Cons. Stato, Sez. V, 27 giugno 2025, n. 5602

In tema di organizzazione della 75ª edizione del Festival di Sanremo, il Consiglio di Stato rigetta definitivamente ogni ipotesi di sottrazione della concessione del marchio (Festival della Canzone italiana) ai principi del Codice.

Il Festival, quale manifestazione canora ben individuata, costituisce, quindi, un evento del quale è titolare (possessore di marchio) il Comune di Sanremo; che a tale evento sia stato associato nel tempo un programma televisivo il cui format è ideato da altri soggetti è circostanza che si pone su tutt’altro piano, che nulla ha a che vedere col marchio comunale.

In tale prospettiva, senz’altro è ravvisabile la qualificazione della concessione del marchio relativo al Festival in termini di contratto attivo per il Comune, dal quale discende un’entrata a beneficio dell’amministrazione; come tale, lo stesso è sottratto all’applicazione del Codice dei contratti pubblici (art. 13, comma 2, d.lgs. n. 36 del 2023), bensì soggetto ai relativi principi, giacché il relativo «affidamento […] avviene tenendo conto dei principi di cui agli articoli 1, 2 e 3» (art. 13, comma 5, d.lgs. n. 36 del 2023).

Non vale il richiamare, in senso inverso, né il regime di contabilità pubblica, segnatamente di cui all’art. 3, comma 1, l. cont. St. e 41 Regol. cont. pubbl., né l’art. 56, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 36/2023, né la circostanza per cui il Festival sarebbe ricompreso fra gli eventi per i quali la normativa di settore prescrive una trasmissione in chiaro da parte di un operatore TV: ciò, oltre a non incidere affatto sul profilo strettamente organizzativo della manifestazione (bensì su quello esclusivamente tele-trasmissivo) in ogni caso non vale sic et simpliciter a legittimare un affidamento diretto.

In tale contesto, seppure è condivisibile in linea di principio che l’evidenza pubblica non costituisca l’unica e imprescindibile modalità di affidamento dei contratti pubblici, d’altra parte è pur vero che la stessa rappresenta la modalità principiale o “normale” di approvvigionamento pubblico, anche in presenza di un’entrata a beneficio dell’amministrazione: in ogni caso, per quanto qui di rilievo, l’osservazione non consente di ravvisare, nel caso, elementi tali da far ritenere legittimo l’affidamento diretto eseguito dal Comune.

Ciò premesso, neppure sembra potersi affermare la soggezione dell’affidamento dell’organizzazione del Festival, non solo ai principi del Codice, ma a specifica procedura ad evidenza pubblica nei sensi di cui all’art. 115, comma 3, d.lgs. n. 42 del 2004, modulato sulle cc.dd. «attività di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica».

Ed invero, ad avviso del Collegio, non risultano integrati, nella specie, gli elementi per ascrivere il Festival nella categoria di “espressione di identità culturale collettiva” ai sensi della Convenzione Unesco del 2003 per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale.

Nel caso di specie, si è invece in presenza di un singolo evento organizzato, coincidente con una specifica manifestazione canora, che non esprime né un’arte dello spettacolo in sé, né una consuetudine sociale come tale, né tanto meno un evento rituale o festivo; allo stesso modo, non si tratta di un’attività umana identitaria e distintiva di una comunità, e dunque tale da assurgere a «espressione di identità culturale collettiva» (art. 7-bis d.lgs. n. 42 del 2004, cit.).

Né rileva, in diverso senso, il fatto che il Festival sia riconosciuto quale evento di particolare rilevanza con delibera AGCOM n. 8/99 e dal d.m. 27 maggio 2022, attuativo dell’art. 33, comma 3, d.lgs. n. 208 del 2021, che hanno tutt’altro valore.

Guida alla lettura

Con la sentenza n. 5602 del 27 giugno 2025, la V Sezione del Consiglio di Stato si pronuncia definitivamente sulla sussistenza, o meno, di un obbligo, per il Comune di Sanremo, di indire una procedura di evidenza pubblica avente ad oggetto la concessione dell’uso in esclusiva del Marchio (“Festival della canzone italiana”).

Con ampliativo rinvio al commento alla primigenia sentenza del TAR Liguria, Sez. I, 5 dicembre 2024, n. 843 (cfr. Commento su ItaliAppalti a firma di Giusy Casamassima, https://www.italiappalti.it/leggiarticolo.php?id=5461) giova rilevare che il Giudice a quo – prima di ogni altro profilo – affermava la sussistenza della legittimazione al ricorso, con riguardo ai casi di affidamento diretto laddove – in luogo del criterio della necessaria partecipazione del ricorrente alla procedura – si impone, evidentemente, il riconoscimento di una legittimazione più ampia in favore dell’operatore economico del settore di mercato cui afferisce l’oggetto del contratto, qualità che, ad avviso del TAR, deve essere sempre accertata in base all’oggetto sociale risultante dallo statuto.

Successivamente, il TAR Liguria ricostruiva il rapporto tra il Comune di Sanremo e RAI S.p.A., in base alla Convenzione esistente, e, all’uopo, concludeva che esso è senz’altro qualificabile in termini di contratto attivo, con la conseguenza che lo stesso non risulta disciplinato dal Codice dei contratti pubblici, il quale esclude espressamente i contratti attivi dal proprio ambito di applicazione (art. 13, comma 2, d.lgs. n. 36/2023).

Tuttavia, ancorché escluso dall’ambito di applicazione del Codice, il Tar rilevava che l’affidamento di un contratto attivo che offra opportunità di guadagno alla controparte dell’Amministrazione deve avvenire (secondo quanto previsto dall’art. 13, comma 5, d.lgs. n. 36, cit.) nel rispetto (oltre che dei principi del risultato e della fiducia, stabiliti, rispettivamente, dagli artt. 1 e 2 del Codice) dei principi di concorrenza, imparzialità, non discriminazione, pubblicità, trasparenza e proporzionalità (art. 3 del Codice, espressamente richiamato dall’art. 13, comma 5, cit.).

Per il resto il Giudice a quo, rilevava come “all’annullamento delle delibere di approvazione delle Convenzioni dovrebbe conseguire la caducazione delle Convenzioni medesime, in quanto trattasi di contratti che accedono ad una concessione di bene pubblico e sono, pertanto, privi di sostanziale autonomia rispetto a quest’ultima; ne consegue che detti contratti sarebbero destinati ad essere travolti automaticamente per effetto dell’annullamento dei provvedimenti di concessione, come riconosciuto dalla giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. VI, 15 marzo 2021, n. 2207)”.

Il Collegio, tuttavia, prendeva atto che l’organizzazione della 75ª edizione del Festival era in stato avanzato, con la conseguenza che, ove si fosse applicata la regola innanzi descritta, si sarebbero  prodotti effetti dirompenti e del tutto sproporzionati con riferimento all’imminente edizione del Festival: ne discendeva, quindi, la limitazione dell’effetto caducatorio alle sole delibere di approvazione delle Convenzioni, ferma restando l’efficacia delle Convenzioni (e salvo il diritto della società ricorrente al risarcimento del danno da perdita di chance, nel caso, comunque, escluso per difetto dei presupposti).

La sentenza odiernamente in commento ritorna, quindi, sul tema, in sede di gravame, e, in quanto alla legittimazione attiva dell’originario ricorrente, esclude la sussistenza di una (preventiva) insindacabile scelta organizzativa di affidamento soggettivamente concentrato e inscindibile della gestione e della radiotrasmissione del Festival, tale da escludere la legittimazione ad agire e l’interesse della ricorrente, priva della corrispondente qualifica di operatore (anche) radiotelevisivo: tanto, ad avviso del Collegio, non risulta inficiato dalla limitazione dell’effetto caducatorio e, assieme, di reiezione della domanda risarcitoria proposta in primo grado; la prima, infatti, costituisce una semplice valutazione del giudice di modulare l’effetto caducatorio per ragioni di opportunità e proporzionalità, nel complessivo bilanciamento degli interessi in rilievo, senza che da ciò possa discendere alcun retrospettivo effetto in ordine alla sussistenza delle condizioni dell’azione; la seconda attiene, invece, al merito della pretesa risarcitoria, di poi respinta per difetto di prova della chance in ordine al conseguimento del bene della vita.

Quanto all’accertamento incidentale dei rapporti tra il marchio del Festival e il format del programma coniato dalla Rai, l’appellante muove dal ritenere, al riguardo, che il TAR abbia addirittura inciso - in sede conformativa - sulle determinazioni dell’amministrazione in ordine all’organizzazione futura dell’evento, con pronuncia su poteri amministrativi non ancora esercitati. In altri termini, il TAR avrebbe finito per riconoscere cittadinanza nel nostro sistema al mero interesse ad ottenere un precedente giurisprudenziale favorevole da far valere pro futuro, coincidente con un interesse di mero fatto, cui è seguita una (inammissibile) sentenza di mero accertamento. Di qui la deviazione dal principio della domanda e la declinazione in termini oggettivi della giurisdizione (come) esercitata.

Di contro, il Collegio, a superamento dell’assunto anzidetto, rileva non solo come il Tar si sia pronunciato espressamente sulla domanda risarcitoria, respingendola nel merito per ragioni di assenza di prova sulla chance sull’aggiudicazione, ma anche che l’accertamento in ordine al legame tra il format del programma e il marchio della Rai, è avvenuto a fronte delle difese della Rai circa la radicale non concedibilità del marchio separatamente dal format, e perciò al fine di vagliare, a fronte di tale difesa, la fondatezza della pretesa di annullamento dell’affidamento diretto nella prospettiva dell’apertura al mercato.

In tale contesto, il Collegio precisa e corregge i capi della sentenza di primo grado circa l’effetto conformativo della decisione (e relativa eventuale ottemperanza). Come noto, “il perimetro del giudicato e i relativi effetti, anche conformativi in capo all’amministrazione, non possono che essere individuati come di consueto sulla base del petitum oggetto della controversia di cognizione (e, dunque, del provvedimento ivi impugnato), e degli stessi vizi in quella sede fatti valere” (Cons. Stato, V, 2 ottobre 2024, n. 7919; 21 maggio 2024, n. 4495; 28 febbraio 2023, n. 2078 e ri-chiami ivi; Cons. Stato, V, 18 ottobre 2022, n. 8852). Per questo, l’annullamento e il presupposto accertamento d’illegittimità (cui è seguito poi anche il rigetto nel merito della domanda risarcitoria) non possono che riguardare i provvedimenti oggetto d’impugnazione, nella loro “storicità” e nel loro portato oggettivo, e dunque in funzione della concessione del marchio per le annualità previste. In tal senso la motivazione della sentenza va dunque corretta, precisando nei sensi appena indicati la portata delle statuizioni adottate, ferma la generale funzione d’indirizzo per che le decisioni giudiziali (specie se relative all’esatta fattispecie) possono assumere nell’esercizio del potere (inesauribile) dell’amministrazione.

 

In questo contesto, anche i riferimenti al necessario espletamento della gara non possono essere intesi alla stregua di statuizioni aspecifiche e assolute, rappresentando piuttosto la (specifica e concreta) ragione fondante l’annullamento dei provvedimenti impugnati.

Quanto al ritenere di parte appellante circa l’inappropriata applicazione delle regole sull’evidenza pubblica pur al cospetto di “fenomeni culturali” ai sensi dell’art. 56, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 36 del 2023, il Collegio ritiene che l’affidamento diretto, nel caso, ha a oggetto il “Festival della canzone italiana”: ciò che costituisce dunque oggetto di privativa comunale è la manifestazione canora in sé, il Festival, appunto, quale evento musicale di titolarità del Comune, Il che implica due precise (e connesse) conseguenze: da un lato, che, formando l’evento musicale in sé oggetto del marchio comunale, lo stesso prescinde a ben vedere da profili di sua trasmissione radiotelevisiva, la quale, pur tradizionalmente eseguita, non connota né incide di suo sulla manifestazione e sul portato dei diritti che il Comune vi vanta; dall’altro, in via correlata, che l’oggetto del marchio non risulta in nulla inciso dalle (ancorché consuete e reiterate nel tempo) attività di tele-radiotrasmissione avvenute, e cioè dal cd. format della sua trasmissione radio-TV. In tale prospettiva, il marchio ha senz’altro una sua autonoma identità e un contenuto suo proprio che prescinde al programma TV, senza che perciò possa predicarsene la decettività sopravvenuta. Ne deriva a sua volta, da un lato, che ciò che ricade nell’invocata evidenza pubblica è proprio la concessione del marchio (e non di altro, in specie di inerenti format televisivi); dall’altro, che proprio perciò i diritti (e gli obblighi) del concessionario attengono all’evento canoro in sé, e dunque alla sua organizzazione e gestione quale manifestazione, appunto, ed eventualmente (costituendo ciò comunque un profilo ulteriore e distinto da quello organizzativo stricto sensu, ancorché concedibile dal Comune in via unitaria al primo) alla sua ripresa e trasmissione TV.

Tanto premesso, nell’assetto attuale senz’altro è ravvisabile la qualificazione della concessione del marchio relativo al Festival in termini di contratto attivo per il Comune, dal quale discende un’entrata a beneficio dell’amministrazione; come tale, lo stesso è sottratto all’applicazione del Codice dei contratti pubblici (art. 13, comma 2, d.lgs. n. 36 del 2023), bensì soggetto ai relativi principi, giacché il relativo «affidamento […] avviene tenendo conto dei principi di cui agli articoli 1, 2 e 3» (art. 13, comma 5, d.lgs. n. 36 del 2023).

Non vale il richiamare, in senso inverso, né il regime di contabilità pubblica, segnatamente di cui all’art. 3, comma 1, l. cont. St. e 41 Regol. cont. pubbl., né l’art. 56, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 36 del 2023, né la circostanza per cui il Festival sarebbe ricompreso fra gli eventi per i quali la normativa di settore prescrive una trasmissione in chiaro da parte di un operatore TV: ciò, oltre a non incidere affatto sul profilo strettamente organizzativo della manifestazione (bensì su quello esclusivamente tele-trasmissivo) in ogni caso non vale sic et simpliciter a legittimare un affidamento diretto.

