Cons. Stato, Sez. VII, 14 ottobre 2025, n. 8024

La sentenza in commento opera una lettura dell'art. 49 del Codice della Navigazione alla luce dei principi affermati dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella sentenza dell'11 luglio 2024, causa C-598/22, così contribuendo all'evoluzione della consolidata giurisprudenza amministrativa in materia di concessioni demaniali marittime.

La pronuncia si inserisce nel solco di un orientamento giurisprudenziale consolidato che ha definitivamente chiarito la compatibilità del meccanismo devolutivo previsto dalla normativa italiana con il diritto eurounitario, confermando il principio di inalienabilità del demanio pubblico e il carattere precario delle concessioni demaniali marittime.

La sentenza rappresenta, inoltre, un contributo significativo alla definizione del quadro giuridico di riferimento per le future procedure di affidamento delle concessioni demaniali marittime, fornendo criteri interpretativi chiari e consolidati che potranno orientare sia l'azione amministrativa sia le scelte imprenditoriali degli operatori del settore balneare.

Guida alla lettura

1. Inquadramento normativo.

1.1. L'art. 49 del Codice della Navigazione.

L'art. 49 cod. nav. stabilisce che "salvo che sia diversamente stabilito nell'atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell'autorità concedente di ordinarne la demolizione, con restituzione del bene demaniale al pristino stato".

Tale disposizione, che richiama l'istituto dell'accessione di cui all'art. 934 cod. civ. con deroga al principio dell'indennizzo previsto dall'art. 936 cod. civ., è volta a garantire che il demanio marittimo rimanga patrimonio pubblico ed è dunque espressione del principio di inalienabilità del demanio pubblico.

1.2. Le pertinenze del demanio marittimo e la disciplina dei canoni concessori.

L'art. 29 cod. nav. definisce le pertinenze del demanio marittimo come "le costruzioni e le altre opere appartenenti allo Stato, che esistono entro i limiti del demanio marittimo e del mare territoriale", precisando che esse "sono considerate come pertinenze del demanio stesso". L'art. 1, comma 251, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 ha introdotto una significativa riforma nella determinazione dei canoni demaniali, prevedendo l'applicazione di criteri di valorizzazione basati sui valori di mercato immobiliare per le pertinenze demaniali destinate ad attività commerciali, terziarie e di produzione di beni e servizi.

2. L'interpretazione giurisprudenziale consolidata.

2.1. Il principio dell'acquisizione automatica.

La giurisprudenza amministrativa maggioritaria ha interpretato l'art. 49 cod. nav. nel senso che l'acquisto si verifica ipso iure al termine del periodo di concessione e va applicato anche in caso di rinnovo della concessione stessa. Come anche chiarito dalla Cassazione civile Sez. I ordinanza n. 34250 del 24 dicembre 2024, "decorso il termine di durata iniziale della concessione demaniale marittima, si verifica ipso iure, ai sensi dell'art. 49 cod. nav. che richiama l'istituto dell'accessione ex art. 934 c.c., la devoluzione automatica a favore dello Stato delle opere non agevolmente rimuovibili realizzate dal concessionario, con effetto legale immediato".

2.2. Distinzione tra rinnovo e proroga nella giurisprudenza civile.

La giurisprudenza ha anche chiarito la distinzione tra rinnovo e proroga della concessione demaniale.

Come precisato dalla Corte d'Appello di Roma, Sez. I, civ., sentenza n. 4592 del 18 luglio 2025, "il rapporto concessorio cessa con il rinnovo, che integra una nuova concessione sostitutiva di quella precedente ormai scaduta, mentre non cessa con la proroga che ne determina il prolungamento della durata".

Quindi – recita la Corte di Appello di Roma – che solo nel caso in cui il titolo concessorio sia stato oggetto di rinnovo automatico prima della data di naturale scadenza della concessione, configurandosi il rinnovo stesso come una piena proroga dell'originario rapporto senza soluzione di continuità, il principio dell'accessione gratuita non troverebbe applicazione.

3. La sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea.

3.1. Il rinvio pregiudiziale.

Con l'ordinanza n. 8010, 15 settembre 2022, il Consiglio di Stato aveva rimesso alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la questione pregiudiziale relativa alla compatibilità dell'art. 49 cod. nav. con gli artt. 49 e 56 TFUE e con i principi desumibili dalla sentenza del 28.1.2016 causa C-375/14 Laezza c. Italia, in tema di libertà di stabilimento e prestazione di servizi ex artt. 49 e 56 TFUE, nell'ambito del gioco d'azzardo.

3.2. La pronuncia della Corte di Giustizia.

Con la sentenza dell'11 luglio 2024, resa nella causa C-598/22, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha dichiarato che "l'articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che: esso non osta ad una norma nazionale secondo la quale, alla scadenza di una concessione per l'occupazione del demanio pubblico e salva una diversa pattuizione nell'atto di concessione, il concessionario è tenuto a cedere, immediatamente, gratuitamente e senza indennizzo, le opere non amovibili da esso realizzate nell'area concessa, anche in caso di rinnovo della concessione".

3.3. I principi affermati dalla Corte.

La Corte di Giustizia ha chiarito che l'art. 49 del cod. nav. "si limita a trarre le conseguenze dei principi fondamentali del demanio pubblico", precisando che "l'appropriazione gratuita e senza indennizzo, da parte del soggetto pubblico concedente, delle opere non amovibili costruite dal concessionario sul demanio pubblico costituisce l'essenza stessa dell'inalienabilità del demanio pubblico".

Così stabilendo che il principio di inalienabilità implica che "il demanio pubblico resta di proprietà di soggetti pubblici e che le autorizzazioni di occupazione demaniali hanno carattere precario, nel senso che esse hanno una durata determinata e sono inoltre revocabili".

3.4. La dimensione contrattuale della concessione.

Particolarmente significativo è il rilievo della Corte secondo cui la disposizione dell'articolo 49 cod. nav., "nella misura in cui prevede espressamente la possibilità di derogare per contratto al principio dell'acquisizione immediata senza alcun indennizzo o rimborso delle opere non amovibili costruite dal concessionario sul demanio pubblico marittimo, evidenzia la dimensione contrattuale, e dunque consensuale, di una concessione di occupazione del demanio pubblico".

4. L'applicazione dei principi affermati dalla CGUE al caso concreto affrontato dal Consiglio di Stato nella sentenza in commento.

4.1 La vicenda processuale.

La vicenda esaminata dal Consiglio di Stato riguardava una società affermatasi, titolare fin dal 1928 di uno stabilimento balneare nel Comune di Rosignano Marittimo, che aveva realizzato nel corso degli anni una serie di manufatti, parte dei quali risultanti da un testimoniale di stato di incameramento del 1958, e altri edificati successivamente dal 1964 al 1995.

4.2. La qualificazione delle opere come pertinenze demaniali.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento, ha confermato che "alla scadenza dell'originaria concessione l'effetto traslativo delle opere di difficile rimozione realizzate su aree demaniali si produce automaticamente con la conseguenza che il passaggio di proprietà si determina al verificarsi degli eventi e l'atto di incameramento ha natura puramente ricognitiva".

Come precisato nella sentenza, "non era, dunque, necessario alcun provvedimento espresso e formale di incameramento delle opere, in quanto l'art. 49 non lo contempla tra gli elementi costitutivi della fattispecie acquisitiva ex lege".

4.3. L'acquiescenza del concessionario.

Il Consiglio di Stato ha poi evidenziato che la concessione n. 181/2009, oltre a indicare le pertinenze demaniali, "all'art. 3 reca anche la clausola secondo cui 'Le opere di difficile rimozione restano acquisite allo Stato, ai sensi dell'art. 49 del codice della navigazione, senza alcun indennizzo, compenso, risarcimento o rimborso di sorta…'".

Afferma la sentenza in commento che tale clausola, unitamente all'identificazione delle pertinenze demaniali, è stata accettata senza riserve dall'appellante, che "non può ora dolersi del mancato inserimento di previsioni derogatorie alla disciplina dettata dall'art. 49 cod. nav.".

5. Le implicazioni per la determinazione dei canoni secondo il ragionamento del Consiglio di Stato.

5.1. L'applicazione dei valori OMI.

Una volta verificatasi l'acquisizione delle opere al demanio statale, l'amministrazione può legittimamente applicare i criteri di determinazione del canone previsti dall'articolo 1, comma 251, della legge n. 296/2006, che prevedono l'utilizzo dei valori di mercato immobiliare pubblicati dall'Agenzia delle Entrate per le pertinenze destinate ad attività commerciali.

Come chiarito dalla giurisprudenza di merito, "per la determinazione del canone demaniale ai sensi dell'articolo 1 comma 251 della Legge 296/2006, le pertinenze destinate ad attività commerciali devono essere inquadrate nella categoria commerciale e non terziaria quando dall'accertamento in loco risulti che i locali sono adibiti ad attività quali sala ristorante, bar, bazar e servizi accessori".

5.2. La legittimità dell'aumento dei canoni.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento ha confermato che "il disposto incremento dei canoni non è improvviso né inaspettato e non può certo incidere sull'affidamento del privato in quanto tali aumenti perseguono evidenti obiettivi di finanza pubblica e di valorizzazione dei beni pubblici che mira ad una loro maggiore redditività per la collettività".

Prosegue la sentenza in commento che come precisato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 302 del 22 ottobre 2010, "la variazione dei criteri di calcolo dei canoni dovuti dai concessionari di beni demaniali marittimi non scaturisce da una decisione improvvisa e arbitraria del legislatore, ma si inserisce in una linea evolutiva della disciplina dell'uso dei beni demaniali".

6. Le questioni di costituzionalità e compatibilità con la CEDU.

6.1. L'infondatezza delle questioni sollevate.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto "infondate e, comunque, prive di rilevanza ai fini del presente giudizio" le questioni di costituzionalità e di compatibilità con la CEDU dell'art. 49 cod. nav.  prospettate dall'appellante.

Prosegue la sentenza in commento che come chiarito dalla Corte di Giustizia, "l'acquisizione immediata, gratuita e senza indennizzo delle opere non amovibili costruite dal concessionario su tale demanio non può essere considerata come una modalità di cessione forzosa delle opere suddette", in quanto "l'autorizzazione all'occupazione del demanio pubblico marittimo di cui beneficiava la SIIB le conferiva soltanto un semplice diritto di superficie a carattere transitorio sulle opere non amovibili che essa aveva costruito su tale demanio".

6.2. Il diritto di superficie su demanio marittimo.

La sentenza ha chiarito che il concessionario non acquisisce un vero e proprio diritto di superficie ex art. 952 del cod. civ., ma solo "un semplice diritto di superficie a carattere transitorio", che cessa automaticamente con la scadenza della concessione.

Come precisato dalla giurisprudenza amministrativa, "non rileva la configurazione di un presunto diritto di superficie implicito in capo al concessionario, atteso che i diritti reali sono tipici e il diritto di superficie si costituisce mediante contratto, testamento o usucapione, modalità non configurabili nel rapporto concessorio demaniale".

7. Le prospettive future secondo il Consiglio di Stato.

7.1. La valorizzazione degli investimenti.

Il Consiglio di Stato ha evidenziato che "l'art. 49 del codice della navigazione disciplina il rapporto autoritativo tra il concessionario e l'amministrazione, stabilendo che, al termine della concessione, le opere realizzate sul demanio sono acquisite al patrimonio dello Stato senza indennizzo, salve diverse pattuizioni tra le parti".

