Cons. Stato, Sez. III, 8 ottobre 2025, n. 7898

  1. La violazione delle norme imperative in materia di obbligatorio inserimento nei bandi di gara dei criteri ambientali minimi può essere fatta valere, dagli operatori economici che abbiano interesse (strumentale) alla riedizione della gara, mediante ricorso avverso l’aggiudicazione della stessa, fatta salva l’ipotesi di illegittimità della legge di gara che impedisca la formulazione dell’offerta, nel qual caso l’impresa è onerata dell’immediata impugnazione del bando.
  2. Il richiamo al principio della fiducia, ove mai rilevante avuto riguardo alla disciplina del descritto modello di tutela della sostenibilità ambientale in materia di contratti pubblici, non può comunque avere rilievo esimente rispetto ad una difformità del provvedimento dal relativo paradigma normativo avuto riguardo non alla mera divaricazione formale, ma proprio alla tutela – sul piano sostanziale – degli interessi protetti dalla disposizione di cui all’art. 34 del d.lgs n. 50/2016 (e dell’art. 57 del D.lgs n. 36/2023).

Guida alla lettura

Con la sentenza in rassegna la III Sezione del Consiglio di Stato ha chiarito le modalità con cui impugnare la lex specialis per omesso inserimento nella stessa delle indicazioni relative ai criteri ambientali minimi.

La vicenda trae origine dall’impugnazione, da parte dell’operatore economico secondo classificato, della delibera di aggiudicazione di una gara per l’affidamento del servizio di conduzione e manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti tecnologici a servizio delle strutture aziendali, unitamente alla lex specialis di gara, per violazione di norma imperativa derivante da omessa indicazione dei C.A.M.  Nel corso del giudizio, la stazione appaltante ha eccepito, sia in primo sia in secondo grado, l’irricevibilità del ricorso, per la mancata tempestiva impugnazione del bando di gara, in ragione della ritenuta immediata lesività dello stesso.

Il Collegio, nel respingere l’eccezione di tardività del gravame, ha chiarito, in applicazione dei parametri sanciti dall’Adunanza Plenaria 4/2018, la portata dell’onere di immediata impugnazione nelle ipotesi in cui la legge di gara sia priva delle specificazioni in punto a criteri ambientali minimi.

Sul punto, ribadendo i principi espressi dal Massimo Consesso Amministrativo, la Sezione ha statuito che l’onere di immediata impugnazione della lex specialis di gara rappresenta un’eccezione rispetto alla regola della impugnazione congiunta all’atto applicativo della stessa, che costituisce la lesione della posizione soggettiva azionata. In ragione di quanto sopra, quindi, nell’ipotesi di omessa indicazione dei C.A.M., l’immediata impugnazione del bando di gara è limitata alle ipotesi in cui la richiamata mancanza non consenta di formulare un’offerta.

A diverse conclusioni, viceversa, si deve pervenire nelle ipotesi in cui, nonostante l’omessa indicazione dei C.A.M. nella lex specialis, l’operatore economico sia in grado di formulare un’offerta coerente con le richieste del bando. Ed è quanto accaduto nella vicenda in esame.

Nel caso di specie, infatti, l’impresa ricorrente formulava un’offerta, senza risultare aggiudicataria, sulla base dell’interpretazione del bando di gara. Ad avviso della stazione appaltante, l’aver presentato un’offerta compatibile con la legge di gara sarebbe stato sufficiente a sanare il deficit del bando, in applicazione del principio della fiducia.

A diverse conclusioni è pervenuta la Sezione III del Consiglio di Stato, in considerazione del fatto che in ragione dell’illegittimità in parte qua l’impresa, pur avendo formulato un’offerta, non era risultata vincitrice. Di qui la lesione dell’interesse strumentale alla riedizione della gara in ragione della ravvisata illegittimità.

Il Collegio ha, inoltre, precisato che la disciplina dei principi del risultato e di buona fede non può tradursi nell’imposizione all’operatore economico di un onere tendente a superare il vizio del provvedimento prima dello svolgimento della gara, o di presentare un’offerta purché sia. L’obbligo di agire secondo buona fede configura un rapporto di tipo orizzontale tra cittadini e pubblica amministrazione che si traduce anche nella individuazione dello sforzo esigibile dall’operatore economico per comprendere l’interesse cui la commessa è subordinata.

Tuttavia, il dovere di buona fede non può tradursi nell’imposizione di sacrifici all’interesse del privato a fronte della violazione del parametro legislativo.

Ne consegue che, nelle ipotesi in cui pur in assenza della indicazione dei C.A.M., sia comunque possibile formulare un’offerta, la gara deve comunque essere annullata in ragione della lesione sofferta dal privato e consistente nell’impossibilità di presentare un’offerta consapevole. Di qui, l’interesse strumentale alla riedizione della gara governata da una lex specialis conforme ai parametri legislativi.