Il Collegio si pronuncia, infine, sull’appello incidentale proposto dalla originaria ricorrente incentrato, essenzialmente, sulla: i) riproposizione della censura di primo grado circa la violazione delle norme del Codice dei contratti pubblici applicabili in forza dell’art. 115, comma 3, d.lgs. n. 42 del 2004 per la gestione dei beni culturali; ii) domanda risarcitoria.

Quanto al primo profilo, l’appellante incidentale critica l’affermazione del giudice di primo grado per cui il Festival di Sanremo non rientrerebbe nella definizione di “patrimonio culturale” a norma dell’art. 2, par. 1, Convenzione Unesco del 2003, così come si duole dell’affermata assenza di “testimonianze materiali” del Festival, affidato con deliberazioni comunali, tutelato da un marchio, e caratterizzantesi quale evento cui partecipa tutta la cittadinanza, che si svolge “dal vivo” su palco teatrale, e che è riconosciuto quale evento di particolare rilevanza con delibera AGCOM n. 8/99 e d.m. 27 maggio 2022. Parimenti erronea sarebbe l’affermazione del Tar per cui il Festival di Sanremo non rientra nell’elenco di cui all’art. 2, par. 2, Conv. Unesco, il quale ha valore meramente esemplificativo e ri-comprende peraltro anche le arti dello spettacolo e le consuetudini sociali e gli eventi rituali e festivi, in cui il Festival rientra. Di qui la necessità del relativo affidamento mediante procedura a evidenza pubblica a norma del Codice dei contratti pubblici, ai sensi dell’art. 115 d.lgs. n. 42 del 2004.

Di contro il Collegio, rileva come non risultino integrati, nella specie, gli elementi della categoria cui l’appellante vorrebbe ascrivere il Festival, e cioè di “espressione di identità culturale collettiva” ai sensi della Convenzione Unesco del 2003 per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale. La qualificazione di “patrimonio culturale immateriale” attiene a un insieme di attività umane - condensate e sintetizzate in “prassi”, “rappresentazioni”, “espressioni” e relativi oggetti associati - “che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale”, cioè quale patrimonio “trasmesso di generazione in generazione” e “costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia”, così da “d[are] loro un senso d’identità e di continuità”. Nel caso di specie, come correttamente posto in risalto dal giudice di primo grado, si è in presenza di un singolo evento organizzato, coincidente con una specifica manifestazione canora, che non esprime né un’arte dello spettacolo in sé, né una consuetudine sociale come tale, né tanto meno un evento rituale o festivo; allo stesso modo, non si tratta di un’attività umana identitaria e distintiva di una comunità, e dunque tale da assurgere a «espressione di identità culturale collettiva» (art. 7-bis d.lgs. n. 42 del 2004, cit.).

Quanto alla domanda risarcitoria l’appellante incidentale si duole del relativo rigetto, deducendo che il Tar avrebbe dovuto apprezzare le chance di vittoria della ricorrente - e, dunque, di conseguimento dell’affidamento - considerato che la chance costituisce una posizione giuridica qualificata in sé tutelata, rispetto alla quale ella vanterebbe ex se un diritto al risarcimento.

Ritiene, invece, il Collegio, al di là del dibattito sulla concezione della chance in termini ontologici od eziologici va osservato che anche l’impostazione accolta dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, con cui si ravvisa nella chanceuna posizione giuridica autonomamente tutelabile - morfologicamente intesa come evento di danno rappresentato dalla perdita della possibilità di un risultato più favorevole (e in ciò distinta dall’elemento causale dell’illecito, da accertarsi preliminarmente e indipendentemente da essa)” ne esige comunque la dimostrazione (“purché ne sia provata”) di “una consistenza probabilistica adeguata” (Cons. Stato, Ad. plen., 23 aprile 2021, n. 7, ri-chiamata recentemente da Cons. Stato, IV, 10 marzo 2025, n. 1962; nonché da Id., 16 ottobre 2023, n. 8994), sicché il risarcimento non può in ogni caso prescindere dall’evidenza della chance secondo calcolo probabilistico o presuntivo, rifuggendo ricostruzioni sostanzialmente astratte e ipotetiche (cfr. Cons. Stato, V, 31 gennaio 2025, n. 795).

 

In conclusione, per le suesposte ragioni, il Collegio respinge sia l’appello principale sia tutte le doglianze proposte in via incidentale.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 1116 del 2025, proposto da
Rai-Radiotelevisione Italiana s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe de Vergottini, Aristide Police, Filippo Degni, Claudio Mangiafico e Marco Petitto, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giuseppe de Vergottini in Roma, via Antonio Bertoloni, 44;

contro

JE s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Damiano Lipani, Francesca Sbrana, Federica Berrino e Silvia Cossu, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Comune di Sanremo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Harald Bonura e Giuliano Fonderico, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giuliano Fonderico in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 173;
Rai Pubblicità s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Guido Greco, Carlo Mirabile, Paolo Provenzano, Silvia Felicetti e Guglielmo Aldo Giuffré, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

e con l'intervento di

ad opponendum:

Associazione Utenti dei Servizi Radiotelevisivi - APS, Codacons - Coordinamento di Associazioni per la Tutela dell’Ambiente e dei Diritti di Utenti e Consumatori, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Gino Giuliano e Carlo Rienzi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Carlo Rienzi in Roma, viale Giuseppe Mazzini, 73;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria n. 00843/2024, resa tra le parti

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Sanremo, di JE s.r.l. e di Rai Pubblicità s.p.a., nonché gli appelli incidentali dagli stessi proposti;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120 Cod. proc. amm.;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 maggio 2025 il Cons. Alberto Urso e uditi per le parti gli avvocati Police, Degni, Mangiafico, Petitto, Bonura, Fonderico, Lipani, Sbrana, Berrino, Greco, Giuffrè e D’Abano, in sostituzione dell’avvocato Rienzi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. La JE s.r.l., società di edizione musicale, produzione e realizzazione di eventi e opere a carattere musicale, il 7 marzo 2023 trasmetteva al Comune di Sanremo (IM) una manifestazione d’interesse ad acquisire la titolarità dei diritti di sfruttamento economico e commerciale della manifestazione canora nota come “Festival di Sanremo” e del relativo marchio, in vista della scadenza del 31 marzo 2023 della convenzione stipulata fra il Comune di Sanremo e la Rai per l’organizzazione della 72.ma e 73.ma edizione del Festival.

In tale prospettiva, JE invocava l’indizione di gara per l’affidamento della convenzione sulla 74.ma edizione del Festival.

In assenza di riscontro da parte del Comune, con ricorso sub r.g. n. 627/2023 davanti al Tribunale amministrativo per la Liguria, JE ha impugnato dunque il provvedimento sconosciuto di affidamento alla Rai della concessione in esclusiva del marchio “Festival della canzone italiana” di titolarità comunale e della gestione della 74.ma edizione e successive del Festival, censurando sostanzialmente l’omessa indizione di gara. La ricorrente avanzava al riguardo anche domanda risarcitoria.

Con successivi motivi aggiunti, JE ha impugnato la convenzione frattanto stipulata fra il Comune e la Rai per la concessione in esclusiva del suddetto marchio e lo svolgimento della 74.ma e 75.ma edizione del Festival, in una agli atti comunali di relativa approvazione e agli atti correlati, inclusa la dichiarazione comunale d’improcedibilità della manifestazione d’interesse presentata dalla JE; tutti i medesimi atti formavano oggetto pure del distinto ricorso sub r.g. n. 801/2023 proposto da JE dinanzi al medesimo Tribunale amministrativo.

Con ulteriori motivi aggiunti su entrambi i ricorsi, la ricorrente ha impugnato anche la convenzione con Rai Pubblicità s.p.a. per lo sfruttamento degli eventi collaterali e gli atti correlati; con successivi motivi aggiunti su entrambi i ricorsi JE ha integrato le proprie deduzioni.

Successivamente la ricorrente avanzava anche istanza ex art. 116, comma 2, Cod. proc. amm. su vari documenti inerenti alla vicenda.

Il Tar, dapprima, con ordinanza n. 213 del 2024, disponeva l’acquisizione in via riservata dei testi della Convenzione con la Rai e di quella con Rai Pubblicità; successivamente, con ordinanza istruttoria n. 266 del 2024, disponeva l’acquisizione integrale delle dette Convenzioni e dichiarava l’istanza ex art. 116, comma 2, Cod. proc. amm. in parte inammissibile, in parte improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse, in parte la respingeva nel merito, e in altra parte, ancora, ne dichiarava la cessazione della materia del contendere.

Conseguentemente al deposito dei suddetti documenti, JE proponeva ulteriori motivi aggiunti in ordine alla sproporzione delle entrate riconosciute in favore del Comune e i ricavi di Rai e Rai Pubblicità.

2. Il Tribunale amministrativo adito, pronunciando su entrambi i ricorsi (già riuniti giusta ordinanza n. 213 del 2024) nella resistenza del Comune di Sanremo, della Rai, e di Rai Pubblicità, dichiarava inammissibile il ricorso sub r.g. n. 627/2023 per inesistenza, al tempo di sua proposizione, di atti impugnabili, mentre la convenzione esistente atteneva alla 72.ma e 73.ma edizione del Festival, già all’epoca concluse, e su cui dunque la ricorrente non vantava alcun interesse.

Sul resto, qualificato l’affidamento alla stregua di contratto attivo per lo sfruttamento del marchio del Festival (con ritenuta indifferenza del suo qualificarsi o meno quale concessione di bene immateriale), il Tar riteneva che lo stesso fosse assoggettato ai principi dell’evidenza pubblica ex art. 13 d.lgs. n. 36 del 2023 (ancorché non direttamente al Codice) e che dunque richiedesse “interpello” a vari operatori del settore, ai sensi della legge e Regol. contab. pubbl.

Non rilevavano, in senso inverso, le deduzioni dei resistenti: non si era in presenza qui di una “comunione” di diritti immateriali (i.e., marchio sul Festival, di titolarità del Comune, e format del programma, della Rai), ma di concessione in uso del marchio (di pertinenza del solo Comune e sfruttabile anche con format diversi, come peraltro già avvenuto, seppure tutti facenti capo alla Rai); il pregresso affidamento ultrasettantennale a Rai non giustificava la reiterazione della prassi (illegittima) tenuta, né legittimava a eludere gli obblighi evidenziali; allo stesso modo, non assumeva rilievo la qualità di Rai quale concessionario del servizio pubblico, giacché il Festival non rientra di per sé nel perimetro dei relativi obblighi.

Analogamente, non rilevava l’art. 56, lett. f), d.lgs. n. 36 del 2023 sull’affidamento dei programmi TV, trattandosi comunque di affidamento assoggettato all’applicazione dei principi generali.

Assorbite le altre censure formulate coi primi motivi aggiunti e respinto il motivo incentrato sulla qualificazione del Festival alla stregua di “bene culturale”, esclusa dal giudice di primo grado, il Tar accoglieva in parte qua anche i secondi motivi aggiunti, ritenendo che l’illegittimità dell’affidamento a Rai dello sfruttamento del marchio valesse a travolgere anche quello sull’organizzazione degli eventi collaterali; nonché riteneva inammissibile l’impugnativa degli atti di accertamento delle entrate e impegno delle spese correlate ai provvedimenti gravati, in quanto atti non impugnabili.

Quanto al ricorso sub r.g. n. 801/2023, riunito al primo, il Tar ne dichiarava l’inammissibilità per litispendenza, trattandosi di duplicazione delle identiche domande già formulate sub r.g. n. 627/2023.

Il giudice di primo grado rappresentava poi come sarebbe seguita al disposto annullamento dei provvedimenti anche la caducazione delle convenzioni, quale conseguenza travolgente del venir meno del supporto provvedimentale delle stesse.

Sul piano conformativo, tuttavia, visto lo stato avanzato delle attività organizzative per la 75.ma edizione del Festival (i.e., 2025) e il sostanziale esaurimento ormai di quelle inerenti alla trascorsa 74.ma edizione, il Tar modulava l’effetto caducatorio escludendo la dichiarazione d’inefficacia delle convenzioni inerenti alla 74.ma e 75.ma edizione del Festival, e dichiarando dunque improcedibili le relative domande annullatorie.

Il Tar respingeva infine la domanda risarcitoria per ritenuta mancanza di prova circa la chance invocata dalla ricorrente.

3. Avverso la sentenza ha proposto appello principale la Rai deducendo:

I) error in procedendo: violazione e falsa applicazione dell’art. 35, comma 1, lett. b), Cod. proc. amm., dell’art. 39, comma 1, Cod. proc. amm. e dell’art. 100 Cod. proc. civ., avendo ritenuto il Tar sussistente l’interesse a ricorrere di JE pur essendo pacifico che la società è priva dei requisiti per realizzare e trasmettere il Festival; error in procedendo et in iudicando: violazione e falsa applicazione dell’art. 33, comma 3, Cod. proc. amm., nonché irragionevolezza e contraddittorietà della motivazione della sentenza nella parte in cui si afferma l’interesse a ricorrere di JE e allo stesso tempo si nega, anche rispetto alla domanda risarcitoria, che la società potesse mai realizzare la manifestazione;

II) error in procedendo: eccesso di potere giurisdizionale; violazione dell’articolo 111, comma 8, Cost.; violazione e falsa applicazione degli articoli 7 e 8 Cod. proc. amm.; violazione dell’articolo 112 Cod. proc. civ.;

III) error in iudicando: violazione e falsa applicazione dell’articolo 13, comma 5, e articoli 1, 2 e 3 d. lgs. n. 36 del 2023; violazione della legge di contabilità generale dello Stato (r.d. n. 2440 del 1923) e del relativo regolamento di attuazione (r.d. n. 827 del 1924); violazione dell’articolo 1100 Cod. civ.; violazione degli articoli 107 ss. l. n. 633 del 1941.

