Corte giust. amm. reg. sicilia, sez. giurisdizionale, 30 giugno 2025, n. 195

(…) gli “indizi” che vengono valutati dal Prefetto in sede di informazione antimafia sono concettualmente gli stessi su cui è chiamato a pronunziarsi il giudice della prevenzione cautelare penale che, diversamente da quello della giurisdizione penale piena di merito, non deve raggiungere un livello di certezza “al di là di ogni ragionevole dubbio”, limitandosi piuttosto a provvedere, nella fase di adozione del sequestro cautelare di prevenzione, sulla base di indizi che, comunque, rendano la prospettazione accusatoria – come oggi suole dirsi – “più probabile che non”, ossia dotata di quello stesso grado di verosimiglianza cui è chiamato ad attenersi il Prefetto in questa sede amministrativa (e, dopo di lui, il giudice amministrativo nel suo vaglio giurisdizionale).

(…) Una generale esigenza di non contraddizione dell’ordinamento giuridico impone, prima al Prefetto e poi al giudice amministrativo, di tenere nella massima considerazione le definitive valutazioni indiziarie compiute (anteriormente) dal giudice penale in fase cautelare, anche e soprattutto ove diverse da quelle sostenute dalla parte pubblica accusatoria.

(…) I medesimi fatti indizianti che potrebbero qualificare come sufficiente una valutazione probabilistica basata su indizi gravi, precisi e concordanti che renda "più probabile che non" il pericolo di infiltrazione mafiosa, avrebbero dovuto comunque essere oggetto di autonoma valutazione critica e motivata da parte del Prefetto che – stante l’opposto convincimento raggiunto dal giudice della prevenzione penale in fase cautelare – avrebbe alternativamente dovuto: o addurre fatti nuovi e ulteriori che, in esito a una valutazione di sintesi con gli indizi già negativamente vagliati dal giudice della prevenzione penale, fossero stati idonei a sovvertire il quadro indiziario per quale ragionevolmente tratteggiato in sede di prevenzione penale; oppure convincentemente spiegare le ragioni per cui, pur se a fronte del medesimo quadro indiziario, le conclusioni tratte dal giudice della prevenzione penale siano state il frutto di un’erronea valutazione di detto quadro e risulti perciò più convincente e persuasivo (non solo per il Prefetto, ma anche per questo giudice che della ragionevolezza della valutazione prefettizia è l’ultimo censore) pervenire a conclusioni di segno diverso.

Guida alla lettura

Con ordinanza collegiale n. 195/2025, in fase cautelare, si è pronunciato il CGARS in materia di informazioni interdittive antimafia.

Nel caso di specie il Prefetto, nell’adottare l’informazione antimafia, non ha tenuto conto delle valutazioni compiute dal Tribunale Penale – Sezione Misure di Prevenzione, confermate con decreto anche dalla Corte d’Appello, secondo le quali non vi erano elementi tali da poter ritenere concreto il pericolo di ingerenza del padre nella gestione di una società da parte dei figli sia a fronte della ritenuta liceità dei fondi utilizzati sia per l’autonomia gestionale nell’esercizio dell’attività d’impresa; né il rappresentante provinciale del Governo ha posto alla base dell’interdittiva ulteriori elementi rispetto a quelli valutati in sede penale cautelare, considerato che i fatti valutati dal Giudice sono stati gli stessi esaminati dal Prefetto.

Sull’autonoma rivalutazione da parte del Prefetto dei medesimi indizi già valutati dal Giudice penale, il CGARS ha richiamato due sue precedenti pronunce, nn. 448 e 472 del 2025, la prima oggetto di nota a sentenza sulla presente rivista[1].

E infatti, il Consiglio, nel richiamare tali sentenze, ha sostanzialmente ribadito che per evitare che venga addotta come scusante per non considerare le valutazioni poste in essere sugli stessi fatti dal Giudice penale la circostanza che in quest’ultimo è richiesto un grado di certezza della prova più elevato rispetto a quello domandato nel procedimento e nel giudicato amministrativo è bene ricordare che il giudicato penale si distingue tra quello di merito e quello cautelare.

Solo il giudicato penale di merito richiede un accertamento della responsabilità penale pieno e “oltre ogni ragionevole dubbio”.

Il diritto amministrativo, sul quale si basa l’adozione della interdittiva antimafia, invece, è definito diritto amministrativo della prevenzione, ovvero basato su una fattispecie di pericolo che mette in atto un ragionamento di tipo induttivo e probabilistico sulla base del quale si può ritenere “più probabile che non” il tentativo di infiltrazione mafiosa.