In definitiva, quindi, “la violazione delle norme imperative in materia di obbligatorio inserimento nei bandi di gara dei criteri ambientali minimi può essere fatta valere, dagli operatori economici che abbiano interesse (strumentale) alla riedizione della gara, mediante ricorso avverso l’aggiudicazione della stessa, fatta salva l’ipotesi di illegittimità della legge di gara che impedisca la formulazione dell’offerta, nel qual caso l’impresa è onerata dell’immediata impugnazione del bando”.

 

 

Pubblicato il 08/10/2025

N. 07898/2025 REG.PROV.COLL.

N. 02079/2025 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2079 del 2025, proposto da Siram s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 9906187C1C, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Clarizia, Paolo Clarizia e Giovanni La Fauci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Azienda dei Colli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Raffaele Cuccurullo, Rita Castaldo e Anna Rega, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Getec Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Soprano e Francesco Soprano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Prima) n. 427/2025, resa tra le parti.


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Getec Italia S.p.A. e di Azienda dei Colli;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 settembre 2025 il Cons. Giovanni Tulumello viste le conclusioni delle parti come in atti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Il T.A.R. della Campania, sede di Napoli, con sentenza n. 427/2025 ha respinto il ricorso proposto dall’odierna appellante per l’annullamento della Deliberazione del Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera dei Colli n. 487 del 10 luglio 2024, unitamente alla correlata nota di comunicazione degli esiti di gara dell’11 luglio 2024, recante aggiudicazione in favore della GETEC Italia S.p.a. della gara per l’affidamento del Servizio di conduzione e manutenzione ordinaria e straordinaria degli Impianti Tecnologici a servizio delle strutture aziendali (CIG: 9906187C1C), e dei provvedimenti connessi.

L’indicata sentenza è stata impugnata con ricorso in appello dalla ricorrente in primo grado.

Si sono costituiti, per resistere al ricorso, la stazione appaltante e la controinteressata, aggiudicataria della gara.

Il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 25 settembre 2025.

2. A seguito di annullamento, con sentenza n. 4701/2024 di questo Consiglio di Stato, degli atti della procedura aperta bandita dalla centrale regionale di committenza (So.re.sa) per l’affidamento del multiservizio tecnologico in favore delle Aziende aderenti alla convenzione, l’Azienda Ospedaliera dei Colli ha bandito una gara-ponte relativa al medesimo servizio per la parte di sua competenza.

La gara in questione è stata aggiudicata all’odierna appellata Getec Italia s.p.a..

L’aggiudicazione ed i provvedimenti ad essa connessi sono stati impugnati dall’appellante Siram, che ha proposto in primo grado due motivi di ricorso, riproposti in appello: il primo riguarda la mancata applicazione dei criteri ambientali minimi; il secondo, proposto in via subordinata, riguarda la composizione della Commissione.

3. Il T.A.R., respinta una serie di eccezioni, li ha rigettati entrambi.

Quanto al primo motivo del ricorso di primo grado, la sentenza gravata ha preliminarmente osservato che “la ricorrente vuole trasporre alla presente fattispecie quanto statuito con la pronuncia del Consiglio di Stato da ultimo richiamata, manifestando espressamente tale intendimento” (il riferimento è, appunto, alla citata sentenza n. 4701 del 2024 di questo Consiglio di Stato, che aveva annullato gli atti della gara relativa alla convenzione quadro per mancato rispetto della disciplina relativa ai criteri ambientali minimi).

La parte ricorrente lamentava infatti che, analogamente alla fattispecie oggetto di quella pronuncia, anche nella gara in esame i criteri ambientali minimi non fossero stati inseriti nella disciplina (della gara, e) del contratto: risultando ancor più generico il richiamo alla disciplina dei c.a.m. (limitato all’edilizia: laddove nella gara relativa alla convenzione quadro, i cui atti sono stati ritenuti illegittimi, tale – generico – richiamo aveva avuto riguardo anche “all’affidamento di servizi energetici per gli edifici, all’affidamento di servizi di progettazione e lavori per la nuova costruzione, ristrutturazione e manutenzione di edifici pubblici ed all’affidamento del Servizio di gestione del verde pubblico e fornitura prodotti per la cura del verde”).

4. Il T.A.R., con la sentenza qui impugnata, pur prendendo atto della sentenza n. 4701 del 2024, che aveva cassato l’invocazione della logica del risultato per superare il mancato inserimento dei c.a.m., perviene ad una conclusione simile, che valorizza l’inserimento negli atti di gara e nell’offerta dell’aggiudicataria di alcuni riferimenti che assicurerebbero comunque, in via equipollente (rispetto all’inserimento dei criteri ambientali minimi), il requisito della “della sostenibilità ambientale degli appalti”.

