria ed effettua le conseguenti iscrizioni nella banca dati nazionale unica della documentazione antimafia”.
Il legislatore ha dunque confermato, sotto il profilo dell’efficacia, il rapporto di prevalenza dell’azione promossa dall’autorità giudiziaria su quella amministrativa, poiché con l’attivazione del controllo giudiziario cessano gli effetti della precedente misura di prevenzione collaborativa, di cui in ogni caso dovrà tenersi conto ai fini del calcolo del periodo di tempo per il quale ha operato ai fini della determinazione della durata del controllo giudiziario.
Orbene, nel caso di specie la concessione del controllo giudiziario interviene in un momento in cui l’impresa non ha ottenuto la prevenzione collaborativa cui aspirava in luogo della diversa e più severa misura interdittiva oggetto del presente giudizio.
Pertanto va disattesa, sebbene formulata in termini dubitativi, l’eccezione di improcedibilità della censura sollevata dalla resistente Amministrazione proprio perché il controllo giudiziario nella fattispecie in esame non segue una misura ex art. 94 bis mai concessa (ed infatti di questo si duole la ricorrente).
4.2. - Passando al merito della censura, premette il Collegio che “le disposizioni citate prefigurano un esito del procedimento di prevenzione alternativo – nell’ipotesi di accertata sussistenza a carico dell’impresa di “tentativi di infiltrazione mafiosa” – a quello consistente nell’adozione del provvedimento interdittivo, il quale integrava, in precedenza, l’unico epilogo possibile di quel procedimento fino alla loro introduzione nell’ordinamento…omissis…l’art. 94-bis d.lvo n. 159/2011 ha appunto la funzione, da un lato, di diversificare lo spettro delle misure di prevenzione adottabili in sede amministrativa, articolandole, secondo un criterio di proporzionalità, in rapporto alla intensità del pericolo di condizionamento concretamente riscontrato all’esito delle verifiche prefettizie, dall’altro lato, di omogeneizzare il trattamento amministrativo delle fattispecie di “agevolazione occasionale” a quello previsto in sede giudiziaria, anche in un’ottica “deflattiva” del contenzioso giurisdizionale amministrativo…omisssis.. La gradualità delle misure applicabili dal Prefetto risponde, oltre che all’interesse dell’impresa alla sottoposizione ad un regime preventivo compatibile con la conservazione della sua integrità aziendale, anche a quello, di carattere pubblico, all’applicazione “selettiva” della più grave misura interdittiva, in considerazione dell’esigenza di espellere dal tessuto produttivo le sole entità imprenditoriali più gravemente compromesse dall’infiltrazione mafiosa (interesse pubblico che emerge dal carattere officioso dell’accertamento demandato al Prefetto in ordine alla sussistenza dei presupposti applicativi delle “misure di prevenzione collaborativa”)” (Consiglio di Stato, Sez. III, 25 luglio 2023 n. 7279).
Ciò premesso, il Collegio ritiene di non condividere l’interpretazione del sistema di prevenzione collaborativa fornita dal CGA, in particolare con la citata ordinanza cautelare n. -OMISSIS-, nella misura in cui viene richiesto al Prefetto di indicare nella motivazione dell’interdittiva impugnata, pena la illegittimità del provvedimento, “specifici fatti” che non consentano di ritenere applicabili le misure di cui all’art. 94-bis.
Tale onere di allegazione non trova riscontro nel dato normativo.
In primo luogo non vi è in capo al Prefetto alcun “obbligo” di disporre la gestione collaborativa, attesa la discrezionalità tecnica rimessa dal legislatore, come desumibile dal tenore della disposizione dell’art. 94 bis c. 1, qui richiamata (Il prefetto, quando accerta che i tentativi di infiltrazione mafiosa sono riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale, prescrive all’impresa, società o associazione interessata, con provvedimento motivato, l'osservanza, per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a dodici mesi, di una o più delle seguenti misure:….). Si tratta in ogni caso di una valutazione tecnica, che non costituisce oggetto del sindacato del giudice amministrativo, che non può sostituire proprie deduzioni a quelle spettanti per legge all’Autorità prefettizia. (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I Ter, 3 dicembre 2024 n. 21738 e 28 novembre 2024, n. 21417).
In secondo luogo la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della diversa misura prevista dall’art. 94-bis – consistenti nella “positiva” ricorrenza di situazioni di agevolazione occasionale - può considerarsi in re ipsa esclusa ove, dalla motivazione dell’informazione antimafia traspaia con chiarezza la natura strutturale e permanente dei fattori di inquinamento mafioso; in tale ipotesi, siffatta motivazione non richiede ulteriori superfetazioni né tanto meno la necessità di un supplemento di motivazione sui fatti che non consentano di ritenere applicabili le misure di cui all’art. 94-bis.
