Cass. civ., Sez. un., 2 novembre 2025, n. 28959

E’ stata sospettata di eccesso di potere giurisdizionale la sentenza del Tar confermata dal Consiglio di Stato per aver ritenuto la direttiva 2006/23 di natura self executing, con conseguente disapplicazione della legge n. 145/18 e del D.L.  n. 118/22. In ultima analisi il ricorso in Cassazione si pone come un tentativo di destrutturazione dei principi consacrati in sede nomofilattica dall’Ad Plen n. 17 e 18 del 2021, attraverso la contestazione del superamento dei limiti giurisdizionali in sede di applicazione.

Le Sezioni Unite hanno ritenuto incompatibile con il concetto stesso di eccesso di potere giurisdizionale l’attività interpretativa del giudice amministrativo della direttiva comunitaria. Infatti, l’attività interpretativa costituisce declinazione naturale dell’attività giurisdizionale anche se confluita in un provvedimento abnorme o anomalo. L’ermeneusi del GA in ultima analisi non può rientrare nel sindacato della Cassazione ai sensi dell’art 111 Cost, perché integra un caso di error in procedendo.

Quand’anche la sentenza del Consiglio di Stato, errando nella considerazione della Direttiva come self executing, potesse attrarsi al novero di sindacato antiunionale, comunque essa non rientrerebbe nel perimetro del controllo dei limiti esterni della giurisdizione.

Guida alla lettura

L’ ordinanza delle Sezioni Unite in commento affronta la questione se una statuizione del Consiglio di Stato, confermativa della sentenza del giudice delle prime cure di rigetto di un ricorso, che si sia richiamata ai principi dell’Adunanza Plenaria in punto di illegittimità delle proroghe delle concessioni demaniali marittime, possa essere censurata per eccesso di potere giurisdizionale, per invasione sia della sfera riservata al legislatore sia della sfera riservata alla P.A. La sentenza del TAR e del Consiglio di Stato si richiamavano ai principi consacrati in sede nomofilattica che possono essere così di seguito sintetizzati.

L’art. 12 della Direttiva n. 2006/123, articolandosi sia come una norma di divieto sia come una norma precettiva osta al rilascio di provvedimenti ampliativi, aventi ad oggetto l’espletamento di attività economiche su beni demaniali, in modalità diretta, attraverso la prosecuzione automatica di rapporti venuti a scadenza. Nello stesso tempo, Il profilo precettivo della norma, impone, nel ricorso di determinati presupposti, l’indizione di una procedura selettiva, quando si profilano gli elementi identificativi della fattispecie. Questi ultimi sono sussumibili nell’istanza del privato di un provvedimento autorizzatorio all’espletamento di un’attività economica, correlata alla concessione di una risorsa pubblica scarsa.

La ratio della norma è la salvaguardia della libertà di concorrenza e della libertà di stabilimento, al lume delle quali l’unica eccezione tollerabile è costituita dalla proroga tecnica, intesa come dilazione del rapporto già instaurato con il concessionario uscente, nelle more del reperimento di un nuovo aggiudicatario. Devono ricorrere, tuttavia, specifici criteri di ammissibilità, che possono sintetizzarsi nell’instaurazione di un regime temporale transitorio nelle more del reperimento di un nuovo aggiudicatario, oltre che dalla previsione della possibilità di proroga all’interno del bando. Sotto tale aspetto la proroga tecnica prevista dall’Adunanza Plenaria nelle sentenze 17 e 18 del 2021, rappresenta un’ipotesi particolare, in quanto conformativa di rapporti concessori in essere alla data dell’intervento nomofilattico, attraverso una dinamica che può apparire sostitutiva di valutazioni amministrative. In realtà, la previsione della proroga in attesa dell’adeguamento ai principi di diritto enunciati, risulta riconducibile al connaturale potere del giudice di modulazione temporale degli effetti della sentenza, giustificato a fronte di un intervento nomofilattico risolutivo di un contrasto di orientamenti. In linea di principio, dunque, stante l’imposizione precettiva dell’indizione della gara, non è consentito sul piano logico prima ancora che cronologico disporre una proroga tecnica finalizzata alla concessione di una procedura di gara che nemmeno sia stata avviata.