Il primo giudice perviene a tale conclusione integrando il riferimento al principio del risultato con il richiamo al principio della fiducia, che secondo il T.A.R. “pone una presunzione di legittimità dell’azione amministrativa (sentenza della sez. V di questo TAR del 6/5/2024 n. 2959, cit.), superabile con fondati elementi di segno opposto, da cui trarre in maniera adeguata il convincimento dell’opacità dell’operato della P.A., tale da aver precluso al privato di poter compiutamente svolgere la propria attività. Nel caso di specie, per quanto innanzi chiarito, emerge al contrario che la ricorrente abbia adeguato la propria offerta all’osservanza dei criteri minimi ambientali, così da non poter strumentalmente far valere in seguito l’incompletezza della legge di gara, mettendo da parte la fiducia che, in un rapporto di reciproco scambio, ha reso collimanti il tenore degli atti di gara ad opera della parte pubblica con la corrispondente formulazione dell’offerta della parte privata”.

La sentenza valorizza alcuni elementi fattuali, che a suo dire porterebbero allo stesso risultato del formale inserimento dei criteri ambientali minimi nella legge di gara e nel contratto, reiterando in sostanza la conclusione cui era giunta la precedente sentenza 377/2024, annullata dalla sentenza 4701/2024 di questo Consiglio di Stato, ma con l’aggiunta dell’argomento ricavato dal principio della fiducia (in tal senso richiamando la propria sentenza 2959/2024, non impugnata).

5. Tale capo di sentenza è contestato con il primo motivo di gravame, rubricato “Errores in iudicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 34, 68, 71, 95 e 100 d.lgs. 50/2016 e dell’art. 1, commi 1126 e 1127, l. 296/2006. Violazione dell’art. 112 c.p.c. eccesso di potere giurisdizionale. Eccesso di potere; difetto di istruttoria; illogicità manifesta, sviamento, perplessità”.

Preliminarmente, deve osservarsi che la stazione appaltante ha sollevato un’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, e di improcedibilità dell’appello, per non avere la ricorrente impugnato nel termine di decadenza il bando di gara, contestato invece solo unitamente all’aggiudicazione.

L’eccezione argomenta l’obbligo di immediata impugnazione del bando anche sulla base di quanto affermato dalla recente sentenza n. 6651 del 2025 di questo Consiglio di Stato.

Ritiene il Collegio che tale questione, relativa alla ricevibilità del ricorso di primo grado (e, conseguentemente, all’ammissibilità del ricorso in appello) presupponga una propedeutica ricognizione del corretto significato della disciplina dei criteri ambientali minimi recata dal vigente (e dal precedente) codice dei contratti pubblici, nella prospettiva della tutela processuale delle relative pretese.

6. Com’è noto, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, facendo applicazione dei princìpi sanciti dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 4/2018, ha in più occasioni ricordato che “La violazione delle norme imperative in materia di obbligatorio inserimento nei bandi di gara dei criteri ambientali minimi può essere infatti fatta valere, dagli operatori economici che abbiano interesse (strumentale) alla riedizione della gara, mediante ricorso avverso l’aggiudicazione della stessa (fatta salva l’ipotesi di illegittimità della legge di gara che impedisca la formulazione dell’offerta, nel qual caso l’impresa è onerata dell’immediata impugnazione del bando). Riprendendo qui l’argomentazione già accennata nel respingere l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata da Romeo Gestioni, è sufficiente in argomento ribadire la pacifica e consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in argomento, alla quale in questa sede si rinvia (oltre alla sentenza della cui esecuzione si tratta, vanno esemplificativamente segnalate le sentenze di questa Sezione n. 8873 del 2022, n. 2799 del 2023 e n. 10473 del 2024; nonché le sentenze della Sezione V n. 972 del 2021 e n. 6934 del 2022). Né possono invocarsi in senso contrario le recenti sentenze della V Sezione n. 3411 e 3542 del 2025, perché, appunto, relative a fattispecie peculiari, dal momento che in esse si dà espressamente atto che i ricorsi introduttivi, ritenuti irricevibili, lamentavano in realtà una lesività consistente nell’impossibilità di formulare un’offerta consapevole. Al contrario, quando l’operatore economico non lamenti una simile lesione, ma deduca l’illegittimità della procedura allo scopo di ottenere la ripetizione della gara, il suo interesse strumentale costituisce il portato della tutela introdotta dalla disposizione primaria (nel caso di specie, l’art. 34 del d. lgs. n. 50 del 2016, vigente ratione temporis in relazione alla fattispecie dedotta). Come ricorda la giurisprudenza sopra richiamata, questo modello di tutela è risultato l’unico compatibile con i parametri costituzionali e comunitari regolanti la tutela dell’ambiente nella prospettiva dello sviluppo sostenibile, coniugando – nella logica del c.d. private enforcement del parametro comunitario - la tutela giurisdizionale dell’interesse pubblico alla sostenibilità ambientale con la tutela dell’interesse imprenditoriale alla ripetizione della gara secondo criteri conformi. La tutela giurisdizionale del ridetto interesse strumentale realizza pertanto un modello processuale necessario perché possa dirsi effettivamente tutelata la protezione dell’interesse ambientale portata dalla disciplina del carattere c.d. mandatory dei criteri ambientali minimi: diversamente, in caso di mancato inserimento degli stessi da parte delle stazioni appaltanti, non vi sarebbe rimedio giurisdizionale ove si negasse tutela all’interesse strumentale” (così la già citata sentenza n. 4385 del 2025 di questa Sezione, punto 13.1. della motivazione, che il Collegio condivide e alla quale si riporta; ad essa la successiva sentenza n. 6651/2025 della V Sezione presta del resto - al punto 15.4. della motivazione - esplicita adesione).

