Cons. Stato, Sez. V, 4 febbraio 2025, n. 873

Con la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 4 febbraio 2025, n. 873 la giurisprudenza amministrativa interviene nell’evoluzione in materia di responsabilità precontrattuale dell'amministrazione pubblica nelle procedure di project financing, offrendo una lettura rigorosa dei presupposti per la configurabilità di tale responsabilità e confermando l'orientamento consolidato che subordina la tutela risarcitoria al raggiungimento di specifiche soglie procedimentali.

La pronuncia conferma l’orientamento giurisprudenziale maturo che ha da tempo definitivamente chiarito i confini della responsabilità precontrattuale dell'amministrazione, valorizzando il principio secondo cui la mera dichiarazione di pubblico interesse non genera affidamenti tutelabili e ribadendo l'importanza dell'onere di impugnazione degli atti endoprocedimentali che determinano l'arresto definitivo del procedimento.

Guida alla lettura

1. Inquadramento normativo.

    1.1. L'art. 193 D.Lgs. 36/2023.

L’inquadramento del project financing all’interno del nuovo Codice dei Contratti Pubblici D.Lgs. 36/2023 è dettato dall’art. 193 che disciplina la procedura di affidamento in concessione mediante finanza di progetto, prevedendo che l'affidamento possa avvenire su iniziativa privata o su iniziativa dell'ente concedente. La norma stabilisce un procedimento articolato che prevede la valutazione dell'interesse pubblico alla proposta, l'eventuale indizione di una gara competitiva e l'aggiudicazione finale.

    1.2. L’art. 5 D.Lgs. 36/2023.

L’art. 5 del nuovo Codice appalti, invece, codifica i principi di buona fede e tutela dell'affidamento, stabilendo che "nella procedura di gara le stazioni appaltanti, gli enti concedenti e gli operatori economici si comportano reciprocamente nel rispetto dei principi di buona fede e di tutela dell'affidamento" e che "nell'ambito del procedimento di gara, anche prima dell'aggiudicazione, sussiste un affidamento dell'operatore economico sul legittimo esercizio del potere e sulla conformità del comportamento amministrativo al principio di buona fede".

    1.3. L’art. 1337 cod. civ..

La responsabilità precontrattuale è, infine, codificata dell’art. 1337 cod. civ., il quale stabilisce che "le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede", costituendo il fondamento normativo della responsabilità precontrattuale anche nei rapporti con la pubblica amministrazione.

 

2. L'evoluzione giurisprudenziale della responsabilità precontrattuale.

   2.1. I principi consolidati dall'Adunanza Plenaria.

La giurisprudenza amministrativa ha raggiunto una maturità interpretativa significativa in materia di responsabilità precontrattuale dell'amministrazione, come testimoniato dalla consolidata elaborazione dell'Adunanza Plenaria. Come evidenziato nella sentenza in commento, "il procedimento relativo alla finanza di progetto non si sottrae all'osservanza dei principi di correttezza e lealtà previsti dall'art. 1337 del cod. civ.".

La giurisprudenza consolidata ha chiarito che la responsabilità precontrattuale dell'amministrazione richiede la sussistenza di specifici presupposti: i) l'affidamento tutelabile nella sua ragionevolezza, ii) il carattere colposo della condotta dell'amministrazione nella violazione dei doveri di correttezza e buona fede, iii) il nesso causale tra il comportamento scorretto e il danno subito dal privato.

    2.2. La distinzione tra responsabilità da provvedimento e da comportamento.

Un aspetto fondamentale emerso dalla giurisprudenza è la distinzione tra responsabilità da provvedimento e responsabilità da comportamento. Come chiarito dalla giurisprudenza di merito, la responsabilità precontrattuale dell'amministrazione "ha natura contrattuale ed è soggetta al termine di prescrizione decennale", configurandosi come responsabilità da contatto sociale qualificato che prescinde dall'illegittimità del provvedimento amministrativo.

 

3. L'applicazione dei principi nel project financing.

    3.1. Le fasi del procedimento e l'insorgenza dell'affidamento.

La sentenza in commento conferma l'orientamento consolidato secondo cui nelle procedure di project financing occorre distinguere diverse fasi procedimentali, ciascuna caratterizzata da un diverso grado di tutela dell'affidamento del promotore. Come precisato dalla giurisprudenza specializzata: "nella procedura di project financing disciplinata dall'art. 153 comma 19 del d. lgs. n. 163 del 2006 – al tempo vigente -  occorre distinguere tre fasi: - la prima fase, ancorché in qualche misura procedimentalizzata, è connotata da amplissima discrezionalità amministrativa, essendo intesa non già alla scelta della migliore fra una pluralità di offerte sulla base di criteri tecnici ed economici predeterminati, ma all'accoglimento della proposta formulata dall'aspirante promotore inerente alla presentazione della proposta di finanza di progetto, in cui si esprime la valutazione dell'interesse pubblico, di competenza dell'organo di governo; - la seconda fase è caratterizzata dall'inserimento dell'opera dichiarata di pubblico interesse nella programmazione triennale, con sottoposizione ad approvazione del progetto preliminare; - la terza fase prevede l'indizione di una gara sul progetto approvato, rimessa alla competenza della dirigenza e soggetta, come tale, ai principi comunitari e nazionali in materia di evidenza pubblica".

    3.2. La mera aspettativa nella fase preliminare.

Il Consiglio di Stato con la sentenza in commento ha chiarito che "il soggetto individuato come promotore finanziario, benché prescelto, rimane, rispetto al procedimento di affidamento, nella posizione di potenziale concorrente e, come tale, non vanta alcun minimo affidamento idoneo a consolidare una posizione suscettibile di fondare una responsabilità da parte dell'Amministrazione. La dichiarazione di pubblico interesse non rappresenta perciò un atto ad efficacia durevole attributivo in maniera definitiva di un vantaggio, quanto prodromico alla indizione di una gara, non fondativo di indennizzo in caso di revoca della stessa".