Chiarita la conformazione strutturale dell’art 12 della Direttiva n. 2006/123, alla luce della quale è stato espunto dal nostro ordinamento il cd. Diritto di insistenza, si è posta la questione della sorte delle leggi provvedimento nazionali, che negli ultimi anni hanno disposto proroghe automatiche delle concessioni demaniali a scopo turistico e ricreativo. La tematica è apparsa da subito correlata alla questione della natura della Direttiva n. 2006/123, in quanto fonte comunitaria munita di efficacia diretta. Costituisce, oramai, diritto consolidato sia livello nazionale sia a livello unionale, per effetto della interpretazione della Corte di Giustizia, l’efficacia diretta della direttiva Bolkestain, in quanto recante un contenuto chiaro e preciso nell’individuazione del precetto di rotazione del conferimento di vantaggi competitivi in capo a tutti gli operatori del mercato. Di conseguenza, le leggi provvedimento che si si pongono in contrasto con la direttiva, disponendo le proroghe di rapporti concessori in corso, violano il diritto Unionale, prestandosi sia un sindacato diffuso mediante disapplicazione sia a un sindacato accentrato per effetto della violazione dell’art 117 Cost., come integrato dal vincolo unionale. Tutti gli organi che costituiscono articolazione dello Stato sono tenuti all’inapplicazione della normativa nazionale e all’applicazione della fonte unionale ad efficacia diretta. La PA, in particolare, è tenuta ad esaminare l’istanza di proroga, assumendo come parametro la sola Direttiva 2006/123, laddove per le proroghe già rilasciate, non ricorre la necessità di un procedimento di autotutela, siccome le proroghe sono atti ricognitivi di un effetto costitutivo riconducibile alla legge provvedimento.

Ciò posto, è stata sospettata di eccesso di potere giurisdizionale la sentenza del Tar confermata dal Consiglio di Stato per aver ritenuto la direttiva 2006/23 di natura self executing, con conseguente disapplicazione della legge n. 145/18 e del D.L.  n. 118/22. In ultima analisi il ricorso in Cassazione si pone come un tentativo di destrutturazione dei principi consacrati in sede nomofilattica dall’Ad Plen n. 17 e 18 del 2021, attraverso la contestazione del superamento dei limiti giurisdizionali in sede di applicazione.

Le Sezioni Unite hanno ritenuto incompatibile con il concetto stesso di eccesso di potere giurisdizionale l’attività interpretativa del giudice amministrativo della direttiva comunitaria. Infatti, l’attività interpretativa costituisce declinazione naturale dell’attività giurisdizionale anche se confluita in un provvedimento abnorme o anomalo. L’ermeneusi del GA in ultima analisi non può rientrare nel sindacato della Cassazione ai sensi dell’art 111 Cost, perché integra un caso di error in procedendo.

Quand’anche la sentenza del Consiglio di Stato, errando nella considerazione della Direttiva come self executing, potesse attrarsi al novero di sindacato antiunionale, comunque essa non rientrerebbe nel perimetro del controllo dei limiti esterni della giurisdizione.

All’uopo occorre premettere due considerazioni. In primo luogo, la scrivente ricorda a sé stessa che la questione della natura della direttiva come sufficientemente determinata, non integra una mera disquisizione teorica, avendo dei risvolti rilevanti sul piano della tutela delle situazioni giuridiche. Infatti, tutte le direttive non hanno efficacia diretta nell’ordinamento nazionale e necessitano di recepimento. Di conseguenza la legge nazionale in contrasto con la direttiva è pienamente efficace. Tuttavia, il provvedimento che vi si conforma può essere sindacato per eccesso di potere, siccome la direttiva è pur sempre un criterio di orientamento per la P.A. Se la direttiva è sufficientemente determinata nell’individuazione di situazioni giuridiche soggettive, la stessa riesce ad avere un’efficacia diretta nei rapporti verticali. La ragione per cui ciò avviene non è riconducibile ad una diversa efficacia della direttiva self executing. Essa è una direttiva e tale resta. La ragione è più in profondità ascrivibile al principio dell’estoppel, cioè al principio per cui giammai la PA potrebbe giovarsi di un suo stesso inadempimento per prevalere nei rapporti verticali. Questo è il motivo per cui il privato che agisce per il riconoscimento di una situazione soggettiva contemplata specificamente da una direttiva, giammai potrebbe vedere negata la tutela attraverso la valorizzazione dell’inadempimento da parte dello Stato o di un’amministrazione statale rispetto all’obbligo di recepimento. Si osserva in dottrina che rispetto alle direttive self executing, più che di efficacia diretta si dovrebbe parlare di una tutela specifica che il privato riesce ad ottenere dalla PA.