7. Successivamente, la richiamata sentenza n. 6651/2025 della V Sezione di questo Consiglio di Stato, invocata dalla stazione appaltante, nel ribadire - specie laddove afferma che “La disciplina contenuta nell' art. 57 del d.lgs. n. 36/2023 rafforza l’obbligo di includere i CAM nei documenti progettuali e di gara, peraltro, in perfetto allineamento con le modifiche agli artt. 9 e 41 della Costituzione ad opera della legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1, aventi la chiara finalità di una maggiore tutela dell’ambiente e della salute e della regolazione delle attività economiche in un’ottica di sostenibilità. Ne discende che la tutela dell’ambiente passa anche attraverso la conclusione delle procedure ad evidenza pubblica e la verifica della conformità ai CAM delle offerte presentate si traduce in un uso strategico dei contratti pubblici, coerente con una finalità ulteriore rispetto a quella della tutela della concorrenza” - le premesse teoriche e normative della giurisprudenza sopra richiamata, ha affermato, consequenzialmente, che “non è ravvisabile alcun contrasto giurisprudenziale insanabile che imponga la rimessione della questione all’Adunanza Plenaria poiché con le sentenze nn. 3411/2025 e 3542/2025 di questa Sezione sono state decise controversie in cui la mancata indicazione dei CAM nella documentazione progettuale e di gara si era risolta, nella sostanza, in un’ipotesi di grave carenza nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta”.

8. Sulla base di tale ricognizione, ritiene il Collegio che neppure nel presente giudizio sussistano i presupposti per una rimessione all’Adunanza Plenaria, proprio in ragione dell’adesione di tale ultima sentenza allo schema tracciato dai consolidati precedenti e da ultimo ribadito dalla sentenza n. 4385/2025.

Ciò in quanto l’approccio definito “casistico” dalla richiamata sentenza n. 6651/2025 non può che avere riguardo – in coerenza con la struttura argomentativa, come sopra riportata, che lo sorregge – unicamente alla distinzione fra le fattispecie in cui l’illegittimità del bando per mancato inserimento dei criteri ambientali minimi rende impossibile o estremamente difficoltosa la formulazione e la presentazione dell’offerta (nel qual caso vi è un onere di immediata impugnazione); e la distinta ipotesi in cui tale elemento non sussista, e nella quale pertanto non si versa nell’ipotesi derogatoria ed eccezionale cui l’Adunanza Plenaria riconduce l’onere di immediata impugnazione: non essendo possibile – per quanto si dirà – ipotizzare fattispecie intermedie rimesse alla discrezionalità giudiziaria.

Alla teorizzazione del ridetto approccio casistico non può dunque attribuirsi un diverso significato, pena – oltre che il pregiudizio per il valore della certezza del diritto – la vanificazione, in un’ottica creazionista (recte: negazionista), del significato obiettivo e della funzione della norma primaria della cui applicazione si discute.

9. Tanto premesso, va ulteriormente precisato – anche in ragione del contenuto delle difese delle parti nel presente giudizio – che nell’applicazione del sopra ricostruito criterio non può che farsi riferimento, evidentemente, alla domanda, id est alla prospettazione della parte ricorrente.

Ciò va precisato in quanto Getec in alcuni passaggi oppone che il TAR ha “semplicemente utilizzato l’offerta di SIRAM come esempio “paradigmatico” per dimostrare la comprensibilità della clausola in contestazione”; (….) “È evidente come il T.A.R. non abbia in alcun modo sostituito la propria valutazione tecnico-discrezionale a quella dell’Amministrazione, non avendo del resto attribuito punteggi né giudicato la qualità tecnica dell’offerta, ma si sia unicamente limitato a rilevare che l’offerta stessa dimostrava la comprensibilità della lex specialis attraverso un semplice, e certamente consentito, accertamento in fatto, lontano da qualsivoglia valutazione tecnico-discrezionale”.

Il punto controverso, però, non è la comprensibilità della clausola ai fini della formulazione dell’offerta: ma la sua illegittimità per mancato inserimento dei cosiddetti cc.aa.mm.