    3.3. L'importanza dell'aggiudicazione per la tutela dell'affidamento.

La giurisprudenza, inoltre, ha consolidato il principio secondo cui: "l'aggiudicazione definitiva, invero, trasforma, di suo, l'aspettativa di mero fatto, fino a quel punto vantata dal promotore, in aspettativa giuridicamente tutelata alla consequenziale stipula del contratto aggiudicato". Solo con l'aggiudicazione definitiva si configura un affidamento meritevole di tutela risarcitoria in caso di comportamenti scorretti dell'amministrazione.

 

4. L'onere di impugnazione degli atti endoprocedimentali.

    4.1. La regola generale e le eccezioni.

Un aspetto cruciale affrontato dalla sentenza riguarda l'onere di impugnazione degli atti endoprocedimentali. Come chiarito dalla pronuncia in commento: "è noto che – in via generale – l'atto endoprocedimentale non è impugnabile in via autonoma, in quanto la lesione della sfera giuridica del destinatario è di regola imputabile all'atto che conclude il procedimento; tuttavia, come da costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, tale regola generale subisce eccezioni in casi particolari, in relazione ad atti di natura vincolata idonei a determinare in via inderogabile il contenuto dell'atto conclusivo del procedimento ovvero ad atti interlocutori che comportino un arresto procedimentale".

    4.2. L'applicazione al caso concreto.

Nel caso esaminato, il Consiglio di Stato ha ritenuto che il parere negativo del Consiglio superiore dei lavori pubblici e la successiva nota di conferma avessero "determinato un vero e proprio arresto procedimentale", con la conseguenza che tali atti "avrebbero dovuto essere impugnati dall'odierno appellante, entro il termine decadenziale di legge, al fine di non incorrere negli effetti pregiudizievoli che ne derivavano".

 

5. I limiti della responsabilità precontrattuale.

   5. 1. L'interesse negativo come parametro risarcitorio.

La giurisprudenza ha chiarito che il risarcimento del danno derivante da responsabilità precontrattuale è limitato al cosiddetto interesse negativo. Come precisato dalla giurisprudenza di merito, "in caso di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 cod. civ., il pregiudizio risarcibile è circoscritto nei limiti del cosiddetto interesse negativo, rappresentato dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative e dalla perdita di ulteriori occasioni contrattuali, restando esclusa la risarcibilità dell'interesse positivo costituito dal mancato utile che sarebbe derivato dall'esecuzione del contratto non concluso".

    5.2. L'affidamento incolpevole come presupposto.

Un elemento essenziale per la configurabilità della responsabilità precontrattuale è rappresentato dall'affidamento incolpevole del privato. Come chiarito dalla Corte di Cassazione, "non è configurabile responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione quando l'invalidità del contratto derivi da violazione di norme generali o da vizi procedimentali di tale evidenza e immediata percepibilità da doversi presumere noti alla generalità dei consociati e, a maggior ragione, ad operatori professionali specializzati".

 

6. Considerazioni conclusive.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 873/2025 rappresenta un importante contributo alla sistematizzazione dei principi in materia di responsabilità precontrattuale dell'amministrazione nelle procedure di project financing, confermando un orientamento giurisprudenziale maturo che bilancia adeguatamente le esigenze di tutela dell'affidamento del privato con la necessità di preservare la discrezionalità amministrativa nelle fasi preliminari del procedimento.

L'orientamento consolidato evidenzia come la responsabilità precontrattuale dell'amministrazione costituisca un istituto di garanzia importante ma circoscritto, che richiede la sussistenza di presupposti rigorosi e che trova applicazione solo quando il procedimento abbia raggiunto un grado di sviluppo tale da ingenerare un affidamento ragionevole e incolpevole nel privato.

La pronuncia conferma, inoltre, l'importanza di un approccio metodologico rigoroso nella valutazione della responsabilità precontrattuale, che deve tenere conto tanto della legittimità degli atti amministrativi quanto della correttezza del comportamento complessivo dell'amministrazione, operando questi due profili su piani distinti ma complementari.

Per gli operatori del settore, la sentenza offre indicazioni preziose sulla gestione del rischio nelle procedure di project financing, evidenziando l'importanza di una valutazione attenta delle diverse fasi procedimentali e della tempestiva reazione agli atti che possano compromettere la prosecuzione del procedimento, in un quadro di crescente valorizzazione dei principi di buona fede e leale collaborazione che caratterizzano il nuovo codice dei contratti pubblici.

 

Pubblicato il 04/02/2025

N. 00873/2025REG.PROV.COLL.

 

N. 01154/2024 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1154 del 2024, proposto da
Management Engineering Consulting s.p.a., in proprio e in nome e per conto di Infrastrutture Lavori Italia Autostrade s.r.l. (I.L.I.A. s.r.l.), Egis Projects s.a., Egis Structures Et Environment s.a., Egis International s.a., Egis Road Operation s.a., Technip Energies Italy s.p.a., Gefip Holding s.a., Bper Banca s.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati Alberto Bianchi, Benedetto Giovanni Carbone, Giuseppe Giuffrè, Antonio Lirosi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, Ministero della cultura, Presidenza del Consiglio dei Ministri, DIPE, CIPE, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Anas s.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati Ivana Rosa Di Chio, Maria Pacifico, Nicoletta Malaspina, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione quarta) n. 16995/2023, resa tra le parti;

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, del Ministero della cultura e della Presidenza del Consiglio dei ministri– DIPE e CIPE, nonché di Anas s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 luglio 2024 il Cons. Antonino Masaracchia e uditi per le parti gli avvocati Carbone, Lirosi, Giuffrè, Di Chio, Pacifico e gli Avv.ti dello Stato Lipari e Palmieri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

1. – L’odierna società appellante, in proprio e per conto di ulteriori altri soggetti indicati nell’epigrafe dell’atto di appello, ha proposto ricorso al TAR Lazio per l’accertamento della responsabilità precontrattuale in capo ad Anas s.p.a., al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, al Ministero per i beni e le attività culturali (oggi: Ministero della cultura) e alla Presidenza del Consiglio dei ministri (quale amministrazione cui afferiscono il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica– DIPE ed il Comitato interministeriale per la programmazione economica– CIPE, oggi Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile– CIPESS).