Tuttavia, la sentenza precisa che "ciò comunque non impedisce di valutare, nell'ambito delle future gare da espletarsi per l'affidamento delle concessioni demaniali marittime e, quindi, dei relativi bandi, la concreta possibilità di riconoscere al concessionario uscente e a carico di quello subentrante l'equa remunerazione degli investimenti effettuati per le opere installate sul demanio marittimo".

7.2. Il bilanciamento degli interessi.

Tale valutazione, si legge nella sentenza, dovrà essere effettuata "caso per caso, in base alle caratteristiche della singola concessione e dell'area demaniale affidata, nonché della natura delle opere incamerate al patrimonio dello Stato, tenendo conto della remuneratività e del complessivo equilibrio economico finanziario della concessione e degli investimenti eventualmente non ammortizzati al termine del pregresso rapporto concessorio".

8. Considerazioni conclusive.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 8024/2025 rappresenta un punto di approdo definitivo nella complessa questione della compatibilità dell'art. 49 cod. nav. con il diritto dell'Unione Europea, confermando la piena legittimità del meccanismo devolutivo previsto dalla normativa italiana.

L'orientamento giurisprudenziale consolidato ha saputo coniugare l'esigenza di tutela del demanio pubblico, che costituisce la ratio della previsione dell'acquisizione automatica, con il rispetto dei principi eurounitari di libertà di stabilimento e di concorrenza, valorizzando la dimensione contrattuale della concessione demaniale che consente alle parti di negoziare eventuali deroghe al regime legale.

E’ utile affermare che la pronuncia conferma, inoltre, l'importanza di un'interpretazione sistematica delle norme sulle concessioni demaniali marittime, che tenga conto non solo del dato letterale ma anche della ratio delle disposizioni e del loro coordinamento con i principi costituzionali e dell'ordinamento dell'Unione europea, in una prospettiva di armonizzazione che valorizzi tanto l'efficienza nella gestione del demanio pubblico quanto la certezza del diritto per gli operatori economici.

 

Pubblicato il 14/10/2025

N. 08024/2025REG.PROV.COLL.

N. 08915/2021 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 8915 del 2021, proposto da
Società Italiana Imprese Balneari S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Roberto Righi e Ettore Nesi, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Comune di Rosignano Marittimo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Renzo Grassi, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Ciaglia in Roma, via Dora, 2;
Ministero dell'Economia e delle Finanze e Agenzia del Demanio, in persona del Ministro e del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione Toscana, Agenzia del Demanio - Direzione Regionale per la Toscana, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) n. 380/2021, resa tra le parti;

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune Rosignano Marittimo, del Ministero dell'Economia e delle Finanze e dell’Agenzia del Demanio;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2025 il consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti gli avvocati Ettore Nesi, Roberto Righi, Alessandra Mineo su delega di Renzo Grassi e l'avvocato dello Stato Laura Greta Verena Delbono;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

1. Con l’appello proposto avverso la sentenza indicata in epigrafe, la Società Italiana Imprese Balneari s.r.l. (SIIB s.r.l.), titolare fin dal 1928 dello stabilimento balneare “Bagni Ausonia” nel Comune di Rosignano Marittimo, località Castiglioncello, ubicato in gran parte su area appartenente al demanio marittimo, ha dedotto di aver legittimamente realizzato nel corso degli anni, in costanza dei titoli concessori ottenuti, susseguitisi nel tempo, a suo dire, senza soluzione di continuità, una serie di manufatti, parte dei quali risultanti da un primo testimoniale di stato di incameramento del 1958, e altri edificati solo successivamente, dal 1964 al 1995.

2. In particolare, l’appellante ha esposto in fatto quanto segue.

2.1. Nel testimoniale di stato del 1958 si evidenziava che con atto novennale del 15 novembre 1948 fu concessa alla società una zona demaniale marittima con uso di opere di proprietà dello Stato costituenti lo stabilimento balneare e, inoltre, che le opere di proprietà dello Stato oggetto del testimoniale di stato del 7 giugno 1948 dovevano essere restituite all'Amministrazione e quelle oggetto della licenza n. 538/1957 dovevano passare in proprietà dello Stato.

2.2. La società, dopo il 1958, realizzò sull’area in concessione ulteriori opere di difficile rimozione, per una superficie pari a 1.365,75 mq (cfr. c.d.m. n. 181/2009), di cui solo 80 mq corrisponderebbero agli annessi descritti nel testimoniale di stato del 1958.

2.3. Con determinazione n. 31787 del 20 novembre 2007 il Comune di Rosignano Marittimo riqualificava le opere incidenti sulla superficie demaniale, ritenute di difficile rimozione, come pertinenze demaniali, reputando che le stesse fossero state acquisite ex lege allo spirare della concessione n. 36/2002 (avente validità dal 1° gennaio 1999 al 31 dicembre 2002), rinnovata con la concessione n. 27/2003; con la medesima determina, cosi come nei successivi ordini di pagamento, il Comune classificava le medesime opere, quantificando in mq. 190,80 la superficie delle pertinenze demaniali.

2.4. Successivamente, con nota n. 27774 del 23 settembre 2008, l’Ente comunicava alla SIIB s.r.l. l’avvio del procedimento per l’incameramento delle pertinenze demaniali non ancora acquisite, senza concludere, però, il relativo iter e rilasciando nelle more alla medesima società la concessione demaniale marittima n. 181/2009.

2.5. In particolare, in quest’ultimo titolo concessorio il Comune constatava che, stando alla relazione prodotta dalla società istante relativamente alla concessione n. 27/2003, la superficie in concessione (pari a mq. 2.799,56) comprendeva mq. 863,17 di specchio acqueo e mq. 1365,75 di opere di difficile rimozione (costituenti pertinenze demaniali, di cui mq. 273 già individuati come tali dal testimoniale di stato del 1958, mentre le rimanenti erano oggetto del procedimento di incameramento avviato in data 23 settembre 2008).

2.6. Tuttavia, con i successivi ordini di introito per gli anni dal 2009 al 2014, il Comune seguitava a richiedere il pagamento dei canoni "pertinenziali" con esclusivo riferimento al bar-ristorante (avente superficie di mq 190,80), qualificando le restanti opere incidenti sull'area demaniale come opere di difficile rimozione.

2.7. In base a quanto disposto dall’art. 1 del d.P.G.R. 24 settembre 2013 n. 52/R (che, nel modificare il d.P.G.R. 18/2001/R, vi aveva inserito l’art. 44 bis per cui «sono classificate di facile rimozione e sgombero le costruzioni e le strutture utilizzate ai fini dell’esercizio di attività turistico-ricreative, realizzate sia sopra che sotto il suolo in aree demaniali marittime oggetto di concessione che, in relazione ai materiali utilizzati ed alle tecnologie costruttive, in coerenza con le disposizioni del piano d’indirizzo territoriale (PIT), possono essere completamente rimosse utilizzando le normali modalità offerte dalla tecnica, con conseguente restituzione in pristino dei luoghi nello stato originario, in non più di novanta giorni»), la SSIB s.r.l. presentava, in data 28 gennaio 2014, una dichiarazione secondo la quale tutte le opere incidenti sull’area demaniale erano di facile rimozione.

2.8. Seguiva la determinazione del Comune n. 5038 del 3 febbraio 2014 di riconoscimento di tale qualità.

2.9. Il suddetto riconoscimento di facile rimovibilità dei manufatti veniva, però, successivamente dichiarato “nullo”, in autotutela, dalla medesima Amministrazione comunale con nota del 26 novembre 2014, sul presupposto che sull’area demaniale data in concessione incidessero beni già acquisiti dallo Stato ex art. 49 cod. nav.

3. La SIIB s.r.l. impugnava tale provvedimento con ricorso straordinario al Capo dello Stato, poi trasposto dinanzi al TAR della Toscana.

3.1. Nel corso del procedimento di proroga della concessione demaniale n. 181/2009, richiesta fino al 31 dicembre 2020, con il provvedimento n. 17432 del 16 aprile 2015 il Comune, riaffermando la qualificazione di pertinenze demaniali ex art. 29 cod. nav. dei fabbricati edificati sull’area in concessione, rideterminava altresì i canoni dovuti dalla SIIB s.r.l. nel periodo 2009-2015, provvedendo con altri atti a liquidare anche le somme dovute per gli anni successivi.

3.2. Anche tali provvedimenti erano impugnati dalla SIIB s.r.l. con altro ricorso straordinario al Capo dello Stato, poi trasposto dinanzi al T.a.r. Toscana.

3.3. Successivamente, con autonomo ricorso al medesimo Tribunale amministrativo, la società concessionaria impugnava gli ordini di introito mediante i quali il Comune aveva liquidato i canoni dovuti sia per l'anno 2016, sia per l'anno 2017, e con motivi aggiunti al ricorso impugnava altresì gli ordini di introito per gli anni 2018-2020.

3.4. Con i motivi proposti, la ricorrente, oltre a lamentare la violazione delle garanzie partecipative, formulava plurime censure di violazione di legge (in particolare, con riferimento agli artt. 2, 3, 41 e 97 della Costituzione, agli artt. 3, 4 e 11 delle preleggi, all’art. 17 del codice della navigazione, all’art. 1, comma 251, della legge n. 296/2006, agli artt. 29 e 49 del codice della navigazione, agli artt. 934 e 936 cod. civ.) ed eccesso di potere (per carenza di istruttoria e dei presupposti, contraddittorietà, illogicità, disparità di trattamento, violazione dei principi di proporzionalità e adeguatezza dell’azione amministrativa).

3.5. Nello specifico la SIIB s.r.l. contestava i presupposti sui quali erano basati gli atti impugnati, assumendo l’erroneità della quantificazione delle pertinenze demaniali operata dal Comune e della stessa qualificazione come pertinenze demaniali dei manufatti realizzati dopo l’incameramento del 1958 (il quale sarebbe stato, peraltro, inefficace in quanto antecedente al rinnovo della concessione).

La ricorrente sosteneva, infatti, che, per quanto riguarda le opere successive al 1958, l’accessione ex art. 49 del codice della navigazione non si verifica allorché la concessione sia stata rinnovata prima della sua scadenza.

I manufatti installati dopo il 1958 non erano dunque di proprietà dello Stato, tant’è che la determinazione del 3 febbraio 2014 aveva qualificato le opere come di facile rimozione alla stregua dei criteri di cui all’art. 44 bis del d.P.G.R. n. 18/R/2001 (il quale aveva innovato la classificazione delle opere di facile rimozione incidenti sul demanio marittimo).

Pertanto, l’incameramento disposto in assenza dei presupposti di cui all’art. 49 del codice della navigazione sarebbe stato inefficace.

3.6. Inoltre, posto che la concessione demaniale non può disporre dei beni del privato, la concessione n. 181/2009 era, quindi, nulla nella parte in cui ha qualificato come pertinenze demaniali le opere di difficile rimozione; essa era comunque contraddetta dagli ordini di introito emessi per gli anni dal 2009 al 2014, con i quali sono stati richiesti canoni pertinenziali con esclusivo riferimento al bar ristorante (avente superficie pari a mq. 190,80, di cui solo mq. 80 sarebbero riconducibili ai manufatti incamerati nel 1958), essendo state le restanti opere qualificate come di difficile rimozione.

3.7. Inoltre, poiché le opere realizzate sul suolo demaniale dopo il 1958 erano di proprietà del privato concessionario e non dello Stato, per esse non era dovuto un ulteriore canone, in base a quanto previsto dall’art. 1, comma 251, punto 1, lett. b, della legge n. 296/2006.

Dato che i beni dello stabilimento balneare sono oggetto di diritto di superficie la ricorrente non doveva corrispondere un canone per il godimento di un bene di sua proprietà; in ogni caso, dalla qualificazione dei manufatti in questione come beni oggetto di diritto superficiario in capo alla concessionaria discendeva la necessità di rideterminare il canone dovuto.