Siram – come riporta anche la sentenza gravata, nel passaggio sopra richiamato - lamentava la stessa situazione oggetto della citata sentenza n. 4701/2024, come del resto ammette la memoria depositata in appello dalla stazione appaltante.

A pag. 3 della memoria del 9 settembre 2025 l’Azienda riconosce infatti che “la causa petendi, dunque, sottende un’azione palesemente volta a contestare in radice la gara e non limitata soltanto allo svolgimento della procedura di gara o al provvedimento di aggiudicazione che l’ha conclusa”.

Dunque la domanda dell’odierna appellante, fondata o meno che fosse in concreto, risultava nel caso di specie del tutto conforme a tale modello di tutela processuale: e in quanto tale non si pone affatto in contrasto con il principio di fiducia, che evidentemente – come meglio si specificherà in seguito – non ha il significato normativo di incidere in senso limitativo sullo stesso.

Alla luce delle superiori considerazioni concernenti il significato normativo della disciplina dei criteri ambientali minimi, e del relativo modello di tutela processuale, deve concludersi nel senso dell’infondatezza della sopra riportata eccezione di tardività del ricorso di primo grado sollevata dalla stazione appaltante.

10. Tanto premesso in rito, venendo all’esame del merito va osservato che il mezzo in esame censura la sentenza gravata nella parte in cui questa ha motivato il rigetto della censura osservando che “Avuto riguardo all’offerta tecnica della ricorrente a cui si è fatto cenno innanzi, emerge che la SIRAM si sia lodevolmente resa parte attiva e diligente nel corrispondere agli obiettivi della stazione appaltante, corredando la propria proposta di una serie di elementi tali da rendere la stessa congrua e coerente con gli obiettivi programmati dalla stazione appaltante. Preso atto di ciò, non è apprezzabile la doglianza in ordine alla pretesa migliore specificazione dei criteri minimi ambientali, risolventesi nella denuncia di un vizio della procedura da ritenersi invero non sussistente, siccome non ritenuto tale dal partecipante alla gara e rinvenuto solo al termine della procedura espletata”.

Il richiamo all’offerta Siram da parte del primo giudice, pur se non si traduce in una declaratoria di inammissibilità del motivo, vuole sottolineare – anche nell’ottica del richiamo al principio di fiducia - il fatto che la parte ricorrente, che pure ha contestato l’aggiudicazione (e, dunque, l’esito della procedura), aveva però formulato un’offerta ispirata alla sostenibilità ambientale.

Il già esaminato – in relazione alla dedotta eccezione – profilo della avvenuta presentazione dell’offerta da parte della ricorrente, viene ora in considerazione con riferimento al merito delle doglianze: la cui fondatezza è stata esclusa dal T.A.R per ragioni sia oggettive (la ritenuta equipollenza ambientale del contenuto dell’offerta) che soggettive (la pretesa rilevanza del principio della fiducia).

11. In proposito va anzitutto osservato che nel presente giudizio è incontestato, in punto di fatto, il mancato inserimento nella legge di gara dei criteri ambientali minimi, secondo il parametro specificato dalla sentenza n. 4701/2024 di questo Consiglio di Stato (i cui effetti del resto l’odierna appellante intendeva espressamente trasporre nella fattispecie in esame attraverso il ricorso di primo grado): ciò di cui si discute è piuttosto la possibilità di ritenere o meno tale mancato inserimento un vizio di legittimità dei provvedimenti impugnati, anche alla luce del contenuto dell’offerta della parte ricorrente.

Ritiene il Collegio che non possa condividersi la conclusione del primo giudice secondo la quale la condotta della ricorrente avrebbe in qualche modo “sanato” la genericità (rectius: invalidità per carenza di un elemento normativamente necessario) del richiamo della lex specialis alla disciplina dei criteri ambientali: “Viceversa, appare cha la formulazione “aperta” ed elastica dell’art. 24 del disciplinare (dettante la prescrizione di “adottare i Criteri Ambientali Minimi (CAM) per le attività di manutenzione dettati dal Ministero dell’Ambiente, con particolare riferimento, oltre agli aspetti energetici oggetto di affidamento, anche all’approvvigionamento e all’uso di materiali e tecniche a ridotto impatto ambientale durante l’intero ciclo di vita dell’opera, alla gestione del ciclo dei rifiuti, ecc., in linea con le normative europee, nazionali e locali, adeguando di conseguenza il Servizio da assumere”) sia stata ben intesa e applicata dalla ricorrente, che con la propria offerta ha “riempito” i supposti vuoti della prescrizione medesima. (….) Pertanto, alla stregua del principio della fiducia possono essere valutati e risolti i dubbi sulla legittimità della disciplina, in tutte le ipotesi di insorgenza di aspetti critici che, a ben vedere, non si sostanziano in vizi che abbiano avuto incidenza sostanziale e lesiva della posizione soggettiva della parte, cosicché la legge di gara, congiunta all’applicazione che ne hanno dato le parti, reca in sé l’autodisciplina del caso concreto e consente di risolvere in tal modo i dubbi interpretativi”.