Ciò, a margine di una lunga vicenda, avente ad oggetto il procedimento di project financing per la realizzazione dell’autostrada Orte-Mestre, lamentandosi, da parte della ricorrente, il comportamento “dilatorio, opaco, ondivago” posto in essere dalle menzionate amministrazioni. Queste ultime sarebbero venute meno ai propri doveri di “lealtà, buona fede, correttezza, informazione e protezione nell’avviata procedura, frustrando l’affidamento del Promotore nella conclusione del procedimento”, e, dunque, sarebbero incorse nella conseguente responsabilità precontrattuale: sin dal primo grado è stato, pertanto, domandato il risarcimento dei danni sofferti, derivanti dalla mancata conclusione della procedura.

1.1. – I contorni di fatto della vicenda – per come ricostruiti nell’atto di appello, nonché dalla sentenza del TAR oggetto del presente giudizio – hanno avuto origine in data 30 giugno 2003, quando le società promotrici, in risposta all’invito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 14 giugno 2003, hanno presentato ad Anas s.p.a. una proposta di finanza di progetto, ai sensi dell’(allora vigente) art. 37-bis della legge n. 109 del 1994. La proposta, per l’appunto, aveva ad oggetto l’affidamento in concessione di costruzione e gestione del collegamento autostradale Orte-Mestre, opera strategica per l’interesse nazionale, già inclusa nel programma approvato dal CIPE con delibera n. 121/2001.

Ne è seguita la dichiarazione di pubblico interesse, emessa con delibera del 9 dicembre 2003 di Anas; in seguito, tale delibera è stata annullata dal TAR Lazio con sentenza n. 7219 del 2008, su ricorso presentato dalla società Nuova Romea s.p.a., anche se poi, nel 2009, il Consiglio di Stato, in sede di appello, ha pronunciato sentenza di sopravvenuta carenza di interesse, per intervenuta rinuncia, da parte della ricorrente, al ricorso di primo grado.

Ripreso il procedimento, ed in vista dell’approvazione del progetto preliminare ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 190 del 2002, Anas e Ministero hanno più volte chiesto variazioni del progetto, con conseguenti vari e successivi aggiornamenti presentati dai promotori. Solo in data 9 gennaio 2012 si è giunti all’approvazione, da parte di Anas, del progetto e del piano economico-finanziario (PEF) e, successivamente, il CIPE, ai sensi dell’art. 165, comma 4, del d.lgs. n. 163 del 2006 (allora vigente), è pervenuto all’approvazione della proposta e del progetto preliminare con delibera n. 73/13 dell’8 novembre 2013. Tale delibera di approvazione, tuttavia, è andata incontro alla ricusazione del visto da parte della Corte dei conti e – grazie alla nuova possibilità offerta dallo ius superveniens di cui all’art. 2, comma 4, del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito in legge n. 164 del 2014, volto a salvaguardare gli interventi di finanza di progetto già dichiarati di pubblico interesse – è stata poi sostituita da una nuova delibera di approvazione, la n. 41/14 del 10 novembre 2014, recante determinate prescrizioni.

Anche questa seconda delibera, tuttavia, non ha incontrato sorte favorevole, venendo “ritirata” dall’amministrazione (questo è il termine che viene impiegato nell’atto di appello) a causa della mancanza del prescritto parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici (parere, a detta delle ricorrenti, non necessario). Nell’atto di appello, invero, si legge che “il Promotore apprendeva che la Delibera CIPE 41/14 era stata ritirata dall’Amministrazione a causa della mancanza del parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici […] e che il progetto era stato inviato dal MIT al CSLP l’8/10/15” (pag. 9).

Di seguito, il Ministero delle infrastrutture – dal 2012 subentrato ad Anas come soggetto aggiudicatore – avrebbe posto in essere (secondo la ricostruzione dell’appellante) una serie di comportamenti finalizzati ad ostacolare la conclusione della procedura e la realizzazione della proposta da parte del promotore; in particolare, i vertici ministeriali avrebbero espresso, all’insaputa del promotore, la volontà di finanziare una parte rilevante dell’opera per ottenerne l’esecuzione in proprio da parte di Anas, ed avrebbero anche presentato una proposta di legge ad hoc che consentisse di accantonare, senza oneri, il progetto preliminare: proposta poi confluita nell’art. 216, comma 23, del d.lgs. n. 50 del 2016.

Il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici è stato rilasciato in data 15 luglio 2016 (parere n. 70). Esso (come si legge nella sentenza del TAR, impugnata in questa sede) prevedeva alcuni rilievi in ordine alla realizzazione dell’opera, giudicata non più attuale nel mutato contesto storico.

Con contemporanea iniziativa, le società promotrici hanno intentato l’azione di accertamento dinnanzi al TAR Lazio, oggetto della presente causa, sostenendo, in sintesi, che le varie amministrazioni coinvolte nel procedimento avrebbero volutamente posto in essere un “preciso disegno” volto ad impedire, di fatto, la realizzazione dell’opera. Hanno chiesto, quindi, il risarcimento del danno emergente, quantificato (anche in sede di motivi aggiunti) tramite apposita perizia depositata in giudizio, oltre al danno da perdita di chance contrattuale; in subordine, hanno domandato, ai sensi dell’art. 216, comma 23, del d.lgs. n. 50 del 2016, il ristoro delle spese sostenute nonché l’indennizzo previsto dall’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990.