4. Interpone a sua volta appello incidentale il Comune di Sanremo deducendo:

I) violazione degli articoli 81 e 100 Cod. proc. civ. e degli artt. 35 e 39, comma 1, Cod. proc. amm.; mancata valutazione del difetto di legittimazione attiva in capo alla ricorrente ed errata valutazione del difetto d’interesse, anche in considerazione della tardività delle censure; violazione dell’art. 112 Cod. proc. civ.; eccesso di potere giurisdizionale; violazione dei principi in materia di motivazione; violazione degli artt. 63 e 64 Cod. proc. amm.;

II) violazione dei principi generali di cui agli artt. 1, 2, 3 d.lgs. n. 36 del 2023, nonché di quelli in materia di efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa; violazione degli artt. 8, 13 e 56, comma 1, lett. f) e dell’art. 2, comma 1, lett. m), Allegato I.1 d.lgs. n. 36 del 2023, nonché dell’art. 10, lett. b), dir. n. 2014/24/UE e dell’art. 10, par. 8, lett. b), dir. n. 2014/23/UE; violazione della legge in materia di contabilità generale dello Stato (r.d. n. 2440 del 1923 e r.d. n. 827 del 1924); violazione degli artt. 34 comma 1 e 2, e art. 112 Cod. proc. amm.;

III) violazione dell’art. 8 Cod. proc. amm. e dell’art. 34, comma 2, Cod. proc. amm.

5. Anche Rai Pubblicità propone appello incidentale deducendo:

I) error in procedendo: violazione e falsa applicazione degli artt. 81 e 100 Cod. proc. civ. e artt. 35 e 39, comma 1, Cod. proc. amm.; errata valutazione del difetto di legittimazione attiva in capo alla ricorrente ed omessa verifica della sussistenza dell’interesse al ricorso; contraddittorietà della sentenza nella parte in cui non dichiara inammissibile il ricorso per difetto di interesse e al contempo definisce “evanescente” l’interesse della società alla caducazione delle Convenzione e della Convenzione Rai Pubblicità; violazione e falsa applicazione dell’art. 115, comma 2, Cod. proc. civ. e dell’art. 39 Cod. proc. amm.; violazione del divieto di ultrapetizione, omessa pronuncia e violazione della inoppugnabilità;

II) eccesso di potere giurisdizionale; violazione dell’art. 111, ottavo comma, Cost.; violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 8 Cod. proc. amm.; violazione dell’art. 112 Cod. proc. civ.;

III) error in iudicando: violazione e falsa applicazione dell’art. 1100 Cod. civ., nonché degli artt. 107 ss. della l. n. 633 del 1941;

IV) error in iudicando: violazione e falsa applicazione degli artt. 13, comma 5, e artt. 1, 2 e 3 d.lgs. n. 36 del 2023, del r.d. n. 2440 del 1923, in particolare art. 3 e del relativo Regolamento di attuazione (r.d. n. 827 del 1924, in particolare, art. 41); motivazione carente e comunque illogica;

V) error in procedendo et in iudicando: violazione e falsa applicazione dell’art. 35, comma 1, lett. b), Cod. proc. amm., dell’art. 39, comma 1, Cod. proc. amm. e dell’art. 100 Cod. proc. civ., per aver il Tar ritenuto sussistente, in riferimento ai secondi motivi aggiunti, l’interesse a ricorrere di JE; difetto di giurisdizione del primo e del secondo motivo dei secondi motivi aggiunti, nella parte in cui prospettano presunti vizi propri della del. n. 345/2023; contraddittorietà interna e illogicità.

6. Resiste a tutti gli appelli JE, che nel costituirsi ripropone anche i motivi di doglianza in primo grado rimasti assorbiti, pur ritenendoli “implicitamente accolti dalla pronuncia del Tar”.

La stessa JE interpone poi appello incidentale - cui la Rai, Rai Pubblicità e il Comune resistono - deducendo:

I) error in iudicando sul primo motivo dei motivi aggiunti del 20 dicembre 2023: motivazione apparente, erronea e perplessa; contradditorietà; errata interpretazione ed applicazione degli artt. 1, 2, 7-bis e 115 d.lgs. n. 42 del 2004; errata interpretazione ed applicazione d.lgs. n. 50 del 2016 e d.lgs. n. 36 del 2023; errata interpretazione ed applicazione dell’art. 1 l. n. 241 del 1990 e dell’art. 97 Cost.; difetto d’istruttoria; erroneo apprezzamento dei presupposti in fatto e in diritto; erronea applicazione dei principi di imparzialità, buon andamento, efficacia, economicità, trasparenza e par condicio, concorrenza, pubblicità dell’agire pubblico;

II) error in iudicando: erroneità della pronuncia nella parte in cui ha escluso l’applicabilità in via diretta del decreto legislativo n. 36 del 2023; omessa motivazione;

III) error in iudicando sulla domanda di risarcimento del danno: difetto di motivazione; contraddittorietà intrinseca;

IV) error in iudicando sulla domanda di annullamento degli atti di accertamento delle entrate e di impegno delle spese; difetto di motivazione;

V) error in iudicando: erronea dichiarazione di inammissibilità del ricorso principale;

VI) error in iudicando sulla compensazione delle spese di giudizio.

7. Sono intervenuti ad opponendum all’appello principale la Associazione Utenti dei Servizi Radiotelevisivi - APS e il Codacons - Coordinamento di Associazioni per la tutela dell’ambiente e dei diritti di utenti e consumatori.

8. Sulla discussione delle parti all’udienza pubblica del 22 maggio 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.

9. Giusta richiesta formulata in udienza dal difensore di JE, il 29 maggio 2025 è stato pubblicato il dispositivo della sentenza.

DIRITTO

1. Va preliminarmente scrutinata l’eccezione d’inammissibilità dell’intervento di APS e Codacons sollevata dalla Rai, incentrata sul rilievo per cui il presente giudizio non ha ad oggetto il servizio pubblico radiotelevisivo in sé, né lo stesso coinvolge le posizioni giuridiche degli utenti e dei consumatori in quanto tali.

1.1. L’eccezione è fondata e va accolta.

1.1.1. Ai sensi dell’art. 97 Cod. proc. amm. l’intervento in appello è consentito a chi «vi ha interesse»; al riguardo, sono noti i principi affermati dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in forza dei quali l’interesse legittimante l’intervento può coincidere anche con un interesse di mero fatto (cfr., rispetto a varie ipotesi e fattispecie, Cons. Stato, V, 23 aprile 2025, n. 3516; 28 dicembre 2022, n. 11247; IV, 14 febbraio 2022, n. 1040; V, 20 dicembre 2011, n. 6702).

Nella specie gli interventori richiamano a fondamento della loro partecipazione al giudizio, da un lato, un loro interesse in funzione del “ruolo della Rai quale concessionaria di un servizio pubblico radiotelevisivo” (e ciò anche nella prospettiva del fatto che la trasmissione radio-TV del Festival avviene “con oneri a carico del canone pagato dagli utenti”), dall’altro la “forma di monopolio culturale e gestionale, in contrasto con il diritto interno ed europeo in materia di appalti e concessioni di servizi” derivante dalla violazione dei principi di trasparenza nella selezione dei soggetti coinvolti, e il correlato interesse alla “qualità, pluralità e accessibilità dell’offerta culturale” in relazione alle scelte organizzative sul Festival.

Va tuttavia osservato in proposito che nel presente giudizio non vengono in rilievo aspetti inerenti alla concessione del servizio pubblico alla Rai e al corrispondente canone a carico degli utenti (e, dunque, al ruolo di Rai quale concessionaria in sé di pubblico servizio), giacché la causa verte esclusivamente sull’affidamento di uno specifico evento, e in particolare si concentra sul se detto affidamento debba o no avvenire in base ai principi dell’evidenza pubblica.

Al contempo, quanto evocato in ordine alla trasparenza nella selezione degli operatori e alla qualità e pluralità dell’offerta culturale non corrisponde a un interesse diretto, specifico concreto (neppure in termini di interesse “di mero fatto”) in capo alle associazioni intervenienti idoneo a legittimarne l’intervento: si tratta, piuttosto, di un interesse (i.e., quello alla trasparenza e concorrenzialità nelle procedure di affidamento, e quello evocato in via derivata e consequenziale circa la pluralità dell’offerta culturale) che - quanto alla posizione dei consumatori e utenti - si presenta come meramente astratto, generico e indiretto.

In tale contesto, per quanto l’interesse idoneo a legittimare l’intervento possa consistere anche in un interesse di mero fatto, lo stesso deve comunque essere identificabile quale interesse specifico, concreto e diretto, non già generico e meramente astratto o indiretto.

Per tali ragioni, l’intervento di APS e Codacons risulta inammissibile.

2. Col primo motivo di gravame la Rai si duole dell’errore in cui il Tar sarebbe incorso nel non dichiarare inammissibili le domande di primo grado, considerato che JE non è titolare di autorizzazione ai sensi del d.lgs. n. 208 del 2021 per poter svolgere l’attività di fornitore di servizi media e di operatore di rete su frequenze terrestri o via satellite, che non possiede i requisiti per poter partecipare a una eventuale procedura per l’affidamento del Festival, né ha fornito evidenze circa un’eventuale costituenda joint venture al riguardo, e che la scelta di non disgiungere la fase organizzativa dell’evento da quella di sua messa in onda rientra nella insindacabile sfera discrezionale dell’amministrazione.

In tale prospettiva, il Tar sarebbe incorso in errore nel non avvedersi dell’insussistenza di attualità e concretezza dell’interesse in capo a JE, così di fatto finendo per sovrapporre la condizione della legittimazione attiva con quella dell’interesse a coltivare il ricorso; e sarebbe inoltre incorso in contraddizione nel ritenere ammissibile il ricorso pur negando la tutela sia in forma specifica, sia per equivalente, avendo reputato al riguardo “evanescente” l’interesse di JE alla caducazione delle convenzioni.

L’intera impostazione del giudice di primo grado risulterebbe così inficiata dall’erronea sovrapposizione tra la condizione della legittimazione attiva e quella dell’interesse a ricorrere, e finirebbe per dar luogo a una pronuncia ex officio circa la legittimità dell’operato del Comune, con sostanziale esercizio di una giurisdizione di tipo oggettivo.

In tale contesto, la stessa legittimazione attiva della JE sarebbe insussistente, considerato che questa non è titolare di autorizzazione ai sensi del d.lgs. n. 208 del 2021, né risulta iscritta al Registro degli Operatori di Comunicazione - cd. “ROC”, non essendo dunque in grado di assicurare le obbligazioni principali previste in sede convenzionale.

Allo stesso modo, anche la scelta comunale di affidare congiuntamente la fase organizzativa dell’evento con la sua successiva messa in onda sarebbe sufficientemente motivata con il richiamo alle precedenti delibere, che danno conto dell’inscindibilità tecnica dei due profili.

2.1. A sua volta, col primo motivo del proprio gravame il Comune di Sanremo introduce censure sostanzialmente corrispondenti a quelle sollevate dalla Rai.

Nella specie, nel contestare la legittimazione attività, la legitimatio ad causam e l’interesse della ricorrente in primo grado, il Comune si sofferma sul fatto che JE rappresenterebbe una mera “etichetta discografica”, destinata al più a partecipare, ma non a organizzare o trasmettere eventi.

Di qui l’assenza di requisiti per poter partecipare alla procedura per la quale aveva presentato manifestazione d’interesse, peraltro avanzata da JE quale operatore individuale, privo della qualità sia di operatore televisivo, sia di organizzatore di eventi.

Di ciò il Comune aveva dato espressa evidenza giusta nota del 23 novembre 2023, non impugnata da JE in relazione all’affermata carenza dei requisiti soggettivi, con conseguente inammissibilità di ogni censura ora promossa dalla stessa JE.

Né a tal fine assumerebbe rilevanza il mero perimetro dell’oggetto sociale della ricorrente, stante la necessità che l’ambito operativo interessato venga effettivamente attivato dall’impresa.

Parimenti la sentenza sarebbe lacunosa e contraddittoria nel non affrontare il tema dell’interesse di JE al ricorso, pure definito dalla stessa sentenza quale “evanescente” e insufficiente a sorreggere le pretese risarcitorie.

Per il resto il motivo formulato dal Comune è sostanzialmente sovrapponibile a quello introdotto dalla Rai, ponendo in risalto i profili di discrezionalità dell’amministrazione sulla scelta effettuata in ordine all’organizzazione unitaria, in favore di un operatore televisivo (anche a fronte degli oneri di legge sulla trasmissione in chiaro da parte di un operatore TV in grado di garantire ad almeno l’80% della popolazione italiana la possibilità di seguire l’evento su palinsesto gratuito) e la mancata indicazione da parte di JE della possibilità di costituire un raggruppamento con altri soggetti.

2.2. Il primo motivo di gravame proposto da Rai Pubblicità coincide sostanzialmente col corrispondente primo motivo dell’appello principale e di quello omologo del Comune, contestando la legittimazione e l’interesse di JE alla proposizione del ricorso, anche alla luce della ridotta struttura e risorse a disposizione della stessa.

Aggiunge l’appellante Rai Pubblicità la situazione di conflitto d’interessi che si avrebbe nel caso di affidamento dell’organizzazione del Festival a un’impresa svolgente attività di etichetta discografica.

2.3. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per stretta connessione e parziale sovrapponibilità delle questioni sollevate, non sono condivisibili.

2.3.1. Il primo, centrale, nucleo censorio espresso con tali motivi attiene alla carenza di legittimazione ad agire e d’interesse di JE alla proposizione del ricorso.