Tale conclusione avrebbe potuto avere un astratto rilievo, in tesi, ove il contributo dell’offerta contrattuale integrativa avesse sanato la (illegittima) disciplina di gara senza pregiudizio per l’interesse della ricorrente.

Ma non si vede come possa attribuirsi a tale offerta un rilievo tale da escludere l’illegittimità della censurata lex specialis, una volta che l’offerta risultata aggiudicataria sia altra, e che dunque l’offerente sia stata lesa dall’esito della (illegittima) procedura.

12. Ancora una volta il richiamo al principio di fiducia, ove mai rilevante (in senso “sanante”) avuto riguardo alla disciplina del descritto modello di tutela della sostenibilità ambientale in materia di contratti pubblici, non può comunque avere rilievo esimente rispetto ad una difformità del provvedimento dal relativo paradigma normativo avuto riguardo non alla mera divaricazione formale, ma proprio alla tutela – sul piano sostanziale – degli interessi protetti dalla disposizione di cui all’art. 34 del d. lgs. n. 50 del 2016 (e dell’art. 57 del d. lgs. n. 36 del 2023).

A ben vedere il riferimento, nella sentenza gravata, al principio della fiducia anche in relazione alla dialettica fra la censura di violazione dei c.a.m. e l’avvenuta presentazione di un’offerta ecosostenibile, utilizza in realtà argomenti logici che riecheggiano piuttosto il principio di buona fede (che ai sensi dell’art. 1, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990, e dell’art. 5 del d. lgs. n. 36 del 2023, impegna entrambe le parti del rapporto amministrativo), e conseguentemente un possibile abuso del diritto e del processo (pur senza giungere a conseguenze su questo terreno, ma limitando il supporto argomentativo sul piano delle regole di validità, in punto di affermazione della legittimità di un provvedimento così contestato, per respingere il ricorso nel merito).

13. Al tema della buona fede dell’operatore economico fa del resto riferimento anche la già richiamata – ad altri fini - sentenza n. 6651 del 2025 della V Sezione di questo Consiglio di Stato, invocata dall’Azienda appellata: “Il principio del risultato, letto in combinato disposto con quello della buona fede di cui all’art. 5, si traduce per l’operatore economico nella individuazione della soglia di sforzo esigibile per comprendere l’interesse cui la commessa è preordinata e in una maggiore responsabilizzazione nel segnalare tempestivamente alla S.A. l’impossibilità o la difficoltà di comprendere tale finalità e di corrispondervi con un’offerta consapevole e conforme alla lex di gara senza far proseguire la procedura e farla giungere al termine per poi contestarla sulla base di vizi integralmente afferenti alla lex di gara e come tali incidenti sulla stessa possibilità di formulare un’offerta consapevole”.

In argomento deve anzitutto escludersi (per le ragioni sopra richiamate) una automatica ridondanza dei “vizi integralmente afferenti alla lex di gara” sulla “stessa possibilità di formulare un’offerta consapevole” (che vanificherebbe e smentirebbe l’articolato sforzo ricostruttivo della sentenza n. 4/2018 dell’Adunanza Plenaria, che distingue e non sovrappone i due elementi, e che pone un diverso rapporto regola/eccezione).

Inoltre, la valorizzazione del principio del risultato deve comunque tener conto di quanto ribadito da ultimo in giurisprudenza nel senso che “pur se l’art. 1 cit. fa riferimento al “risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione”, non può certo ritenersi che il principio sia diretto a raggiungere un affidamento e una esecuzione del contratto “quali che siano”. Al contrario, l’affidamento della commessa e l’esecuzione del contratto devono essere funzionali al raggiungimento degli interessi pubblici che la commessa mira a soddisfare e il principio del risultato deve senz’altro essere inteso in tale ottica” (Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza n. 6337/2025; nello stesso senso Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 4701/2024: “Non trova dunque giuridico fondamento la tesi per cui la positivizzazione in materia contrattuale del principio del risultato avrebbe sancito il primato logico dell’approvvigionamento: non foss’altro perché tale principio è strettamente correlato a (e condizionato da) quello della fiducia, e dunque si differenza dalla logica del risultato “statico” di cui all’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 per rivolgersi invece alla effettività della tutela degli interessi di natura superindividuale la cui cura è affidata all’amministrazione, fra i quali quello della tutela ambientale assume un ruolo decisamente primario alla luce sia della richiamata Direttiva 2014/24/UE, che del riformato art. 9 della Costituzione”).

14. In ogni caso ad avviso del Collegio la disciplina dei princìpi del risultato e di buona fede non può comunque tradursi nell’imposizione all’operatore privato di un onere tendente a superare il vizio del provvedimento prima dello svolgimento della gara, pena l’irricevibilità o inammissibilità (o infondatezza) del ricorso giurisdizionale (o di specifiche censure) avverso gli atti terminali della gara stessa.