2. – Con la sentenza oggetto di appello, il TAR Lazio – dopo aver rigettato alcune eccezioni preliminari, sollevate dalle amministrazioni costituitesi in giudizio, e previa estromissione dal giudizio, per difetto di legittimazione passiva, del Ministero della cultura, del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica e della Presidenza del Consiglio dei ministri – ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti, all’esito di una lunga disamina che, prendendo le mosse dalla riscontrata necessità di “analizzare la diacronìa delle vicende che hanno segnato il procedimento controverso al fine di stabilire la sussistenza di un fatto illecito meritevole di tutela risarcitoria” (pag. 29), è giunta a conferire rilevanza, quale fatto di per sé rilevante ai fini dell’esclusione della responsabilità dell’amministrazione, alla circostanza che, nel caso di specie, “non vi è stata alcuna aggiudicazione” (pag. 41). Il TAR, in proposito, ha compiuto un richiamo alla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, secondo la quale neppure la revoca della dichiarazione di pubblico interesse del progetto è idonea a fondare il diritto al risarcimento per il proponente, nel caso in cui il procedimento di project financing non sia giunto alla fase dell’indizione della gara (pag. 43, ove si richiama, ex aliis, la sentenza di questa Sezione n. 7930 del 2023).

In particolare, nel rimarcare il mancato approdo ad alcun provvedimento di aggiudicazione, il TAR ha sottolineato che l’amministrazione, nel corso del procedimento, aveva ben rimarcato “l’inattualità della soluzione oggetto della proposta del promotore, sotto il profilo della ‘incertezza della affidabilità delle previsioni di progetto”, come era emerso dal parere n. 70 del 2016 del Consiglio superiore dei lavori pubblici (cfr. pag. 41). Il TAR è dunque giunto alla conclusione che le tesi delle ricorrenti – secondo cui l’amministrazione, con il descritto comportamento dilatorio, avrebbe seguito un “ben preciso disegno” volto a far naufragare la proposta dei promotori – “finiscono per risolversi in mere congetture” (pag. 41), posto che, nei confronti degli atti via via integranti la descritta strategia ostruzionistica (in particolare, il menzionato parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, nonché gli atti prodromici che lo avevano ritenuto imprescindibile), le ricorrenti non hanno mai proposto azione di annullamento, così incorrendo in una sostanziale acquiescenza.

Il TAR, infine, ha rigettato anche le domande proposte in via subordinata.

3. – Con l’appello oggi in decisione, è stato dunque chiesto l’annullamento e/o la riforma della sentenza del TAR, con conseguente accertamento e dichiarazione della responsabilità precontrattuale, “o da contatto sociale qualificato”, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (in eventuale concorrenza con gli atri soggetti pubblici intervenuti, a diverso titolo, nel procedimento).

Previa analitica ricostruzione delle vicende che hanno fatto da contorno alla pretesa azionata, si è quindi riproposta la domanda di condanna al risarcimento dei danni, per un importo complessivo quantificato in euro 355.504.207,00, ovvero per la somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, da determinarsi anche in via equitativa ex art. 1226 c.c., in ogni caso con rivalutazione monetaria e interessi sulla somma rivalutata. In via subordinata, sono state riproposte le domande di ristoro delle spese sostenute e di indennizzo ex lege.

In diritto, le pretese così azionate sono state argomentate lungo quattro diversi motivi di appello, coinvolgenti aspetti sia processuali sia sostanziali della decisione di prime cure.

4. – Nel presente giudizio di appello si sono costituiti, in resistenza, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, il Ministero della cultura, ciascuno in persona del rispettivo Ministro pro tempore, nonché la Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica– DIPE, in persona del Presidente pro tempore, ed il Comitato interministeriale per la programmazione economica– CIPE, in persona del legale rappresentante pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato.

Le medesime parti pubbliche hanno altresì depositato, in data 8 marzo 2024, appello incidentale, facendo valere, a propria volta, ragioni di doglianza contro la sentenza del TAR.

Si è altresì costituita in resistenza Anas s.p.a., in persona della responsabile pro tempore della Direzione affari legali, societari e compliance, anch’essa provvedendo, in data 11 marzo 2024, al deposito di un proprio appello incidentale (recante censure in parte sovrapponibili all’appello incidentale dell’Avvocatura erariale).

5. – Tutte le parti hanno poi svolto argomentazioni difensive in apposite memorie, anche nella forma delle reciproche repliche.

Alla pubblica udienza dell’11 luglio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

6. – L’appello, nel complesso, non è fondato.

6.1. – Con il primo motivo, l’appellante ha contestato, per violazione dell’art. 27, comma 1, cod. proc. amm. e dell’art. 102 c.p.c., la decisione del TAR di estromettere dal giudizio il Ministero della cultura, il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica e la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Il motivo non ha pregio, corretta rivelandosi la valutazione del primo Giudice.

Invero, le ragioni poste a fondamento della domanda di accertamento di responsabilità, e della conseguente richiesta di risarcimento del danno, sono tali – nella loro oggettiva consistenza – da riferirsi unicamente all’amministrazione titolare del potere di pronunciarsi, in via definitiva, sul progetto dell’opera, dando cioè corso alla procedura di project financing, mediante l’indizione della fase di confronto comparativo ad evidenza pubblica e l’emanazione del conseguente provvedimento di aggiudicazione. Vengono quindi chiamate in gioco sia l’Anas, che inizialmente (fino al 2012) è stata titolare di tale potere, sia il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ad essa successivamente succeduto per effetto delle previsioni di cui all’art. 11, comma 5, del decreto-legge n. 216 del 2011, convertito in legge n. 14 del 2012, in combinato disposto con l’art. 36, comma 5, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito in legge n. 111 del 2011. Non risultano invece coinvolte, in modo diretto, né le amministrazioni preposte alla tutela ambientale e dei beni culturali, né la Presidenza del Consiglio dei ministri, sia pure nella diramazione, ad essa facente capo, del CIPE. La partecipazione alla procedura di queste amministrazioni, infatti, si è limitato all’adozione di atti meramente endoprocedimentali, privi di diretta efficacia lesiva (e, quindi, privi anche della capacità di ingenerare un danno, patrimonialmente rilevante, nella sfera giuridica delle società promotrici), ovvero di atti che, pur segnando snodi decisivi del procedimento, hanno piuttosto comportato effetti favorevoli per le parti private coinvolte. È quest’ultimo, in particolare, il caso degli atti posti in essere dal CIPE, autorità competente alla dichiarazione di pubblico interesse dell’opera: dichiarazione che, per ben due volte, è stata in effetti rilasciata e che, teoricamente, avrebbe dovuto indirizzare il procedimento verso gli esiti auspicati dall’appellante, se non fossero intervenuti altri e diversi atti e comportamenti, posti in essere dalle amministrazioni titolari del potere di decisione finale, che – nella prospettazione delle ricorrenti – hanno comportato l’ingiusto ritardo e l’illegittima stasi procedimentale cui si lega il danno rivendicato nella presente sede giurisdizionale.