Dette condizioni dell’azione difetterebbero, da un lato, perché il Comune avrebbe optato - con scelta discrezionale insindacabile - per l’affidamento dell’organizzazione dell’evento (e congiunta concessione del marchio) a un operatore radiotelevisivo, quale JE non è; dall’altro perché anche l’attività di organizzazione di eventi sarebbe solo enunciata statutariamente dalla ricorrente, ma non anche realmente attivata.

Al contempo, la snella struttura di JE, che le precluderebbe de facto l’assunzione dell’attività pur agognata (non avendo, del resto, JE dato evidenza di aggregazioni con altri operatori), varrebbe ad escluderne, insieme con la legittimazione - e a fronte anche delle altre carenze suindicate, tali da impedire la soddisfazione dei requisiti necessari allo svolgimento dell’attività - pure l’interesse a ricorrere.

Entrambi gli assunti fatti propri dagli appellanti non sono condivisibili.

2.3.2. Occorre premettere che, con nota del 7 marzo 2023, JE aveva manifestato al Comune di Sanremo il proprio interesse “ad acquisire, nel rispetto della normativa vigente e degli interessi pubblici connessi allo svolgimento della manifestazione e riconducibili alla collettività (comunale e non), la titolarità dei diritti di sfruttamento economico e commerciale del Festival di Sanremo (compreso il red carpet) e del relativo Marchio”.

Con successiva delibera di Giunta n. 314 del 21 novembre 2023, il Comune deliberava di “di approvare, per le motivazioni espresse in narrativa, la bozza di Convenzione (inviata da Rai in data 07.11.2023) da stipularsi con Rai - Radiotelevisione Italiana Spa per la concessione dell’uso in esclusiva del marchio ‘Festival della Canzone Italiana’ e per lo svolgimento della 74esima e della 75esima edizione del ‘Festival della Canzone Italiana’ per gli anni 2024 e 2025, ai prezzi, condizioni e modalità contenute nella Convenzione stessa, depositata agli atti del Servizio Turismo”.

Al contempo, con nota del 23 novembre 2023 il Comune dichiarava “improcedibile” la manifestazione d’interesse di JE “in carenza dei relativi requisiti soggettivi e al di là della loro effettiva consistenza, ma anche priva di concreto interesse”.

2.3.2.1. Tanto premesso, non è anzitutto condivisibile la deduzione per cui il Comune avrebbe operato, nei termini divisati dagli appellanti, una (vincolante e discrezionale) scelta “organizzativa” di affidare la gestione della manifestazione (e perciò concederne il marchio) all’operatore radiotelevisivo investito della relativa trasmissione TV.

Tale scelta “organizzativa” - necessariamente prioritaria rispetto al momento di designazione dell’operatore affidatario - non è invero rinvenibile dagli atti dell’amministrazione nei termini invocati dagli appellanti.

La D.G.C. n. 314/2023 si limita al riguardo a dar conto che “alla luce dei risultati conseguiti a partire dal 1991, l’Amministrazione Comunale intende confermare la scelta di organizzare le prossime due edizioni del Festival tramite l’operatore televisivo cui sono affidati i diritti di ripresa, sulla base del programma sviluppato e acquisito con successo nel corso dell’ultimo trentennio”.

Il che non equivale, a ben vedere, a opzionare una “scelta organizzativa” - nel senso di stabilire, in termini generali e impersonali, oltreché preventivi, un parametro astratto - di affidamento dell’organizzazione dell’evento al titolare dei diritti di trasmissione, bensì semplicemente consiste nell’esplicitare già (e, semmai, pur stringatamente, motivare) la scelta (cioè la elezione) dell’operatore beneficiario dell’affidamento diretto.

In questa prospettiva, non si rinviene nella delibera (né, infatti, questa offre spiegazioni al riguardo: in tal senso va letto il riferimento della sentenza alla “genericità” della motivazione sul presunto affidamento congiunto dei servizi) una (autonoma) statuizione in termini di accoglimento di un modulo di affidamento che ricomprendesse assieme, necessariamente, l’organizzazione e la trasmissione televisiva dell’evento; semplicemente l’amministrazione, in tale passo motivazionale, individuava e designava l’operatore affidatario (coincidente con “l’operatore cui sono affidati i diritti di ripresa”) esponendo anche il relativo “programma” di affidamento e una (stringata) motivazione (“sulla base del programma sviluppato e acquisito con successo nel corso dell’ultimo trentennio”, “alla luce dei risultati conseguiti a partire dal 1991”).

Con altrettanta evidenza ciò emerge dalla comunicazione del 23 novembre 2023, in cui si dava conto della conferma della scelta di procedere all’organizzazione dell’evento tramite l’operatore televisivo cui sono “storicamente” affidati i diritti di ripresa, “sulla base del programma sviluppato e acquisito con successo nel corso dell’ultimo trentennio”: altro non si tratta, evidentemente, che dell’esternazione dell’affidamento diretto, con descrizione dell’operatore designato (coincidente con colui al quale sono “storicamente” affidati i diritti di ripresa) e del relativo programma operativo.

D’altra parte, sono a ben vedere gli stessi appellanti che, per sorreggere l’assunto della sussistenza di una scelta organizzativa di non disgiungere soggettivamente l’organizzazione del Festival dalla sua trasmissione radio-TV giungono a evocare la D.G.C. n. 4/1995 e la delibera prefettizia n. 1/2008 - in tesi, a tal fine richiamate dalla D.G.C. n. 314/2023 nell’ambito del riferimento alle deliberazioni relative alle precedenti edizioni del Festival - ove si prevedeva che “la concessione del diritto di ripresa comporta necessariamente l’affidamento allo stesso soggetto della organizzazione della manifestazione, trattandosi di aspetti strettamente attinenti ed inscindibili fra loro”; e tuttavia il generico e indistinto richiamo contenuto nella delibera n. 314/2023 (“Viste e Richiamate le deliberazioni relative alle precedenti edizioni del Festival di Sanremo”) non poteva valere di per sé a mutuare la suddetta puntuale valutazione e statuizione (peraltro anch’essa genericamente motivata), né dunque a fare onere di una corrispondente impugnazione da parte di JE.

Da ciò consegue la mancanza di uno degli assunti su cui gli appellanti fondano il loro argomentare, e cioè la sussistenza di una (preventiva) insindacabile scelta organizzativa di affidamento soggettivamente concentrato e inscindibile della gestione e radiotrasmissione del Festival, tale da escludere la legittimazione ad agire e l’interesse di JE in quanto priva della corrispondente qualifica: pur astrattamente ipotizzabile, una siffatta scelta non è invero desumibile dalla D.G.C. n. 314/2023 e correlata nota del 23 novembre 2023, i cui passi evocati dagli appellanti si risolvono semplicemente nell’inverare e attuare l’affidamento diretto in favore di Rai, non già nel fissare una (preventiva) regola o modulo di assegnazione da cui il suddetto affidamento sarebbe disceso in via di precipitato.

Alla luce di ciò, non è dunque condivisibile il primo assunto fatto proprio dagli appellanti, che postula la necessaria qualificazione di JE alla stregua di operatore radiotelevisivo al fine di poter contestare l’affidamento diretto che promanava da una (intangibile) scelta organizzativa nei sensi suesposti.

Al contrario, la mancanza di un’autonoma determinazione organizzativa in tal senso e la mera scelta di direttamente concedere il marchio all’operatore (anche) radiotelevisivo non impedivano all’impresa del settore organizzativo-musicale di contestare il suddetto affidamento diretto in parte qua, con cui semplicemente si univa la componente organizzativa con quella (cui la ricorrente non era eventualmente titolata, ma v. anche infra) di radiotrasmissione.

A ciò si aggiunga, peraltro, che - come pacifico - anche l’affidamento del diritto di trasmissione TV da parte del Comune è avvenuto nel medesimo frangente, e cioè sempre giusta D.G.C. n. 314/2023 e inerente convenzione (cfr. la D.G.C. n. 314/2023, nonché la convenzione, spec. sub art. 1.4), sicché nessuna valenza “organizzativa” e “preventiva” poteva avere il riferimento all’affidamento soggettivamente unitario dei due servizi, considerato che anche i diritti di ripresa e televisivi venivano concessi (in via diretta) nel medesimo contesto e con gli stessi atti: si è dunque, al più, in presenza di un duplice o congiunto affidamento diretto, non già di una preventiva e autonoma scelta organizzativa capace di orientare, in termini derivati, siffatto affidamento.

2.3.2.2. Da quanto sin qui esposto emerge che la sola assenza in capo a JE della qualità di operatore radiotelevisivo e delle relative autorizzazioni e iscrizioni non valeva a escluderne la legittimazione all’impugnazione dell’affidamento diretto della concessione del marchio del Festival.

Al riguardo, va osservato che, secondo condivisibile giurisprudenza, “Ha un astratto titolo a impugnare l’affidamento non preceduto da gara colui che è operatore del settore di mercato cui afferisce l’oggetto del contratto. ‘Nelle controversie relative a procedimenti ad evidenza pubblica, la condizione (elemento) radicante, in modo certo, la legittimazione al ricorso è costituita dalla circostanza della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione. Tale regola subisce alcune deroghe, concernenti […] la legittimazione dell’operatore economico del settore, che intende contestare un affidamento diretto o senza gara (Cons. St., sez. IV, 16 giugno 2015, n. 2982)” (CGA, 16 febbraio 2021, n. 9592 e richiami ivi; cfr. anche Cons. Stato, III, 11 ottobre 2024, n. 8171; III, 7 settembre 2015, n. 4133; sui presupposti generali inerenti alla possibilità d’impugnativa al di fuori della partecipazione alla gara, cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 7 aprile 2011, n. 4, ove si pone chiaramente in risalto “la legittimazione dell’operatore economico ‘di settore’, che intende contestare un ‘affidamento diretto’ o senza gara”; analogamente, cfr. Id., 25 febbraio 2014, n. 9 e Id., 26 aprile 2018, n. 4).

Per quanto qui di rilievo - anticipando un profilo che sarà sviluppato amplius infra - il marchio del quale JE chiedeva la concessione e di cui ha lamentato l’affidamento è specificamente registrato in riferimento al “Festival della canzone italiana” (cfr. relativo estratto, in atti).

Per questo, l’attività di concessione dello stesso non può che inerire anzitutto al Festival canoro in sé, e dunque alla sua organizzazione e gestione, al di là (e ancor prima) dei profili tele-trasmissivi che pure gli sono tradizionalmente collegati.

In tale prospettiva, in assenza di una preventiva scelta organizzativa dell’amministrazione volta a concentrare soggettivamente le due attività, senz’altro un operatore del settore musicale e di organizzazione di corrispondenti eventi può ritenersi legittimato a impugnare un affidamento diretto del marchio inerente al Festival, e dunque (anzitutto) alla sua organizzazione e gestione.

2.3.2.3. A ciò si aggiunga, d’altra parte, che anche laddove si volesse ravvisare nella specie una determinazione organizzativa per l’affidamento congiunto delle attività di organizzazione e trasmissione del Festival, le conclusioni non muterebbero.

Considerato, infatti, quanto suesposto in ordine al perimetro del marchio e implicazioni della sua concessione, l’eventuale suddetta determinazione organizzativa di affidamento congiunto della (essenziale e imprescindibile) attività organizzativa, direttamente pertinente al marchio, con quella di trasmissione radio-TV dell’evento, non potrebbe precludere a un operatore del primo dei due settori di dolersi dell’affidamento diretto (anche) della corrispondente attività: il ricorso a forme aggregative d’impresa, infatti, ben consente a operatori economici a struttura plurisoggettiva - quali, tipicamente, il raggruppamento temporaneo d’imprese, che rientra a pieno titolo fra gli (unitari, ancorché plurisoggettivamente strutturati) operatori economici (art. 65, comma 2, lett. e), d.lgs. n. 36 del 2023) - la partecipazione a gare composite; da cui la legittimazione a monte, in capo alla singola impresa, alla contestazione di un affidamento diretto comprensivo (ancorché in via non esclusiva, sebbene prioritaria e principale) di attività ricomprese nel proprio settore di mercato.

In tale prospettiva, in assenza di una specifica e motivata ragione che imponga di concentrare l’affidamento addirittura in capo allo stesso soggetto (non già “operatore economico”, nei termini di cui all’art. 65 d.lgs. n. 36 del 2023), con esclusione perfino degli (unitari) operatori a struttura plurisoggettiva, senz’altro l’impresa operante in uno dei settori principali dell’affidamento può dolersi dell’assegnazione diretta dello stesso.

Né può a tal fine esigersi che un idoneo raggruppamento venga costituito ex ante (allorché sono peraltro ignoti anche i connotati dell’eventuale gara), al sol fine di conseguire la legittimazione all’impugnazione: nella specie, la riconducibilità dell’attività di organizzazione e gestione dell’evento fra quelle principali dell’affidamento vale di per sé a legittimare l’impresa che in tale settore operi a dolersi dell’affidamento in via diretta (anche) di tale attività.

2.3.2.4. Rimane il tema della effettiva possibilità di qualificare JE alla stregua di operatore del settore, come tale legittimato nei termini suesposti a dolersi della concessione con affidamento diretto del marchio del Festival.

Al riguardo, l’oggetto sociale di JE comprende, fra le altre, l’attività di “produzione musicale in genere, nonché l’allestimento e l’organizzazione di serate musicali, concerti, meetings, convegni e sfilate”, oltre alla “produzione e la realizzazione di […] video musicali e spettacoli dedicati ai canali televisivi e radiofonici” (ciò oltre ad attività correlate, quali “l’esercizio dei diritti di sfruttamento economico di opere dell’ingegno, con ogni mezzo di diffusione”; “l’attività di organizzazione, produzione, distribuzione e creazione di campagne pubblicitarie e promozionali”; etc.).

Si tratta di un oggetto senz’altro coerente con l’attività di organizzazione di una manifestazione canora qual è il Festival di Sanremo.