3.8. La ricorrente lamentava poi la violazione degli artt. 49 e 56 TFUE, degli artt. 42 e 117 della Costituzione in relazione al Primo Protocollo addizionale della CEDU adottato il 20 marzo 1952.

Al riguardo sosteneva che il diritto dell’Unione Europea osta a norme, come l’art. 49 del codice della navigazione, comportanti l’acquisizione senza indennizzo di beni del concessionario, con la conseguenza che l’atto di incameramento andava disapplicato, eventualmente previo rinvio della questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

La società censurava anche la violazione dei principi del diritto eurounitario in tema di legittimo affidamento e certezza del diritto, deducendo che l’aumento abnorme del canone (ritenuto erroneamente applicabile anche ai rapporti concessori in corso o sottoposti a rinnovo ex lege) aveva leso il suo legittimo affidamento.

3.9. Si costituivano in giudizio il Comune di Rosignano Marittimo, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia del Demanio, chiedendo il rigetto delle impugnazioni.

4. Con la sentenza n. 380 del 10 marzo 2021, il Tar Toscana, previa riunione dei ricorsi, li ha respinti integralmente, così come i motivi aggiunti proposti dalla società.

5. Contro tale decisione la SIIB s.r.l. ha proposto appello dinanzi al Consiglio di Stato, formulando nove motivi di impugnazione, così rubricati:

“I. - Violazione e falsa applicazione art. 21-octies legge n. 241/1990; - contraddittorietà della motivazione;

II. - Violazione artt. 2, 3, 11, 24, 42, 100, 103, 111 e 117 cost.; - violazione art. 21-septies legge n. 241/1990; - violazione artt. 29, 36 e 49 codice della navigazione; - violazione artt. 934 e 936 cod. civile; - omessa pronuncia;

III. - Violazione e falsa applicazione art. 49 cod. nav.; - insufficienza della pronuncia su di un punto decisivo della controversia;

IV. – Ulteriore violazione artt. 29 e 49 cod. nav.; - insufficienza della motivazione circa un punto decisivo della controversia;

V. – Violazione artt. 63, 64, 66 e 67 c.p.a.; - omessa pronuncia;

VI. - Violazione art. 2, 3, 41, 97 cost. - violazione dell'artt. 49 e 56 TFUE; - violazione artt. 42 e 117 cost. in relazione al 1° protocollo addizionale alla CEDU adottato il 20.3.1952 e reso esecutivo con legge 4.8.1955, n. 848; - violazione artt. 934 e 936 cod. civile;

VII. - Violazione e falsa applicazione art. 3 comma 1° d.l. 5 ottobre 1993 n. 400 conv. in legge 4 dicembre 1993 n. 494, come sostituito dall’art. 1 comma 251 legge 27 dicembre 2006 n. 296 (legge finanziaria 2007). - violazione artt. 49 e 56 TFUE; - violazione dei principi desumibili dal diritto dell'unione in tema di legittimo affidamento e di certezza del diritto;

VIII. – Ulteriore violazione artt. 49 e 56 TFUE; - ulteriore violazione dei principi desumibili dal diritto dell'unione in tema di legittimo affidamento e di certezza del diritto;

IX. Erroneità della sentenza circa l’obbligo di rideterminare i canoni demaniali per gli anni 2007/2020.”

6. Si sono costituiti in resistenza il Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’Agenzia del Demanio e il Comune di Rosignano Marittimo, chiedendo il rigetto dell’appello, in quanto infondato.

7. All’esito dell’udienza pubblica del 28 giugno 2022, con l’ordinanza n. 8010 del 15 settembre 2022 questa Sezione ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE, la seguente questione pregiudiziale: “Se gli artt. 49 e 56 TFUE ed i principi desumibili dalla sentenza Laezza (C- 375/14) ove ritenuti applicabili, ostino all’interpretazione di una disposizione nazionale quale l’art. 49 cod. nav. nel senso di determinare la cessione a titolo non oneroso e senza indennizzo da parte del concessionario alla scadenza della concessione quando questa venga rinnovata, senza soluzione di continuità, pure in forza di un nuovo provvedimento, delle opere edilizie realizzate sull’area demaniale facenti parte del complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa balneare, potendo configurare tale effetto di immediato incameramento una restrizione eccedente quanto necessario al conseguimento dell’obiettivo effettivamente perseguito dal legislatore nazionale e dunque sproporzionato allo scopo”.

7.1. Con l’ordinanza n. 184 del 6 settembre 2023, la Sezione ha reso i chiarimenti richiesti dalla Corte di Giustizia in ordine a taluni fatti del giudizio principale ai sensi dell’articolo 94 del Regolamento di procedura (in particolare, al fine di vagliare la sussistenza dei presupposti per la ricevibilità del rinvio pregiudiziale).

7.2. La Corte di Giustizia si è pronunciata sulla questione pregiudiziale con la sentenza dell’11 luglio 2024 resa nella causa C-598/22.

7.3. Venuta meno la causa di sospensione del giudizio e fissata l’udienza pubblica su istanza della società appellante, le parti hanno depositato memorie e repliche, insistendo nelle rispettive conclusioni.

7.4. In particolare:

a) l’appellante ha insistito per l’accoglimento del gravame; ha prospettato questioni di legittimità costituzionale e domandato il rinvio alla CEDU; ha evidenziato che i beni in questione sono beni aziendali e richiamato le sentenze della Corte di Giustizia che hanno ritenuta illegittima una disciplina che spogli l’affittuario d’azienda, senza indennizzo, dei frutti dei propri investimenti;

b) il Comune, oltre a riportarsi ai precedenti scritti richiamando integralmente le argomentazioni difensive ivi sviluppate, ha depositato una relazione in cui ha riepilogato tutte le vicende che hanno interessato nel tempo lo stabilimento balneare (i.e. il testimoniale di Stato del 1958; la successiva costruzione delle opere; gli atti di riqualificazione delle opere come pertinenze demaniali; la concessione del 2003; la concessione del 2009); ha quindi ribadito la correttezza del proprio operato, anche con riferimento al ricalcolo dei canoni demaniali maggiorati per l’esistenza di pertinenze demaniali;

c) l’Agenzia del Demanio ha chiesto il rigetto dell’appello.

7.4. All’udienza pubblica del 25 febbraio 2025 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Occorre innanzitutto riepilogare le statuizioni della sentenza appellata.

2. Il giudice di prime cure ha rigettato i ricorsi e i motivi aggiunti proposti dalla SIIB s.r.l. evidenziando che sia il testimoniale di stato del 1958, sia la concessione del 2009 hanno prodotto effetti che si sono consolidati nel tempo, in quanto la ricorrente mai li aveva contestati in parte qua prima della proposizione dei ricorsi.

2.1. In particolare, il Tar ha rilevato che la concessione demaniale n. 181/2009 indica mq. 273 di pertinenze demaniali individuate nel testimoniale di stato, su mq. 1365 di opere di difficile rimozione configurate nella concessione stessa come ulteriori pertinenze demaniali. In particolare, la concessione demaniale n. 181/2009 puntualizza, alla pagina 2, la situazione delle pertinenze demaniali marittime esistente già prima della concessione n. 27/2003, scaduta il 31 dicembre 2008.

2.2. Con la firma di tale concessione, la ricorrente ha accettato tale indicazione e tale qualificazione; inoltre, non ha impugnato nei termini la concessione in parte qua, né ha sottoscritto con riserva la parte della concessione dedicata alle superfici affidatele in gestione, prestandovi così acquiescenza. Peraltro almeno una parte delle pertinenze demaniali furono qualificate come tali già nel testimoniale del 1958, non contestato a suo tempo dall’interessata.

2.3. Inoltre, il Tar ha rilevato che la concessione demaniale n. 181/2009, all’art. 3, reca anche la clausola secondo cui “Le opere di difficile rimozione restano acquisite allo Stato, ai sensi dell’art. 49 del codice della navigazione, senza alcun indennizzo, compenso, risarcimento o rimborso di sorta…”.

2.4. Poiché tale clausola, unitamente all’identificazione delle pertinenze demaniali di cui alla pagina 2 della concessione in argomento, era lesiva per la concessionaria, quest’ultima avrebbe dovuto impugnarla entro il termine decadenziale di sessanta giorni stabilito dall’art. 29 c.p.a.; non avendovi provveduto, la ricorrente non poteva sollevare questioni di asserita illegittimità della concessione demaniale nella parte relativa alla quantificazione delle pertinenze demaniali marittime e alla loro riconosciuta acquisizione al patrimonio dello Stato.

2.5. A tali considerazioni il Tar ha aggiunto la riflessione per la quale non avrebbe potuto neppure “invocarsi la nullità della concessione demaniale (sottoscritta dall’interessata e non impugnata nei termini in parte qua), in quanto non vi è una carenza assoluta di potere dell’amministrazione in ordine alla devoluzione al patrimonio pubblico delle opere di difficile rimozione, costituenti pertinenze demaniali”.

2.6. A supporto del proprio ragionamento, la sentenza ha richiamato la giurisprudenza del Consiglio di Stato sul verificarsi della devoluzione al momento dello scadere della concessione, ancorché rinnovata (Cons. Stato, VI, 3 dicembre 2018, n. 6850), aggiungendo anche che “la qualificazione di opere di difficile rimozione e pertinenze demaniali marittime sancita alla pagina 2 della concessione demaniale e la statuizione (espressa nell’art. 3, pagina 6) secondo cui esse restano acquisite allo Stato ai sensi dell’art. 49 del codice della navigazione non è frutto di decisione unilaterale dell’amministrazione ma di ricognizione concordata e recepita nel titolo concessorio sottoscritto da entrambe le parti”.

2.7. Tale argomentazione è stata ulteriormente sviluppata nella decisione appellata, la quale ha escluso il verificarsi, per effetto dell’applicazione dell’art. 49 del codice della navigazione, di una “surrettizia espropriazione senza indennizzo”: ciò in quanto, stante l’inciso contenuto nella norma “salvo che sia diversamente stabilito nell’atto”, la regola dell’acquisizione gratuita è condizionata dal consenso delle parti, le quali potrebbero prevedere un diverso regime giuridico delle pertinenze demaniali marittime nella formulazione dell’atto di concessione (ad esempio prevedere un corrispettivo economico a carico dell’ente pubblico).

2.8. Su tali basi, la sentenza impugnata ha concluso che se il privato, prima dell’affidamento del bene, non ha espresso un contrario avviso all’effetto della devoluzione al patrimonio statale, significa che ha accettato la mancanza della diversa pattuizione ammessa dall’art. 49 del codice della navigazione.

3. L’appellante ha censurato la sentenza impugnata, sostenendo la contrarietà dell’effetto di incameramento delle opere difficilmente amovibili realizzate su area demaniale in corso di concessione (nell’ipotesi di rinnovo del titolo) e senza indennizzo al diritto eurounitario e, in particolare, al principio di proporzionalità delle restrizioni delle libertà fondamentali sancito dagli artt. 49 e 56 TFUE rispetto alla realizzazione degli obiettivi di interesse generale perseguiti, enucleato dalla Corte di Giustizia nella sentenza Laezza, seppure in materia di concessione di servizi (Corte di Giustizia Sez. III, 28 gennaio 2016 in C – 375/14).