La seconda considerazione che l’ordinanza stimola è che la tutela rispetto al sindacato antiunionale già da tempo è stata ritenuta non attuabile, considerando la Cassazione un giudice di terzo grado rispetto al Consiglio di Stato. Quest’ultimo è e resta un giudice di ultima istanza rispetto agli error in iudicando quali l’errata interpretazione del diritto unionale. Non osta, pertanto, all’ordinamento unionale la carenza a livello nazionale dell’istituzione di un giudice di terzo per la tutela avverso il sindacato antiunionale, purchè venga rispettato il principio di effettività. Quest’ultimo risulta soddisfatto quando le situazioni giuridiche soggettive riconosciute a livello unionale trovino adeguata tutela sul piano nazionale attraverso un ventaglio di rimedi, tra cui rileva l’azione risarcitoria.

Il ricorso viene ritenuto dalla Cassazione inammissibile anche nella parte in cui censura lo sconfinamento nella sfera riservata alla P.A. ai sensi dell’art. 111 comma 8 Cost. Infatti, quest’ultimo si realizza quando il giudice fa una valutazione di convenienza e opportunità, esercitando una giurisdizione di merito al di fuori dei casi consentiti dalla legge. Tale non è configurabile nella specie, dove il GA ha rigettato il ricorso avverso il provvedimento gravato, traducendosi l’attività giurisdizionale nella conferma sostanziale del provvedimento, senza incursione nella sfera di valutazione già condotta ed esaurita da parte della P.A.

 

 

 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta da  Oggetto:

 

 

 

giurisdizione

Pasquale D'ASCOLA

- Presidente Aggiunto -

 

Angelina Maria PERRINO

- Presidente di Sezione -

 

Franco DE STEFANO

- Presidente di Sezione -

R.G.N. 26835/2024

Guido MERCOLINO

- Presidente di Sezione Rel. -

Cron.

Francesco TERRUSI

- Presidente di Sezione -

CC – 27/05/2025

Caterina MAROTTA

- Consigliere -

 

Enzo VINCENTI

- Consigliere -

 

Marco ROSSETTI

- Consigliere -

 

Antonio SCARPA

- Consigliere -

 

 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26835/2024 R.G. proposto da

RAVECCA GIORGIO, in proprio ed in qualità di legale rappresentante della RAVECCA GIORGIO & C. S.A.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Prof. Laura Buffoni, dall'Avv. Prof. Andrea Cardone e dall'Avv. Piera Sommovigo, che hanno indicato i seguenti indirizzi di posta elettronica certificata: studiolegale- buffonicardone@ pec.it, avvandreacardone@pec.it e studiolegale@pec.som- movigopiera.it;

ricorrenti

contro

COMUNE DI AMEGLIA, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Roberto Damonte, che ha indicato il seguente indirizzo di posta elettronica certificata: studiodamonte@avvocatigenova.eu;

controricorrente

e

REGIONE LIGURIA, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli Avv. Marina Crovetto e Leonardo Castagnoli, che hanno indicato i seguenti indirizzi di posta elettronica certificata: marina.crovetto@ordine- avvgenova.it e leonardo.castagnoli@ordineavvgenova.it;

- controricorrente

e

CARE S.R.L. e MARINELLA S.P.A. in liquidazione;

intimate

avverso la sentenza del Consiglio di Stato n. 3963/24, depositata il 2 maggio 2024.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 maggio 2025 dal Presidente Guido Mercolino;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paola FILIPPI, che ha chiesto la dichiarazione d'inam- missibilità del ricorso.

 

FATTI DI CAUSA

La Ravecca Giorgio & C. S.a.s., già concessionaria di un'area demaniale marittima per l'esercizio di uno stabilimento balneare in Ameglia, propose ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, per sentir annul- lare la delibera della Giunta regionale della Liguria n. 112 del 14 febbraio 2019, la delibera della Giunta municipale n. 49 del 10 aprile 2019 , la delibera del Consiglio comunale n. 29 del 31 luglio 2019 e la delibera della Giunta municipale n. 90 del 3 agosto 2019, con cui erano state impartite disposizioni per l'attuazione del piano particolareggiato degli arenili e della fascia costiera, nonché l'atto di diffida del 29 maggio 2020, con cui il responsabile dell'area tecnico-urbanistica del Comune aveva intimato ai concessionari demaniali l'immediata demolizione dei manufatti abusivi realizzati in parte su suoli de- maniali ed in parte su suoli di proprietà privata, con rimessione in pristino

Con sentenza del 17 novembre 2022, il Tar rigettò la domanda.