Una simile affermazione sarebbe, a tacer d’altro, contraria all’effettività della tutela del diritto di difesa ex art. 24 Cost.

D’altra parte la ricordata sentenza dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato n. 4 del 2018 ha chiarito che la tutela giurisdizionale avverso l’impugnazione di bandi illegittimi si si esercita, di regola, solo “unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell'interessato”; solo in via di eccezione la sentenza ha affermato l’onere di immediata impugnazione di clausole che abbiano effetto escludente (anche indirettamente, in termini di formulazione dell’offerta).

Tale conclusione poggia sulla disciplina, anche costituzionale (si vedano, in particolare. i punti 16.8., 18.7.1. e 19.1.2. della motivazione della sentenza appena richiamata) e comunitaria (Corte di Giustizia dell’U.E., sentenza 5 aprile 2016 in causa C-689/13), della tutela processuale amministrativa avverso i bandi di gara illegittimi: essa, pertanto, non può essere alterata dalla disciplina “di principio” del (procedimento di evidenza pubblica, e del) rapporto negoziale, ammesso che a quest’ultima possa ricondursi il significato di imporre uno sforzo esigibile in tal senso.

15. Sotto tale profilo si consideri che questa Sezione, nella sentenza n. 2866/2024, ha affermato nella medesima materia che “l’obbligo di agire secondo buona fede (art. 1, comma 2-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241: ora declinato nella materia contrattuale dall’art. 5 del citato d. lgs. n. 36 del 2023), configura – come è stato osservato in dottrina - un “rapporto di tipo orizzontale tra cittadini e pubblica amministrazione”, che comporta – oltre a dei precisi doveri per l’amministrazione - anche una più marcata responsabilizzazione dei primi in seno al procedimento, il che nel caso di specie si traduce nella individuazione della soglia di sforzo esigibile dall’operatore economico per comprendere l’interesse cui la commessa è preordinata”.

Un tale sforzo non può tuttavia tradursi nell’adozione di comportamenti potenzialmente lesivi per la stessa parte (o comunque contrari al suo interesse): la segnalazione dell’illegittimità o incompletezza del bando con riferimento ad un determinato aspetto di disciplina può infatti danneggiare gli interessi del singolo operatore economico; l’amministrazione è attributaria della cura dell’interesse pubblico portato dalla disciplina che si assume violata, e come tale è responsabilizzata in relazione all’adozione di una legge di gara conforme a tale disciplina.

In ogni caso una simile soluzione sottrarrebbe all’operatore economico, per effetto dell’iniziativa assunta, un possibile motivo di impugnazione, stabilendo così una decadenza in via interpretativa.

Essa, inoltre, costringerebbe gli interessati ad impugnare il bando indipendentemente dall’esito della gara (e, dunque, dalla concreta lesività del vizio).

Non senza ragione, pertanto, la più volte citata sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 4 del 2018 aveva chiarito che “l’effetto pressochè certo dell’abbandono del criterio tradizionale è quello dell’(ulteriore) incremento del contenzioso: quantomeno a legislazione vigente, i possibili vantaggi sembrano del tutto ipotetici”.

Neppure sotto tale profilo, dunque, è dato cogliere una infondatezza (o inammissibilità) della pretesa della parte ricorrente, posto che il ricorso di primo grado – come già specificato - non aveva riguardo all’impossibilità di formulare l’offerta, ma alla illegittimità della legge di gara per mancato inserimento nella stessa dei criteri ambientali minimi.

16. Ad ulteriore supporto dei precedenti argomenti deve poi rilevarsi come in dottrina siano stati indicati, come possibili rischi (non necessariamente opposti) della c.d. “principializzazione” introdotta (secondo una logica neo-contabilistica, o addirittura di conservazione del contratto) dal vigente codice dei contratti pubblici, sia quello di una possibile limitazione del sindacato giurisdizionale sugli atti del procedimento di evidenza pubblica (che, a tacer d’altro, porrebbe seri problemi di compatibilità con il diritto dell’U.E.); sia quello della formazione di un diritto pretorio fondato proprio su categorie come risultato, fiducia e buona fede, tale da creare una possibile frizione con l’esigenza di certezza del diritto.

Risulta pertanto maggiormente compatibile con la matrice garantista del diritto ammnistrativo la ricostruzione secondo la quale siffatti princìpi traducono nella materia contrattuale, per orientare l’attività discrezionale dell’amministrazione nell’adozione dei relativi provvedimenti, i princìpi costituzionali e i princìpi generali dell’attività amministrativa già presenti nel sistema, senza alterazione alcuna dei tratti del sindacato giurisdizionale e, prima ancora, della categoria dell’invalidità intesa come contrarietà al parametro normativo tale da provocare una lesione dell’interesse da questo protetto.