Sicché, non è possibile che un fatto che non viene sufficientemente provato in sede penale cautelare sia rilevante, sulla base dei medesimi elementi, in sede amministrativa in quanto si produrrebbe un vuoto sistemico di ragionevolezza dell’ordinamento giuridico considerato nel suo complesso.

Secondo quanto disposto dagli artt. 650 e 651 c.p.p., i fatti accertati in sede penale “fanno stato in qualsiasi altro processo ed anche nei procedimenti amministrativi” compreso quello per l’adozione dell’informativa antimafia, ma ciò non impedisce che tali fatti, così come accertati, possano essere valutati diversamente nell’ambito del procedimento amministrativo o nel giudizio amministrativo.

In particolare, “una generale esigenza di non contraddizione dell’ordinamento giuridico impone, prima al Prefetto e poi al giudice amministrativo, di tenere nella massima considerazione le definitive valutazioni indiziarie compiute (anteriormente) dal giudice penale in fase cautelare, anche e soprattutto ove diverse da quelle sostenute dalla parte pubblica accusatoria”.

Il Prefetto, però, ben può giungere a conclusioni diverse rispetto a quelle del giudice penale della prevenzione adducendo o fatti nuovi e ulteriori o esponendo le ragioni per le quali le medesime circostanze siano state erroneamente valutate dal giudice della prevenzione.

Per tali ragioni, dunque, il Consiglio ha accolto l’appello, riformato l’ordinanza impugnata e sospeso l’efficacia dei provvedimenti impugnati.

 

 

Pubblicato il 30/06/2025

N. 00195/2025 REG.PROV.CAU.

N. 00573/2025 REG.RIC.           

 

REPUBBLICA ITALIANA

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 573 del 2025, proposto da

 

-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Immordino e Giuseppe Immordino, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Giovanni Immordino in Palermo, viale Libertà n. 171;


contro

Ministero dell’Interno – Ufficio Territoriale del Governo Palermo – in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Palermo, via Valerio Villareale n. 6;

per la riforma

dell'ordinanza cautelare del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima) n. 00176/2025, resa tra le parti, ricorso n. 475/2025 Reg. Ric., proposto per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia:

- del provvedimento d'informativa antimafia interdittiva, Prot. Interno n.-OMISSIS- del 13/02/2025, adottato dal Prefetto della Provincia di Palermo (doc. n. 1);

- (ove occorra e per quanto di ragione) dei verbali delle riunioni del Gruppo Provinciale Interforze del 03/12/2024 e del 04/02/2025 (non conosciuti);

- (ove occorra e per quanto di ragione) della comunicazione della Prefettura di Palermo 

ex art. 92, comma 2-bis, D.lgs. n. 159/2011, prot. n. -OMISSIS- dell'11/12/2024 (doc. n. 2);

- del provvedimento della Prefettura di Palermo prot. n. 0043934 del marzo 2025 di “diniego di iscrizione nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa (c.d. “White List”)”;

- nonché degli atti tutti presupposti, connessi e consequenziali.


Visto l'art. 62 cod. proc. amm.;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno - Ufficio Territoriale del Governo Palermo;

Vista la impugnata ordinanza cautelare del Tribunale amministrativo regionale di reiezione della domanda cautelare presentata dalla parte ricorrente in primo grado;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2025 il Cons. Antonino Lo Presti e uditi per le parti gli avvocati come specificato nel verbale;


 

Ritenuto che, alla luce della sommaria delibazione tipica di questa fase e ferme restando le valutazioni proprie della sede del merito, l'appello appare assistito da adeguati elementi di fumus boni iuris, in ragione:

I) delle pronunce del Tribunale di Palermo - Sezione Misure di Prevenzione (decreto n.-OMISSIS-R.M.P., confermato dalla Corte d'Appello con decreto n. -OMISSIS-) che, ritenendo di non condividere la ricostruzione proposta dal Procuratore della Repubblica di Palermo in ordine alla significatività degli “indizi” assunti quali elementi sintomatici di una possibile ingerenza da parte del padre dei soci nelle attività della società appellante, hanno respinto la proposta di adozione del sequestro (provvedimento di natura cautelare, adottato dal giudice penale della prevenzione inaudita altera parte, finalizzato all’eventuale confisca) sulla scorta del convincimento della liceità dei fondi investiti e dell'autonomia gestionale dei figli, per l’effetto respingendo l’istanza di sequestro dei beni sociali a carico dell’appellante che era stata formulata dalla Procura della Repubblica di Palermo sulla base di un quadro indiziario ritenuto non passibile di condivisione perché non sostenuto da concreti elementi univoci e concordanti;