Non rileva, in diverso senso, il richiamo alla giurisprudenza che valorizza la necessaria attivazione materiale del profilo dell’oggetto sociale interessato (es., Cons. Stato, V, 25 agosto 2023, n. 7947 e richiami ivi): al di là del fatto che detta giurisprudenza attiene al requisito speciale della idoneità professionale in sé, da apprezzarsi su ciascuna singola gara (su cui cfr., oggi, l’art. 100, comma 3, d.lgs. n. 36 del 2023, che richiede «l’iscrizione nel registro della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura o nel registro delle commissioni provinciali per l’artigianato o presso i competenti ordini professionali per un’attività pertinente anche se non coincidente con l’oggetto dell’appalto»), in ogni caso dal documento di presentazione di JE in atti (in sé non contestato) emerge lo svolgimento da parte della stessa anche di vari “Special Projects” rivolti al “pubblico”, volti a “unire musica e intrattenimento”, cui la stessa JE fa riferimento anche nelle proprie difese.

Né, ancora, può assumere diverso rilievo il fatto che gli eventi indicati sarebbero “di ridotta rilevanza”, o che per alcuni di essi l’iniziativa non nascesse da JE: la deduzione attiene evidentemente a profili di ordine quantitativo-dimensionale o inerenti all’iniziativa sugli eventi, che non incidono in sé sul tema della attivazione dell’elemento dell’oggetto sociale, ma piuttosto guardano già all’eventuale possesso sostanziale di un (ipotetico) requisito speciale, ponendosi così al di fuori e al di là dalla questione di ordine preliminare qui in discussione, concernente l’integrazione delle condizioni dell’azione.

Agli specifici fini che qui interessano - tesi, cioè, ad apprezzare la qualificabilità di JE alla stregua di “operatore del settore”, a fini di legittimazione attiva, e a prescindere dal possesso di eventuali requisiti speciali di una potenziale gara - i rilievi svolti dagli appellanti non consentono dunque di confutare quanto ritenuto dal Tar, e così di denegare la sussistenza di tale condizione dell’azione.

2.3.2.5. In tale contesto, anche l’interesse a ricorrere è in sé ben ravvisabile.

Come noto, tale condizione dell’azione si collega alla “lesione della posizione giuridica del soggetto” e sussiste qualora “sia individuabile un’utilità della quale esso fruirebbe per effetto della rimozione del provvedimento” (Cons. Stato, V, 12 maggio 2020, n. 2969; II, 20 giugno 2019, n. 4233); esso è individuato in particolare nel vantaggio che il ricorrente può conseguire per effetto dell’accoglimento del ricorso, e consiste nella “concreta possibilità di perseguire un bene della vita, anche di natura morale o residuale, attraverso il processo, in corrispondenza ad una lesione diretta ed attuale dell’interesse protetto” (Cons. Stato, V, 3 dicembre 2024, n. 9664; 7 gennaio 2020, n. 83; II, 24 giugno 2019, n. 4305; IV, 1 marzo 2017, n. 934; 23 agosto 2016, n. 3672; VI, 21 marzo 2016, n. 1156; IV, 20 agosto 2015, n. 3952).

In termini generali, tale interesse può avere anche portato strumentale, affinché l’amministrazione riediti il potere, bandisca una gara, e sia così soddisfatta la futura chance partecipativa del ricorrente (cfr., di recente, Cons. Stato, V, 15 maggio 2025, n. 4163), e sussiste certamente in capo all’operatore del settore che per effetto di un affidamento diretto operato dall’amministrazione - oggetto perciò d’impugnativa - si veda preclusa la possibilità di conseguire una commessa pubblica.

Il che è senz’altro ravvisabile nel caso di specie, ove un operatore del settore si oppone all’affidamento in via diretta di un marchio di titolarità pubblica e delle correlate attività aspirando a poterle prestare in favore all’amministrazione (se del caso, insieme con altre raggruppate imprese) in esito ad una (agognata) gara o procedura comparativa per la relativa assegnazione.

2.3.2.6. Le considerazioni sin qui esposte non sono inficiate dalle statuizioni finali della sentenza, di limitazione dell’effetto caducatorio e, assieme, di reiezione della domanda risarcitoria proposta da JE (profili su cui v. anche infra).

La prima, infatti, costituisce una semplice valutazione del giudice di modulare l’effetto caducatorio per ragioni di opportunità e proporzionalità, nel complessivo bilanciamento degli interessi in rilievo, senza che da ciò possa discendere alcun retrospettivo effetto in ordine alla sussistenza delle condizioni dell’azione (in tale contesto, anche l’“evanescente interesse” della ricorrente al travolgimento delle convenzioni, correlato all’incertezza di una sua possibile aggiudicazione in assenza d’indicazioni in ordine ad aggregazioni con altri operatori, è evocato dalla sentenza, in termini comparativi, per la decisione sulla caducazione delle convenzioni, in raffronto cioè col “prevale[nte] interesse dell’Amministrazione e delle controinteressate al mantenimento delle Convenzioni”, atteso anche il loro stato di avanzamento: cfr. par. 10.1 ss. della sentenza); il secondo attiene al merito della pretesa risarcitoria, respinta per difetto di prova della chance in ordine al conseguimento del bene della vita, peraltro apprezzata dal giudice in comparazione diretta con la Rai (i.e., “laddove a partecipare fosse stata (oltre a RAI) la sola JE […]”), che, di nuovo, in nulla interferisce con la (preliminare) condizione coincidente con l’essere JE un operatore del settore legittimamente interessato a evitare un affidamento diretto in favore del ricorso al mercato.

Analogamente, non osta alle conclusioni sopra raggiunte il richiamare le motivazioni della nota comunale del 23 novembre 2023, laddove evidenzia - ai fini della dichiarazione di “improcedibilità” della manifestazione d’interesse di JE - una “carenza dei relativi requisiti soggettivi e al di là della loro effettiva consistenza”, in una alla assenza “di concreto interesse”.

Si è già evidenziata al riguardo la sufficienza della qualità di “operatore del settore”, nel suesposto contesto, in relazione (almeno) all’attività di organizzazione di eventi musicali per poter aspirare alla concessione del marchio; ciò in un quadro in cui, peraltro, la stessa affermata “carenza dei relativi requisiti soggettivi” era solo genericamente enunciata dal Comune, che subito prima aveva d’altra parte argomentato l’affidamento alla Rai quale operatore TV “cui sono storicamente affidati i diritti di ripresa, sulla base del programma sviluppato e acquisito con successo nel corso dell’ultimo trentennio”, e dunque l’individuazione della Rai, quale specifico soggetto, in ragione della suddetta esperienza pregressa.

A ciò si aggiunga del resto che il provvedimento di affidamento diretto del marchio risulta in sé lesivo per JE nei sensi suindicati, anche a prescindere della vicenda relativa alla manifestazione d’interesse avanzata, né l’interesse alla gara e la sua coltivazione mediante ricorso possono ritenersi preclusi dalla dichiarata “improcedibilità” di detta manifestazione d’interesse: altro è, infatti, il non veder accolta una propria proposta, altro è il contestare l’affidamento diretto in favore di un diverso operatore e invocare il ricorso al mercato, tanto più in un quadro connotato dall’assenza di una “scelta organizzativa” da parte del Comune, nei sensi sopra precisati, e dalla possibilità di partecipazione in via raggruppata a possibili procedure di gara (su cui v. retro).

Allo stesso modo, di per sé priva di rilievo è l’evocazione di un ipotetico “conflitto d’interessi” in cui JE verserebbe rispetto al Festival, meramente astratto e in sé non interferente, in via preventiva, con la qualità di operatore del settore interessato all’affidamento della manifestazione.

3. Col secondo motivo di gravame, Rai si duole dell’errore in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado nel pronunciarsi oltre il mero accertamento incidentale sui rapporti tra il marchio del Festival e il format del programma coniato dalla stessa Rai, giungendo al riguardo addirittura a incidere - in sede conformativa - sulle determinazioni dell’amministrazione in ordine all’organizzazione futura dell’evento, con pronuncia su poteri amministrativi non ancora esercitati.

In particolare, l’appellante critica il pronunciamento da parte del Tar in ordine alla scindibilità del marchio del Festival dal format del programma pur in assenza di una statuizione di caducazione delle convenzioni o di riconoscimento del risarcimento del danno alla ricorrente; pronunciamento che per di più sarebbe avvenuto ultra petita, in assenza di una domanda in tal senso da parte di JE.

In tale contesto, anche l’effetto conformativo secondo cui il Comune avrebbe l’obbligo, in futuro, di svolgere una procedura di evidenza pubblica eccederebbe i limiti della giurisdizione amministrativa, invadendo la sfera di discrezionalità dell’amministrazione nell’ambito di poteri amministrativi non ancora esercitati.

In tale prospettiva, l’esperimento di una procedura ad evidenza pubblica non potrebbe costituire l’unica soluzione possibile per l’amministrazione; ciò tanto più in un contesto in cui l’amministrazione aveva già valutato la proposta di JE ritenendola non preferibile a quella della Rai.

Alla luce di ciò, non potrebbe ravvisarsi un obbligo d’indizione della gara sol perché JE aveva presentato una propria proposta alternativa, peraltro del tutto diversa e non meglio articolata; tanto meno a fronte di un format del programma già sperimentato e apprezzato dal Comune.

3.1. Rai Pubblicità deduce a sua volta, col secondo motivo di appello, l’errore di eccesso di potere giurisdizionale in cui sarebbe incorso il Tar a fronte della trattazione nel merito della causa pur in assenza d’interesse e legittimazione in capo alla ricorrente.

In tale prospettiva, il Tar avrebbe finito per riconoscere cittadinanza nel nostro sistema al mero interesse ad ottenere un precedente giurisprudenziale favorevole da far valere pro futuro, coincidente con un interesse di mero fatto, cui è seguita una (inammissibile) sentenza di mero accertamento.

Di qui la deviazione dal principio della domanda e la declinazione in termini oggettivi della giurisdizione (come) esercitata.

La doglianza prosegue in termini sostanzialmente coincidenti con il terzo motivo di gravame della Rai (su cui v. infra), incentrato sulla non concedibilità del marchio in termini dissociati dal format del programma concepito dalla stessa Rai, nonché con le altre censure inerenti alla (insindacabile) scelta organizzativa del Comune di affidare l’organizzazione dell’evento a un operatore televisivo, rispetto a cui il Tar sarebbe incorso in un illegittimo sconfinamento nel merito della valutazione amministrativa.

Con uno dei capi del quarto motivo (su cui v. infrasub § 4 ss.) anche Rai Pubblicità deduce poi che la pronunciata illegittimità dei provvedimenti gravati non potrebbe comportare l’obbligo di gara nelle edizioni successive a quelle impugnate, né l’esperibilità del rimedio dell’ottemperanza al riguardo.

3.2. Col terzo motivo di gravame, il Comune di Sanremo censura a sua volta il capo di sentenza in cui il Tar si sofferma sulla concedibilità del marchio pur in presenza di un format di titolarità della Rai; deduce l’appellante al riguardo che l’individuazione della Rai come organizzatore e programmatore del Festival non è in alcun modo discesa dall’esservi un unico contraente possibile per ragioni di proprietà intellettuale.

Di qui l’errore del Tar nell’affrontare tali questioni, estranee ai poteri esercitati, e quindi non esaminabili a norma dell’art. 34, comma 2, Cod. proc. amm.

Anche il Comune, poi, in un capo del secondo motivo (su cui v. infra, § 4 ss.) si duole dell’errore del giudice di primo grado nello stabilire in termini generali l’obbligo di indizione di gara da parte del Comune e nel definire una regola a valere sulle successive e distinte edizioni del Festival, così esorbitando dal perimetro oggettivo del ricorso.

3.3. Le doglianze, che vanno esaminate congiuntamente per connessione e parziale sovrapponibilità, vanno respinte, pur con le precisazioni e correzioni motivazionali che seguono.

3.3.1. Come già osservato, JE era ben legittimata quale operatore del settore a censurare l’affidamento diretto a Rai del marchio del Festival, e ciò anche a prescindere dalla specifica manifestazione d’interesse formulata e relativo esito.

In senso contrario, come anticipato, non rileva la statuizione di mancata dichiarazione d’inefficacia delle convenzioni, che afferisce semplicemente alla modulazione dell’effetto conformativo per ragioni di proporzionalità e ritenuta opportunità (peraltro in termini favorevoli alle odierne appellanti, che di tale statuizione in sé non possono dolersi), senza in nulla incidere sull’annullamento dei provvedimenti di affidamento diretto, e dunque sulla portata caducatoria della sentenza, come chiaramente enunciata peraltro dal relativo dispositivo che elenca i provvedimenti annullati.

A ciò si aggiunga, a superamento dell’assunto per cui ci si troverebbe di fronte a una inammissibile sentenza di (mero) accertamento, che il Tar ha pronunciato espressamente sulla domanda risarcitoria, respingendola nel merito per ragioni di assenza di prova sulla chance sull’aggiudicazione - e ciò, sia perché “altre imprese […] avrebbero partecipato alla gara”, sia perché sarebbe stato improbabile il conseguimento dell’affidamento in comparazione alla Rai - ciò che conferma come si sia in presenza di una sentenza di merito.

In tale contesto, quanto al contenuto dell’accertamento compiuto dal Tar in ordine al legame tra il format del programma e il marchio della Rai, va osservato che lo stesso è avvenuto a fronte delle difese della Rai (peraltro anche qui sollevate: cfr. il terzo motivo di gravame, su cui infra) circa la radicale non concedibilità del marchio separatamente dal format, e perciò al fine di vagliare a fronte di tale difesa la fondatezza della pretesa di JE di annullamento dell’affidamento diretto nella prospettiva dell’apertura al mercato.