Sul rilievo che l’istituto dell’accessione ex art. 49 cod. nav. rispondeva all’esigenza di assicurare che le opere non amovibili destinate a restare sul territorio o ad essere rimosse con inevitabile distruzione finissero nella piena disponibilità dell’ente proprietario dell’area ai fini di una sua corretta gestione per prevalenti finalità di interesse pubblico, l’appellante ha sostenuto che tale esigenza non poteva essere ritenuta attuale quando il titolo concessorio, anziché andare a scadenza o essere anzitempo revocato per l’utilizzo improprio dell’area, fosse stato rinnovato senza soluzione di continuità come nel suo caso. Nella specie, l’operatività dell’accessione ex art. 49 cod. nav. si sarebbe, dunque, rivelata “abnorme, ingiusta ed ingiustificata”, producendo l’effetto di rendere meno allettante lo stabilimento di operatori economici degli altri Stati membri che fossero stati interessati al medesimo bene e imponendo al concessionario un sacrificio sproporzionato dei suoi diritti, consistente nella cessione non onerosa di suoi beni in favore dello Stato in un momento nel quale, come detto, ancora non risultavano evidenti le necessità pubblicistiche tutelate dal medesimo art. 49 cod. nav

Non decisiva, al fine di determinare il regime dominicale di beni insistenti sul demanio sarebbe, poi, stata la qualificazione di tali beni recata dalla concessione demaniale marittima n. 181/2009, perché tale titolo non avrebbe potuto disporre utilmente di un bene privato così da determinarne il trasferimento autoritativo all’Amministrazione.

Né, ad escludere la contrarietà al diritto comunitario, si sarebbe potuta considerare l’originaria acquiescenza prestata dal concessionario al futuro incameramento ex art. 49 cod. nav. come erroneamente inteso dal TAR, che aveva valorizzato l’inciso della norma che faceva “salvo il patto contrario”: e ciò poiché quando la SIIB s.r.l. era divenuta affidataria della concessione essa poteva fare affidamento sul cd. diritto di insistenza di cui all’art. 37 cod. nav., solo successivamente eliminato.

4. I motivi di appello avverso la sentenza di primo grado possono essere, in particolare, così sintetizzati.

4.1. Con il primo motivo, l’appellante lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 21 octies della l. n. 241/1990 e contraddittorietà della motivazione, in relazione all’annullamento della nota di riconoscimento della facile rimovibilità delle opere realizzate sull’area in concessione del 3 febbraio 2014, non preceduta da alcun avviso di avvio del procedimento, che le avrebbe permesso di rappresentare all’Amministrazione le sue ragioni anteriormente all’adozione del provvedimento lesivo, in modo da evitarne l’emissione.

La motivazione della sentenza sarebbe contraddittoria in quanto se, da un lato, ha osservato che la determinazione del 26 novembre 2014 è un atto di natura provvedimentale “autonomamente lesivo”, configurandosi «anche come dichiarazione di nullità, in autotutela, della precedente nota del 3.2.2014, con la quale il Comune aveva accettato la perizia tecnica di parte che aveva qualificato le opere come di facile rimozione», dall’altro ha però ritenuto che l’avviso di avvio del procedimento non sarebbe stato necessario e che “in ogni caso” non sarebbero stati lesi i diritti partecipativi della ricorrente.

Secondo l’appellante, quand’anche la determinazione n. 5038/2014 fosse stata nulla e non meramente illegittima, il carattere vincolato e doveroso del suo ritiro non costituiva valido motivo per omettere il rispetto delle garanzie partecipative in situazioni peculiari e giuridicamente complesse come quella in questione.

4.2. Il secondo motivo di appello deduce la violazione degli artt. 2, 3,11, 24, 42, 100, 103, e 107, 111 e 117 Cost., anche alla luce dell'art. 6, e dell'art. 1, del Protocollo Addizionale CEDU, dell’art. 21 septies della l.n. 241/1990, degli artt. 29, 36 e 49 del codice della navigazione e degli artt. 934 e 936 c.c., nonché l’omessa pronuncia in cui sarebbe incorsa la sentenza, poiché i giudici di prime cure non avrebbero adeguatamente considerato la parziale nullità della concessione demaniale n. 181/2009, nella parte in cui avrebbe attribuito allo Stato la proprietà di manufatti non ancora acquisiti al demanio ex art. 49 cod. nav., qualificando come pertinenze demaniali opere che erano di proprietà privata.

Il Tar avrebbe errato sia nel dare rilievo alla situazione dominicale desumibile dalla concessione demaniale marittima n. 181/2009 (la quale aveva indicato «mq. 273 di pertinenze demaniali individuate nel testimoniale di stato, su mq. 1365 di opere di difficile rimozione configurate nella concessione stessa come ulteriori pertinenze demaniali»), sia nell’attribuire rilevanza alla sottoscrizione senza riserve della medesima concessione da parte della S.I.I.B. S.r.l.

Sotto il primo profilo, si deduce che la concessione demaniale marittima non può disporre utilmente di un bene privato così da determinarne il trasferimento autoritativo alla pubblica amministrazione.

Quanto al secondo profilo, si censura la statuizione secondo cui la concessione n. 181/2009, essendo stata sottoscritta senza riserve dalla società ricorrente, sarebbe ormai incontestabile in quanto frutto di una “ricognizione concordata”.

4.3. Il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 49 cod.nav, insufficienza della pronuncia su di un punto decisivo della controversia, in quanto successivamente al testimoniale di stato del 1958, che dava atto dell’incameramento da parte dello Stato di alcuni fabbricati e strutture, nessun altro manufatto era stato acquisito al demanio, rimanendo, dunque, nella proprietà della SIIB s.r.l.; pertanto quest’ultima, diversamente da quanto affermato dal Tar, sarebbe legittimata a rivendicare la titolarità delle opere impiantate sull’area avuta in concessione successivamente all’incameramento del 1958.

Nello specifico tra le opere mai incamerate dallo Stato andrebbero ricomprese la maggior parte del bar ristorante, avente una superficie di mq 190,80, dei quali solo mq 80,00 potrebbero essere ricondotti agli annessi incamerati nel 1958, e il lastrico solare, realizzato nel 1978 e avente una superficie di 175 mq.

4.4. Il quarto motivo lamenta ulteriore violazione degli artt. 29 e 49 cod. nav, insufficienza della motivazione circa un punto decisivo della controversia, non essendosi, in realtà, mai concluso il procedimento di incameramento iniziato nel 2008 ed avendo il TAR confuso i concetti di pertinenza edilizia e pertinenza demaniale.

La sentenza sarebbe, dunque, erronea anche nella parte in cui pur dando atto della mancata conclusione del procedimento di incameramento ha condiviso la tesi del Comune secondo la quale tutte le opere realizzate sull’area demaniale in concessione successivamente al 1958 sarebbero state ex lege acquisite dallo Stato.

4.5. Con il quinto motivo l’appellante critica la sentenza per violazione degli artt. 63, 64, 66 e 67 c.p.a., omessa pronuncia, poiché i giudici di prime cure non si sarebbero pronunciati sulla richiesta di CTU avanzata dall’appellante in primo grado proprio per individuare “la consistenza dei beni realizzati successivamente all’anno 1958 dal concessionario in seno allo stabilimento Bagni Ausonia”.

4.6. Con il sesto motivo, la SIIB ha contestato la decisione impugnata per violazione degli artt. 2, 3, 41 e 97 della Costituzione, degli artt. 49 e 56 TFUE, degli artt. 42 e 117 della Costituzione, anche in relazione al Primo Protocollo addizionale alla CEDU, e degli artt. 934 e 936 c.c., sostenendo la contrarietà dell’incameramento dei beni da parte dello Stato in corso del rapporto di concessione demaniale e senza indennizzo al diritto unionale.

Da tale contrasto discenderebbe l’impossibilità di dare applicazione all’art. 49 cod. nav. e per l’effetto la necessità di determinare il canone demaniale marittimo, dovuto da S.I.I.B. S.r.l., senza qualificare pertinenziali parte delle opere edilizie che compongono lo stabilimento balneare Ausonia.

Quanto poi alla originaria acquiescenza prestata da S.I.I.B. S.r.l. al futuro incameramento ex art. 49 cod. nav., il T.A.R. avrebbe omesso di considerare che, all’epoca dell’affidamento della concessione, operava il c.d. diritto di insistenza ex art. 37 cod. nav. a favore dei concessionari, i quali secondo la disciplina del tempo non avevano interesse ad inserire contro eventuali deroghe convenzionali nel titolo concessorio.

La fattispecie acquisitiva disciplinata dall'art. 49 cod. nav., che prevede, alla scadenza del termine della concessione, la cessione forzosa e senza indennizzo allo Stato dei beni materiali e immateriali che compongono l'azienda del concessionario, contrasterebbe con i principi affermati dalla Corte di Giustizia nella sentenza Laezza (Sez. III, 28 gennaio 2016, in C-375/14), in quanto una siffatta previsione renderebbe meno allettante l’esercizio dell’attività di impresa, costituendo una misura abnorme e sproporzionata.

L’appellante ha, quindi, formulato istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE circa la compatibilità dell’art. 49 cod. nav. con il diritto eurounitario.

4.7. Con il settimo motivo l’appellante ha lamentato violazione e falsa applicazione dell’art. 3 comma 1 del D.L. n. 400 del 5 ottobre 1993, conv. in l.n. 494/1993, come sostituito dall’art. 1 comma 251 della l.n. 296/2006, degli artt. 49 e 56 TFUE e dei principi desumibili dal diritto dell’Unione in tema di legittimo affidamento e di certezza del diritto per il rilevantissimo aumento della misura del canone determinato dalla citata legge del 2006 che avrebbe inaspettatamente e gravemente alterato il sinallagma contrattuale della concessione.

4.8. L’ottavo motivo di appello deduce l’erroneità della sentenza impugnata sotto il profilo dell’ulteriore violazione degli artt. 49 e 56 TFUE e dei principi desumibili dal diritto dell’Unione in tema di legittimo affidamento e di certezza del diritto che non avrebbero consentito a provvedimenti normativi sopravvenuti (segnatamente l'art. 1, comma 251°, della legge 27 dicembre 2006, n. 296) di influire in maniera così incisiva sui rapporti concessori in corso (in particolare, sulle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative, rilasciate anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 296/2006, che hanno beneficiato di rinnovi prima ai sensi dell'art. 37 cod. nav. e poi ai sensi dell'art. 10 legge 16 marzo 2001, n. 88), qualificabili come “rapporti pluriennali a durata infinita o indeterminata”.

4.8.1. Con il settimo e l’ottavo motivo l’appellante, oltre a dedurre l’erroneità della sentenza laddove ha ritenuto applicabile la novella del 2006 anche ai rapporti concessori in corso, ha quindi formulato ulteriore istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ex art. 267 TFUE circa la compatibilità con il diritto comunitario (in particolare, con gli artt. 49 e 56 TFUE) dell'art. 1, comma 251, legge n. 296/2006.

4.9. Infine, con il nono motivo l’appellante assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto corretta la determinazione dei canoni demaniali di cui ai provvedimenti impugnati, poiché dalla fondatezza dei ricorsi proposti in primo grado sarebbe derivato anche l’obbligo per l’Amministrazione di rideterminare al ribasso i canoni richiesti per il periodo 2007-2020.