L'appello proposto dalla Ravecca è stato rigettato dal Consiglio di Stato con sentenza del 2 maggio 2024.

A fondamento della decisione, il Giudice amministrativo di secondo grado ha ritenuto innanzitutto insussistenti uno scarto temporale tra la durata del piano particolareggiato (avente scadenza al 2029) e quella residua delle con- cessioni demaniali, e la conseguente impossibilità per gli operatori economici di mantenere le strutture indispensabili per la gestione delle aree, osservando che, a seguito delle sentenze dell'Adunanza plenaria 9 novembre 2021, nn. 17 e 18, che avevano ritenuto contrastanti con il diritto dell'Unione Europea le proroghe ex lege delle concessioni demaniali marittime per finalità turi- stico-ricreative, il termine di efficacia di queste ultime era stato individuato nel 31 dicembre 2023, ed aggiungendo che con sentenze del 1° marzo 2023, n. 2192, 28 agosto 2023, n. 7992 e 28 novembre 2023, n. 10237 era stata riconosciuta la possibilità della disapplicazione, anche da parte delle Autorità amministrative, dell'art. 3 della legge 5 agosto 2022, n. 118 e dell'art. 10- quater del d.l. 29 dicembre 1922, n. 198, convertito con modificazioni dalla legge 24 febbraio 2023, n. 14, che avevano differito il predetto termine dap- prima al 31 dicembre 2024 e successivamente al 31 dicembre 2025, con l'af- fermazione dell'obbligo di indire le procedure di gara per l’affidamento delle concessioni, potendo il differimento essere disposto con atto motivato solo in presenza di ragioni oggettive che impedissero la conclusione della procedura selettiva entro il 31 dicembre 2024. Ha ritenuto comunque generiche le cen- sure proposte dall'appellante, osservando che il rilascio della concessione bal- neare non assicura al titolare un diritto di insistenza sine die o un incondizio- nato diritto di permanenza sul bene demaniale, ma una situazione soggettiva condizionata alla sussistenza ed alla permanenza delle condizioni paesaggi- stico-ambientali ed urbanistico-edilizie, e rilevando che la ricorrente non aveva spiegato in qual modo l'intervento urbanistico contestato avrebbe vul- nerato il suo legittimo affidamento.

Il Consiglio di Stato ha poi escluso che, ai fini del recepimento delle pre- scrizioni impartite dalla Regione in sede di approvazione del piano, fosse necessaria la rinnovazione del procedimento previsto dalla legge regionale 8 luglio 1987, n. 24, trattandosi di modifiche sostanziali ma circoscritte, in quanto relative ad una limitata porzione territoriale e a una specifica previ- sione normativa, che non comportavano quindi una rielaborazione comples- siva del piano, e non essendo la pubblicazione richiesta in caso di modifica- zione del piano a seguito dell'accoglimento delle osservazioni o delle modifi- che introdotte in sede di approvazione. Ha ritenuto inoltre superfluo il coin- volgimento dell'Agenzia del Demanio, osservando che le strutture balneari che si prevedeva di rimuovere erano per lo più di facile rimozione/stagionali oppure abusive/irregolari, e reputando non pertinente il riferimento all'arric- chimento che l'Agenzia avrebbe tratto dall'incameramento della proprietà delle stesse, avuto riguardo alla questione trattata, riguardante la compatibi- lità urbanistica delle opere edilizie.