Di qui l’infondatezza delle critiche a tale capo della sentenza, che in via incidentale ex art. 8, comma 1, Cod. proc. amm. si sofferma sul contenuto del marchio posseduto dal Comune proprio al fine di valutare la fondatezza della pretesa avanzata da JE di messa a gara dello stesso, (assunta dalla Rai come) preclusa laddove altri avesse vantato un contestuale o correlato diritto sul relativo oggetto.

Il che prescinde peraltro da quanto dedotto dal Comune col terzo motivo di gravame, perciò non suscettibile di favorevole apprezzamento ai fini della riforma della sentenza, in ordine al fatto che i provvedimenti non facessero riferimento a tale circostanza ai fini dell’affidamento: a fronte delle eccezioni sollevate dalla Rai nei sensi suindicati - idonee, in tesi, a superare aliunde le deduzioni della ricorrente - ben poteva il giudice scrutinare e respingere le stesse nel merito, con accertamenti di portata solo incidentale, agli effetti dell’art. 8, comma 1, Cod. proc. amm.

In tale contesto, vanno nondimeno precisati e corretti i capi della sentenza circa l’effetto conformativo della decisione (e relativa eventuale ottemperanza).

Come noto, “il perimetro del giudicato e i relativi effetti, anche conformativi in capo all’amministrazione, non possono che essere individuati come di consueto sulla base del petitum oggetto della controversia di cognizione (e, dunque, del provvedimento ivi impugnato), e degli stessi vizi in quella sede fatti valere” (Cons. Stato, V, 2 ottobre 2024, n. 7919; 21 maggio 2024, n. 4495; 28 febbraio 2023, n. 2078 e richiami ivi; Cons. Stato, V, 18 ottobre 2022, n. 8852).

Per questo, l’annullamento e il presupposto accertamento d’illegittimità (cui è seguito poi anche il rigetto nel merito della domanda risarcitoria) non possono che riguardare i provvedimenti oggetto d’impugnazione, nella loro “storicità” e nel loro portato oggettivo, e dunque in funzione della concessione del marchio per le annualità previste.

In tal senso la motivazione della sentenza va dunque corretta, precisando nei sensi appena indicati la portata delle statuizioni adottate, ferma la generale funzione d’indirizzo per che le decisioni giudiziali (specie se relative all’esatta fattispecie) possono assumere nell’esercizio del potere (inesauribile) dell’amministrazione.

In questo contesto, anche i riferimenti al necessario espletamento della gara non possono essere intesi alla stregua di statuizioni aspecifiche e assolute, rappresentando piuttosto la (specifica e concreta) ragione fondante l’annullamento dei provvedimenti impugnati.

Al contempo, come già posto in risalto, alcun rilievo assume ai fini del presente giudizio l’addurre la preferenza espressa dal Comune per la prestazione della Rai anziché per la proposta di JE, atteso che si controverte qui non già dell’assegnazione all’una o all’altra dell’attività prevista, quanto piuttosto della contestazione mossa da un operatore del settore all’affidamento diretto in favore di un altro.

4. Col terzo motivo di gravame, la Rai si duole dell’errore che avrebbe commesso il Tar nel trascurare i contenuti complessivi della Convenzione fra la stessa Rai e il Comune, nonché la natura dell’attività demandata alla prima, che non si esaurisce nell’organizzazione del Festival.

In tale prospettiva, l’appellante pone in risalto come la convenzione abbia in realtà contenuto misto, che non attiene solo alla concessione del marchio (e, conseguentemente, alla possibilità di sfruttamento economico dello stesso verso un corrispettivo), bensì include la gara canora, il correlato servizio pubblico a beneficio degli utenti, anche con trasmissioni collaterali (alcune dirette alla valorizzazione del territorio comunale), e le attività correlate, il tutto confluendo in uno stretto nesso fra il marchio del Festival e il format del relativo programma ideato da Rai.

Né il suddetto marchio sarebbe associabile a un programma con diverso format, stante appunto l’indissolubile legame ormai creato fra i due, avente autonoma e propria “capacità distintiva”; in tale prospettiva, il giudice sarebbe incorso in errore nell’escludere la sussistenza di una “comunione” tra il marchio e il format del programma, dalla quale discende appunto l’attitudine distintiva dello stesso marchio ai sensi dell’art. 13 d.lgs. n. 30 del 2005, in termini di cd. “secondary meaning”.

Allo stesso modo, non assumerebbero nella specie rilevanza le minime variazioni organizzative apportate nel corso degli anni, inidonee a tramutare l’evento in altro e diverso format.

Di qui la conclusione per cui non sarebbe consentito al Comune di mettere a disposizione di terzi il marchio per contrassegnare una manifestazione canora sostanzialmente diversa dal Festival, pena l’uso decettivo del marchio stesso.

In tale contesto, anche il richiamo alla normativa di contabilità di Stato sarebbe fuorviante, da un lato, perché la convenzione col Comune rappresenta nella specie non già un mero “contratto attivo”, bensì una convenzione con cui l’amministrazione sceglie di abbinare al proprio marchio il format televisivo di successo sviluppato dalla Rai; dall’altro perché lo stesso art. 3 r.d. n. 2440 del 1923 prevede per i contratti attivi la possibilità di ricorso a licitazione o trattativa privata, nella specie declinabile nei termini di cui all’art. 41 Regol. cont. pubbl., stante appunto l’infungibilità del format associato al marchio.

4.1. Col secondo motivo di gravame il Comune di Sanremo si duole a sua volta dell’errore commesso dal giudice di primo grado nel trascurare il complessivo contenuto e la natura composita del rapporto costituito tra la Rai e il Comune stesso, il quale non si esaurisce nella mera concessione del marchio.

In tale contesto, il Comune svolge deduzioni parzialmente analoghe a quelle prospettate nel terzo motivo di gravame della Rai, giungendo alla conclusione per cui detto rapporto non è ascrivibile sic et simpliciter alla categoria dei “contratti attivi”, inverando piuttosto una forma di cooperazione atipica non assimilabile ad alcuna delle figure considerate dall’art. 12 [rectius, 13] d.lgs. n. 36 del 2023.

Inoltre l’affidamento avrebbe a oggetto proprio la realizzazione del Festival come programma televisivo, a sua volta escluso dalla disciplina dei contratti pubblici ai sensi dell’art. 56, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 36 del 2023.

In tale contesto il Tar avrebbe trascurato che l’esclusione dei contratti dall’ambito applicativo del Codice va declinata in modo diversificato a seconda della fattispecie contrattuale in rilievo e solo «tenendo conto» dei principi generali: di qui l’inappropriata applicazione delle regole sull’evidenza pubblica pur al cospetto di “fenomeni culturali” ai sensi dell’art. 56, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 36 del 2023.

Al contempo, al pari della Rai anche il Comune pone in risalto come non necessariamente l’applicazione dei principi sui contratti esclusi conduca all’indizione di procedura a evidenza pubblica, neppure a mente delle previsioni della legge cont. St. e relativo Regolamento.

In tale contesto, assumerebbe parimenti rilievo la circostanza - valorizzata dal Comune - della titolarità in capo alla Rai della prestazione del servizio pubblico, rispetto a cui sarebbe ben coerente la scelta di collocazione culturale dell’evento operata dall’amministrazione, frutto dell’apprezzamento discrezionale dello stesso Comune.

Come anticipato, il Comune deduce poi che anche sul piano conformativo il Tar sarebbe incorso in errore nello stabilire in termini generali l’obbligo di indizione di gara da parte del Comune e nel definire una regola a valere sulle successive e distinte edizioni del Festival, così esorbitando dal perimetro oggettivo del ricorso (per la trattazione di tale profilo di doglianza v. retrosub § 3 ss.).

Né il Comune avrebbe fondato le proprie determinazioni sulla precedente prassi negoziale, avendo semplicemente sposato la scelta organizzativa di individuare un operatore televisivo sia per la organizzazione che per la diffusione del Festival; ciò tanto più alla luce degli obblighi che impongono di garantire ad almeno l’80% della popolazione la possibilità di seguire l’evento su palinsesto gratuito.

4.2. Col terzo motivo del proprio appello incidentale, Rai Pubblicità introduce censure analoghe a quelle formulate dalla Rai col corrispondente motivo di gravame, incentrate sul contenuto della convenzione fra la stessa Rai e il Comune e i connessi rapporti tra il marchio del Festival e il format del programma, quali distinti diritti di proprietà intellettuale concorsualmente insistenti sulla manifestazione.

Col quarto motivo, Rai Pubblicità solleva poi censure analoghe a quelle già promosse dagli altri appellanti in ordine all’affidabilità senz’altro del marchio in via diretta e senza previo esperimento di una procedura competitiva, anche a mente delle deroghe all’evidenza pubblica previste dalla normativa di contabilità pubblica.

In tale contesto anche l’“innegabile, enorme successo” conseguito dal programma radiotelevisivo della Rai ben integrerebbe valide “particolari ragioni” idonee a legittimare una deroga al ricorso all’evidenza pubblica.

Di qui l’errore della sentenza nell’aver ritenuto illegittima la “trattativa privata”, peraltro in assenza di doglianze in tal senso avanzate dalla ricorrente.

In tale contesto, l’appellante critica la sentenza anche laddove esclude la rilevanza dell’art. 56, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 36 del 2023 ai fini della sottrazione della concessione del marchio all’evidenza pubblica, considerato che la convenzione attiene alla realizzazione del Festival-programma televisivo in sé, nel cui ambito la concessione del marchio verrebbe in rilievo solo a tale scopo.

Allo stesso modo, l’attribuzione del Festival a Rai e Rai Pubblicità sarebbe stata già prevista dalle Linee programmatiche di mandato dell’amministrazione comunale, richiamate nella delibera di affidamento e non impugnate da JE, e sarebbe conforme al (prevalente) principio del risultato.

Come anticipato, al pari degli altri appellanti Rai Pubblicità deduce poi che la contestata illegittimità giammai potrebbe comportare di per sé l’obbligo di gara nelle edizioni successive a quelle impugnate, men che meno con possibile esperibilità del rimedio dell’ottemperanza sul punto (v. per la trattazione al riguardo retrosub § 3 ss.).

4.3. I motivi, per la parte non già trattata nell’ambito delle precedenti doglianze (con riferimento, in particolare, alle censure avverso l’affermato portato conformativo delle statuizioni della sentenza), vanno qui esaminati congiuntamente per connessione e parziale sovrapponibilità; gli stessi non sono condivisibili.

4.3.1. Sotto un primo profilo, come già anticipato, la pretesa di ricorso al mercato - con specifico effetto, per quanto qui rileva, ai fini dell’illegittimità dell’affidamento diretto - attiene alla concessione del marchio di titolarità comunale.

Come già osservato, lo stesso ha a oggetto il “Festival della canzone italiana”: ciò che costituisce dunque oggetto di privativa comunale è la manifestazione canora in sé, il Festival, appunto, quale evento musicale di titolarità del Comune (cfr. in relazione ad altre manifestazioni, pur al di fuori da questioni inerenti a marchi in sé, Cons. Stato, V, 26 giugno 2019, n. 4399).

Il che implica due precise (e connesse) conseguenze: da un lato che, formando l’evento musicale in sé oggetto del marchio comunale, lo stesso prescinde a ben vedere da profili di sua trasmissione radiotelevisiva, la quale, pur tradizionalmente eseguita, non connota né incide di suo sulla manifestazione e sul portato dei diritti che il Comune vi vanta; dall’altro, in via correlata, che l’oggetto del marchio non risulta in nulla inciso dalle (ancorché consuete e reiterate nel tempo) attività di tele-radiotrasmissione avvenute, e cioè dal cd. format della sua trasmissione radio-TV.

In tale prospettiva, tutto l’argomentare della Rai e di Rai Pubblicità circa la sussistenza di concorrenti diritti (o di una comunione) intorno al Festival non è dunque condivisibile né conducente, ai fini che qui occupano: il Festival, quale manifestazione canora ben individuata, costituisce un evento del quale è titolare (sub specie di possessore di marchio) il Comune di Sanremo; che a tale evento sia stato associato nel tempo un programma televisivo il cui format è ideato da (e perciò ricade nella eventuale proprietà intellettuale di) altri soggetti è circostanza che si pone su tutt’altro piano, che nulla ha a che vedere col marchio (e, dunque, con la proprietà immateriale) comunale, peraltro nel corso del tempo associato in alcune occasioni anche a format (pur parzialmente) diversi.

In tale prospettiva, il marchio ha senz’altro una sua autonoma identità e un contenuto suo proprio che prescinde al programma TV, senza che perciò possa predicarsene la decettività sopravvenuta.

Ne deriva a sua volta, da un lato, che ciò che ricade nell’invocata evidenza pubblica è proprio la concessione del marchio (e non di altro, in specie di inerenti format televisivi); dall’altro, che proprio perciò i diritti (e gli obblighi) del concessionario attengono all’evento canoro in sé, e dunque alla sua organizzazione e gestione quale manifestazione, appunto, ed eventualmente (costituendo ciò comunque un profilo ulteriore e distinto da quello organizzativo stricto sensu, ancorché concedibile dal Comune in via unitaria al primo) alla sua ripresa e trasmissione TV.

4.3.2. Tanto premesso, nell’assetto attuale senz’altro è ravvisabile la qualificazione della concessione del marchio relativo al Festival in termini di contratto attivo per il Comune, dal quale discende un’entrata a beneficio dell’amministrazione; come tale, lo stesso è sottratto all’applicazione del Codice dei contratti pubblici (art. 13, comma 2, d.lgs. n. 36 del 2023), bensì soggetto ai relativi principi, giacché il relativo «affidamento […] avviene tenendo conto dei principi di cui agli articoli 1, 2 e 3» (art. 13, comma 5, d.lgs. n. 36 del 2023).