In quest’ottica non va trascurato che, come recentemente ricordato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 88/2025, “Il potere amministrativo, originariamente concepito come espressione di assoluta “supremazia” (salvi i limiti segnati dalla legge) e caratterizzato dalla sua “inesauribilità”, nel suo ancoraggio costituzionale è, piuttosto, una situazione soggettiva conferita al servizio degli interessi della collettività nazionale (art. 98 Cost.). Dal descritto passaggio dalla logica della preminenza a quella del servizio deriva che la norma che attribuisce il potere per la realizzazione di uno specifico interesse pubblico fa di questo non solo il fine, ma la causa stessa del potere: proprio in quanto il potere è strumentale, va esercitato nella misura in cui serve al soddisfacimento dell’interesse pubblico ed è proporzionatamente occorrente a tal fine, quindi con il minimo sacrificio dell’interesse del privato, ma anche degli altri interessi pubblici”.

Tale richiamo, nella fattispecie in esame, assume il duplice rilievo di una consapevole verifica di legittimità che abbia riguardo alla corretta identificazione degli interessi collettivi tutelati dalla norma che funge da parametro, e della impossibilità di imporre in via interpretativa sacrifici all’interesse del privato a fronte della deviazione da tale parametro.

17. Il motivo in esame contesta poi la sentenza gravata nella parte in cui questa afferma che “non merita condivisione la censura sull’esiguità dei punti (5) assegnati per il rispetto dei CAM, sul totale dei 70 attribuibili all’offerta tecnica, in ragione dell’ampia discrezionalità spettante alla P.A. circa la fissazione dei criteri di valutazione delle offerte e la correlativa attribuzione di punteggi (cfr. Cons. Stato n. 9398/2023, cit.: “In ordine ai criteri di valutazione delle offerte da parte della P.A., la giurisprudenza ha stabilito che si tratta di “espressione dell’ampia discrezionalità attribuitale dalla legge per meglio perseguire l’interesse pubblico, e, come tale, è sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità solo allorché sia macroscopicamente illogica, irragionevole ed irrazionale e i criteri non siano trasparenti ed intellegibili”)”.

In proposito deve anzitutto osservarsi che questa parte della censura è ininfluente ai fini dell’esito della controversia.

Una volta accertato che la legge di gara non prevedeva l’inserimento obbligatorio (e non, dunque, nella parte relativa ai punteggi migliorativi) dei criteri ambientali minimi relativi alle prestazioni oggetto del contratto, ciò determina l’illegittimità della stessa in ragione della impossibilità di supplire ad una simile carenza invalidante con la previsione di un recupero di tali criteri in sede di previsione di punteggi migliorativi, quali che essi siano, come chiarito dalla pacifica giurisprudenza di questa Sezione, da ultimo richiamata dalla citata sentenza n. 4701/2024 (punto 6.4.2. della motivazione): “Rimane dunque confermato, anche nel caso in esame, che “La conseguenza della richiamata disciplina di gara è infatti quella di relegare un contenuto necessario all'alea delle offerte migliorative” (sentenza n. 8773/2022, cit.; nello stesso senso sentenza 972/2021)”.

18. Il secondo motivo di appello, relativo al capo della sentenza impugnata che ha respinto la censura sulla composizione della Commissione, non deve essere esaminato perché proposto in via subordinata.

19. Conseguentemente, assorbita ogni altra questione in rito, in accoglimento del primo motivo di appello e in riforma della sentenza gravata, deve essere accolto il primo motivo del ricorso di primo grado ed annullati i provvedimenti con lo stesso impugnati.

All’annullamento dell’aggiudicazione consegue la declaratoria di inefficacia dell’eventuale contratto medio tempore stipulato (Consiglio di Stato, sentenza n. 4385/2025, cit.).

Non essendo stata proposta domanda di subentro nel rapporto negoziale eventualmente attivato, nulla dev’essere statuito in proposito, fatto salvo quanto previsto dall’art. 124, comma 2, c.p.a.

Le spese del doppio grado del giudizio, liquidate come in dispositivo e da corrispondersi in favore dell’odierna appellante, vanno poste a carico delle parti soccombenti Azienda dei Colli e Getec Italia S.p.A.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, accoglie il primo motivo del ricorso di primo grado ed annulla i provvedimenti con esso impugnati.

Dichiara l’inefficacia del contratto eventualmente nelle more stipulato.

Condanna l’Azienda dei Colli e Getec Italia S.p.A. al pagamento in favore di Siram s.p.a. delle spese del doppio grado del giudizio, liquidate per ciascuna parte soccombente in complessivi euro cinquemila/00, oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2025 con l'intervento dei magistrati:

Rosanna De Nictolis, Presidente

Giovanni Pescatore, Consigliere

Ezio Fedullo, Consigliere

Giovanni Tulumello, Consigliere, Estensore

Antonio Massimo Marra, Consigliere