Quanto poi all'incidenza delle previsioni contenute nelle norme tecniche di attuazione sull'esercizio remunerativo dell'attività d'impresa, il Giudice am- ministrativo ha escluso che le stesse costringessero i concessionari ad acqui- stare aree private al fine di realizzare opere edilizie, osservando che il piano degli arenili aveva inteso riorganizzare per ragioni di pubblico interesse l’in- tero litorale, prevedendone la liberazione dai disorganici manufatti edilizi esi- stenti e la realizzazione di nuovi manufatti di minor impatto quantitativo e paesistico nelle retrostanti aree non demaniali. Ha aggiunto che i costi per le opere di urbanizzazione sarebbero stati sostenuti dai nuovi concessionari, ri- levando comunque che le concessioni non prevedevano la facoltà di realizzare edifici. Ha ritenuto inoltre insussistente l'interesse a contestare le scelte pia- nificatorie sulla base del rilievo che le aree confinanti sarebbero divenute edi- ficabili, e ha escluso la configurabilità di un affidamento in ordine al manteni- mento delle strutture, giacché alla scadenza delle concessioni i titolari avreb- bero dovuto rilasciare le aree demaniali libere dai manufatti.

Il Consiglio di Stato ha disatteso infine le censure riguardanti gli atti di diffida a demolire, rilevando che la ricorrente non aveva prodotto i titoli edilizi che ne legittimavano la presenza, aggiungendo che la necessità di rimuovere le strutture attuali costituisce il proprium delle concessioni demaniali, e rite- nendo indimostrato che l'area in questione fosse stata caratterizzata da un progressivo forte e veloce arretramento della linea del mare.

Avverso la predetta sentenza la Ravecca ha proposto ricorso per cas- sazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. Hanno resistito con controricorsi il Comune e la Regione. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

 

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo d'impugnazione, la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 362 cod. proc. civ., dell'art. 110 cod. proc. amm. e dell'art. 111, ottavo comma, Cost., la violazione dell'art. 288, comma terzo, TFUE e dell'art. 12 della direttiva 2006/123/CE, sostenendo che, nel disapplicare le disposi- zioni della legge n. 145 del 2018 e del d.l. n. 198 del 2022, la sentenza im- pugnata è incorsa in eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al potere legislativo, non avendo tenuto conto del carattere non self executing della predetta direttiva.

Premesso infatti che l'art. 12 della stessa impone agli Stati membri l'ob- bligo di applicare procedure di selezione pubbliche, imparziali e trasparenti, per il rilascio di autorizzazioni per una determinata attività, ove il numero di tali autorizzazioni «sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili», prevedendo inoltre che le stesse abbiano una durata limitata e vietandone la rinnovazione automatica, richiama la giu- risprudenza unionale, secondo cui tale disposizione lascia agli Stati membri un certo margine di discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili per la valutazione della predetta scarsità. Rilevato inoltre che il legislatore italiano non ha affatto disposto una proroga automatica delle concessioni, ma ha isti- tuto presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un tavolo tecnico per la definizione dei predetti criteri, prevedendo che i rapporti in questione conti- nuino ad avere efficacia fino al rilascio delle nuove concessioni, sostiene che il termine individuato dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato non ha alcun fondamento normativo, ma è stato creato autonomamente dal Giudice amministrativo, il quale ha ecceduto l'ambito dei propri poteri d'interpreta- zione ed applicazione del diritto, invadendo la sfera riservata al legislatore.

Aggiunge che, anche a voler ritenere la direttiva self executing, la disapplicazione delle norme interne ha avuto luogo in favore di una Pubblica Amministrazione, in violazione del principio secondo cui, in caso d'inerzia del legislatore nell'attuazione di una direttiva, il carattere vincolante della stessa può essere invocato esclusivamente nei confronti dello Stato membro cui è rivolta.

Con il secondo motivo, la ricorrente deduce, ai sensi dell'art. 362 cod. proc. civ., dell'art. 110 cod. proc. amm. e dell'art. 111, ottavo comma, Cost., la violazione degli artt. 29 e 99 cod. proc. amm., dell'art. 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 741, degli artt. 117, primo comma, e 134 Cost., dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, sostenendo che la sentenza impugnata è incorsa in eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata alla Pubblica Amministrazione ed alla Corte costituzionale, avendo attribuito alle pronunce dell'Adunanza Plenaria una portata normativa, sostanzialmente abrogativa della legge n. 145 del 2018 e del d.l. n. 198 del 2022.