II) dell’incontroverso rilievo che, rispetto a tali evidenze processuali già negativamente (e definitivamente) valutate nella sede cautelare della prevenzione penale, non sembra che in questa sede amministrativa il Prefetto abbia aggiunto alcun elemento di novità, quand’anche indiziario, né che abbia (convincentemente) argomentato circa le (eventuali) ragioni per cui possa sostenersi che il giudice della prevenzione penale sia (casomai) incorso in un abbaglio o sia comunque pervenuto a conclusioni non condivisibili;

Rilevato, infatti, che gli “indizi” che vengono valutati dal Prefetto in sede di informazione antimafia sono concettualmente gli stessi su cui è chiamato a pronunziarsi il giudice della prevenzione cautelare penale che, diversamente da quello della giurisdizione penale piena di merito, non deve raggiungere un livello di certezza “al di là di ogni ragionevole dubbio”, limitandosi piuttosto a provvedere, nella fase di adozione del sequestro cautelare di prevenzione, sulla base di indizi che, comunque, rendano la prospettazione accusatoria – come oggi suole dirsi – “più probabile che non”, ossia dotata di quello stesso grado di verosimiglianza cui è chiamato ad attenersi il Prefetto in questa sede amministrativa (e, dopo di lui, il giudice amministrativo nel suo vaglio giurisdizionale);

Richiamato, in ordine al pertinente punto di diritto – che attiene ai criteri e ai limiti entro cui può svolgersi la legittima rivalutazione prefettizia del medesimo quadro indiziario che sia stato già vagliato dal giudice penale in fase cautelare – l’insegnamento espresso da questo Consiglio con le condivise sentenze 9 giugno 2025, n. 448 e n. 472 (cfr., in particolare, il § 9.2 delle relative motivazioni), che di seguito si riporta:

a) “occorre precisare – onde evitare che la usuale affermazione secondo cui il giudizio del giudice penale, a differenza di quanto avviene nell’ambito del diritto amministrativo della prevenzione, si forma secondo il principio di certezza "oltre ogni ragionevole dubbio" diventi un stanca e comoda affermazione per non tenere conto della verifica del giudice penale sugli stessi fatti oggetto di accertamento anche, nella loro oggettiva fatticità, della p.a. –” che nel “processo penale si rinvengono due forme di giudicato: il giudicato di merito e il c.d. giudicato cautelare”;

b) sicché “[s]olo il giudicato di merito postula la prova piena e”, dunque, solo “l'accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale richiede di attingere un livello di certezza "oltre ogni ragionevole dubbio"”;

c) “[o]vviamente tale livello di pienezza della prova non è richiesto dal diritto amministrativo della prevenzione per ritenere sussistente il "tentativo di infiltrazione", che deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere "più probabile che non", appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa (come puntualizzato da Cons. Stato, Ad. Plen. 6 aprile 2018, n. 3)”;

d) “[v]iceversa, il giudicato penale cautelare, a differenza di quello di merito, non richiede la prova piena e non si forma alla stregua del principio di certezza "oltre ogni ragionevole dubbio"”;

e) “[p]recisa, in proposito, la Corte di Cassazione penale (…): "nella fase cautelare, si richiede non la prova piena del reato contestato (secondo i criteri di cui all'articolo 192 cod. proc. pen.) ma solo la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Pertanto ai fini dell'adozione di una misura cautelare è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell'indagato in ordine ai reati addebitatigli e gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall'articolo 192 comma 2 cod. proc. pen., come si desume dell'articolo 273 comma uno bis cod. proc. pen. che richiama i commi terzo e quarto dell'articolo 192 citato, ma non il comma due dello stesso articolo, che richiede una particolare qualificazione degli indizi"”;

f) “[p]revede il citato comma 2 dell’art.192: "L'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti"”;

g) sicché, “[i]n buona sostanza, unicamente la prova indiziaria è richiesta per l’accertamento del fatto in sede penale cautelare; è sufficiente, cioè, la sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti per ritenere provato il fatto oggetto del giudizio cautelare