5. Nella memoria conclusiva ex art. 73 cod. proc. amm. del 24 gennaio 2025, l’appellante ha ulteriormente illustrato le proprie tesi difensive, rilevando che il decisum della Corte di Giustizia non esaurisce le questioni sollevate dall’appello e ribadendo, in particolare, le argomentazioni già sviluppate in merito ai seguenti profili:

a) in base al vigente art. 49 cod. nav. SIIB s.r.l non aveva alcuna possibilità di negoziare con l’Amministrazione concedente l’indennizzo spettante per le opere realizzate in corso di concessione e destinate ad essere incamerate dallo Stato;

b) permangono dubbi di irragionevolezza dell’art. 49 cod. nav., illustrati da questa Sezione nelle ordinanze di rinvio ex art. 267 TFUE (in particolare nell’ordinanza di chiarimenti n. 8184/2023), in quanto nella costante prassi amministrativa l’amministrazione concedente ha accordato ai concessionari la facoltà di realizzare sulla superficie demaniale opere strumentali all’impresa balneare, senza però regolamentare anteriormente alla stipula della concessione contratto i relativi aspetti;

c) le nozioni di opera “non amovibile” o di “difficile amovibilità” che è presupposto fattuale dell’effetto devolutivo dell’opera realizzata durante il rapporto concessorio in favore del demanio marittimo, così come il concetto di “soluzione di continuità” che determina il momento acquisitivo di cui all’art. 49 cod. nav., non soddisfa il requisito di prevedibilità della base legale imposto dalla CEDU in base alla rilevante giurisprudenza dell’Art. 1 Protocollo Addizionale della Convenzione;

d) l’imprevedibilità e la vaghezza della fattispecie ex art. 49 censurata, sono ulteriormente aggravate dall’assenza di un corredo adeguato di garanzie procedurali volte a contestare ex post un’applicazione arbitraria o contraddittoria della misura afflittiva;

e) la concessione demaniale marittima non può disporre utilmente di un bene privato

così da determinarne il trasferimento autoritativo alla mano pubblica; una concessione demaniale marittima che disponesse di un bene privato qualificandolo come demaniale sarebbe un atto totalmente nullo e perciò inefficace, siccome assunto in carenza di potere;

f) quand’anche si escludesse che la cessione gratuita delle opere inamovibili realizzate sull’area demaniale a favore dello Stato non costituisca una forma di espropriazione indiretta, vi sarebbe comunque “una regolamentazione dell’uso dei beni” carente dei requisiti della legalità e proporzionalità, per assenza di indennizzo, anche in relazione alla maggiorazione dei canoni concessori;

g) qualora si ritenesse efficacemente avvenuto l’incameramento dei beni ai sensi dell’art. 49 cod. nav. sarebbe allora rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità che è stata prospettata nel secondo e nel sesto motivo di appello, in quanto il meccanismo acquisitivo di cui all’art. 49 cod. nav. conculca infatti diritti soggettivi, quali il diritto di superficie e la piena proprietà del compendio aziendale;

h) la disciplina recata dall’art. 49 cod. nav., oltre a violare il diritto di proprietà, contrasterebbe con l’orientamento del giudice europeo secondo cui «una disciplina comunitaria che avesse per effetto di spogliare l'affittuario, alla scadenza del contratto di affitto, del frutto del proprio lavoro o degli investimenti effettuati nell'azienda affittata, senza indennizzo, sarebbe in contrasto con le esigenze inerenti alla tutela dei diritti fondamentali nell'ordinamento giuridico comunitario» (C.G., Sez. III, 13 luglio 1989, in C-5/88, Hubert Wachauf, punto 19).

6. L’appello deve essere respinto, in quanto i motivi proposti sono infondati.

7. La sentenza di primo grado merita, infatti, di essere integralmente confermata, pur con le integrazioni e precisazioni di seguito specificate, alla luce dei principi affermati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulle questioni pregiudiziali rimesse da questa Sezione con l’ordinanza n. 8010 del 15 settembre 2022.

8. Come già evidenziato in tale ordinanza, la questione dirimente da affrontare nel caso di specie concerne l'applicazione ai manufatti presenti nell'area in concessione dell'art. 49 del Codice della navigazione, al fine di accertate l'avvenuta acquisizione degli stessi da parte del demanio, alla scadenza della concessione, ancorché rinnovata, con conseguente applicazione del canone maggiorato, di cui all'art. 1, comma 251, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 alle opere edilizie interessate, in quanto da considerare quali pertinenze demaniali.

8.1. Secondo l'art. 49 del Codice della navigazione "Salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell'autorità concedente di ordinarne la demolizione, con restituzione del bene demaniale al pristino stato".

Dunque l’art. 49 cod. nav., che prevede l’istituto giuridico della “Devoluzione delle opere allo Stato”, regola la destinazione delle opere che siano state realizzate dal concessionario sul demanio marittimo, le quali, se inamovibili, passano in proprietà allo Stato, senza la previsione di alcun indennizzo.

8.2. In particolare, tale disposizione - che richiama l'istituto dell'accessione, di cui all'art. 934 c.c. (con deroga al principio dell'indennizzo di cui al successivo art. 936: si veda al riguardo Cass. Civ., sez. I, 14 febbraio 2017, n. 3842) - è stata interpretata dalla giurisprudenza amministrativa maggioritaria nel senso che l'acquisto si verifica ipso iure, al termine del periodo di concessione e va applicata anche in caso di rinnovo della concessione stessa, implicando il rinnovo - a differenza della proroga - una nuova concessione in senso proprio, dopo l'estinzione della concessione precedente alla relativa scadenza, con automatica produzione degli effetti acquisitivi in questione di cui al predetto art. 49.

In base a tale indirizzo giurisprudenziale, richiamato anche dalla citata ordinanza di rinvio, solo nel caso in cui il titolo concessorio sia stato oggetto di rinnovo automatico prima della data di naturale scadenza della concessione ("tanto da configurare il rinnovo stesso, al di là del nomen iuris, una piena proroga dell'originario rapporto senza soluzione di continuità") il richiamato principio dell'accessione gratuita di cui all'art. 49 Cod. nav. non troverebbe applicazione, “sicché le opere realizzate dai concessionari sulla superficie demaniale …(resterebbero in tal caso) ai sensi dell’art. 952 c.c., di esclusiva proprietà privata c.d. superficiaria fino al momento dell’effettiva scadenza o revoca anticipata della concessione (e) per essi non (sarebbe) …dovuto un canone ulteriore, essendo tenuto il concessionario a corrispondere un canone commisurato alla occupazione del suolo demaniale con impianti di facile/difficile rimozione, così come previsto dall'art. 1, comma 251, punto 1, lett. b), l.n. 296/2006” (Cons. St., Sez. VI, 13 gennaio 2022 n. 229).

8.3. La disposizione, nel prevedere, alla scadenza di una concessione e salva una diversa pattuizione nell’atto di concessione, il trasferimento allo Stato delle opere che non possono essere rimosse, è volta a garantire che il demanio marittimo rimanga patrimonio pubblico ed è dunque espressione del principio di inalienabilità del demanio pubblico.

8.4. Tuttavia, poiché secondo l’interpretazione prevalente della norma, salvo patti contrari la cessione delle opere inamovibili realizzate nell’area concessa da parte del concessionario deve avvenire “immediatamente, gratuitamente e senza indennizzo” e “anche in caso di rinnovo della concessione”, ciò determinando la sussistenza di ragionevoli dubbi circa la compatibilità di tale disciplina con il diritto eurounitario, il Consiglio di Stato ha rimesso ex art. 267 TFUE la relativa questione pregiudiziale.

8.5. Con la sentenza dell’11 luglio 2024, resa nella causa C-598/22, che ha deciso la domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione degli articoli 49 e 56 TFUE e sulla compatibilità con i medesimi della disciplina recata dall’art. 49 del codice della navigazione, all’esito degli ulteriori chiarimenti richiesti al giudice rimettente, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato il seguente principio di diritto: «L’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che: esso non osta ad una norma nazionale secondo la quale, alla scadenza di una concessione per l’occupazione del demanio pubblico e salva una diversa pattuizione nell’atto di concessione, il concessionario è tenuto a cedere, immediatamente, gratuitamente e senza indennizzo, le opere non amovibili da esso realizzate nell’area concessa, anche in caso di rinnovo della concessione».

8.6. In particolare, la Corte di Giustizia, premesso che “tutti gli operatori economici si trovano ad affrontare la medesima preoccupazione, che è quella di sapere se sia economicamente sostenibile presentare la propria candidatura e sottoporre un’offerta ai fini dell’attribuzione di una concessione sapendo che, alla scadenza di quest’ultima, le opere non amovibili costruite saranno acquisite al demanio pubblico”, ha innanzitutto precisato che l’articolo 49, primo comma, del codice della navigazione non ha la finalità di disciplinare le condizioni relative allo stabilimento dei concessionari autorizzati a gestire un'attività turistico-ricreativa sul demanio pubblico marittimo italiano, prevedendo essa “soltanto che, alla scadenza della concessione e salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, le opere non amovibili costruite dal concessionario saranno incamerate immediatamente e senza compensazione finanziaria nel demanio pubblico marittimo”.

In questo senso, secondo la Corte la norma si limita a trarre le conseguenze dei principi fondamentali del demanio pubblico, tenuto conto che “l’appropriazione gratuita e senza indennizzo, da parte del soggetto pubblico concedente, delle opere non amovibili costruite dal concessionario sul demanio pubblico costituisce l’essenza stessa dell’inalienabilità del demanio pubblico” (paragrafo 53 della motivazione).

8.7. Tale principio di inalienabilità, come rammentato dalla Corte di Giustizia, implica segnatamente che “il demanio pubblico resta di proprietà di soggetti pubblici e che le autorizzazioni di occupazione demaniali hanno carattere precario, nel senso che esse hanno una durata determinata e sono inoltre revocabili”, sicché “conformemente a tale principio, il quadro normativo applicabile, nel caso di specie, ad una concessione di occupazione del demanio pubblico fissa, senza alcun possibile equivoco, i termini dell’autorizzazione all’occupazione che viene concessa” (paragrafi 54 e 55 della sentenza).

8.8. Da tali considerazioni la Corte di Giustizia ha tratto, conseguenzialmente, due conclusioni.

8.8.1. In primo luogo, ha osservato che “la SIIB non poteva ignorare, sin dalla conclusione del contratto di concessione, che l’autorizzazione all’occupazione demaniale che le era stata attribuita aveva carattere precario ed era revocabile”.

8.8.2. In secondo luogo, rilevato che gli eventuali effetti restrittivi del citato articolo 49, primo comma, sulla libertà di stabilimento sono troppo aleatori e troppo indiretti, ha escluso che esso possa essere considerato idoneo ad ostacolare tale libertà: e ciò essenzialmente sul rilievo per cui detta disposizione, nella misura in cui prevede espressamente la possibilità di derogare per contratto al principio dell’acquisizione immediata senza alcun indennizzo o rimborso delle opere non amovibili costruite dal concessionario sul demanio pubblico marittimo, “evidenzia la dimensione contrattuale, e dunque consensuale, di una concessione di occupazione del demanio pubblico”.

8.8.3. La Corte di Giustizia ha quindi statuito che “l’acquisizione immediata, gratuita e senza indennizzo delle opere non amovibili costruite dal concessionario su tale demanio non può essere considerata come una modalità di cessione forzosa delle opere suddette”.

8.8.4. Quanto poi alla questione se si tratti di un rinnovo o della prima attribuzione di una concessione di occupazione del demanio pubblico, la Corte di Giustizia ha chiarito che il tema non può avere alcuna incidenza sulla valutazione dell’articolo 49, primo comma, del codice della navigazione, ribadendo peraltro che tale interpretazione “è idonea a garantire che l’attribuzione di una concessione possa avvenire soltanto all’esito di una procedura concorrenziale che ponga tutti i candidati e gli offerenti su un piede di parità”.

8.8.5. La Corte di Giustizia ha altresì precisato che l’interpretazione fornita dalla sentenza non è smentita neppure dai principi desumibili dalla sentenza del 28 gennaio 2016 Laezza (C-375/14 [EU:C: 2016:60]), evidenziando le diversità di quella fattispecie.