Premesso infatti che il provvedimento comunale che comunicava la ca- ducazione delle concessioni alla data del 31 dicembre 2023 era stato ritenuto privo di efficacia lesiva, e quindi non impugnabile, in quanto dichiarativo degli effetti delle predette pronunce, afferma che in tal modo è stata negata ad essa ricorrente la possibilità di richiedere che fosse sollevata la questione di legittimità costituzionale della relativa disposizione. Ribadisce inoltre che, nell'attribuire portata normativa alle pronunce dell'Adunanza Plenaria, la sen- tenza impugnata ha invaso la sfera riservata al legislatore nazionale ed a quello unionale, avendo integrato indebitamente il contenuto della direttiva 2006/123/CE, senza verificare in concreto la sussistenza del requisito della scarsità delle risorse naturali.

Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 362 cod. proc. civ., dell'art. 110 cod. proc. amm. e dell'art. 111, ottavo comma, Cost., la violazione dell'art. 7 cod. proc. amm., censurando la sentenza impugnata per diniego di giurisdizione, nella parte in cui ha omesso di pronunciarsi in ordine alla questione riguardante lo scarto temporale tra la durata del piano e quella delle concessioni, in virtù dell'esclusione di un diritto di insistenza sine die del titolare.

Sostiene infatti che l'impugnazione del piano si fondava sulla lesione non già di un diritto soggettivo assoluto, ma di un interesse legittimo collegato alla titolarità della concessione, avendo essa ricorrente dedotto l'illegittimità del provvedimento impugnato per contraddittorietà ed eccesso di potere, in quanto, oltre a porsi in contrasto con la durata residua delle concessioni, ne- gava alle concessionarie la possibilità di esercitare l'attività turistico-balneare sul bene che costituiva oggetto della concessione, imponendo alle stesse di acquisire la disponibilità di aree private.

Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Come ripetutamente affermato da queste Sezioni Unite, l'eccesso di po- tere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore, denun- ziabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111, ottavo comma, Cost., è configurabile soltanto nel caso in cui il giudice speciale applichi una norma da lui stesso creata, in tal modo esercitando un'attività di produzione normativa che non gli compete, e non anche quando il medesimo giudice si sia limitato ad interpretare, sia pure in via estensiva o analogica, una dispo- sizione di legge, giacché eventuali errori ermeneutici, anche nel caso in cui comportino uno stravolgimento radicale del senso della norma, non investono la sussistenza o i limiti esterni del potere giurisdizionale, ma soltanto la legit- timità del suo esercizio (cfr. Cass., Sez. Un., 26/12/2024, n. 34499; 9/07/ 2024, n. 18722; 12/12/2018, n. 32175).

Nella specie, attraverso la denuncia del predetto vizio, i ricorrenti censu- rano la sentenza impugnata, nella parte in cui, ai fini del rigetto dell'impu- gnazione da loro proposta avverso gli atti del procedimento di approvazione del piano particolareggiato degli arenili e della fascia costiera, ha richiamato i seguenti principi, enunciati dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nelle sentenze nn. 17 e 18 del 2021: «a) le norme legislative nazionali che hanno disposto la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative (ivi compresa la moratoria introdotta in corre- lazione con l'emergenza epidemiologica da Covid-19 dall'art. 182, comma se- condo, del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77) sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnata- mente con l'art. 49 TFUE e con l'art. 12 della direttiva 2006/123/CE, e possono essere pertanto disapplicate sia dai giudici che dalla Pubblica Ammini- strazione; b) anche nel caso in cui siano intervenuti atti amministrativi di proroga, anche adottati in ottemperanza ad un giudicato favorevole o seguiti da un giudicato favorevole, non sussiste un diritto alla prosecuzione del rap- porto in capo gli attuali concessionari, trattandosi di un effetto previsto diret- tamente dalla legge, la cui disapplicazione implica che gli effetti da essa pro- dotti sulle concessioni già rilasciate debbano ritenersi tamquam non esset; c) al fine di evitare il significativo impatto socioeconomico derivante da una de- cadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere e di tener conto dei tempi tecnici necessari per la predisposizione delle procedure di gara richieste, nonché nell'auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni de- maniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere ef- ficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, no- nostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto, perché in contrasto con le norme dell'ordinamento dell'UE».

Nel censurare i predetti principi, per invasione della sfera riservata al le- gislatore, i ricorrenti contestano per un verso l'interpretazione della norma- tiva interna fornita dall'Adunanza plenaria, sostenendo che il legislatore na- zionale non ha affatto inteso disporre una proroga automatica delle conces- sioni, e lamentano per altro verso l'errata interpretazione della direttiva 2006/ 123/CE, insistendo sulla natura non self executing della stessa, con partico- lare riguardo all'individuazione dei criteri per la valutazione della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, in presenza della quale gli Stati membri sono tenuti, ai sensi dell'art. 12, ad applicare procedure di selezione pubbliche, imparziali e trasparenti, ai fini del rilascio di autorizza- zioni per una determinata attività.