6.2. – Con il secondo motivo di appello, viene contestata la qualificazione, che si assume resa dal primo Giudice, in ordine alla natura della responsabilità in tesi ascrivibile alle amministrazioni coinvolte nella vicenda de qua. A giudizio dell’appellante, sarebbe erronea la qualificazione in termini di responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c., dovendosi invece, più correttamente, inquadrarsi la fattispecie nei binari della responsabilità precontrattuale o da contatto sociale.

Il motivo non è fondato per travisamento del complessivo senso della sentenza appellata.

Quest’ultima, invero – pur all’esito di un percorso ricostruttivo che l’appellante non manca di giudicare non lineare –, è comunque giunta alla conclusione di inquadrare l’odierna fattispecie, in linea con la giurisprudenza amministrativa prevalente, proprio nei binari della responsabilità precontrattuale. In tal senso, infatti, si è espresso il primo Giudice, laddove ha affermato che “il procedimento relativo alla finanza di progetto non si sottrae all’osservanza dei principi di correttezza e lealtà previsti dall’art. 1337 del codice civile” (pag. 39 s.). Il che non ha comunque impedito di pervenire al rigetto delle domande della ricorrente, sulla base delle successive e dirimenti considerazioni, secondo le quali, nella specie, i soggetti promotori ben hanno potuto prendere parte alla fase delle “trattative”, durante la quale l’amministrazione competente – senza dar luogo ad alcun disegno dolosamente volto all’accantonamento della proposta – non aveva mancato di sottolineare la sopravvenuta inadeguatezza del progetto, non più rispondente all’originaria valutazione di interesse pubblico, con ciò giustificandosi il mancato approdo all’aggiudicazione finale. In tale cornice, nella valutazione del TAR ha acquisito peso decisivo la circostanza della mancata impugnazione, da parte dei soggetti privati interessati, degli atti che hanno comportato il definitivo arresto procedimentale, come qui di seguito si passa a riferire.

6.3. – Con il terzo motivo di appello si muove un ulteriore e diverso rimprovero al primo Giudice, il quale avrebbe limitato la propria disamina in ordine all’esclusivo aspetto della legittimità degli atti della procedura, con ciò tuttavia “aggirando” il vero tema del contendere, relativo piuttosto alla dedotta violazione dei canoni di buona fede e correttezza nell’agire amministrativo.

Il motivo, che è articolato in più profili di censura (sette, per la precisione), nel suo complesso non è fondato.

6.3.1. – Anzitutto, lungo un primo profilo, l’appellante sviluppa censure in merito alla vicenda che ha condotto all’emissione del parere n. 70/2016 del Consiglio superiore dei lavori pubblici, lamentando l’erronea e/o omessa valutazione, da parte del TAR, “dei fatti e delle prove”. In particolare, si rappresenta che il TAR avrebbe “frainteso completamente il senso delle censure” sviluppate in primo grado, in quanto si sarebbe limitato a considerare la questione dell’obbligatorietà, o meno, del parere, senza invece indagare in ordine al “complessivo comportamento tenuto dalla P.A. in relazione all’acquisizione del parere”, alla luce dei rilievi che erano stati mossi dalla Corte dei conti (pag. 28 dell’atto di appello).

Tali doglianze vanno disattese perché – in disparte la genericità della censura, che non si cura di richiamare i passaggi del ricorso di primo grado dai quali sarebbe dipesa, in tesi, la necessità che il TAR si pronunciasse su questo specifico punto – la sentenza del primo Giudice ha, invece, ex professo valutato proprio il complessivo comportamento tenuto dall’amministrazione, laddove, nella parte dedicata all’analisi del contenuto di detto parere (pag. 38), ha bensì richiamato la scadenza del termine previsto dall’art. 127, comma 5, del d.lgs. n. 163 del 2006, ma al contempo ha posto l’accento sulla necessità di non “decontestualizzare” i rilievi provenienti dall’organo contabile, in considerazione della “importanza dell’opera in questione” e della “mole degli elaborati progettuali da esaminare”. Ha quindi concluso con una valutazione di sostanziale ragionevolezza del comportamento tenuto dal Ministero, il quale non avrebbe potuto adottare una decisione finale sulla finanza di progetto “prescindendo dal supporto consultivo di quello che, ai sensi del DPR 204/2006 (regolamento di riordino del Consiglio superiore dei lavori pubblici), è qualificato alla stregua del ‘massimo organo tecnico consultivo dello Stato’ (art. 1)” (pag. 37). Si tratta di valutazioni, rese dal primo Giudice, che l’atto di appello non contesta specificamente e che, nel loro complesso, danno conto dei rilievi mossi dall’appellante in ordine all’acquisizione del contestato parere.