In quest’ottica il quadro sintomatico posto a fondamento dell’interdittiva viene in rilievo, ai fini della valutazione della legittimità della decisione prefettizia di diniego di applicazione delle misure di prevenzione collaborativa, nella rappresentazione che ne offre lo stesso provvedimento interdittivo, dovendo concentrarsi il relativo sindacato giurisdizionale sulla logicità della lettura che ne dà il Prefetto in chiave di non occasionalità del fenomeno agevolativo che da quello traspare.
Il Collegio intende dunque aderire alla prevalente giurisprudenza sia dei TAR che del Consiglio di Stato, la quale ritiene che, ove il Prefetto riscontri elementi assunti a carico dell’impresa connotati da una continuità di comportamenti e da uno stabile rapporto con esponenti dell’organizzazione criminale, ciò esclude “che possa minimamente discorrersi, in questo caso, di agevolazione occasionale e possa farsi luogo all’adozione delle misure della cosiddetta prevenzione collaborativa atteso che il concetto di agevolazione occasionale è caratterizzato dalla sporadicità del fattore critico coinvolgente il soggetto destinatario dell'interdittiva, che ricorre qualora siano assenti elementi che, come nel caso in esame, inducano a evidenziare stabili e perduranti contatti con la criminalità organizzata” (Cons. Stato, Sez. III, 31 marzo 2025, n. 2654; T.A.R Lazio, Latina, Sez. I, 13 febbraio 2025 n. 101).
In particolare è stato di recente precisato che: “… l’esercizio – in senso negativo – del potere di applicazione delle misure di cd. prevenzione collaborativa di cui all’art. 94-bis d.lvo n. 159/2011, quale alternativa preventiva alla sottoposizione ad interdittiva dell’impresa nei cui confronti siano riscontrati i tentativi di condizionamento mafioso, non richiede necessariamente la formulazione di una apposita motivazione intesa ad escludere la sussistenza dei relativi presupposti, potendo questa evincersi de relato dalle ragioni addotte dal Prefetto a fondamento della configurazione del pericolo infiltrativo: è infatti evidente che qualora esse integrino oggettivamente una situazione di condizionamento di carattere stabile e strutturale, tale da non essere emendabile attraverso le prescrizioni formulabili dal Prefetto ai sensi della citata disposizione e comunque da configurare una situazione di soggezione e contiguità mafiose non redimibile, risulta conseguentemente giustificata la posizione negativa assunta dal Prefetto in ordine all’applicazione del suddetto regime alternativo” (Cons. Stato, Sez. III, 03 settembre 2025, n. 7195).
Nel caso di specie gli elementi valorizzati nel provvedimento impugnato (la continuità temporale rilevata dall’istruttoria, la durata e stabilità dei legami con l’ambiente familiare e con il territorio, il mancato distacco dal contesto imprenditoriale d’origine, la coincidenza del compendio aziendale, il perdurare delle controindicazioni penali, aggravate anche dalle più recenti condanne per fatti di mafia dei diversi familiari coinvolti) sono stati correttamente ritenuti incompatibili con il concetto di occasionalità, con conseguente esclusione di una misura alternativa della prevenzione collaborativa di cui all’art. 94 bis del Codice antimafia.
Sotto questo punto di vista quindi, il provvedimento interdittivo impugnato appare proporzionato e congruo rispetto al contesto criminale di riferimento in cui si colloca, essendo sufficiente che alla disposta misura interdittiva corrisponda una motivazione dalla quale si evinca, come nella specie, la natura strutturale e permanente dei fattori di inquinamento mafioso che si intendono neutralizzare.
4.3. – Il secondo ricorso per motivi aggiunti, con il quale si deduce il vizio di invalidità derivata del provvedimento del -OMISSIS- con cui la Città Metropolitana di Reggio Calabria ha disposto la risoluzione del contratto di appalto in essere con la società ricorrente in ragione dell’interdittiva resa dalla Prefettura di Agrigento, non è fondato.
Al riguardo è sufficiente rilevare che dalla reiezione delle censure mosse avverso l’informativa interdittiva consegue, de plano, la reiezione della dedotta illegittimità derivata avverso il suddetto provvedimento.
5. - In conclusione, per tutto quanto esposto e rilevato, il ricorso introduttivo ed il secondo ricorso per motivi aggiunti, in quanto infondati, devono essere rigettati; il primo ricorso per motivi aggiunti deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
6. - Le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti, attesa l’ampia sfera di discrezionalità attribuita al Prefetto in materia.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, così provvede:
- dichiara improcedibile il primo ricorso per motivi aggiunti;
- rigetta il ricorso introduttivo ed il secondo ricorso per motivi aggiunti.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone e gli enti citati.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2025 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Veneziano, Presidente
Francesco Mulieri, Consigliere, Estensore
Pierluigi Buonomo, Referendario