h) “[a]lla stessa stregua, per costante giurisprudenza amministrativa, deve essere ricostruito il fatto cui ancorare il giudizio prognostico della Prefettura nell’adottare la misura interdittiva”;

i) a “tal fine deve evidenziarsi che il termine "indizio" (e la sua regolamentazione) si rinviene solo nell’ambito del diritto processuale penale, ma non nel diritto amministrativo, così che non può ritenersi che la ricostruzione dei fatti alla stregua della prova indiziaria possa essere valutata attraverso "strumenti" propri di tale giurisdizione che differiscano dal quelli utilizzati dal giudice penale in sede cautelare”;

l) “[i]n realtà, la prova c.d. indiziaria trova ingresso anche nel processo civile – da cui transita, necessariamente tal quale, in quello amministrativo – alla stregua dell’art. 2729 cod. civ., secondo cui "le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi precise e concordanti"”;

m) “[o]rbene – giacché, ex art. 2727 cod. civ., "le presunzioni sono le conseguenze che … il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato" – se ne ricava che la prova presuntiva nel giudizio civile (e, dunque, anche amministrativo) è quella tratta in via critica dal giudice mediante la valutazione degli elementi indiziari di cui dispone, dei quali però non può tener conto ove essi non siano gravi, precisi e concordanti: dunque essi devono costituire una pluralità, devono essere specifici e conducenti, nonché risultare univoci tra loro (ossia nel loro significato inferenziale)";

n) “[i]n difetto di tali condizioni – e ovviamente di altre prove – il fatto (che, di norma, nel giudizio civile è un elemento della fattispecie su cui si fonda l’azione o l’eccezione di parte) non può ritenersi sussistente, perché non provato (giacché quod non est in actis non est in mundo), con rinveniente necessario rigetto della domanda o dell’eccezione che su tale fatto o fattispecie si fondi";

o) “[p]er concludere …, non può ritenersi che un fatto non sia sufficientemente provato in sede cautelare penale e, sulla base delle identiche emergenze indizianti (e, come si è visto, alla stregua del medesimo criterio probatorio) sia invece ritenuto accertato in sede di adozione dell’informazione interdittiva antimafia, altrimenti incorrendosi in un deficit sistemico di ragionevolezza dell’ordinamento giuridico inteso nel suo complesso”;

p) “[i]n punto di diritto ha affermato questo Consiglio che, "secondo un principio costituente jus receptum nell’Ordinamento (ed in parte sancito dagli artt.650 e 651 c.p.p. del c.p.p.), gli accertamenti di fatto cristallizzati nelle sentenze penali fanno stato in qualsiasi altro processo ed anche nei procedimenti amministrativi (quale è quello volto ad emettere l’informativa antimafia). Non si vede, del resto, come la esistenza (o inesistenza) di un fatto, accertata in un processo penale … potrebbe essere tralasciata (id est: non tenuta in alcuna considerazione) o addirittura smentita nell’ambito di una valutazione condotta da un’autorità pubblica. Sicché è evidente che allorquando il giudice penale afferma giudizialmente la sussistenza (o esistenza) o l’insussistenza (o inesistenza) del “fatto” (id est: della condotta) che integrerebbe il reato, o di un segmento della condotta descritta dalla norma incriminatrice, tale “accertamento” – che, a ben guardare, investe il “fatto” ancor prima che il “diritto” – non può essere ignorato o smentito dagli organi amministrativi di polizia" (CGA, sez. giuris., 22 novembre 2021, n. 1014)”;

q) [o]vviamente, fatto salvo l’accertamento del fatto nella sua oggettiva fatticità e identicità, possono ben divergere, invece, le valutazioni, sullo stesso fatto, formulate dal giudice penale (anche cautelare) e dalla p.a., in prima battuta, e dal giudice amministrativo dopo”;

Ritenuto, in sistematica coerenza con il riferito orientamento esegetico – cui questo Consiglio reputa di doversi attenere, in ragione dell’omologa ratio decidendi che connota sia i provvedimenti interdittivi prefettizi, sia quelli cautelari adottati dal giudice della giurisdizione penale piena, nonché quelli parimenti cautelari adottati dal giudice penale della prevenzione – che, nondimeno (pur se certamente non sussiste un giudicato in senso tecnico, neppure meramente “cautelare”, che sia idoneo a vincolare in toto la valutazione del quadro indiziario da parte del Prefetto, non foss’altro che per i limiti soggettivi del giudicato cautelare penale, cui il Prefetto è estraneo), una generale esigenza di non contraddizione dell’ordinamento giuridico impone, prima al Prefetto e poi al giudice amministrativo, di tenere nella massima considerazione le definitive valutazioni indiziarie compiute (anteriormente) dal giudice penale in fase cautelare, anche e soprattutto ove diverse da quelle sostenute dalla parte pubblica accusatoria;