In secondo luogo, l’appellante lamenta che il TAR non avrebbe considerato, come elementi atti a dimostrare la scorrettezza dell’amministrazione, né la violazione, da parte di quest’ultima, del dovere di informazione circa i rilievi della Corte dei conti, né il ritardo nell’invio della richiesta di parere, né i vizi del sub-procedimento rimesso al Consiglio superiore dei lavori pubblici (collegati al fatto che il parere, privo di natura obbligatoria, sarebbe stato reso oltre i termini di legge e senza la necessaria documentazione a supporto), né la sostanziale inutilità del parere stesso (posto che il Ministero, ancor prima della sua emissione, aveva, in tesi, già deciso di “bocciare” il progetto), né infine l’emissione di un coevo parere negativo rilasciato dalla Struttura tecnica di missione (STM) che sarebbe stato preconfezionato “ad arte”.

Nessuno di tali rilievi può essere condiviso. Quanto al dovere di informazione, la sentenza del TAR ha invero considerato il percorso di dialogo e di trattativa che si è instaurato tra le parti in ordine all’adozione degli atti endoprocedimentali (pag. 41), non essendo peraltro esigibile la comunicazione, nei confronti dei promotori, anche degli elementi di dettaglio circa l’andamento del procedimento (come, per l’appunto, quelli relativi ai rilievi della Corte dei conti, aventi rilievo puramente interno e, comunque, di per sé non decisivi quanto alla conclusione del procedimento). Né ovviamente poteva formare oggetto di comunicazione il presunto “intendimento del MIT di bocciare la richiesta del promotore”, pretesa, questa, che dà per dimostrato ciò che ancora non lo è; né, analogamente, poteva pretendersi che il TAR valutasse, come elemento fondativo della responsabilità, proprio detto “intendimento”, più volte richiamato dal motivo di appello in esame (anche laddove si derubrica il rilascio del parere della STM a mero pretesto per ritardare la conclusione del procedimento) ma che, a ben vedere, formava oggetto dell’onus probandi in capo all’esponente. Quanto al ritardo nell’adozione del parere, nonché alla necessità che il procedimento proseguisse anche senza di esso, si è già visto che il TAR ha considerato in motivazione tali circostanze, ritenendole tuttavia superabili e, quindi, non valide ai fini di ritenere provato un intento in danno del promotore. Quanto, infine, alla presunta incompletezza della documentazione inviata ai fini del parere, il TAR l’ha parimenti considerata, reputandola tuttavia non rilevante ai fini della responsabilità risarcitoria, alla luce della mancata impugnazione, da parte dei promotori, sia dello stesso parere n. 70/2016, sia della successiva nota dell’8 febbraio 2017 con la quale l’organo consultivo tecnico ha ritenuto non rilevante la documentazione integrativa trasmessa dal Ministero (su questo punto si tornerà infra, in sede di disamina della censura avente ad oggetto l’onere di impugnazione).

6.3.2. – Lungo un secondo profilo, sviluppato in seno al terzo motivo di appello, si contesta poi la sentenza del TAR nella parte in cui essa ha considerato rilevante, ai fini di escludere la responsabilità risarcitoria, la circostanza della mancata impugnativa, da parte dei ricorrenti, del decreto del Ministero n. 203/2015, del già menzionato parere n. 70/2016 del Consiglio superiore dei lavori pubblici nonché della nota di quest’ultimo organo dell’8 febbraio 2017.

Questo profilo – che può essere trattato congiuntamente con i profili quarto e quinto, sempre del terzo motivo di appello – non è parimenti condivisibile. Vengono, infatti, in rilievo atti che, pur astrattamente rivestendo natura endoprocedimentale, hanno nella sostanza determinato un vero e proprio arresto procedimentale. Come già ritenuto dal primo Giudice, deve qui confermarsi che, proprio per effetto del menzionato parere, recante due rilievi sostanziali che ostavano alla realizzabilità dell’opera, e la cui efficacia “frenante”, in ordine al prosieguo del procedimento, era fissata dalle previsioni del d.m. n. 203 del 2015, non risultava più possibile far progredire il procedimento verso l’auspicato esito di approvazione del progetto preliminare. Analogamente è a dirsi per la nota dell’8 febbraio 2017, che valutava come “irrilevante” l’esame dell’ulteriore documentazione trasmessa e che confermava la definitività del precedente parere negativo, non consentendo, neppure per questa via, la riapertura del procedimento.

È noto che – in via generale – l’atto endoprocedimentale non è impugnabile in via autonoma, in quanto la lesione della sfera giuridica del destinatario è di regola imputabile all’atto che conclude il procedimento; tuttavia, come da costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, tale regola generale subisce eccezioni in casi particolari, in relazione ad atti di natura vincolata idonei a determinare in via inderogabile il contenuto dell’atto conclusivo del procedimento ovvero ad atti interlocutori che comportino un arresto procedimentale (cfr. di recente, di questa Sezione, ex plurimis, sentenza n. 4596 del 2022; sez. III, sentenza n. 1364 del 2024). La valenza predetta, nel caso di specie, hanno assunto i menzionati atti, il cui contenuto, per quanto poc’anzi notato, si è dimostrato essere direttamente ostativo all’ottenimento del beneficio richiesto. Non ha errato, pertanto, il primo Giudice a ritenere che essi avrebbero dovuto essere impugnati dall’odierno appellante, entro il termine decadenziale di legge, al fine di non incorrere negli effetti pregiudizievoli che ne derivavano.

Non è fuor di luogo, in tale cornice, il richiamo – compiuto dal TAR – alla sentenza di questa Sezione n. 9298 del 2023, nella quale (pur nella premessa secondo cui “le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza operano su piani distinti ed autonomi e non si pongono in rapporto di pregiudizialità”) si è affermato, sulla scorta dei principi ricostruiti dalla sentenza dell’Adunanza plenaria n. 21 del 2021, che, con particolare riguardo alla tematica della finanza di progetto, il risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale dell’amministrazione è da escludere qualora (tra le altre circostanze) sia accaduto che “la procedura competitiva non [è] stata neppure avviata, essendosi arrestato il procedimento alla fase di approvazione del progetto”. Il che è esattamente quanto avvenuto nella presente fattispecie.