8.9. Dunque, riepilogando, la Corte si è pronunciata per la compatibilità della disciplina di cui all’art. 49 cod. nav., statuendo che:

a) la disposizione non contempla una modalità di cessione forzosa delle opere suddette: infatti, a differenza dei concessionari del settore dei giochi d’azzardo (di cui si è occupata la sentenza Laezza), i quali utilizzavano, per l’esercizio dell’attività economica, beni realmente di loro proprietà, “l’autorizzazione all’occupazione del demanio pubblico marittimo di cui beneficiava la SIIB le conferiva soltanto un semplice diritto di superficie a carattere transitorio sulle opere non amovibili che essa aveva costruito su tale demanio”;

b) la questione se i beni costruiti dal concessionario sul demanio pubblico nel corso della concessione debbano entrare gratuitamente a far parte del demanio pubblico “rientra in un negoziato contrattuale tra il soggetto pubblico concedente e il suo concessionario”, poiché, ai sensi dell’articolo 49, primo comma, del codice della navigazione, è solo in via suppletiva («[s]alvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione») che «quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato»;

c) è dunque la facoltà riconosciuta dalla norma di negoziare l’indennizzo in sede convenzionale che consente di ritenere non ostativi alla compatibilità con l’ordinamento europeo dell’art. 49 cod. nav. i principi affermati dalla sentenza Laezza, che il giudice del rinvio aveva pure preso in considerazione nella sua questione pregiudiziale, in quanto, a differenza della presente causa, in quel caso “una misura che imponeva la cessione a titolo gratuito dell’uso dei beni necessari alla gestione dei giochi d’azzardo era accostabile ad una sanzione, in quanto essa veniva imposta al concessionario e questi non poteva negoziarla”.

9. Dall’applicazione delle coordinate ermeneutiche tracciate dalla Corte di Giustizia al caso in esame discende il rigetto dell’appello e la conferma, con le precisazioni di seguito indicate, della sentenza appellata, che ha respinto i ricorsi e i motivi aggiunti proposti dalla concessionaria, ritenendo legittimo l’operato del Comune.

10. Prima di esaminare i motivi di appello, occorre, tuttavia, richiamare le statuizioni dell’ordinanza di chiarimenti n. 8184/2023, in punto di interesse e legittimazione ad agire dell’appellante, nonché in relazione al verificarsi dell’effetto devolutivo, statuizioni dalle quali la Sezione non intende discostarsi.

10.1. In primo luogo, nella citata ordinanza la Sezione ha già chiarito che “l’effetto devolutivo che è previsto dalla legge, si produce …non al momento in cui viene rilasciato il titolo concessorio o in quello in cui viene stipulata fra le parti l’eventuale convenzione accessiva al provvedimento amministrativo, ma solo e soltanto al momento in cui spira l’efficacia del titolo concessorio”.

10.2. Dunque, in forza dell’art. 49, comma primo, del codice della navigazione, la proprietà delle opere non amovibili realizzate dal concessionario sull’area demaniale viene acquistata dallo Stato automaticamente nel momento in cui viene a cessare l’efficacia del titolo concessorio.

10.3. Ciò significa che l’eventuale ricognizione in via amministrativa o l’accertamento giurisdizionale del diritto di proprietà in capo allo Stato ha effetti soltanto dichiarativi e accertativi di una situazione giuridica già costituitasi per effetto della disposizione di legge.

10.4. Tuttavia, se non spiega efficacia ai fini dell’acquisto del diritto di proprietà, la ricognizione dello stato effettivo di consistenza spiega effetto ai fini della determinazione e quantificazione del canone dovuto per l’occupazione del suolo pubblico.

10.5. Ne consegue che certamente la SIIB ha tuttora un interesse ad agire contro la devoluzione al demanio marittimo delle opere non amovibili da essa costruite mediante un ricorso avverso la decisione del concedente che le impone il pagamento di canoni maggiorati.

Infatti, in sede giurisdizionale è stata oggetto di contestazione proprio la consistenza delle aree acquisite al demanio, non soltanto per quel che riguarda in generale l’aspetto della perdita del diritto di proprietà (a titolo non oneroso e senza indennizzo, come si è illustrato nell’ordinanza di rimessione), ma soprattutto per ciò che concerne la questione della determinazione dei canoni dovuti.

In particolare, come risulta dal ricorso di primo grado, la SIIB ha censurato il fatto che l’Amministrazione, con la determina del 26 novembre 2014 (tempestivamente impugnata e sulla cui base si sono poi innestate tutte le successive richieste di pagamento), abbia rimesso in discussione sia l’estensione dell’area di sedime di cui alla propria precedente determina del 3 febbraio 2014, ritirata in via di autotutela, sia la qualificazione circa la non amovibilità delle opere, che, in definitiva, rappresenta il presupposto fattuale e giuridico per la esatta quantificazione dei canoni dovuti.

Su queste basi non può, dunque, dubitarsi che la SIIB disponga ancora di un interesse personale, concreto e attuale a censurare la devoluzione delle opere non amovibili al patrimonio dello Stato.

10.6. Peraltro, come condivisibilmente evidenziato nella ordinanza di chiarimenti, proprio la mancanza di un provvedimento acquisitivo formale ed espresso da impugnare sullo stato di consistenza delle opere che si perdono in capo al privato e si acquistano da parte dello Stato (che non è richiesto dal citato art. 49, comma primo, affinché si verifichi l’effetto traslativo ex lege previsto dalla norma) rende “ragionevole non impedire o rendere eccessivamente gravosa la tutela dei diritti, consentendo ai concessionari di censurare le richieste di pagamento delle maggiorazioni di canone a far data da quando le richieste stesse sono formulate, senza addurre, ad impedimento processuale, il preteso consolidamento delle concessioni al tempo rilasciate”.

10.7. Per quanto riguarda, invece, la data in cui è avvenuta la devoluzione, anche sul punto la Sezione ritiene di confermare quanto statuito nella citata ordinanza di chiarimenti, e cioè che la stessa sia avvenuta il 31 dicembre 2008, ossia la data in cui è scaduta la concessione n. 27/2003.

Ciò in quanto la rideterminazione dei canoni dovuti riguarda le annualità dal 2009 al 2014, e dunque lo stato di consistenza è quello che coincide con l’area di sedime rappresentata dall’originario demanio e da tutte le opere inamovibili via via successivamente acquisite fino all’annualità che precede quella richiesta in pagamento.

10.8. Come evidenziato, la devoluzione al demanio marittimo avviene automaticamente alla scadenza della concessione, cosicché il procedimento per l’incameramento delle pertinenze demaniali non ancora acquisite ha carattere meramente ricognitivo e dichiarativo. Non occorre, infatti, alcun provvedimento amministrativo che accerti la consistenza della devoluzione ai fini dell’acquisto delle opere al patrimonio dello Stato, non essendo tale elemento previsto ai fini costitutivi dalla norma.

10.9. La giurisprudenza amministrativa ha interpretato detta disposizione nel senso che siffatto meccanismo opera sia all’atto del rilascio e della scadenza della prima concessione, sia quando, dopo la sua prima scadenza, sia rilasciata una nuova concessione anche identica alla precedente, anche innumerevoli volte.

In questo caso, trattandosi di nuovo rilascio, si parla di rinnovo, che si contraddistingue per il fatto che, a differenza della proroga (nella quale vi è una prosecuzione del rapporto originario che è modificato solo per quanto concerne l’estensione della durata), c’è una soluzione di continuità fra i titoli, nel senso che un rapporto cessa e un altro, nuovo, inizia subito dopo a decorrere, disciplinato dal titolo successivo.

Questo è ciò che è accaduto nel caso all’esame fra la concessione n. 27/2003 (scaduta il 31 dicembre 2008) e la concessione n. 181/2009 (che è iniziata a decorrere il giorno seguente, e cioè in data 1° gennaio 2009 e sarebbe dovuta scadere il 31 dicembre 2014, ma è stata poi prorogata ex lege fino al 31 dicembre 2020).

11. Alla luce delle considerazioni finora esposte, può dunque procedersi all’esame dei motivi di appello, che sono infondati.

12. Nello specifico, con riguardo al primo motivo, in disparte il contrasto con precedenti atti amministrativi (segnatamente, il testimoniale di Stato del 1958 e la concessione demaniale n. 181/2009), si osserva che correttamente il Tribunale ha ritenuto che la partecipazione procedimentale dell’interessata non è stata lesa, dal momento che l’impugnata nota del 26 novembre 2014 si pone anche come atto endoprocedimentale finalizzato alla determinazione del canone dovuto per l’anno 2014, sicché la società istante era in condizione di presentare osservazioni sul quantum del canone dovuto e di far presente che esso doveva essere calcolato considerando come facilmente amovibili, o comunque non come pertinenze demaniali, le opere situate sull’area demaniale.

Deve, peraltro, rammentarsi che, per consolidata giurisprudenza, l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento amministrativo non va inteso in senso formalistico e la sua mancanza ai sensi dell’art. 21 octies L. 241/1990 non può comportare l’annullamento dell’atto se il privato non dimostri che se fosse stato garantito il contraddittorio procedimentale la decisione finale avrebbe avuto diverso contenuto (si veda Cons. St., sez. VI 3 gennaio 2022, n. 10).

Ebbene, nel caso specifico, oltre al fatto che la società appellante non ha avviato alcuna interlocuzione con il Comune sulla natura delle opere, pur avendone avuto la possibilità, non è stato provato che la sua partecipazione avrebbe potuto influire sull’esito procedimentale, impedendo all’amministrazione di adottare i provvedimenti impugnati.

13. I motivi di appello dal secondo al sesto possono essere esaminati congiuntamente, stante la connessione delle censure ivi articolate.

14. Tali motivi sono infondati, in quanto, sulla base dei principi affermati dalla Corte di Giustizia, deve ritenersi legittimo il comportamento del Comune il quale, cessata la concessione per scadenza del termine, ha correttamente qualificato come pertinenze demaniali acquisite allo Stato le opere realizzate dalla SIIB s.r.l. successivamente al 1958, procedendo di conseguenza al ricalcolo dei canoni demaniali ai sensi dell’art, 1 comma 251 della legge del 27 gennaio 2006 n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2007).

Infatti, quest’ultima disposizione prevede che l’acquisizione al demanio pubblico di beni costruiti dal concessionario comporta l’applicazione agli stessi del canone maggiorato, dato che tali opere sono considerate pertinenze del demanio pubblico.

15. Si è detto che l’art. 49 del codice della navigazione configura una forma di acquisto automatico al patrimonio dello Stato delle opere inamovibili alla scadenza della concessione demaniale, a prescindere dal compimento di un atto formale di incameramento, il quale se posto in essere, non può che avere carattere puramente ricognitivo. La procedura di incameramento, infatti, svolge una funzione meramente dichiarativa limitandosi l’Amministrazione a prendere atto di un effetto giuridico già prodotto.

15.1. Nel pronunciarsi sulla compatibilità di tale disposizione con il diritto comunitario, la Corte di Giustizia ha soprattutto messo in risalto che la questione se i beni costruiti dal concessionario sul demanio pubblico nel corso della concessione debbano entrare gratuitamente a far parte del demanio pubblico “rientra in un negoziato contrattuale tra il soggetto pubblico concedente e il suo concessionario”, poiché, ai sensi dell’articolo 49, primo comma, del codice della navigazione, è solo in via suppletiva («[s]alvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione») che «quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato».

15.2. Secondo l’interpretazione della Corte di Giustizia il punto di equilibrio che consente di escludere il contrasto della norma con il diritto unionale e con i principi affermati dalla sentenza Laezza è, dunque, la riconosciuta facoltà di negoziare l’indennizzo in sede convenzionale, in quanto l’acquisizione gratuita delle opere al patrimonio pubblico può essere esclusa per volontà delle parti.