Non vale il richiamare, in senso inverso, il regime di contabilità pubblica, segnatamente di cui all’art. 3, comma 1, l. cont. St. e 41 Regol. cont. pubbl.: da un lato, infatti, le suddette disposizioni non fanno venir meno il precetto (posteriore) di cui all’art. 13, comma 5, cit., che fa riferimento fra l’altro proprio al principio di accesso al mercato (e correlata concorrenza, imparzialità, non discriminazione, pubblicità, trasparenza e proporzionalità) di cui all’art. 3 d.lgs. n. 36 del 2023; dall’altro non emergono le eventuali specifiche ragioni - considerato, tra l’altro, quanto suesposto in ordine al contenuto del marchio passibile di affidamento e all’assenza di puntuali e adeguate indicazioni organizzative al riguardo dall’amministrazione, diverse dall’esplicitazione della volontà di affidare in via diretta alla Rai - che legittimerebbero deroghe all’evidenza pubblica, a ciò non valendo del resto il semplice grado di soddisfazione registrato nelle precedenti edizioni, circostanza altrimenti sempre e di per sé invocabile ai fini di qualsivoglia affidamento (e, infatti, non ricompresa fra quelle tipizzate dal suddetto art. 41, né qualificabile in termini di “speciale ed eccezionale” circostanza, ai sensi del relativo n. 6); né tanto meno emergono dai provvedimenti profili di “infungibilità” delle prestazioni tali da giustificare l’affidamento diretto.

Non conferente è al riguardo anche il richiamo all’art. 56, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 36 del 2023, relativo agli appalti «aventi ad oggetto l’acquisto, lo sviluppo, la produzione o coproduzione di programmi o materiali associati ai programmi destinati ai servizi di media audiovisivi o radiofonici che sono aggiudicati da fornitori di servizi di media audiovisivi o radiofonici, ovvero gli appalti concernenti il tempo di trasmissione o la fornitura di programmi aggiudicati ai fornitori di servizi di media audiovisivi o radiofonici»: al di là del fatto che, per quanto sopra osservato, la concessione del marchio attiene all’organizzazione e gestione della manifestazione canora “Festival della canzone italiana”, con eventuale associazione dei diritti di ripresa e trasmissione TV, non concernendo specificamente e direttamente la realizzazione di programmi TV, in ogni caso va osservato che l’art. 56 si limita a prevedere la sottrazione delle fattispecie elencate alle «disposizioni del codice relative ai settori ordinari» (in relazione, appunto, agli «Appalti esclusi nei settori ordinari»), ma non per questo fa venir meno l’applicazione dei principi a norma dell’art. 13, comma 2 e 5, d.lgs. n. 36 del 2023, validi proprio per i contratti «esclusi».

Analogamente, non assume rilievo la circostanza per cui il Festival è ricompreso fra gli eventi per i quali la normativa di settore prescrive una trasmissione in chiaro da parte di un operatore TV in grado di garantire ad almeno l’80% della popolazione italiana la possibilità di seguire l’evento su palinsesto gratuito: ciò, oltre a non incidere affatto sul profilo strettamente organizzativo della manifestazione (bensì su quello esclusivamente tele-trasmissivo) in ogni caso non vale sic et simpliciter a legittimare un affidamento diretto, attenendo semmai ai requisiti (e obblighi) correlati alla concessione dei diritti di ripresa e trasmissione dell’evento.

In tale contesto, seppure è condivisibile in linea di principio quanto osservato dagli appellanti sul fatto che l’evidenza pubblica non costituisca l’unica e imprescindibile modalità di affidamento dei contratti pubblici, d’altra parte è pur vero che la stessa rappresenta la modalità principiale o “normale” di approvvigionamento pubblico, anche in presenza di un’entrata a beneficio dell’amministrazione.

In ogni caso, per quanto qui di rilievo, l’osservazione non consente di ravvisare qui elementi tali da far ritenere legittimo l’affidamento diretto eseguito dal Comune nei termini e con le modalità suesposte.

Si osserva infine che risulta privo di rilievo anche il richiamo alle “linee programmatiche” del mandato comunale, del tutto generiche sul punto, e che senz’altro non inveravano alcun atto concreto di disposizione del marchio o funzionale ad essa (men che meno in termini di suo affidamento diretto) non risultando perciò lesive né di necessaria impugnazione da parte di JE.

5. Col quinto motivo di gravame, Rai Pubblicità si duole dell’errore commesso dal giudice di primo grado nel non dichiarare la parziale inammissibilità dei motivi aggiunti avverso la delibera comunale n. 345/2024 di approvazione della convenzione fra il Comune e Rai Pubblicità relativa allo sfruttamento degli eventi collaterali.

Segnatamente, il primo e secondo motivo dei suddetti motivi aggiunti in primo grado, nella parte in cui deducevano vizi propri della delibera, erano inammissibili per carenza d’interesse in quanto JE non aveva mai richiesto al Comune la disponibilità di spazi per organizzare eventi in occasione del Festival.

Del resto, laddove avessero riguardato gli eventi collaterali “in senso proprio”, le doglianze sarebbero state parimenti inutili, nulla aggiungendo alle altre, considerato che solo il soggetto che ha in carico l’organizzazione, ripresa e trasmissione del Festival è legittimato a svolgere attività di questo genere.

Al riguardo, la sentenza risulterebbe contraddittoria, per un verso respingendo l’eccezione d’inammissibilità per carenza d’interesse, per l’altro escludendo (correttamente) una contendibilità a sé stante degli eventi collaterali in senso proprio, ciò che avrebbe tuttavia dovuto condurre al rigetto, e non all’assorbimento, del primo motivo e della porzione del secondo motivo dei motivi aggiunti che deducevano vizi propri della delibera n. 345/2024.

5.1. Il motivo non è suscettibile di favorevole considerazione.

5.1.1. È sufficiente osservare, al riguardo, come è la stessa appellante a declinare la censura in relazione all’eccepita inammissibilità dei secondi motivi aggiunti “nella parte in cui deducono vizi propri” della delibera n. 345/2024 (appello, pag. 32).

Al contrario la sentenza, dopo aver enunciato i motivi formulati coi secondi motivi aggiunti (cfr. sentenza, sub par. 7) ha espressamente accolto il secondo motivo dei secondi motivi aggiunti “in via derivata”, e cioè perché “L’invalidità della delibera n. 314 […] non può che inficiare, in via derivata, la delibera n. 345, dal momento che l’affidamento dell’organizzazione degli eventi collaterali a Rai Pubblicità è avvenuto in quanto quest’ultima è concessionaria esclusiva della Rai […]” (sentenza, par. 7.2).

In tale prospettiva, il Tar ha ritenuto dunque che “venuto meno l’affidamento a Rai, non può che derivarne l’invalidità (e la conseguente caducazione) della delibera relativa al rapporto con Rai Pubblicità, che rinviene nell’affidamento a Rai un presupposto imprescindibile”.

Pur riconosciuto l’interesse di JE ai motivi aggiunti (sentenza, par. 7.1) il Tar perviene dunque all’accoglimento parziale degli stessi, “in via [esclusivamente] derivata”.

Alla luce di ciò, la doglianza svolta da Rai Pubblicità risulta decentrata rispetto al contenuto sostanziale della sentenza, e comunque in sé non conducente, invocando l’inammissibilità di censure (i.e., per vizi propri della delibera impugnata) in realtà non considerate (tantomeno accolte) dal Tar.

In tale prospettiva, la censura sollevata si risolve a ben vedere in una critica meramente formale della sentenza, non sorretta da alcun evidenziato (né desumibile) interesse e in sé non conducente rispetto al contenuto della decisione, esaurendosi nell’invocare l’inammissibilità o reiezione di motivi non esaminati (bensì assorbiti) dal giudice di primo grado.

6. Col primo motivo del proprio appello incidentale, JE si duole del rigetto della censura con cui aveva dedotto in primo grado la violazione delle norme del Codice dei contratti pubblici applicabili in forza dell’art. 115, comma 3, d.lgs. n. 42 del 2004 per la gestione dei beni culturali.

Al riguardo, l’appellante critica l’affermazione del giudice di primo grado per cui il Festival di Sanremo non rientrerebbe nella definizione di “patrimonio culturale” a norma dell’art. 2, par. 1, Convenzione Unesco del 2003, così come si duole dell’affermata assenza di “testimonianze materiali” del Festival, affidato con deliberazioni comunali, tutelato da un marchio, e caratterizzantesi quale evento cui partecipa tutta la cittadinanza, che si svolge “dal vivo” su palco teatrale, e che è riconosciuto quale evento di particolare rilevanza con delibera AGCOM n. 8/99 e d.m. 27 maggio 2022.

Parimenti erronea sarebbe l’affermazione del Tar per cui il Festival di Sanremo non rientra nell’elenco di cui all’art. 2, par. 2, Conv. Unesco, il quale ha valore meramente esemplificativo e ricomprende peraltro anche le arti dello spettacolo e le consuetudini sociali e gli eventi rituali e festivi, in cui il Festival rientra.

Né rileverebbe, in senso contrario, il solo fatto che l’evento non è incluso nelle liste richiamate dal Tar (i.e., Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità e Lista del patrimonio culturale immateriale che necessita di essere urgentemente salvaguardato), le quali non hanno a tal fine valore costitutivo; tanto più se si considera che l’attività dell’amministrazione al riguardo avrebbe mera finalità ricognitiva e conoscitiva, non già volitiva e decisionale.

Di tale connotazione del Festival vi sarebbe peraltro evidenza negli stessi atti comunali, e in specie nelle linee programmatiche di mandato del sindaco, che valorizza la manifestazione quale “patrimonio immateriale” ed “evento di grande qualità”, nonché “strumento di promozione culturale” della città, confluendo al contempo nel “patrimonio culturale italiano”.

Di qui la necessità del relativo affidamento mediante procedura a evidenza pubblica a norma del Codice dei contratti pubblici, ai sensi dell’art. 115 d.lgs. n. 42 del 2004.

6.1. Il motivo non è condivisibile.

6.1.1. Occorre premettere che la fonte invocata da JE per affermare la soggezione dell’affidamento dell’organizzazione del Festival a procedura ad evidenza pubblica direttamente regolata dal Codice dei contratti pubblici è rappresentata dall’art. 115, comma 3, d.lgs. n. 42 del 2004.

La disposizione, rientrante fra le «Forme di gestione» dei beni culturali (cfr. il comma 1: «Le attività di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica sono gestite in forma diretta o indiretta»), prevede che «La gestione indiretta è attuata tramite concessione a terzi ovvero mediante l’affidamento di appalti pubblici di servizi, anche in forma congiunta e integrata, da parte delle amministrazioni cui i beni pertengono o dei soggetti giuridici costituiti ai sensi dell’articolo 112, comma 5, qualora siano conferitari dei beni ai sensi del comma 7, mediante procedure di evidenza pubblica, sulla base della valutazione comparativa di specifici progetti […]».

In tale prospettiva, il Festival di Sanremo si qualificherebbe (e andrebbe tutelato) in termini di “espressione di identità culturale collettiva” ai sensi dell’art. 7-bis, d.lgs. n. 42 del 2004, a tenore del quale «Le espressioni di identità culturale collettiva contemplate dalle Convenzioni UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e per la protezione e la promozione delle diversità culturali, adottate a Parigi, rispettivamente, il 3 novembre 2003 ed il 20 ottobre 2005, sono assoggettabili alle disposizioni del presente codice qualora siano rappresentate da testimonianze materiali e sussistano i presupposti e le condizioni per l’applicabilità dell’articolo 10».

Tanto premesso, è sufficiente osservare ai fini del rigetto come non risultino integrati nella specie gli elementi della categoria cui l’appellante vorrebbe ascrivere il Festival, e cioè di “espressione di identità culturale collettiva” ai sensi della Convenzione Unesco del 2003 per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale.

Tale Convenzione prevede all’art. 2, par. 1, che “per ‘patrimonio culturale immateriale’ s’intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how - come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi - che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana. Ai fini della presente Convenzione, si terrà conto di tale patrimonio culturale immateriale unicamente nella misura in cui è compatibile con gli strumenti esistenti in materia di diritti umani e con le esigenze di rispetto reciproco fra comunità, gruppi e individui nonché di sviluppo sostenibile”.

Il successivo par. 2 individua, pur se esemplificativamente, alcuni settori in cui si manifesta il patrimonio culturale immateriale, quali “a) tradizioni ed espressioni orali, ivi compreso il linguaggio, in quanto veicolo del patrimonio culturale immateriale; b) le arti dello spettacolo; c) le consuetudini sociali, gli eventi rituali e festivi; d) le cognizioni e le prassi relative alla natura e all’universo; e) l’artigianato tradizionale”.

Emerge chiaramente, dunque, come la qualificazione di “patrimonio culturale immateriale” attenga a un insieme di attività umane - condensate e sintetizzate in “prassi”, “rappresentazioni”, “espressioni” e relativi oggetti associati - “che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale”, cioè quale patrimonio “trasmesso di generazione in generazione” e “costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia”, così da “d[are] loro un senso d’identità e di continuità”.

In tale prospettiva, le attività elencate dal par. 2 (fra cui “le arti dello spettacolo”, o le “consuetudini sociali, gli eventi rituali e festivi”) assumono rilievo proprio in funzione della definizione di cui al precedente paragrafo, e cioè quale patrimonio “rappresentativo di continuità e identità”, dunque distintivo e identificativo di una comunità, e proprio perciò “trasmesso di generazione in generazione”.

Nel caso di specie, come correttamente posto in risalto dal giudice di primo grado, si è in presenza di un singolo evento organizzato, coincidente con una specifica manifestazione canora, che non esprime né un’arte dello spettacolo in sé, né una consuetudine sociale come tale, né tanto meno un evento rituale o festivo; allo stesso modo, non si tratta di un’attività umana identitaria e distintiva di una comunità, e dunque tale da assurgere a «espression[e] di identità culturale collettiva» (art. 7-bis d.lgs. n. 42 del 2004, cit.).