Sotto il primo profilo, la censura si pone in contrasto con il citato orien- tamento di queste Sezioni Unite, il quale esclude l'ammissibilità di un sinda- cato in ordine all'attività interpretativa svolta dal Giudice amministrativo, an- che nel caso in cui la stessa si sia tradotta in un provvedimento abnorme o anomalo oppure in uno stravolgimento delle norme di riferimento (cfr. Cass., Sez. Un., 26/11/2021, n. 36899; 11/11/2019, n. 29082), o ancora nell'indi- viduazione di una lacuna legis e della disciplina applicabile per il suo riempi- mento (cfr. Cass., Sez. Un., 25/11/2021, n. 36593; 7/07/2021, n. 19244), giacché tale operazione ermeneutica può dar luogo, al più, ad un error in iudicando, ma non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale: il controllo in ordine all'osservanza di tali limiti, che l'art. 111, ottavo comma, Cost., affida alla Corte di cassazione, non include infatti il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare er- rori in iudicando o in procedendo, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la gravità o intensità del presunto errore di interpretazione, il quale rimane con- finato entro i limiti interni della giurisdizione amministrativa, considerato che l'interpretazione delle norme costituisce il proprium distintivo dell'attività giu- risdizionale. (cfr. Cass., Sez. Un., 4/12/2020, n. 27770; 25/03/2019, n. 8311).

Quanto poi alla violazione del diritto unionale, va richiamato il principio, anch'esso affermato da queste Sezioni Unite, secondo cui il controllo del ri- spetto dei limiti esterni della giurisdizione, che l'art. 111, ottavo comma, Cost. affida alla Corte di cassazione rispetto alle sentenze del Consiglio di Stato, non include anche una funzione di verifica finale della conformità di quelle decisioni al diritto dell'Unione Europea, neppure sotto il profilo dell'osservanza dell'obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267, terzo comma, TFUE, dovendosi tener conto, da un lato, che nel plesso della giurisdizione amministrativa spetta al Consiglio di Stato, quale giudice di ultima istanza, garantire, nello specifico ordinamento di settore, la conformità del diritto interno a quello della Unione, se del caso avvalendosi dello strumento del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione europea, mentre, per contro, l'ordinamento na- zionale contempla, per reagire ad una lesione del principio di effettività della tutela, conseguente ad una decisione del Giudice amministrativo assunta in pregiudizio di situazioni giuridiche soggettive protette dal diritto dell'Unione, altri strumenti di tutela, attivabili a fronte di una violazione del diritto comu- nitario che sia grave e manifesta (cfr. Cass., Sez. Un., 10/05/2019, n. 12586; 17/11/2015, n. 23460; 6/02/2015, n. 2242; 4/02/2014, n. 2403). E' quindi inammissibile il ricorso per cassazione per eccesso di potere giurisdizionale avverso una sentenza con cui, come nella specie, il Consiglio di Stato abbia disapplicato una norma di legge interna per contrasto con norma unionale contenuta in una direttiva europea non immediatamente esecutiva, giacché con esso si deduce, in sostanza, un error in iudicando, asseritamente consi- stente nell'erronea interpretazione della portata della direttiva europea nell'ordinamento nazionale, e dunque un errore nell'attività ermeneutica, che costituisce il proprium della funzione giurisdizionale (cfr. Cass., Sez. Un., 5/ 12/2019, n. 31758).

E' parimenti inammissibile il secondo motivo.