Del resto, la descritta valenza decisiva del d.m. n. 203 del 2015 non può essere esclusa né alla luce del fatto che tale decreto è entrato in vigore in un momento successivo alla trasmissione del progetto preliminare all’organo consultivo tecnico (in quanto, ciò che conta è che il parere, da quest’ultimo emesso, sia stato adottato nella vigenza di esso, derivandone già effetti lesivi), né tantomeno in relazione alla sopravvenienza dell’art. 214, comma 2, lettera f), del d.lgs. n. 50 del 2016 che ha regolato diversamente la materia (in quanto, pure a voler ritenere che tale ius superveniens abbia comportato il venir meno della vincolatività del parere, ebbene ciò ridonderebbe in autonomo vizio di legittimità dell’atto, da far valere nelle sedi competenti). Irrilevanti, infine, sono gli accadimenti successivi (ossia, l’emersione dell’ipotesi di affidare l’opera ad Anas), che l’appellante impropriamente assurge a “comprova” dell’erroneità dei rilievi dell’organo consultivo, non essendo noti al Collegio, neppure per sommi capi, i contenuti dell’eventuale nuovo progetto (che l’appellante omette di riferire e/o illustrare).

Analoghe considerazioni potrebbero ripetersi per quanto riguarda la nota ministeriale del 28 giugno 2017 (con la quale è stata disposta la trasmissione al CIPE di una proposta finalizzata a individuare Anas quale soggetto aggiudicatore), la cui mancata impugnazione è parimenti sottolineata dalla sentenza del TAR. Anche tale statuizione viene criticata dall’appellante, in parte qua, mediante il quarto profilo di censura del terzo motivo di appello: censura, per quanto fin qui detto, anch’essa da respingere.

Quanto precede esime il Collegio dall’esame del quinto profilo di censura (del terzo motivo di appello), con il quale la sentenza del TAR è contestata nella parte in cui, al fine di corroborare la decisione di escludere la responsabilità risarcitoria, è stata rimarcata la perdurante efficacia della deliberazione CIPE n. 65/2017 (che aveva approvato lo schema di contratto di programma 2016-2020 tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Anas s.p.a., di conseguenza individuando in quest’ultima il soggetto attuatore dell’intervento), pur impugnata dalle parti interessate ma non annullata dal TAR Lazio, sez. I-bis, con la decisione di inammissibilità n. 16304 del 2023. A giudizio dell’appellante la richiamata deliberazione del CIPE avrebbe avuto ad oggetto non la revoca o annullamento, in autotutela, della dichiarazione di pubblico interesse dell’opera de qua, ma più limitatamente “le attività di manutenzione di un tratto stradale ricadente nella gestione ANAS”. Tale aspetto, che di per sé potrebbe svelarsi dotato di una certa consistenza, rimane tuttavia superato dalla circostanza dirimente, poc’anzi esaminata, che è mancata la contestazione, in sede giurisdizionale, di altri e precedenti atti, recanti come visto un definitivo arresto procedimentale, con conseguente consolidarsi della posizione lesiva per il privato.

6.3.3. – Con un terzo ed un sesto profilo di censura, anch’essi sviluppati nel terzo motivo di appello (e che possono essere trattati congiuntamente), si sostiene che la risarcibilità del danno ben poteva essere affermata, dal TAR, anche a prescindere dalla mancata aggiudicazione della gara.

La censura deve essere disattesa.

Occorre ricordare – analogamente a quanto già precisato dal primo Giudice – che, nella fattispecie per cui è causa, alla dichiarazione di pubblico interesse dell’opera, e all’approvazione (con condizioni) del progetto preliminare, non ha poi fatto seguito né l’indizione della gara per la scelta del contraente né tantomeno l’aggiudicazione. Ci si è, dunque, fermati ad uno stadio molto iniziale della procedura, tale da non poter far ingenerare alcuna legittima aspettativa in capo al promotore. Tali coordinate di fatto rendono assimilabile l’odierna fattispecie ad altre, ben note alla giurisprudenza della Sezione, a margine delle quali si è affermato che, “[s] e è vero […] che anche in un momento successivo a quello in cui una proposta di realizzazione di lavori pubblici sia stata dichiarata di pubblico interesse, l’Amministrazione resta libera di non dar corso alla procedura di gara per l’affidamento della relativa concessione (sicché l’eventuale misura di autotutela non determina, in tal caso, alcuna responsabilità precontrattuale né fa sorgere, in caso di revoca, l'obbligo di corrispondere alcun indennizzo a ristoro dei pregiudizi economici asseritamente patiti dal promotore: cfr. Cons. Stato, V, n. 820/2019, cit.), è anche vero, tuttavia, che ciò vale solo fino a quando l’Amministrazione non si risolva, sulla base del progetto assentito, ad attivare la procedura di gara e a concluderla con l’aggiudicazione. // L’aggiudicazione definitiva, invero, trasforma, di suo, l’aspettativa di mero fatto, fino a quel punto vantata dal promotore, in aspettativa giuridicamente tutelata alla consequenziale stipula del contratto aggiudicato” (sentenza n. 5870 del 2021 di questa Sezione). Con specifico riguardo alla procedura di project financing, più di recente la Sezione ha ribadito questi principi affermando quanto segue: “Il soggetto individuato come promotore finanziario, benché prescelto, rimane, rispetto al procedimento di affidamento, nella posizione di potenziale concorrente e, come tale, non vanta alcun minimo affidamento idoneo a consolidare una posizione suscettibile di fondare una responsabilità da parte dell’Amministrazione. La dichiarazione di pubblico interesse non rappresenta perciò un atto ad efficacia durevole attributivo in maniera definitiva di un vantaggio, quanto prodromico alla indizione di una gara, non fondativo di indennizzo in caso di revoca della stessa (Cons. Stato n. 3237 del 2015)” (sentenza n. 3237 del 2023).