15.3. Nel caso in esame ciò non è avvenuto in quanto nessuno dei titoli concessori rilasciati dal Comune in favore della SIIB s.r.l. contiene patti derogatori alla disciplina dell’art. 49 cod. civ.

15.4. L’appellante deduce, tuttavia, di non aver mai potuto negoziare con la parte pubblica la questione dell’indennizzo per le opere non amovibili costruite dal concessionario sul demanio pubblico nel corso della concessione e acquisite alla sua scadenza allo Stato, anche perché all’epoca dell’affidamento della concessione operava il c.d. diritto di insistenza ex art. 37 cod. nav. a favore dei concessionari, i quali, perciò secondo la disciplina del tempo, non avevano alcun interesse ad inserire nel titolo concessorio eventuali deroghe convenzionali.

15.5. Il rilievo non è decisivo.

In primo luogo, deve in senso opposto osservarsi che il Comune ha rilasciato la concessione n. 181/2009 in sede di rinnovo della concessione n. 27/2003 (scaduta il 31 dicembre 2008) non per effetto di un automatismo legislativo, ma a seguito di specifica istruttoria e al termine di apposito procedimento che aveva comportato la spendita di potere discrezionale.

Pertanto, decorso il termine di durata iniziale, scaduta l’originaria concessione demaniale marittima, si è verificata ipso iure, ai sensi dell’art. 49 cod. nav., la devoluzione a favore dello Stato delle opere non agevolmente rimovibili realizzate dal concessionario nel periodo di efficacia della concessione scaduta, fatte poi oggetto di rinnovo.

Ne consegue che, essendosi già verificato l’effetto traslativo della proprietà al demanio statale alla scadenza del termine di durata della concessione n. 27 del 2003, e dunque alla data del 31 dicembre 2008, la questione dell’indennizzo per le opere realizzate dal concessionario nel corso del rapporto, acquisite allo Stato alla scadenza della concessione, andava negoziata tra le parti del rapporto concessorio quanto meno all’atto del rinnovo della concessione, così come in tale sede doveva essere affrontato il tema della effettiva consistenza delle opere acquisite.

La concessione n.181/2009 non contiene, tuttavia, alcuna indicazione su tali aspetti e anzi, oltre a indicare mq. 273 di pertinenze demaniali individuate nel testimoniale di stato, su mq. 1365 di opere di difficile rimozione configurate nella concessione stessa come ulteriori pertinenze demaniali, all’art. 3 reca anche la clausola secondo cui “Le opere di difficile rimozione restano acquisite allo Stato, ai sensi dell’art. 49 del codice della navigazione, senza alcun indennizzo, compenso, risarcimento o rimborso di sorta…”.

Tale clausola, unitamente all’identificazione delle pertinenze demaniali di cui alla pagina 2 della concessione in argomento, è stata accettata senza riserve dall’appellante, la quale non può ora dolersi del mancato inserimento di previsioni derogatorie alla disciplina dettata dall’art. 49 cod. nav., né può sostenere di aver fatto affidamento sul diritto di insistenza all’epoca previsto dall’art. 37 cod. nav. ovvero sulla prassi amministrativa che ha consentito ai concessionari di realizzare sull’area demaniale opere per l’esercizio dello stabilimento balneare o, ancora, invocare a suo favore l’esistenza di dubbi interpretativi in relazione all’art. 49 cod. nav.

L’innegabile esistenza di profili di complessità nella vicenda de qua non consente, infatti, di condividere i rilievi dell’appellante in quanto, come chiarito anche dalla Corte di Giustizia, a fronte del quadro normativo applicabile ad una concessione di occupazione del demanio pubblico che fissa, senza alcun possibile equivoco, i termini dell’autorizzazione all’occupazione concessa la SIIB non poteva ignorare “sin dalla conclusione del contratto di concessione, che l’autorizzazione dell’occupazione demaniale che le era attribuita aveva carattere precario ed irrevocabile”.

Invero, sulla base della disciplina normativa che regola la fattispecie, l’appellante ben doveva sapere che la devoluzione al demanio marittimo avviene automaticamente alla scadenza della concessione e che il procedimento per l’incameramento delle pertinenze demaniali non ancora acquisite ha carattere meramente ricognitivo e dichiarativo.

Sicché essa, qualora avesse voluto evitare la cessione gratuita delle opere acquisite allo Stato alla scadenza della concessione, avrebbe dovuto concordare con l’amministrazione concedente l’inserimento nella convenzione di una espressa previsione contraria all’acquisizione gratuita: non essendo dimostrato che ciò non sia avvenuto per obiettivi impedimenti (ad esempio, per vizi della volontà del concessionario), la perdita della proprietà delle opere realizzate non può che ricondursi a una libera scelta imprenditoriale del privato, nell’ambito delle valutazioni in merito alla compatibilità di tale scelta con il generale equilibrio economico della concessione.

15.6. Correttamente, dunque, il Tar ha dato rilievo a quanto stabilito tra le parti nella concessione n. 181/2009.

15.7. Per le ragioni sopra evidenziate, neppure possono ritenersi illegittimi o inefficaci gli atti amministrativi che qualificano come pertinenze demaniali le opere realizzate dal concessionario.

Nella relazione riepilogativa prodotta in atti dal Comune in data 12 gennaio 2025 si precisa che nella nota del 26 novembre 2014, così come nel testimoniale di stato e nella concessione n. 181/2009, sono specificate quali sono le opere di difficile rimozione, da considerarsi a tutti gli effetti come pertinenze demaniali.

In particolare, deve rilevarsi che la concessione demaniale n. 181/2009, sottoscritta dalle parti, recepisce una ricognizione delle superfici oggetto della concessione stessa e della concessione n. 27/2003, quantificando in mq. 1365 le opere di difficile rimozione costituenti pertinenze demaniali marittime, di cui mq. 273 “sono già stati individuati come tali dal testimoniale di stato, mentre per i rimanenti è stato avviato il procedimento di incameramento in data 23.9.2008”. Coerentemente, i contestati ordini di introito fanno riferimento a manufatti la cui estensione rientra entro il limite accertato col testimoniale di stato, sul presupposto che per la restante superficie si è ritenuto necessario attendere la conclusione del procedimento di incameramento. Infatti, il pagamento relativo alle pertinenze demaniali marittime è stato richiesto quantificando in mq. 190,80 la loro superficie relativamente agli anni dal 2007 al 2013, e in mq. 244,79 relativamente agli anni dal 2016 al 2020.

Per quanto riguarda il rilievo riferito alla tettoia, essa è stata qualificata come pertinenza demaniale in quanto costituita da una veranda poggiante su piattaforma di difficile rimozione e asservita al ristorante (si vedano la nota del 16 aprile 2015 e le richieste di pagamento relative al periodo dal 2016 al 2020; in particolare la richiesta di pagamento relativa al 2020, qualifica puntualmente, al pari della citata nota, le due tettoie come tettoia di facile rimozione su piattaforma di difficile rimozione asservita al ristorante).

15.8. Neppure può ritenersi, come sostiene l’appellante, che la concessione demaniale n. 181/2009 abbia disposto di beni privati: ciò in quanto alla scadenza dell’originaria concessione l’incremento devolutivo si era già automaticamente verificato, per cui la concessione si è limitata a prenderne atto, con effetti meramente ricognitivi dell’acquisto già avvenuto.

Infatti, al termine della concessione l'effetto traslativo delle opere di difficile rimozione realizzate su aree demaniali "si produce automaticamente con la conseguenza che il passaggio di proprietà si determina al verificarsi degli eventi e l'atto di incameramento ha natura puramente ricognitiva" (Cons. St., sez. VI, 17 febbraio 2017 n. 729). Non era, dunque, necessario alcun provvedimento espresso e formale di incameramento delle opere, in quanto l’art. 49 non lo contempla tra gli elementi costitutivi della fattispecie acquisitiva ex lege.

Pertanto, correttamente il primo giudice ha escluso che possa invocarsi la nullità della concessione demaniale sottoscritta dall’interessata, sul rilievo per cui non vi è una carenza assoluta di potere dell’amministrazione in ordine alla devoluzione al patrimonio pubblico delle opere di difficile rimozione, costituenti pertinenze demaniali, secondo quanto chiarito anche recentemente dalla giurisprudenza la quale ha precisato che al momento dello scadere della concessione, ancorché rinnovata, si verifica la suddetta devoluzione (Cons. Stato, sez. VI, 3 dicembre 2018, n. 6850).

15.9. In ogni caso, come evidenziato, la qualificazione di opere di difficile rimozione e pertinenze demaniali marittime sancita alla pagina 2 della concessione demaniale e la statuizione (espressa nell’art. 3, pagina 6) secondo cui esse restano acquisite allo Stato ai sensi dell’art. 49 del codice della navigazione non è frutto di decisione unilaterale dell’amministrazione, ma di ricognizione concordata e recepita nel titolo concessorio sottoscritto da entrambe le parti.

16. Pertanto, anche le asserzioni dell’appellante circa il carattere non demaniale dei beni, così come le questioni di illegittimità costituzionale e di incompatibilità con la CEDU prospettate con riferimento all’art. 49 cod. nav. sono manifestamente infondate.

16.1. Non si è, infatti, in presenza di una espropriazione indiretta di beni di proprietà dell’interessata, bensì di un rapporto concessorio disciplinato da una norma che la Corte di Giustizia ha ritenuto compatibile con l’ordinamento europeo sulla base del rilievo per cui “l’appropriazione gratuita e senza indennizzo, da parte del soggetto pubblico concedente, delle opere non amovibili costruite dal concessionario sul demanio pubblico costituisce l’essenza stessa dell’inalienabilità del demanio pubblico”.

16.2. Sulla base di tale centrale considerazione, le questioni di costituzionalità e di compatibilità con la CEDU dell’art. 49 cod. nav. prospettate nell’appello e nella memoria conclusiva della SIIB devono ritenersi infondate e, comunque, sono prive di rilevanza ai fini del presente giudizio.

16.3. Infatti, come chiarito dalla Corte di Giustizia, il principio di inalienabilità del demanio pubblico comporta che “le autorizzazioni di occupazione demaniali hanno carattere precario nel senso che esse hanno una durata determinata e sono inoltre revocabili” (vedi par. 55), con la conseguenza che “l’acquisizione immediata, gratuita e senza indennizzo delle opere non amovibili costruite dal concessionario su tale demanio non può essere considerata come una modalità di cessione forzosa sulle opere suddette” (par. 57).

Ciò in quanto l’autorizzazione all’occupazione del demanio pubblico marittimo di cui beneficiava la SIIB le conferiva soltanto un semplice diritto di superficie a carattere transitorio sulle opere non amovibili che essa aveva costruito su tale demanio.

Scaduta la concessione, in assenza di patti contrari alla disciplina normativa di cui all’art. 49 cod. nav., le opere di difficile rimozione realizzate sulle aree demaniali sono dunque passate in proprietà dello Stato, senza indennizzo.

16.4. Ed infatti, come del resto già correttamente rilevato dalla sentenza del Tar qui appellante, stante l’inciso “salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione” contenuto nella norma, la regola dell’acquisizione gratuita è condizionata dal consenso delle parti, le quali potrebbero prevedere un diverso regime giuridico delle pertinenze demaniali marittime nella formulazione dell’atto di concessione (ad esempio prevedere un corrispettivo economico a carico dell’ente pubblico).