L'eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nella sfera riservata alla Pubblica Amministrazione, deducibile ai sensi dell'art. 111, ottavo comma Cost., è infatti configurabile soltanto quando l'indagine svolta dal Giudice am- ministrativo, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, divenga strumentale ad una diretta e concreta valutazione dell'opportunità e convenienza dell'atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell'annullamento, esprima la volontà dell'or- gano giudicante di sostituirsi a quella dell'Amministrazione, procedendo ad un sindacato di merito che si estrinsechi in una pronunzia la quale abbia il contenuto sostanziale e l'esecutorietà propria del provvedimento sostituito, senza salvezza degli ulteriori provvedimenti dell'autorità amministrativa (cfr. Cass., Sez. Un., 8/07/2024, n. 18559; 24/05/2019, n. 14264; 26/11/2018,

n. 30526). Tale vizio non è in alcun modo configurabile in relazione alle pro- nunce con cui, come nella specie, il Giudice amministrativo abbia rigettato il ricorso, poiché il contenuto delle stesse si esaurisce nella conferma del prov- vedimento impugnato e non si sostituisce in alcun modo a quest'ultimo, con- servando l'autorità che lo ha emesso tutti i poteri che avrebbe avuto se l'atto non fosse stato impugnato, fatta eccezione per la possibilità di ravvisarvi i vizi di legittimità ritenuti insussistenti dal giudice (cfr. Cass., Sez. Un., 13/03/ 2019, n. 7207; 17/12/2018, n. 32619; 9/11/2001, n. 13927).

Nel richiamare le pronunce dell'Adunanza plenaria, la sentenza impu- gnata non ha d'altronde preteso in alcun modo di attribuirvi un'efficacia nor- mativa (né autorità di giudicato, trattandosi di sentenze pronunciate nei confronti di altri soggetti), ma si è limitata a ribadire i principi dalle stesse enun- ciati, non ravvisando ragioni per discostarsene, anche in conformità di quanto previsto dallo art. 99 cod. proc. amm., secondo cui, ove la sezione cui è as- segnato un ricorso ritenga di non condividere un principio di diritto enunciato dall'Adunanza plenaria, è tenuta a rimettere alla stessa la decisione, con or- dinanza motivata. L'applicazione dei predetti principi non ha comportato in alcun modo una lesione del diritto di difesa della ricorrente, la quale, essendo a conoscenza dell'orientamento del Giudice amministrativo, ben avrebbe po- tuto nel corso del giudizio eccepire l'illegittimità costituzionale delle norme poi applicate dalla sentenza impugnata o chiedere la rimessione alla Corte di Giustizia UE della questione d'interpretazione della disciplina unionale, non risultando tale facoltà preclusa dalla natura dichiarativa attribuita alla comu- nicazione inviatale dall'Amministrazione a seguito delle pronunce dell'Adu- nanza plenaria.

E' infine inammissibile anche il terzo motivo.

In tema di controllo del rispetto del limite esterno della giurisdizione delle sentenze dei giudici speciali, il diniego di giustizia è infatti sindacabile solo in astratto, cioè allorquando il giudice speciale deneghi la propria giurisdizione sulla base dell'erroneo presupposto che la materia, astrattamente conside- rata, non possa formare oggetto della funzione giurisdizionale, mentre non è configurabile in caso di negazione in concreto di tutela, determinata dall'er- rata interpretazione di norme sostanziali o processuali, dal momento che in tale ipotesi la censura non investe la sussistenza o i limiti esterni del potere giurisdizionale, ma soltanto la legittimità del suo esercizio (cfr. Cass., Sez. Un., 28/11/2024, n. 30605; 26/10/2021, n. 30112; 19/12/2018, n. 32773).

Non è pertanto censurabile sotto tale profilo la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che lo scarto temporale tra la scadenza delle conces- sioni ed il termine di efficacia del piano fosse insussistente, e comunque irri- levante ai fini della legittimità delle disposizioni di attuazione del piano: a tal fine, infatti, il Consiglio di Stato ha richiamato per un verso la giurisprudenza amministrativa, che aveva individuato la data di cessazione delle convenzioni al 31 dicembre 2023, in virtù della disapplicazione delle norme interne che ne avevano disposto la proroga, rilevando per altro verso che la ricorrente non aveva individuato il pregiudizio arrecatole dal piano, la cui mera prevalenza sulla concessione non poteva costituire una causa d'illegittimità, giacché la concessione non attribuisce al titolare un diritto incondizionato sine die. In realtà, nel censurare tale statuizione, la ricorrente non ne coglie la ratio de- cidendi, la quale non consiste nella non tutelabilità in astratto della posizione soggettiva d'interesse legittimo spettante alla titolare della concessione, ma nella mancata prospettazione di un interesse concreto ed attuale all'impugna- zione, non ricollegabile alla mera prevalenza del piano sulla concessione.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente con- danna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per ciascuno dei controricorrenti in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115

del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma il 27/05/2025

Il Presidente Aggiunto