Si tratta di affermazioni che in questa sede vanno ribadite, pur in presenza di una procedura ad iniziativa pubblica (elemento, quest’ultimo, che è stato sottolineato in sede di udienza di discussione dalla difesa dell’appellante). Tale natura, infatti, non sposta i termini della questione, non aggiungendo alcun elemento di differenziazione rispetto alle procedure di project financing di iniziativa privata (oggetto dei richiamati precedenti giurisprudenziali) nelle quali, nondimeno, l’amministrazione sia addivenuta alla valutazione di opportunità dell’opera sottesa alla dichiarazione di pubblico interesse.

Anche il precedente invocato nell’atto di appello, di cui alla sentenza n. 7244 del 2021 di questa Sezione, non si è affatto discostato dalle richiamate coordinate, ribadendo che, pur dopo la dichiarazione di pubblico interesse, “il promotore non acquisisce alcun diritto pieno all’indizione della procedura, ma una mera aspettativa, condizionata dalle valutazioni di esclusiva pertinenza dell’amministrazione in ordine all’opportunità di contrattare sulla base della medesima proposta. Detta aspettativa non è quindi giuridicamente tutelabile rispetto alle insindacabili scelte dell’amministrazione e la posizione di vantaggio acquisita per effetto della dichiarazione di pubblico interesse si esplica solamente all’interno della gara, una volta che la decisione di affidare la concessione sia stata assunta” (punto 8.3.2.). È pur vero che, in tale occasione, la Sezione è comunque giunta ad una decisione di parziale responsabilità dell’amministrazione, ma ciò, per un verso, solo per profili afferenti alla ritardata esecuzione di un giudicato (che assumeva rilievo, in quella sede, trattandosi di azione in ottemperanza di una precedente decisione) e, per altro verso, per aspetti concernenti l’omessa informazione, nei confronti del soggetto proponente, “di profili che rendevano ab origine altamente improbabile, se non irrealizzabile, sul piano tecnico e normativo, nonché della valutazione di convenienza per l’interesse pubblico, la realizzazione dell’impianto, che sin dall’inizio […] risultava non coerente con le esigenze […] della collettività”. Non è questa, tuttavia, la fattispecie oggi all’esame del Collegio, nella quale non si ravvisano le medesime situazioni di irrealizzabilità, ab origine, del progetto e non vi sono elementi di rilievo, attinenti alla conclusione della procedura, la cui informazione sia stata omessa nei confronti del promotore, posto nelle condizioni di poter partecipare pienamente.

Non spostano i termini della questione neppure le affermazioni – come riportate nell’atto di appello – della Corte di cassazione, di cui alle ordinanze n. 30712 e n. 30768 del 2022 (con le quali è stata affermata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per la controversia). Il fatto che (come riconosciuto dalla Corte) sussistesse già una relazione procedimentale, in fase “più o meno” avanzata, e non un mero “comportamento” amministrativo, radica bensì la giurisdizione in capo a questo giudice amministrativo, ma non toglie che, ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’amministrazione, il suo agere venga valutato in termini di scorrettezza, ai sensi dell’art. 1337 c.c., secondo le coordinate della giurisprudenza poc’anzi riepilogate, conclusione, questa, che comunque nel merito – come visto – nella specie non può essere condivisa.

Né – per ragioni analoghe – convince quanto l’appellante sostiene con il sesto profilo di censura del terzo motivo di appello, con il quale sono richiamati gli atti successivi alla delibera del 2017 (con la quale il CIPE aveva, in sostanza, individuato in ANAS il nuovo soggetto cui affidare la realizzazione dell’opera), e si sostiene che proprio tali atti successivi, che intendevano coinvolgere l’originario promotore nella redazione di un nuovo progetto insieme ad ANAS, comproverebbero la scorrettezza dell’agire complessivo dell’amministrazione. Nuovamente, deve ribadirsi che, pur volendo considerare simili sviluppi (comunque, del tutto embrionali), nessuna aspettativa tutelabile poteva ancora dirsi insorta in capo all’originario promotore, proprio perché non si era comunque ancora approdati a quell’unico stadio di “consolidamento” (indizione di gara e/o provvedimento di aggiudicazione) tale da poter radicare una responsabilità precontrattuale dell’amministrazione.

6.3.4. – Con il settimo profilo di censura, trattato nel terzo motivo di appello, si contesta infine la sentenza del TAR nella parte in cui ha escluso il ristoro ex art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 190 del 2002, nella sua pretesa applicazione ratione temporis.

Tale censura è infondata e va rigettata nel merito, potendosi prescindere dall’esame dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa erariale.

Va infatti condivisa la statuizione del TAR che ha ritenuto applicabile l’art. 175 del d.lgs. n. 163 del 2006, nel testo modificato dal decreto-legge n. 201 del 2011, come convertito, trattandosi della disposizione in vigore nel momento in cui si assume completata la rinuncia al progetto da parte dell’amministrazione. Non assumono cioè rilievo, qui, i fatti antecedenti al 2011 che vengono richiamati dall’appellante, che sono tutti antecedenti agli accadimenti in forza dei quali si sostiene che l’amministrazione avrebbe accantonato il progetto.

6.4. – Per quanto precede, va confermata la sentenza appellata, dovendosi escludere gli elementi della responsabilità risarcitoria dell’amministrazione. Il che esime il Collegio dall’esame delle restanti censure dell’atto di appello, riguardanti le voci del danno risarcibile.

7. – L’integrale rigetto dell’appello rende improcedibili i due atti di appello incidentale.

8. – Le spese del presente giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti, attesa la complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quinta, definitivamente pronunciando,

a) respinge l’appello principale;

b) dichiara improcedibili gli appelli incidentali.

Spese del presente grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati:

Diego Sabatino, Presidente

Sara Raffaella Molinaro, Consigliere

Giorgio Manca, Consigliere

Marina Perrelli, Consigliere

Antonino Masaracchia, Consigliere, Estensore