16.5. Non può, quindi, parlarsi di una surrettizia espropriazione senza indennizzo, in quanto se il privato, prima dell’affidamento del bene, non ha espresso un contrario avviso all’effetto della devoluzione al patrimonio statale, significa che ha accettato la mancanza della diversa pattuizione ammessa dall’art. 49 del codice della navigazione.

16.6. Sul punto, giova evidenziare che la chiarezza sullo stato di consistenza delle opere da acquisire non è una questione che riguarda solo il concessionario uscente e lo Stato, ma tutti gli operatori economici che aspirano a divenire concessionari, in quanto la entità del canone dipende concretamente dagli incrementi che via via subisce nel tempo il bene demaniale.

16.7. A tale riguardo non è, pertanto, superfluo rilevare che l’art. 49 del codice della navigazione disciplina il rapporto autoritativo tra il concessionario e l’amministrazione, stabilendo che, al termine della concessione, le opere realizzate sul demanio sono acquisite al patrimonio dello Stato senza indennizzo, salve diverse pattuizioni tra le parti.

16.8. Ciò comunque non impedisce di valutare, nell’ambito delle future gare da espletarsi per l’affidamento delle concessioni demaniali marittime e, quindi, dei relativi bandi, la concreta possibilità di riconoscere al concessionario uscente e a carico di quello subentrante l’equa remunerazione degli investimenti effettuati per le opere installate sul demanio marittimo, nel caso vi siano investimenti non ammortizzati e per la sola parte non ammortizzata mediante l’attività economica svolta sull’area demaniale in concessione, sì da contemperare la libertà di iniziativa economica costituzionalmente tutelata (v. art. 41 Cost.) con l'accesso al mercato degli operatori economici, il quale va favorito dalle pubbliche amministrazioni, nel rispetto dei principi di concorrenza, di imparzialità, di non discriminazione, di pubblicità e trasparenza, di proporzionalità (cfr. art. 3 Decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, Codice dei contratti pubblici, come integrato e modificato dal decreto legislativo 31 dicembre 2024, n. 209).

Si tratta, tuttavia, di valutazioni che andranno eventualmente effettuate caso per caso, in base alle caratteristiche della singola concessione e dell’area demaniale affidata, nonché della natura delle opere incamerate al patrimonio dello Stato, tenendo conto della remuneratività e del complessivo equilibrio economico finanziario della concessione e degli investimenti eventualmente non ammortizzati al termine del pregresso rapporto concessorio, mediante lo sfruttamento economico del bene in concessione.

16.9. Neppure può condividersi la tesi dell’appellante secondo la quale l’art. 49 cod. nav. non si applica nel caso di continuità del concessionario.

Nel caso in esame, a prescindere dal fatto che, secondo la Corte di Giustizia la questione se si tratti di rinnovo o della prima attribuzione di una concessione demaniale non può avere alcuna incidenza sulla valutazione dell’art. 49, primo comma, cod. nav., deve comunque evidenziarsi che, alla scadenza della concessione demaniale n. 27/2003, vi è stato il rilascio di una nuova concessione e non di una semplice proroga, senza soluzione di continuità, dell’originario rapporto concessorio, modificato soltanto per quanto attiene il termine di durata.

Inoltre, la prosecuzione del rapporto concessorio con la società appellante non è avvenuta in modo automatico ope legis, ma all’esito di una istruttoria e in virtù di un rinnovato esercizio della funzione pubblica afferente la gestione del bene.

17. Per le medesime ragioni sopra evidenziate, alle quali ci si riporta per esigenze di sinteticità, va respinto sia il quarto motivo, dovendosi escludere che il Tar abbia operato una indebita commistione tra le nozioni di pertinenza edilizia e pertinenza demaniale, sia il quinto motivo, in quanto il primo giudice ha esercitato il potere di stabilire se una consulenza tecnica sia o meno utile ai fini della decisione e nel caso di specie ha correttamente reputato non necessario disporre un tale mezzo istruttorio al fine di accertare l’effettiva consistenza delle opere acquisite, in quanto dato già desumibile dalle risultanze di causa.

18. Analoghe considerazioni conducono al rigetto del sesto motivo di appello.

Infatti, correttamente il Tar ha ritenuto che l'acquisizione gratuita dei beni è rimessa al consenso delle parti, come stabilito dall’art. 49 cod. nav. che fa espressamente salve le diverse pattuizioni contenute nell’atto di concessione.

Il fatto che le parti non si siano avvalse di tale facoltà e che ciò abbia comportato l’acquisizione gratuita allo Stato non può che ricondursi, come evidenziato, a una libera scelta del privato, che evidentemente non ha ritenuto che la perdita della proprietà delle opere realizzate, senza la previsione di alcun corrispettivo o rimborso, sia compatibile con il generale equilibrio economico della concessione.

19. Vanno respinti, in quanto infondati, il settimo e l’ottavo motivo di appello che possono essere trattati congiuntamente, stante la loro connessione.

19.1. La sentenza impugnata ha correttamente rilevato che il disposto incremento dei canoni non è improvviso né inaspettato e non può certo incidere sull'affidamento del privato in quanto tali aumenti perseguono evidenti obiettivi di finanza pubblica e di valorizzazione dei beni pubblici che mira ad una loro maggiore redditività per la collettività; i criteri per la determinazione dei canoni introdotti dalla legge 296/2006 producono anche una forma di riequilibrio a vantaggio del principio eurounitario di libera concorrenza in quanto i concessionari di beni demaniali possono essere messi sullo stesso piano rispetto ad altri soggetti concorrenti che esercitano analoghe attività ma, usando beni privati, sono assoggettati a prezzi di mercato.

19.2. Non possono neppure condividersi i rilievi dell’appellante secondo cui l’art. 1, comma 251, della legge n. 296/2006 non vale per le concessioni demaniali in corso o sottoposte a rinnovo ex lege e l’aumento abnorme del canone avrebbe leso il legittimo affidamento della ricorrente.

19.3. L'articolo 1, comma 251, della citata legge stabilisce che i nuovi criteri di quantificazione dei canoni si applichino a partire dal 1° gennaio 2007, ma non introduce alcun limite in relazione al momento di rilascio della concessione demaniale, limite che sarebbe, a ben vedere, ingiustificato rispetto al fine della norma e contrario alla parità di trattamento tra i concessionari.

19.4. Il Tribunale ha, dunque, correttamente ritenuto che tale disposizione abbia incidenza anche sui rapporti concessori in corso, conformandosi al prevalente indirizzo giurisprudenziale, basato su una lettura della norma rispondente al dato testuale e alla finalità di interesse pubblico sottesa, tenuto conto dei poteri riconosciuti all'ente proprietario nei confronti dei concessionari, nonché dell'esigenza di trarre dall'uso dei beni pubblici proventi non irrisori, da porre a servizio della collettività (Cons. Stato, sez. VI, 17 febbraio 2017, n. 729; Corte costituzionale, n. 302 del 22 ottobre 2010).

19.5. In particolare la Corte Costituzionale, con sentenza n. 302 del 22 ottobre 2010, ha precisato che la variazione dei criteri di calcolo dei canoni dovuti dai concessionari di beni demaniali marittimi non scaturisce da una decisione improvvisa e arbitraria del legislatore, ma si inserisce in una linea evolutiva della disciplina dell'uso dei beni demaniali, in quanto si è progressivamente fatta strada la tendenza ad avvicinare i valori di tali beni a quelli di mercato, sulla base delle potenzialità degli stessi di produrre reddito in un contesto specifico. Tale processo evolutivo è stato ritenuto dalla Corte rispondente allo scopo, giudicato conforme agli artt. 3 e 97 della Costituzione, di consentire alla pubblica amministrazione un incremento delle entrate e di rendere i canoni più equilibrati (anche se non ancora uguali) rispetto a quelli corrisposti a favore di locatori privati.

19.6. In tale processo evolutivo si era già inserito il consistente aumento dei canoni disposto dall'art. 32, commi 21, 22 e 23, del decreto legge n. 269/2003, convertito nella legge n. 326/2003, la cui concreta applicazione è stata rinviata sino a quando la legge n. 296/2006 (art. 1, comma 256) ha sostituito l'aumento generalizzato con un meccanismo incidente soprattutto sugli immobili maggiormente produttivi di reddito, ovvero sulle pertinenze destinate ad attività commerciali, terziarie e di produzione di beni e servizi.

19.7. Tali considerazioni, già valorizzate dalla Corte Costituzionale nel 2010, sono tuttora attuali, e non trovano una deroga nei principi di diritto comunitario, che non risultano, pertanto, violati nel procedimento di determinazione dei canoni dovuti da parte dell’amministrazione, sulla base dei criteri fissati dal legislatore.

19.8. Va poi anche a tale riguardo evidenziato che correttamente la sentenza appellata non ha condiviso la tesi della ricorrente secondo cui la concessione in questione configurerebbe, in forza delle proroghe e dei rinnovi, un rapporto di durata indeterminata, rispetto al quale non possono trovare ingresso modifiche normative del rapporto quale quella introdotta dall’art. 1, comma 251, della legge n. 296/2006.

Va infatti rammentato che in tema di concessioni demaniali marittime, il divieto di proroga automatica si impone per esigenze di carattere comunitario, da cui consegue che la proroga o il rinnovo della concessione devono soggiacere ai principi dell'evidenza pubblica, così da garantire l'apertura al mercato e la concorrenza tra gli operatori del settore. Più volte il Consiglio di Stato ha sancito l'illegittimità di una normativa sulle proroghe ex lege della scadenza di concessioni demaniali, perché equivalenti a un rinnovo automatico di per sé ostativo a una procedura selettiva; inoltre, le note decisioni della Corte di Giustizia hanno affermato l'illegittimità di leggi contemplanti la proroga automatica delle concessioni del demanio marittimo al già titolare, evidenziando che proroga e rinnovo automatico, determinando una disparità di trattamento tra operatori economici mediante preclusioni o ostacoli alla gestione dei beni demaniali oggetto di concessione, violano in generale i principi del diritto comunitario su libertà di stabilimento e tutela della concorrenza.

Anche sotto tale profilo non sussiste, dunque, la censurata violazione ai principi eurounitari di certezza del diritto, di tutela dell’affidamento e di proporzionalità.

19.9. Infine, anche il rilievo dell’appellante secondo cui dalla qualificazione dei manufatti in questione come beni oggetto di diritto superficiario discende la necessità di rideterminare il canone dovuto è infondato per le medesime considerazioni espresse nell’esame dei precedenti motivi di appello, cui si rinvia.

20. Peraltro, come correttamente rilevato dalla sentenza appellata, con le richieste di pagamento relative agli anni dal 2007 al 2013 l’amministrazione ha ridotto prudenzialmente la misura della superficie delle pertinenze demaniali marittime, computata ai fini del calcolo del canone, a mq. 190,80, inferiore ai mq. 273 indicati nell’impugnata nota del 26 novembre 2014. L’amministrazione si è posta, pertanto, al di sotto del limite di mq. 273 anche nell’emissione delle richieste di pagamento relative agli anni dal 2016 al 2020: in tali atti le pertinenze demaniali corrispondono a mq. 150,80 di superficie di bar/ristorante e a mq. 49,20 e 44,79 rispettivamente relativi a due tettoie di facile rimozione su piattaforma di difficile rimozione (per un totale di mq. 244,79).

21. In conclusione, l’appello deve essere respinto.

22. Sussistono nondimeno giusti motivi, per la complessità e la novità delle questioni trattate che hanno necessitato, ai fini della loro decisione, di un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, per compensare tra le parti in causa le spese del grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa tra le parti le spese del grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2025 con l'intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Angela Rotondano, Consigliere, Estensore

Sergio Zeuli, Consigliere

Marco Morgantini, Consigliere

Rosaria Maria Castorina, Consigliere