Tra l’altro, come pure evidenziato dalla sentenza e in sé non contestato dall’appellante, il Festival non è ricompreso né nella “Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità” di cui all’art. 16 Conv. Unesco, né nella “Lista del patrimonio culturale immateriale che necessita di essere urgentemente salvaguardato”, ciò che pure è (ulteriore) indice del fatto che non si sia in presenza di un bene del “patrimonio culturale immateriale”, segnatamente ascrivibile alle “espressioni di identità culturale”.

Allo stesso modo, non rileva il solo fatto che possano in termini generali essere ricompresi fra i beni del patrimonio immateriale anche dei “festival”, atteso che ciò presuppone comunque la sussistenza dei suddetti requisiti identitari e rappresentativi su cui non v’è corrispondente evidenza per il Festival di Sanremo.

Né rileva, in diverso senso, il fatto che il Festival sia riconosciuto quale evento di particolare rilevanza con delibera AGCOM n. 8/99 e dal d.m. 27 maggio 2022, attuativo dell’art. 33, comma 3, d.lgs. n. 208 del 2021, che hanno tutt’altro valore, non incidendo in alcun modo sulla qualificazione delle “espressioni di identità culturale collettiva”, in funzione del “patrimonio culturale immateriale” riconosciuto dall’Unesco nei sensi suesposti.

Il che parimenti è a dirsi per le linee programmatiche del mandato sindacale, in cui il riferimento (programmatico, peraltro, e promanante dallo stesso sindaco) al Festival quale progetto culturale e “patrimonio immateriale” della città non vale a conferirgli la suddetta qualifica ai sensi dell’art. 7-bis d.lgs. n. 42 del 2004.

Il che è sufficiente al rigetto della doglianza.

7. Col secondo motivo, JE si duole dell’errore che avrebbe commesso il giudice di primo grado nel non apprezzare adeguatamente la natura composita delle convenzioni impugnate e del correlato contenuto dell’affidamento, inclusivo di contratti passivi, con conseguente necessità di diretta applicazione del Codice dei contratti pubblici.

In tale contesto, il Tar avrebbe trascurato, ad esempio, che la convenzione con la Rai era risolutivamente condizionata alla mancata stipula della convenzione con Rai Pubblicità, sicché in sostanza l’affidamento alla Rai consisteva in una concessione; oltre a ciò, in termini generali, la stessa prevedeva numerosi oneri e spese a carico del Comune che non consentivano di prescindere da un affidamento mediante Codice dei contratti pubblici.

Per tali ragioni, il Tar avrebbe dovuto tener conto del fatto che veniva in rilievo nella specie una concessione di servizi, con trasferimento del relativo rischio, e così ritenere applicabile la corrispondente disciplina di cui al decreto legislativo n. 36 del 2023.

7.1. Il motivo non è condivisibile.

7.1.1. Per quanto composito, l’affidamento ha infatti a oggetto - come risulta dalla delibera n. 314/2023 ad esso sottesa - la concessione del marchio; in tale contesto, l’organizzazione e gestione del Festival altro non è che il precipitato naturale di tale concessione, avente a oggetto proprio il Festival.

Il che consente di ravvisare l’essenza sostanziale dell’affidamento quale contratto attivo, così come configurato dal giudice di primo grado.

Né a ciò ostano altre collaterali prestazioni previste, di carattere sussidiario o ancillare.

Mentre, come già osservato, la concessione dei diritti di ripresa e trasmissione attiene ad altro e ulteriore (benché correlato) profilo, in cui comunque la posizione comunale si qualifica in termini attivi - a fronte del complessivo corrispettivo previsto all’art. 6 - con conclusioni perciò analoghe a quelle suesposte.

8. Col terzo motivo di gravame l’appellante si duole del rigetto della domanda di risarcimento del danno per equivalente, deducendo che il Tar avrebbe dovuto apprezzare le chance di vittoria di JE - e, dunque, di conseguimento dell’affidamento - anche a prescindere dalla costituzione di un Rti, considerato appunto che la chance costituisce una posizione giuridica qualificata in sé tutelata, rispetto alla quale JE vanterebbe ex se un diritto al risarcimento.

Nella specie sussistevano tutti gli elementi costitutivi della responsabilità dell’amministrazione, inclusa una consistente chance di aggiudicazione, pari ad almeno il 50% considerato che la stessa JE era l’unico soggetto che aveva manifestato interesse all’acquisizione in concessione del marchio.

Ai fini della determinazione del danno, JE ripropone pure istanza istruttoria sui documenti contrattuali facenti capo a Rai, e svolgimento di eventuale verificazione o Ctu contabile, così da poter quantificare gli utili conseguiti dal gruppo Rai grazie al Festival.

In subordine JE chiede la determinazione in via equitativa del danno.

8.1. Il motivo non è condivisibile.

8.1.1. Al di là del dibattito sulla concezione della chance in termini ontologici od eziologici (su cui cfr. di recente, sulle varie ipotesi e fattispecie, fra le altre, Cons. Stato, V, 17 aprile 2025, n. 3357 e richiami ivi; VI, 14 marzo 2025, n. 2088; V, 25 febbraio 2025, n. 1623; Id., 27 settembre 2023, n. 8559), nonché del parziale superamento delle relative costruzioni teoriche (cfr. di recente, ad es., Cons. Stato, VI, 19 marzo 2024, n. 1967) va osservato che anche l’impostazione accolta dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, con cui si ravvisa nella chance “una posizione giuridica autonomamente tutelabile - morfologicamente intesa come evento di danno rappresentato dalla perdita della possibilità di un risultato più favorevole (e in ciò distinta dall’elemento causale dell’illecito, da accertarsi preliminarmente e indipendentemente da essa)” ne esige comunque la dimostrazione (“purché ne sia provata”) di “una consistenza probabilistica adeguata” (Cons. Stato, Ad. plen., 23 aprile 2021, n. 7, richiamata recentemente da Cons. Stato, IV, 10 marzo 2025, n. 1962; nonché da Id., 16 ottobre 2023, n. 8994), sicché il risarcimento non può in ogni caso prescindere dall’evidenza della chance secondo calcolo probabilistico o presuntivo, rifuggendo ricostruzioni sostanzialmente astratte e ipotetiche (cfr. Cons. Stato, V, 31 gennaio 2025, n. 795).

Alla luce di ciò, è condivisibile l’affermazione della sentenza di primo grado per cui difetta qui la concreta evidenza di una chance passibile di risarcimento, considerato appunto che all’illegittimità del disposto affidamento diretto seguirebbe una (potenziale) procedura a evidenza pubblica soggetta ai principi del Codice (non già alle relative regole puntuali), connotata - nella assoluta peculiarità della fattispecie - da configurazione inedita e variamente declinabile, stante appunto l’assenza di precedenti del caso, e dunque caratterizzata dalla potenzialmente varia conformazione dei suoi contenuti (inclusi gli aspetti inerenti alle distinte attività richieste, di organizzazione e teletrasmissione), in relazione a cui non è apprezzabile una concreta e attuale probabilità di aggiudicazione in favore di JE, anche (allo stato) nella prospettiva comparativa rispetto alla Rai e al numero dei potenziali altri concorrenti, e a prescindere peraltro dal fatto che l’unica (preventiva) manifestazione d’interesse promanasse dalla stessa JE.

In tale prospettiva, anche le richieste istruttorie avanzate, vertenti sul quantum, vanno respinte in quanto irrilevanti ai fini del decidere.

9. Col quarto motivo l’appellante si duole dell’errore che il Tar avrebbe commesso nel dichiarare inammissibile l’impugnazione degli atti di accertamento d’entrata e spesa adottati dal Comune.

La pronuncia del giudice di primo grado sarebbe immotivata al riguardo, e del resto al più, ove i suddetti atti fossero stati non impugnabili, sarebbero risultati automaticamente caducati dall’annullamento di quelli presupposti.

La stessa appellante dichiara comunque di avanzare la doglianza “per mero tuziorismo”, essendosi ormai svolte le edizioni n. 74 e n. 75 del Festival.

9.1. Il motivo è inammissibile, così come eccepito dai resistenti, atteso che non censura specificamente la ratio decidendi della sentenza - incentrata sulla qualificazione degli atti di impegno di entrata e di spesa alla stregua di atti non impugnabili - e si limita a invocarne una dichiarazione di caducazione derivata, peraltro senza che emerga un interesse in tal senso dell’appellante, la quale neppure pone in evidenza come una detta dichiarazione possa essere compatibile con la disposta conservazione delle convenzioni già stipulate, in sé non censurata da JE.

La stessa appellante, del resto, manifesta di non avere autonomo interesse alla censura, stante l’intervenuto esaurimento delle precedenti edizioni del Festival, e dunque di proporre il motivo in termini sostanzialmente tuzioristici e ipotetici.

10. Col quinto motivo JE censura la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso di primo grado, richiamando i relativi motivi.

La stessa appellante deduce al riguardo che la doglianza è proposta “per l’eventuale ipotesi in cui [questo] Collegio dovesse […] ritenere adottati o comunque concretizzati, anche prima della loro formale pubblicazione, gli atti di affidamento dell’Edizione n. 74 e n. 75 del Festival e degli eventi connessi e/o collaterali” (appello incidentale JE, pag. 43).

Al riguardo JE denuncia una carenza di motivazione della sentenza, ove non risulterebbe in alcun punto la ragione per cui gli atti di affidamento non dovessero ritenersi già formati ed efficaci, considerato che il Comune stava agendo come se detti atti esistessero già.

10.1. Il motivo non è suscettibile di favorevole apprezzamento.

A tal fine è sufficiente osservare come la motivazione spesa dal Tar ai fini della dichiarazione d’inammissibilità del ricorso (i.e.in parte qua, l’inesistenza di provvedimenti impugnati al tempo di proposizione del ricorso: cfr. sentenza, par. 3) è da ritenere in sé corretta e sufficiente, e non superata dalle censure dell’appellante, considerato che il mero presunto “comportarsi come se l’affidamento fosse già avvenuto” non vale a far ravvisare provvedimenti impugnabili (bensì meri comportamenti), e in ogni caso a superare la successiva formalizzazione dell’affidamento, giusta D.G.C. n. 314/2023 di per sé assorbente.

11. Col sesto motivo l’appellante si duole della statuizione del giudice di primo grado di compensazione delle spese di lite.

Il Tar sarebbe incorso in errore nel motivare la determinazione sulla base della addotta reciproca soccombenza delle parti, quando in realtà JE aveva integralmente ottenuto il bene della vita agognato; ciò in un contesto in cui peraltro JE ha affrontato un faticoso processo per vedersi riconosciuto detto bene della vita, anche ai fini dell’ostensione degli atti a tal fine rilevanti, nonché con proposizione di numerosi (necessari) ricorsi per motivi aggiunti.

Né una adeguata motivazione potrebbe scorgersi in proposito nell’affermata novità e particolarità delle questioni trattate.

La statuizione si qualificherebbe dunque come abnorme, dovendo perciò essere riformata.

11.1. Il motivo è infondato, considerato che, secondo il consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato, la statuizione del primo giudice sulle spese e sugli onorari di giudizio costituisce espressione di un ampio potere discrezionale, anche ai fini della loro compensazione (se del caso pure per il riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per farvi luogo) come tale insindacabile in sede di appello, fatta eccezione per l’ipotesi di condanna della parte totalmente vittoriosa, oppure per il caso che la statuizione sia manifestamente irrazionale o si riferisca al pagamento di somme palesemente inadeguate (inter multis cfr., per l’affermazione del principio e sua declinazione nelle diverse fattispecie, Cons. Stato, V, 12 giugno 2024, n. 5265; 15 novembre 2023, n. 9791; 22 agosto 2023, n. 7890; 10 marzo 2023, n. 2543; 7 febbraio 2023, n. 1298; III, 10 ottobre 2022, n. 8665; 5 settembre 2022, n. 7739; 11 luglio 2022, n. 5802; 6 maggio 2022, n. 3565; 11 aprile 2022, n. 2685; IV, 15 luglio 2022, n. 6036; 17 gennaio 2022, n. 278; VI, 20 gennaio 2022, n. 362; 1 marzo 2021, n. 1720; II, 30 novembre 2021, n. 7962; IV, 17 ottobre 2017, n. 4795; IV, 10 gennaio 2014, n. 46; cfr., al riguardo, anche i principi affermati da Corte cost., 19 aprile 2018, n. 77).

Nel caso di specie non sono ravvisabili profili di abnormità o irragionevolezza nella statuizione di compensazione delle spese in ragione della affermata “novità e particolare complessità delle questioni trattate” - addotta a motivo di per sé sufficiente alla compensazione - oltreché della richiamata “soccombenza reciproca”, da riferirsi, in una valutazione complessiva, all’accoglimento di alcune delle eccezioni e difese dei resistenti con reiezione di alcune delle domande di parte ricorrente, quali quelle volte alla diretta applicazione del Codice dei contratti pubblici, oltreché quella (inammissibile) contenuta nel ricorso principale in assenza di atti impugnabili nell’interesse della ricorrente, e quella risarcitoria.

12. In conclusione, per le suesposte ragioni, va respinto l’appello principale, così come vanno respinti gli appelli incidentali del Comune di Sanremo e di Rai Pubblicità, nonché quello proposto da JE.

Ne discende la conferma della sentenza impugnata, pur con le precisazioni motivazionali che precedono, e il conseguente assorbimento dei motivi di primo grado riproposti da JE ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm.

12.1. La peculiarità della fattispecie, la novità delle questioni trattate e la soccombenza reciproca fra le parti giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, provvede come segue:

- dichiara inammissibile l’intervento dell’Associazione Utenti dei Servizi Radiotelevisivi - APS e del Codacons - Coordinamento di Associazioni per la Tutela dell’Ambiente e dei Diritti di Utenti e Consumatori;

- respinge tutti gli appelli;

- compensa integralmente le spese di lite fra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.