Ritenuto, in conclusione, che i medesimi fatti indizianti che potrebbero qualificare come sufficiente una valutazione probabilistica basata su indizi gravi, precisi e concordanti che renda "più probabile che non" il pericolo di infiltrazione mafiosa, avrebbero dovuto comunque essere oggetto di autonoma valutazione critica e motivata da parte del Prefetto che – stante l’opposto convincimento raggiunto dal giudice della prevenzione penale in fase cautelare – avrebbe alternativamente dovuto: o addurre fatti nuovi e ulteriori che, in esito a una valutazione di sintesi con gli indizi già negativamente vagliati dal giudice della prevenzione penale, fossero stati idonei a sovvertire il quadro indiziario per quale ragionevolmente tratteggiato in sede di prevenzione penale; oppure convincentemente spiegare le ragioni per cui, pur se a fronte del medesimo quadro indiziario, le conclusioni tratte dal giudice della prevenzione penale siano state il frutto di un’erronea valutazione di detto quadro e risulti perciò più convincente e persuasivo (non solo per il Prefetto, ma anche per questo giudice che della ragionevolezza della valutazione prefettizia è l’ultimo censore) pervenire a conclusioni di segno diverso;

Ritenuto che nulla di tutto questo è dato rinvenire nella motivazione del provvedimento in scrutinio, il quale si limita a una autonoma rivalutazione del quadro indiziario che, irragionevolmente, ha del tutto prescisso dalla doverosa considerazione che su di esso stesso si era già motivatamente espresso, ma in senso opposto, il giudice della prevenzione penale in sede cautelare;

Ritenuto che, in tale contesto, l’apodittica riproposizione da parte del Prefetto delle stesse tesi già sostenute dalla Procura, ma non condivise dal giudice della prevenzione penale – che, lo si ripete, in sede cautelare ha applicato gli stessi parametri normativi dell’attività informativa prefettizia – si risolve in una tautologica assunzione di indizi (già reputati) non gravi, imprecisi o discordanti (o, in una parola, insufficienti) a supporto, dogmaticamente non condivisibile, dell’interdittiva impugnata;

Ritenuto, perciò, che tale provvedimento appare adottato nella carenza di elementi concreti che qualifichino il rapporto parentale come sintomatico di una conduzione familiare dell'impresa influenzabile dalla criminalità organizzata, essendo i contatti tra padre e figlio (incensurato) già stati qualificati dal giudice della prevenzione come normali rapporti familiari, né avendo il Prefetto dato adeguato conto delle ragioni per cui tale conclusione de eadem re non possa condividersi;

Ritenuto che sussiste il periculum in mora, considerando che i provvedimenti di cancellazione dagli Albi professionali conseguenti all'informativa, impediscono alla società di svolgere qualsiasi attività, anche con soggetti privati, con conseguente rischio, concreto e immediato, di fallimento.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale,

accoglie l'appello (Ricorso numero: 573/2025) e, per l'effetto, in riforma dell'ordinanza impugnata, accoglie l'istanza cautelare in primo grado e sospende l’efficacia dei provvedimenti in quella sede impugnati.

Ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia trasmessa al Tar per la sollecita fissazione dell'udienza di merito ai sensi dell'art. 55, comma 10, cod. proc. amm.

Ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia trasmessa al Tar per la fissazione dell'udienza di merito con priorità ai sensi dell'art. 55, comma 11, cod. proc. amm.

Compensa tra le parti le spese del doppio grado cautelare.

La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Ritenuto che sussistono i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità delle parti private.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2025 con l'intervento dei magistrati:

Ermanno de Francisco, Presidente

Michele Pizzi, Consigliere

Anna Bottiglieri, Consigliere

Antonino Lo Presti, Consigliere, Estensore

Sebastiano Di Betta, Consigliere

 


[1] S. M. Sisto, Interdittiva antimafia: rapporto tra valutazione dei fatti nel giudizio penale (anche cautelare) e procedimento-giudizio amministrativo, in www.italiappalti.it, 2025, visionabile al seguente link: