il punto della situazione

SOMMARIO: I. INTRODUZIONE. II. L’ILLECITO ANTITRUST E LA SUA RILEVANZA AI FINI DELLA PARTECIPAZIONE ALLE GARE PUBBLICHE: 1. Premessa. Le procedure ad evidenza pubblica dalla concezione contabilistica alla tutela della concorrenza. 2. I fenomeni anticoncorrenziali nelle procedure ad evidenza pubblica. III. LE CAUSE DI ESCLUSIONE DALLA PARTECIPAZIONE ALLE GARE PUBBLICHE: 1. I requisiti di partecipazione ex art. 80, d.lgs. n. 50/2016. 2. Automaticità e discrezionalità nell’esclusione del partecipante alle gare pubbliche. 2.1. L'esclusione dalla gara per gravi illeciti professionali. IV. LA QUALIFICAZIONE DELL’ILLECITO ANTITRUST COME CAUSA DI ESCLUSIONE DALLE GARE PUBBLICHE: 1. L’illecito distorsivo della concorrenza come causa di esclusione. 1.1. L’intervento della Corte di Giustizia UE con l’ordinanza del 4 giugno 2019, causa C-425/2018. 2. La valutazione discrezionale della stazione appaltante. 2.1. La rilevanza dell’accertamento meramente esecutivo. 2.2. La rilevanza temporale dell’illecito antitrust. 2.3. Le misure di self-cleaning. 2.4. Gli obblighi dichiarativi. V. FOCUS SUI LIMITI DEL SINDACATO GIURISDIZIONALE SULLA SCELTA ESPULSIVA DELLA STAZIONE APPALTANTE: LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO N. 845 DEL 7 FEBBRAIO 2022: 1. La sentenza del Consiglio di Stato n. 845 del 7 febbraio 2022. Premessa. 1.1. La vicenda processuale. 2. Motivi della decisione. 2.1. Il sindacato giurisdizionale sulla valutazione discrezionale della stazione appaltante. VI. CONCLUSIONI.

  1. INTRODUZIONE.

La possibilità di considerare l’illecito antitrust quale causa di esclusione dalle gare pubbliche è un quesito ampiamente dibattuto da ormai diversi anni.

Le condotte anticoncorrenziali hanno assunto una rilevanza sostanziale nel mercato delle commesse pubbliche e nelle procedure finalizzate alla selezione dei contraenti privati da parte delle pubbliche amministrazioni.

Come noto, infatti, con le c.d. procedure ad evidenza pubblica, le stazioni appaltanti perseguono due obiettivi: da un lato, quello di reperire il bene o servizio ovvero di ottenere il lavoro o l’opera di cui necessitano alle condizioni economicamente più vantaggiose; e, dall’altro, quello di generare concorrenza all’interno del relativo mercato che – soprattutto in un periodo di crisi economica, come l’attuale – rappresenta un’ampia ‘fetta’ del prodotto interno lordo di una nazione, nonché una fondamentale leva economica.

Il primo capitolo della presente trattazione si concentrerà, dunque, sull’impatto che il principio di libera concorrenza di matrice europea ha avuto sul nostro ordinamento, il quale in principio era caratterizzato da un approccio meramente contabilistico alle procedure ad evidenza pubblica, volto esclusivamente al controllo della spesa. Al contempo, si andranno ad analizzare i principali fenomeni anticoncorrenziali che possono verificarsi nelle gare d’appalto.

Nel secondo capitolo, invece, l’attenzione sarà rivolta alle cause di esclusione dalle gare pubbliche, con particolare riferimento a quelle di natura discrezionale e, soprattutto, alla fattispecie prevista dall’art. 80, c. 5, lett. c) del d.lgs. n. 50/2016 su cui il legislatore nazionale è intervenuto più volte nel corso degli anni, generando non poche incertezze interpretative.

Nel terzo capitolo - che costituisce la sintesi dei primi due - si analizzeranno le ragioni in virtù delle quali l’illecito antitrust sia stato ricondotto entro l’alveo dei «gravi illeciti professionali» di cui all’art. 80, c. 5, lett. c) del d.lgs. n. 50/2016. A questo scopo, saranno approfonditi i tratti essenziali di questa disciplina in seguito all’emanazione del nuovo codice dei contratti pubblici e alla storica e decisiva pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea, con l’ordinanza del 4 giugno 2019 (causa C-425/2018). In particolare, la trattazione verterà sulla discrezionalità dell’amministrazione aggiudicatrice circa l’espulsione dalle gare d’appalto di un concorrente condannato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per avere commesso un illecito antitrust e sull’onere motivazionale particolarmente intenso su di essa incombente. Sarà affrontata, inoltre, la questione relativa all’obbligo, ricadente sugli operatori economici, di dichiarare l’eventuale sussistenza di provvedimenti sanzionatori dell’AGCM nei loro confronti, nonché la rilevanza della mera esecutività di questi ultimi. Infine, verrà indagata la loro rilevanza temporale e l’incidenza su di essi delle c.d. misure di self-cleaning.

In ultimo, nel quarto capitolo, si analizzerà la recente sentenza del Consiglio di Stato (n. 845 del 7 febbraio 2022) in cui, da un lato, vengono confermati taluni principi di diritto su cui la giurisprudenza amministrativa pare ormai consolidata e, dall’altro, viene affrontata la tematica del sindacato giurisdizionale sulla valutazione discrezionale della stazione appaltante che rappresenta uno dei nodi maggiormente critici della disciplina.

II. L’ILLECITO ANTITRUST E LA SUA RILEVANZA AI FINI DELLA PARTECIPAZIONE ALLE GARE PUBBLICHE.

1. Premessa. Le procedure ad evidenza pubblica dalla concezione contabilistica alla tutela della concorrenza.

I soggetti di diritto pubblico – proprio come quelli privati (siano essi persone fisiche o giuridiche) – sono dotati di autonomia negoziale e, per tale ragione, possono fare ricorso allo strumento del contratto per realizzare i propri interessi[1].

A differenza dei singoli cittadini, però, le amministrazioni pubbliche non perseguono scopi di lucro ma tendono a soddisfare interessi pubblici. A ciò consegue che, mentre il privato è libero di scegliere la propria controparte negoziale senza essere soggetto ad alcun vincolo procedurale o onere motivazionale, la P.A. è tenuta a rispettare procedure caratterizzate dalla pubblicità e dall’obbligo di valutazione comparativa di tutte le offerte presentate, atteso che essa «pone in essere un’attività che è pur sempre volta al perseguimento dell’interesse pubblico e che, soprattutto, utilizza pur sempre denaro proveniente dai contribuenti»[2].

La pubblica amministrazione è dunque tenuta a scegliere il proprio contraente in esito ad una apposita procedura ad evidenza pubblica.

Questa, in passato, era finalizzata unicamente «alla individuazione del “giusto” contraente dell’amministrazione, vale a dire del contraente in grado di offrire le migliori prestazioni e garanzie alle condizioni più vantaggiose, per cui la ratio della normativa sull’evidenza pubblica era volta esclusivamente al controllo della spesa pubblica per il miglior utilizzo del denaro della collettività (c.d. concezione contabilistica)»[3]. Non a caso, all’epoca, la normativa in materia era contenuta nella legge di contabilità dello Stato (r.d. 18 novembre 1923, n. 2440) e nel relativo regolamento attuativo (r.d. 23 maggio 1924, n. 827).

Ciò che interessava alla P.A. era reperire sul mercato il miglior bene o servizio al minor prezzo ovvero ottenere il lavoro o l’opera alle migliori condizioni economiche. Perciò, i criteri di scelta del contraente erano quelli tipicamente aziendalistici dell’economicità e dell’efficienza.

Tuttavia, con il tempo, l’interesse finanziario del legislatore nazionale si è dimostrato sempre più recessivo rispetto ai principi fissati dall’ordinamento europeo[4], i quali hanno infine imposto una radicale revisione della normativa interna, «con il passaggio dall’originario approccio contabilistico a un moderno disegno pro-concorrenziale»[5].

Questo cambio di rotta è stato possibile grazie ad un’articolata disciplina ora contenuta nelle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE (in tema di concessioni di servizi e appalti nei settori ordinari ed esclusi), dettate in attuazione delle norme (artt. 81 ss.) del Trattato di Roma del 1957 in materia di concorrenza[6]. L’obiettivo del legislatore eurounitario era duplice: (i) garantire alle imprese operanti nell’area dell’Unione europea di concorrere alle gare pubbliche indette nel territorio nazionale di ogni Stato membro, senza alcuna discriminazione e in condizioni di parità; (ii) elevare, di conseguenza, gli standard di partecipazione per gli operatori economici, stimolandoli ad offrire ai consumatori i migliori prodotti e servizi al miglior prezzo possibile.

Così, anche in Italia, a partire dalla legge quadro in materia di lavori pubblici n. 109 del 1994 (c.d. Legge Merloni) sino all’emanazione del nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50)[7], tutta la disciplina sull’evidenza pubblica è stata improntata sui principi della libera concorrenza e del favor partecipationis, anche in un’ottica di tutela dello stesso interesse pubblico. Invero, in un mercato caratterizzato da regole concorrenziali, le stazioni appaltanti possono concludere contratti con operatori economici maggiormente qualificati (visto l’ampliamento della platea dei partecipanti alle gare) a condizioni economiche più favorevoli, atteso che il gioco della concorrenza induce, in ogni caso, alla riduzione dei prezzi[8].

2.  I fenomeni anticoncorrenziali nelle procedure ad evidenza pubblica.

Allo scopo di tutelare il principio della libera concorrenza, il legislatore eurounitario ha introdotto specifici strumenti normativi volti a scoraggiare e sanzionare eventuali comportamenti anticompetitivi delle imprese private sul mercato. Tra questi rientra la legislazione antitrust, ossia l’insieme delle regole aventi lo scopo di impedire quei fenomeni anticoncorrenziali che possono condurre a qualsiasi effetto restrittivo o distorsivo della concorrenza.

In particolare, gli art. 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) vietano l’abuso di posizione dominante, le pratiche concordate tra imprese e gli accordi anticompetitivi.

L’art. 101 TFUE commina la nullità delle intese concordate tra operatori economici e degli accordi espliciti (c.d. cartelli) poiché se, invece di competere tra loro, le aziende decidessero di coordinare strategicamente le loro azioni sul mercato (acquisti, vendite, condizioni contrattuali, ecc.) al fine di escludere altri operatori dallo stesso, si avrebbe una palese distorsione del gioco della concorrenza.

Allo stesso scopo, l’art. 102 TFUE vieta all’impresa che detenga una posizione di forza in un dato mercato di sfruttare il suo vantaggio per danneggiare gli operatori concorrenti. Si parla in questo caso di c.d. abuso di posizione dominante.

La normativa europea in materia di condotte antitrust è stata trasfusa nel nostro ordinamento nella l. 10 ottobre 1990, n. 287, istitutiva dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM). Quest’ultima si è più volte occupata di gare pubbliche per accertare le condotte anticompetitive delle imprese partecipanti, censurandole e sanzionandole ai sensi dell’art. 15, l. n. 287/1990, con la diffida ad eliminare le infrazioni commesse e la comminazione di sanzioni pecuniarie nei casi di illeciti gravi.

Invero, il settore degli appalti pubblici risulta essere fortemente inquinato da tali condotte antitrust e, tra quelle più frequenti, l’AGCM ha individuato: (i) il boicottaggio della gara e la presentazione delle offerte di comodo; (ii) l’abuso degli strumenti di cooperazione tra imprese (quali il subappalto e le associazioni temporanee d’imprese, c.d. ATI); (iii) il fenomeno della c.d. rotazione delle offerte; (iv) la spartizione del mercato e le modalità sospette di partecipazione all’asta[9].

Il boicottaggio della gara e la presentazione delle offerte di comodo sono condotte che riguardano la fase di presentazione dell’offerta (c.d. fattispecie oggettive)[10]. Il primo dei due illeciti ha lo scopo di prolungare un contratto già in essere con il fornitore abituale o quello della ripartizione pro quota del lavoro o della fornitura tra le imprese colluse[11]. Il secondo, invece, si riferisce a quelle offerte, anche dette ‘di comodo’, ‘simboliche’ o ‘di cortesia’, presentate da un’impresa (non aggiudicataria) per rendere la gara apparentemente regolare, ma che sono in realtà volte a garantirne l’aggiudicazione ad un vincitore designato, essendo, ad esempio, caratterizzate da un importo volutamente troppo elevato rispetto ai prezzi di aggiudicazione[12].

L’abuso degli strumenti di cooperazione tra imprese si colloca invece sul versante soggettivo delle modalità di partecipazione alle procedure di gara e consiste in uso improprio e abusivo di istituti quali l’avvalimento, il subappalto e l’associazione/raggruppamento di operatori economici. Quindi, per esempio, è sintomatico di una simile condotta anticoncorrenziale il ritiro dell’offerta da parte di un’impresa che poi, in un secondo momento, risulti beneficiaria di un subappalto nell’ambito della medesima gara[13].

Infine, un’anomala rotazione delle offerte, la spartizione del mercato e le modalità sospette di partecipazione all’asta (in cui si riscontrino, per esempio, domande con comuni errori di battitura o di calcolo) sono indici sintomatici della presenza di un cartello.

La frequenza con cui tali condotte anticoncorrenziali si verificano e, soprattutto, il modo in cui pregiudicano il buon andamento delle procedure di affidamento, le ha rese una delle problematiche più rilevanti in materia di appalti pubblici. È per tale ragione che, ad oggi, la possibilità di considerare l’illecito antitrust quale causa di esclusione dell’operatore economico dalle gare pubbliche rappresenta uno dei quesiti più dibattuti e interessanti in materia.

III. LE CAUSE DI ESCLUSIONE DALLA PARTECIPAZIONE ALLE GARE PUBBLICHE.

1.  I requisiti di partecipazione ex art. 80, d.lgs. n. 50/2016.

Per avere il diritto di partecipare ad una procedura ad evidenza pubblica, gli operatori economici devono possedere taluni requisiti di affidabilità professionale, a pena di esclusione dalla gara.

Si tratta di requisiti soggettivi di ordine generale, inerenti alla sfera personale e morale dell’operatore economico (quali, ad esempio, l’assenza di condanne penali o la violazione della normativa antimafia) e sono elencati nell’art. 80, d.lgs. n. 50/2016.

Essi si distinguono dai requisiti oggettivi di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa previsti dall’art. 83, d.lgs. n. 50/2016 che la stazione appaltante indica nella lex specialis per ogni singola gara, in base alle dimensioni e alle caratteristiche dell’appalto.

I requisiti soggettivi di ordine generale possono essere suddivisi nelle seguenti macro-categorie[14]:

  1. requisiti relativi alla presenza di condanne penali per alcuni gravi reati;
  2. requisiti relativi alla disciplina antimafia;
  3. requisiti relativi alla regolarità fiscale e contributiva;
  4. requisiti relativi alle norme in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
  5. requisiti relativi alla sussistenza di gravi illeciti professionali e di situazioni in conflitto d’interesse;
  6. requisiti relativi alla sussistenza di sanzioni interdittive che vietino di contrarre con la P.A., al divieto di intestazione fiduciaria, all’eventuale mancata denuncia da parte di soggetti che siano stati vittima di concussione e/o di estorsione, nonché al rispetto della normativa sul diritto al lavoro dei disabili;
  7. requisiti relativi all’eventuale presentazione di false dichiarazioni e/o falsa documentazione.

Essi sono previsti a pena di espulsione del concorrente dalla procedura evidenziale direttamente dalla legge: difatti, lo stesso art. 80, d.lgs. n. 50/2016 (rubricato non a caso “Motivi di esclusione”) al c. 6 afferma che: «le stazioni appaltanti escludono un operatore economico in qualunque momento della procedura, qualora risulti che l’operatore economico si trova, a causa di atti compiuti o omessi prima o nel corso della procedura, in una delle situazioni di cui ai commi 1, 2, 4 e 5».

Invero, tali requisiti devono essere posseduti dai partecipanti non solo alla data di scadenza del termine per la presentazione della richiesta di partecipazione alla procedura di affidamento, ma anche per tutta l’intera durata della gara, fino all’aggiudicazione definitiva e alla successiva stipula del contratto; nonché sino a tutto il periodo dell’esecuzione dello stesso, senza soluzione di continuità. Ciò significa che, qualora nel corso della procedura di affidamento dovesse verificarsi una delle condizioni di cui all’art. 80, d.lgs. n. 50/2016, la stazione appaltante sarebbe legittimata ad escludere l’impresa dalla gara in qualsiasi momento.

Le cause di esclusione dalle gare pubbliche sono da considerarsi lato sensu sanzionatorie e rappresentano comunque un limite per la libertà di concorrenza, per cui non possono essere oggetto di interpretazione estensiva[15], tant’è che, ai sensi dell’art. 83, c. 8, ult. cpv., d.lgs. n. 50/2016, non è possibile che le stazioni appaltanti nei documenti di gara prevedano ulteriori ipotesi di esclusione non previste dalla legge, a pena di nullità di tali prescrizioni previste nei bandi o negli avvisi di gara.

In questo modo, il principio di tassatività delle cause di esclusione, da un lato, mira a favorire la massima partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica e, dall’altro, sancisce il divieto di aggravio del procedimento, spingendo le stazioni appaltanti a ridurre gli oneri formali gravanti sui concorrenti.

In ogni caso, sempre in un’ottica di promozione e tutela della massima concorrenza, la giurisprudenza afferma che «a fronte di una clausola che potrebbe avere portata escludente, e a fronte del carattere non univoco della stessa disposizione, l’interprete deve conformare la propria attività interpretativa al criterio del favor partecipationis, favorendo così l’applicazione della disposizione che consenta la massima partecipazione possibile alla procedura (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, Sent. 23/03/2021, n. 762)»[16].

2. Automaticità e discrezionalità nell’esclusione del partecipante alle gare pubbliche.

Tra le cause di esclusione previste dall’art. 80, d.lgs. n. 50/2016 ve ne sono alcune che operano in modo diretto – le quali determinano l’espulsione del concorrente de plano - e altre per cui, invece, viene riconosciuto alla stazione appaltante un potere discrezionale circa l’estromissione dell’operatore economico dalla procedura evidenziale.

Costituisce motivo di esclusione diretta di un’impresa dalla gara l’avere riportato condanne penali per uno dei gravi reati previsti dal c. 1 dell’art. 80, d.lgs. n. 50/2016. In questi casi, «la gravità dei fatti accertati in sede penale porta il codice dei contratti pubblici a fare propria una presunzione assoluta della inaffidabilità professionale dell’operatore economico, poiché essi sono in sé indice di una potenziale attitudine alla infrazione delle regole della convivenza civile. Di conseguenza, in capo alla stazione appaltante non sussiste alcun margine di discrezionalità ed essa è obbligata ad escludere il concorrente dalla gara»[17].

La stessa sorte è stata prevista anche per i casi in cui l’operatore economico risulti avere violato la disciplina antimafia (art. 80, c. 2, d.lgs. n. 50/2016) o quando venga accertata, nei suoi confronti, la commissione di violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali (art. 80, c. 4, d.lgs. n. 50/2016). Dunque, anche in presenza di simili illeciti, la stazione appaltante deve necessariamente procedere con l’esclusione automatica ed obbligatoria del concorrente dalla procedura evidenziale.

Negli altri casi elencati dall’art. 80, c. 5, d.lgs. n. 50/2016, l’amministrazione aggiudicatrice ha il potere di valutare, caso per caso, se una data irregolarità commessa dai concorrenti sia tale da minare l’integrità e l’affidabilità di ciascuno di loro, determinandone l’estromissione o meno dalla gara e derogando così al principio di tassatività «in ragione della necessità di assicurare alla stazione appaltante la possibilità di valutare autonomamente, senza le rigidità proprie di tale principio (…), l'eventuale compromissione del rapporto fiduciario a fronte di situazioni comunque implicanti la potenziale commissione di illeciti influenti sulla capacità dell'operatore economico selezionato di eseguire l'appalto in modo corretto, leale e trasparente»[18].

 Ciò accade, per esempio, nel caso in cui un’impresa venga ammessa a una procedura concorsuale (causa di esclusione prevista dal c. 5, lett. b) del summenzionato art. 80), oppure nel caso in cui abbia commesso gravi illeciti che possono mettere in dubbio la sua professionalità (motivo di espulsione dettato dal c. 5, lett. c) della medesima norma). In queste ipotesi, l’esclusione dell’impresa è ‘facoltativa’ atteso che non consegue automaticamente alla semplice constatazione dell’esistenza di un pregresso o concomitante illecito incombente sul concorrente, ma presuppone l’accertamento da parte dell’ente aggiudicatore che tale irregolarità sia in grado di incidere significativamente sul rapporto di fiducia tra stazione appaltante e operatore economico. Tale accertamento può essere condotto dalla P.A. «secondo criteri di ampia discrezionalità attraverso valutazioni tendenzialmente insindacabili dal giudice se non in presenza di macroscopici profili di illogicità o di travisamento del fatto»[19].

2.1.  L'esclusione dalla gara per gravi illeciti professionali.

L’art. 80, c. 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016 (in cui è stato trasfuso l’art. 57, c. 4, lett. c) della direttiva 2014/24/UE) consente alle stazioni appaltanti di escludere dalla gara i concorrenti che abbiano commesso un «grave illecito professionale», riconoscendo così un ampio potere discrezionale all’amministrazione aggiudicatrice.

La ratio della norma risiede nell’esigenza di garantire la perizia e la diligenza dell’operatore economico che andrà a contrattare con la pubblica amministrazione, onde evitare che quest’ultima entri in contatto con soggetti inaffidabili, nel rispetto del principio di buon andamento dell’azione amministrativa ex art. 97 Cost.

Una disposizione analoga era precedentemente contenuta nella lett. f) dell’art. 38, c.1, d.lgs. n. 163/2006, il quale, però, comminava l’espulsione dalla gara per «grave negligenza o malafede» ovvero «errore grave nell'esercizio della loro attività professionale» solo se verificatisi durante l’esecuzione di un contratto pubblico. Pertanto, prima dell’avvento del nuovo codice degli appalti, non costituivano motivi di esclusione dalla gara le irregolarità verificatesi durante la prodromica fase di affidamento, ma solo quelle commesse durante l’esecuzione del contratto[20].

Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016, il perimetro applicativo della suddetta causa di esclusione è stato ampliato, facendovi rientrare anche gli illeciti commessi dall’operatore economico in fase di gara[21].

Infatti, già nella formulazione originaria dell’art. 80, c. 1, lett. c) d.lgs. n. 50/2016, veniva prevista l’estromissione del concorrente che si fosse reso colpevole di un «grave illecito professionale» in talune ipotesi riguardanti la fase di affidamento e non solo quella esecutiva, tra le quali: «il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione». Peraltro, il carattere meramente esemplificativo di tale elencazione[22] esaltava ancora di più il carattere aperto di tale fattispecie normativa.

Infine, con la riforma operata dal c.d. decreto semplificazioni (d.l. n. 135/2018), convertito nella l. n. 12/2019, l’elenco di cui sopra è stato eliminato e l’intera lett. c) è stata sostituita dalle lett. c), c-bis) e c-ter) in cui sono state redistribuite le ipotesi esemplificative ivi precedentemente previste. Per cui, come anticipato, l’odierna lett. c) dell’art. 80, c. 5, d.lgs. n. 50/2016 prevede oggi l’esclusione del concorrente dalla gara nel generico e onnicomprensivo caso in cui «la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità».

Così riscritta, la norma finisce quindi per avere una perimetrazione amplissima atteso che il concetto stesso di «gravi illeciti professionali» presenta un elevato tasso di indeterminatezza[23]. Invero, la sua nuova formulazione è «idonea a ricomprendere nello spettro valutativo dell'affidabilità professionale qualsiasi fatto o condotta violativa di norme civili, penali o amministrative, se connotato in termini di grave illecito professionale»[24], persino le condanne non ancora definitive per i reati ostativi ai sensi dal c. 1 dell’art. 80, c. 1, d.lgs. n. 50/2016[25] e quelle concernenti reati non elencati dalla medesima norma.

Per questa ragione, è richiesto alla P.A. di dimostrare con mezzi adeguati che l’illecito commesso dall’impresa incida in modo determinante sulla sua affidabilità, dando conto nel proprio provvedimento di esclusione «di aver effettuato un'autonoma valutazione delle fonti di prova da cui ha tratto conoscenza della pregressa commissione di un errore professionale e di aver considerato le emergenti circostanze di fatto sotto il profilo della loro pertinenza e rilevanza in ordine all'apprezzamento di integrità morale e affidabilità professionale del concorrente»[26].

Lo sforzo motivazionale particolarmente intenso richiesto alla stazione appaltante è stato solo in parte temperato dalle indicazioni fornite dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) nelle Linee Guida n. 6, la quale, nel delineare l’ambito oggettivo della nozione di grave illecito professionale, elenca a titolo esemplificativo taluni illeciti a effetto escludente[27].

Peraltro, una simile motivazione è richiesta solo per il provvedimento di esclusione e non anche nel caso in cui la stazione appaltante decida, invece, di ammettere l’impresa alla gara, non ritenendo rilevante la pregressa vicenda professionale «potendo la motivazione risultare anche implicita o per facta concludentia, ossia con l'ammissione alla gara dell'impresa (…) se su di esse (id est, le ammissioni) non vi è, in gara, contestazione (Cons. Stato, V, 5 maggio 2020, n. 2850; VI, 18 luglio 2016, n. 3198; C.G.A.R.S., 23 gennaio 2015, n. 53; Cons. Stato, VI, 21 maggio 2014, n. 2622; III, 24 dicembre 2013, n. 6236; V, 30 giugno 2011, n. 3924; III, 11 marzo 2011, n.1583; VI, 24 giugno 2010, n. 4019)»[28].

Sotto altra prospettiva, si osserva che i concorrenti hanno un preciso obbligo dichiarativo nei confronti della stazione appaltante. Invero, gli operatori economici devono mettere la P.A. al corrente di ogni fatto che li riguardi, suscettibile di essere considerato (in astratto) alla stregua di un illecito professionale grave, ostativo per la partecipazione alla gara[29].

In definitiva, la fattispecie di cui all’art. 80, c. 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016 prevede una causa di esclusione ‘facoltativa’ dalla gara, sicché l’operatore economico può essere espulso dalla procedura evidenziale solo nel caso in cui l’ente aggiudicatore valuti come rilevante, ovvero come grave, l’illecito professionale da lui commesso, posto che:

  1. tale valutazione di rilevanza avviene «(al pari di quella di accertamento della sussistenza o meno dell’illecito) secondo i tradizionali schemi dell’esercizio della discrezionalità amministrativa e, pertanto, è sindacabile in sede giurisdizionale nei consueti limiti della manifesta illogicità, irrazionalità o errore sui fatti»[30];
  2. per illecito professionale deve intendersi qualsiasi infrazione o violazione di norme civili, penali e amministrative compiute dall’impresa concorrente sia in fase di procedura di affidamento che in fase di esecuzione del contratto pubblico;
  3. la stazione appaltante è sempre e comunque chiamata a motivare il proprio provvedimento di esclusione del partecipante alla procedura di affidamento.

In ogni caso, oltre all’occasione persa di aggiudicarsi una commessa pubblica, l’esclusione dalla gara comporta ripercussioni negative di non poco conto per il partecipante espulso. Ad essa infatti consegue sia l’escussione della garanzia provvisoria fornita dall’impresa per la partecipazione alla procedura evidenziale, sia la segnalazione all’ANAC che potrà eventualmente iscrivere l’operatore nel Casellario Informatico e comminargli una sanzione pecuniaria[31].

IV. LA QUALIFICAZIONE DELL’ILLECITO ANTITRUST COME CAUSA DI ESCLUSIONE DALLE GARE PUBBLICHE.

1. L’illecito distorsivo della concorrenza come causa di esclusione.

L’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016 non prevede in modo espresso l’illecito antitrust tra le cause espulsive dalle procedure ad evidenza pubblica.

Al contrario, la normativa europea, ammette apertis verbis che le condotte anticoncorrenziali delle imprese possano comportare la loro esclusione dalle gare. Difatti, l’art. 57, par. 4, lett. d) della direttiva 2014/24/UE prevede che: «Le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere, oppure gli Stati membri possono chiedere alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico (…) se l’amministrazione aggiudicatrice dispone di indicazioni sufficientemente plausibili per concludere che l’operatore economico ha sottoscritto accordi con altri operatori economici intesi a falsare la concorrenza».

In assenza di una normativa chiara sul punto, la giurisprudenza nazionale ha pronunciato decisioni contrastanti.

Un primo orientamento restrittivo[32] escludeva che le sanzioni irrogate dall’AGCM potessero essere ricondotte alla norma di cui all’art. 80, c. 5, lett. c) del d.lgs. n. 50/2016 ratione temporis vigente[33]nella parte in cui faceva riferimento alle «altre sanzioni» (intese quali conseguenze derivanti dalla violazione dei doveri professionali nell’esecuzione di un precedente contratto pubblico), sostenendo che: a) diversamente, si sarebbe configurata la violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione; b) la mancata previsione espressa dell’illecito anticoncorrenziale nella normativa nazionale appariva essere una precisa scelta operata dal legislatore che, difatti, non aveva neppure riprodotto nell’ordinamento vigente le ipotesi di cui alla lett. d) della direttiva 2014/24/UE.

Tuttavia, c’era già chi affermava che l’illecito antitrust potesse rientrare nella locuzione generale del «grave illecito professionale» in virtù dell’applicabilità della disposizione sopracitata di cui all’art. 57, par. 4, lett. d) della direttiva n. 2014/24/UE, avendo essa carattere self-executing[34].

Invero, un successivo e diverso orientamento[35] interpretava la norma in maniera più estensiva, ricomprendendo nel novero delle «altre sanzioni» anche gli illeciti anticoncorrenziali. A tal fine, faceva leva sulla diretta applicabilità della direttiva europea e sulle Linee Guida ANAC n. 6 che, al punto 2.1.3.1, riconducono alle cause di esclusione per gravi illeciti professionali di cui all’art. 80, c. 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016 i provvedimenti di condanna per pratiche commerciali scorrette o per illeciti antitrust aventi effetti sulla contrattualistica pubblica e posti in essere nel «medesimo mercato oggetto del contratto da affidare»[36].

Nello stesso senso si è espresso il Consiglio di Stato nel parere n. 2616 del 23 ottobre 2018 ove ha affermato che: «sebbene di tali provvedimenti non sia fatta espressa menzione dell’art. 80, comma 5, una lettura sistematica di tale comma (…) rende possibile e ragionevole – e anche rispettoso del principio di proporzionalità - ricomprendere nella clausola aperta di cui al comma 5 anche l’illecito antitrust sanzionato dall’Agcm, peraltro in questo modo recependo l’indicazione facoltizzante già ricordata presente nella direttiva 24/2014, all’art. 57.4., lett. d) – e prima ancora nel considerando n. 101 della stessa - e di cui già in passato la Corte di giustizia dell’Unione europea aveva ammesso la possibile rilevanza (sentenza 18 dicembre 2014, in causa C-470/13)».

1.1. L’intervento della Corte di Giustizia UE con l’ordinanza del 4 giugno 2019, causa C-425/2018.

La riconducibilità dell’illecito distorsivo della concorrenza entro l’alveo dei gravi errori professionali è stata definitivamente chiarita dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nell’ordinanza motivata del 4 giugno 2019 (causa C-425/18, CNS – GGT S.p.A.).

Con la menzionata pronuncia, la Corte si è trovata a decidere su una questione sollevata dal T.A.R. Piemonte, interrogatosi circa la compatibilità dell’art. 45, par. 2, c. 1, lett. d) della direttiva 2004/18/CE con un’interpretazione giurisprudenziale nazionale dell’art. 38, c. 1, lett. f) del d.lgs. 163/2006 ratione temporis vigente, volta ad escludere dalla nozione di errore professionale la violazione delle regole in materia di concorrenza[37].

Nella fattispecie, all’esito di una procedura di gara ristretta suddivisa in lotti, una stazione appaltante aveva disposto la revoca di un’aggiudicazione nei confronti di un operatore economico per essere stato questi condannato dall’AGCM per aver partecipato a un’intesa restrittiva della concorrenza, integrata da plurime e diverse condotte (accordi, scambi di informazione, pratiche concordate in senso stretto) al fine di condizionare l’esito della gara, eliminando la concorrenza e ottenendo la spartizione dei lotti migliori.

Interrogata sulla detta questione pregiudiziale, con l’ordinanza in discorso, la Corte di Giustizia ha inizialmente svolto alcune preliminari considerazioni[38].

In primo luogo, ha spiegato che l’art. 45, par. 2, c. 1 lett. d) della direttiva 2004/18/CE rimette ad ogni Stato il potere di decidere di non applicare alcune cause di esclusione o di applicarle interamente, concedendogli inoltre la facoltà di rilevare e precisare in modo dettagliato le condizioni di applicabilità della norma in conformità al diritto interno, a seconda delle prospettive economiche, giuridiche e sociali di ogni ordinamento.

Per altro verso, ha ricordato che in questi casi la discrezionalità dei singoli Stati membri subisce una regolamentazione più rigorosa perché spetta alla stessa Corte definire la portata della causa di esclusione facoltativa.

Sotto altra prospettiva, la CGUE si è espressa sulla nozione di «grave errore professionale» richiamando la giurisprudenza europea sul punto[39], la quale aveva definito come tale «qualsiasi comportamento scorretto che vada ad incidere sulla credibilità professionale dell’operatore», così sancendone la natura ampia e onnicomprensiva e, infine, individuando quale elemento soggettivo quello del dolo o, quantomeno, quello della colpa di una certa gravità.

Inoltre, la Corte ha precisato che le stazioni appaltanti sono autorizzate ad accertare la commissione di gravi errori professionali con qualsiasi mezzo di prova, non essendo richiesta una sentenza passata in giudicato.

Alla luce dei principi che precedono, il giudice europeo ha concluso che: «L’articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettera d), della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che è interpretata nel senso di escludere dall’ambito di applicazione dell’«errore grave» commesso da un operatore economico «nell’esercizio della propria attività professionale» i comportamenti che integrano una violazione delle norme in materia di concorrenza, accertati e sanzionati dall’autorità nazionale garante della concorrenza con un provvedimento confermato da un organo giurisdizionale, e che preclude alle amministrazioni aggiudicatrici di valutare autonomamente una siffatta violazione per escludere eventualmente tale operatore economico da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico».

La Corte ha così riconosciuto espressamente che la commissione di una violazione della normativa antitrust costituisce una causa di esclusione dalle gare pubbliche, ben potendo una sanzione dell’autorità nazionale garante della concorrenza costituire, di per sé, un (rilevante) indizio dell’esistenza di grave errore professionale commesso dall’operatore economico[40].

2. La valutazione discrezionale della stazione appaltante.

Nella sua ordinanza del 4 giugno 2019 (causa C-425/2018), la CGUE afferma a chiare lettere che: «Occorre tuttavia precisare che una decisione di un’autorità nazionale garante della concorrenza, che accerta una violazione delle norme in materia di concorrenza, non può comportare l’esclusione automatica di un operatore economico da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico. Infatti, conformemente al principio di proporzionalità, l’accertamento della sussistenza di “errore grave” necessita, in linea di principio, dello svolgimento di una valutazione specifica e concreta del comportamento dell’operatore economico interessato».

L’importanza del principio di proporzionalità viene richiamato anche a livello nazionale dall’ANAC con un parere emesso in sede di precontenzioso (delibera n. 231 del 4 marzo 2020) nel quale ripercorre i principi dettati dalla CGUE e ribadisce il ruolo della stazione appaltante, alla quale spetta in via esclusiva valutare in concreto non solo se sussista un motivo di esclusione di un operatore economico ex art. 80, c. 5, lett. c) del d.lgs. n. 50/2016, ma anche se le misure di self-cleaning eventualmente adottate siano idonee e sufficienti a ristabilire la sua integrità o affidabilità professionale.

Secondo l’ANAC, infatti, solo l’amministrazione aggiudicatrice è realmente nelle condizioni di valutare i rischi cui potrebbe essere esposta aggiudicando l’appalto ad un concorrente la cui serietà è dubbia.

Tale valutazione è espressione di ampia discrezionalità poiché effettuata sulla base di considerazioni di opportunità. L'ordinamento affida infatti alla stazione appaltante, e solo ad essa, l'individuazione del ‘punto di rottura’ della fiducia di cui il contraente deve rendersi meritevole nei confronti della parte pubblica. Nell'ambito di questa valutazione, alle amministrazioni aggiudicatrici è richiesto di svolgere un apprezzamento ragionevole e motivato, mediante l’esternazione delle loro considerazioni in modo chiaro e, dunque, percepibile dall’operatore economico, sulla base degli elementi di fatto a tal fine rilevanti[41].

Lo stesso art. 80 del nuovo codice dei contratti pubblici prevede che le stazioni appaltanti debbano svolgere un’adeguata istruttoria, dovendo dimostrare “con mezzi adeguati” la colpevolezza dell’operatore economico. Infatti, all’amministrazione aggiudicatrice è richiesto di compiere una preliminare ed approfondita analisi degli elementi probatori o indiziari in suo possesso che riguardino la posizione degli operatori, per valutare se sussista o meno un grave illecito professionale incidente sulla moralità e sull’affidabilità dell’impresa concorrente[42].

Solo dopo aver acquisito tutti gli elementi utili ai fini della valutazione discrezionale de qua, la stazione appaltante potrà decidere se escludere o meno l’impresa concorrente e, ove intendesse farlo, dovrà adeguatamente motivare la misura espulsiva, non essendo sufficiente un rinvio sic et simpliciter al provvedimento dell’AGCM.

La motivazione dovrà, infatti, contenere gli elementi di fatto acquisiti e valutati attentamente ed autonomamente – quali fonti del convincimento della P.A. – nonché il percorso logico seguito per pervenire alla valutazione di gravità dell’errore professionale e di inaffidabilità del concorrente[43].

Tale giudizio dell’amministrazione aggiudicatrice è censurabile in sede giurisdizionale ma, secondo consolidata giurisprudenza[44], i giudici amministrativi devono limitarsi a valutare solo eventuali profili di illogicità, irrazionalità, abnormità o travisamento dei fatti.

La sfera del merito (puramente discrezionale) è riservata all'amministrazione e non è sindacabile, ai sensi dell'art. 134 c.p.a., dal giudice amministrativo. A quest’ultimo, infatti – posto che il giudizio sull’affidabilità dell’impresa concorrente è rimesso alla P.A. in via esclusiva – non è consentito procedere al riesame nel merito delle circostanze concrete esaminate dall’amministrazione. Diversamente, si sconfinerebbe in un indebito sindacato giurisdizionale nell’area della discrezionalità amministrativa[45].

Da un punto di vista contenutistico, la giurisprudenza[46] ha quindi convenuto che è necessario (ma anche sufficiente) che la motivazione della stazione appaltante contenga: a)l’indicazione dell'idoneità della fonte tramite cui ha avuto conoscenza dell’illecito commesso; b) la verifica di pertinenza dei fatti ai fini della loro attitudine a riflettere la negligenza o la mala fede del concorrente; c) il controllo della loro rilevanza, anche quanto a gravità,  da valutarsi (come anticipato) non riportandosi pedissequamente al provvedimento sanzionatorio dell’AGCM, ma svolgendo un giudizio autonomo sugli elementi di fatto acquisiti e sulle ripercussioni idonee ad incidere negativamente sul rapporto di fiducia tra contraente pubblico e privato.

Così, in materia di antitrust, i giudici di Palazzo Spada hanno evidenziato che la corrispondenza tra un’intesa per oggetto e la violazione molto grave «non può essere elevata a regola assoluta, idonea ad obliterare ogni altro elemento che, nel singolo caso, può rilevare al fine di connotare la maggiore o minore gravità della violazione, pena il rischio di implementare un sistema sanzionatorio che nella sua applicazione concreta può rilevarsi sproporzionato ed ingiusto»[47].

In conclusione, è onere della stazione appaltante valutare, nell’esercizio del suo potere di esclusione discrezionale, la sussistenza di un illecito anticoncorrenziale, nonché la sua gravità e la conseguente idoneità di questa ad incidere negativamente sulla fiducia nelle qualità morali dell’operatore economico. Tale giudizio dovrà essere trasferito nella parte motiva del provvedimento, censurabile di fronte al giudice amministrativo solo se illogico, irrazionale, abnorme o basato su fatti totalmente travisati e, pertanto, non sindacabile rispetto all’opportunità della scelta operata.

2.1. La rilevanza dell’accertamento meramente esecutivo.

Chiarito che l’illecito antitrust rientra nel novero delle cause di esclusione dalle gare pubbliche, si è posto l’ulteriore problema della necessità o meno di un accertamento definitivo dell’infrazione commessa dall’operatore economico per decretarne l’espulsione dalla procedura di aggiudicazione.

Al riguardo, l’ANAC, al punto 2.1.3.1 delle Linee Guida ANAC n. 6, aveva previsto che la stazione appaltante dovesse valutare, ai fini dell’eventuale espulsione del concorrente, i provvedimenti di condanna, inoppugnabili o confermati con sentenza passata in giudicato, dell'AGCM.

Successivamente, però, con l’aggiornamento delle medesime Linee Guida al d.lgs. n. 56/2017, con deliberazione del Consiglio n. 1008/2017, il suddetto punto è stato riformulato, prevedendo l’esclusione dell’operatore economico al ricorrere di «provvedimenti esecutivi dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato di condanna per pratiche commerciali scorrette o per illeciti antitrust aventi effetti sulla contrattualistica pubblica e posti in essere nel medesimo mercato oggetto del contratto da affidare».

Ciò ha causato, inevitabilmente, non pochi problemi interpretativi.

L’AGCM si è subito dimostrata contraria, esprimendo le proprie perplessità con segnalazione n. AS1473, pubblicata sul Bollettino n. 6 del 19 febbraio 2018.

In tale sede, l’Antitrust ha rilevato il «rischio proliferazione del contenzioso» giacché, di fronte ad un provvedimento sanzionatorio, l’operatore economico (in vista di una sua potenziale, futura esclusione dalle gare pubbliche) sarebbe in ogni caso indotto ad impugnarlo e/o a reagire contro l’eventuale esclusione disposta dalla P.A. ai sensi di cui all’art. 80, c. 5, lett. c) del d.lgs. n. 50/2016.

Dipoi, l’AGCM ha segnalato i «continui effetti sulle gare in corso derivanti dal possibile esito divergente dei giudizi» che potrebbero portare la stazione appaltante a dovere riammettere alle procedure di gara un concorrente prima espulso a causa di una sanzione antitrust poi annullata in sede giurisdizionale.

Per tali ragioni, l’Autorità ha invitato l’ANAC a fare un passo indietro e a riformare il punto 2.1.3.1 delle Linee Guida n. 6, qualificando come potenziali cause di esclusione dalle gare pubbliche solamente le sanzioni definitive, per tali dovendosi intendere quelle a cui l’operatore economico ha prestato acquiescenza o su cui il giudice amministrativo si è espresso con pronuncia passata in giudicato, in caso di impugnazione.

Per l’AGCM il rischio era che provvedimenti ancora soggetti al controllo giurisdizionale potessero produrre effetti sulla gara pubblica, rallentandola o (peggio) portando al suo annullamento o revoca. D’altro canto, sosteneva che si sarebbe potuto identificare l’accertamento definitivo con la conclusione del contenzioso di fronte al giudice amministrativo e non quello con il giudicato formale, scongiurando anche così il rischio di un uso strumentale del ricorso per Cassazione.

A sostegno della propria tesi, nella delibera in discorso, l’AGCM ha fatto altresì riferimento alla giurisprudenza della CGUE che, nella sentenza del 18 dicembre 2014 (causa C-470-13), aveva ritenuto di dover escludere da una gara pubblica un’impresa che aveva commesso un illecito anticoncorrenziale giudicato in via definitiva in sede giurisdizionale.

La medesima giurisprudenza europea è stata richiamata anche dal Consiglio di Stato, il quale si è però espresso in modo sostanzialmente diverso.

Nel parere n. 2616 del 23 ottobre 2018[48], infatti, i giudici di Palazzo Spada hanno osservato che in realtà «nulla si rinviene nella pronuncia della CGUE sul tema, qui in esame, della pretesa “definitività” delle sanzioni antitrust ai fini della suddetta rilevanza»[49].

Oltretutto, con riferimento alle preoccupazioni espresse dall’AGCM, il Supremo consesso ha rassicurato l’Autorità affermando che, ad ogni modo, l’impugnazione delle sanzioni antitrust sono sottoposte a rito fortemente accelerato e ciò scongiura il rischio dei rallentamenti delle procedure di gara e la proliferazione patologica del contenzioso.

Per altro verso, ha corretto l’AGCM, precisando che «non si dovrebbe reputare non ancora definitivo il provvedimento sanzionatorio, già passato indenne attraverso il giudizio amministrativo, e su cui sia ancora pendente un ricorso per Cassazione. Questo per evitare un uso strumentale e defatigante di tale rimedio».

L’Adunanza della Commissione speciale ha quindi concluso avanzando la proposta di tornare alla vecchia versione delle linee guida, dando rilevanza al provvedimento esecutivo, ferma in ogni caso la valutazione discrezionale della pubblica amministrazione sull’esclusione del concorrente.

Conformemente, altra giurisprudenza amministrativa ha osservato che: «alla luce delle particolari garanzie che assistono l'adozione del provvedimento antitrust (emanazione da parte di un'autorità in posizione di terzietà, rispetto delle garanzie partecipative e del principio del contraddittorio), appare sufficiente, al fine di imporre alla stazione appaltante un onere di valutazione in ordine all'incidenza dei fatti sulla gara in corso di svolgimento, la mera idoneità del provvedimento sanzionatorio a spiegare, in via anche solo temporanea, i suoi effetti, o perché non (o non ancora) gravato o perché, ove impugnato, non sospeso, senza che rilevi se la decisione giudiziale sia stata assunta in sede cautelare o di merito e, in quest'ultimo caso, se la sentenza sia passata o meno in giudicato»[50].

La conferma definitiva della rilevanza del provvedimento sanzionatorio meramente esecutivo si è avuta, infine, con la già citata ordinanza della CGUE del 4 giugno 2019 (causa C-425/2018) nella quale i giudici europei hanno espressamente chiarito che l’art. 45, par. 2, c. 1, lett. d) della direttiva 2014/24/UE autorizza le stazioni appaltanti ad accertare l’illecito antitrust con qualsiasi mezzo di prova e non è, quindi, necessario un provvedimento di natura definitiva.

Ciononostante, vi è ancora chi rileva criticità di carattere sistematico dell’ordinamento in relazione alle cause di esclusione «che sono accertate mediante una “condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna” (n.d.r. quali quelle di cui all’art. 80, c. 1, d.lgs. n. 50/2016) e più rispondente ad un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme ai sensi dell’art. 27, comma 2, Cost.» proponendo, quale possibile soluzione alla vexata quaestio, di predisporre contratti contenenti una clausola risolutiva espressa che produrrebbe i suoi effetti qualora la sanzione antitrust venisse accertata in via definitiva dagli organi di giustizia amministrativa, ammettendo nelle more il concorrente colpito da provvedimento meramente esecutivo dell’AGCM[51].

Orbene, a parere di chi scrive, una simile proposta rischierebbe di creare una sorta di automatismo tra l’esclusione dalla gara pubblica e la commissione di un illecito antitrust (seppure definitivamente accertato) al verificarsi della condizione oggetto della clausola, privando la stazione appaltante della sua discrezionalità che, in condizioni normali – nei casi di esclusione facoltativa – opera anche di fronte ad un accertamento definitivo.

Allora, maggiori garanzie per il concorrente sembrano essere invece offerte dal sistema di esclusione discrezionale sin qui delineato, atteso che la stazione appaltante ha comunque sempre l’obbligo motivare la misura espulsiva, non essendo sufficiente un secco rinvio al provvedimento dell’AGCM di cui deve essere anche indagata (e spiegata) l’incidenza sul rapporto fiduciario intercorrente tra P.A. e operatore economico.

2.2. La rilevanza temporale dell’illecito antitrust.

Altra questione molto dibattuta è quella relativa all’arco temporale entro cui può essere contestato ad un operatore economico l’illecito antitrust come motivo di esclusione da una gara d’appalto.

Sia il legislatore europeo (prima) che quello nazionale (poi) hanno giustamente avvertito l’esigenza di determinare uno spatio temporis all’effetto potenzialmente espulsivo del provvedimento sanzionatorio dell’AGCM.

Tale termine è stato introdotto nel nostro ordinamento giuridico solo con la direttiva 2014/24/UE che ha, per la prima volta, circoscritto la rilevanza temporale degli illeciti distorsivi della concorrenza nell’ambito delle gare d’appalto a tre anni, statuendo che: «In forza di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative e nel rispetto del diritto dell’Unione, gli Stati membri (…) determinano il periodo massimo di esclusione nel caso in cui l’operatore economico non adotti nessuna misura di cui al paragrafo 6 per dimostrare la sua affidabilità. Se il periodo di esclusione non è stato fissato con sentenza definitiva, tale periodo non supera i cinque anni dalla data della condanna con sentenza definitiva nei casi di cui al paragrafo 1 e i tre anni dalla data del fatto in questione nei casi di cui al paragrafo 4».

Quindi, la Corte europea stabiliva che, nonostante dovessero essere gli Stati membri a determinare il periodo massimo di esclusione dell’impresa dalle gare d’appalto, questo non poteva eccedere i tre anni «dalla data del fatto» nel caso delle ipotesi di cui al par. 4, ossia in ipotesi di cause di esclusione facoltative come quelle afferenti ai gravi illeciti professionali[52].

Tuttavia, tale disposizione non è stata recepita dal legislatore nazionale[53] e l’ANAC ha provato a colmare tale lacuna nelle Linee Guida n. 6, prevedendo che il periodo di esclusione dalle gare pubbliche non potesse superare il termine triennale decorrente «dall’anno di iscrizione della notizia nel Casellario informatico gestito dall’Autorità».

Seppur apprezzabile, tale tentativo è stato comunque considerato privo di una base normativa dal Consiglio di Stato[54], il quale ha affermato che, per ovviare al vuoto legislativo, si sarebbe dovuta dare applicazione diretta alla direttiva europea «la quale, piaccia o meno, fa decorrere i tre anni non dalla notizia del fatto, o dall’accertamento definitivo del fatto, come pure sarebbe logico e razionale, ma ‘dalla data del fatto’, ossia dell’accadimento storico, nella specie, l’illecito professionale»[55].

Oltre alla richiamata laconicità del sistema normativo italiano sul punto, è emersa così l’ulteriore questione afferente al dies a quo del termine triennale.

Solo con il d.lgs. n. 56 del 2017, conformemente a quanto statuito in sede europea, il legislatore nazionale ha espressamente previsto il limite dei tre anni, facendoli decorrere dalla data dell’«accertamento definitivo» dell’illecito, nei casi di cui ai c. 4 e 5 dell’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016. Così formulata, la disposizione ha altresì risolto il problema sollevato dal Consiglio di Stato nel parere del 30 marzo 2017, n. 782[56], in cui ha osservato che le fattispecie di cui ai c. 4 e 5 dell’art. 80, d.lgs. n. 50/2016 non costituiscono casi di esclusione del concorrente ricollegabili oggettivamente ad un comportamento unico (specialmente nel caso di illeciti permanenti o di inadempimenti di carattere continuativo) e, in queste ipotesi, potrebbe essere difficile identificare il momento di commissione del ‘fatto’ in maniera oggettiva e inequivocabile.

Il legislatore nazionale si è nuovamente interessato alla questione in occasione dell’emanazione del c.d. decreto sblocca-cantieri (d.l. n. 32/2019, convertito in l. n. 55/2019), il quale ha riformato l’art. 80, d.lgs. n. 50/2016, modificandone il c. 10 e introducendo il nuovo c. 10 bis, il quale recita: «Nei casi di cui al comma 5,  la  durata della esclusione è  pari  a  tre  anni,  decorrenti  dalla  data  di adozione del provvedimento amministrativo di  esclusione  ovvero,  in caso di  contestazione  in  giudizio,  dalla  data  di  passaggio  in giudicato della sentenza. Nel tempo occorrente alla definizione del giudizio, la stazione appaltante deve tenere conto di tale fatto ai fini della propria valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l'operatore economico che l'abbia commesso».

A fronte di una simile normativa, la giurisprudenza amministrativa - partendo dal presupposto che il provvedimento sanzionatorio dell'AGCM rientra tra gli illeciti professionali ex art. 80, c. 5, d.lgs. n. 50/2016 – ha ritenuto di dovere applicare a tali fattispecie la disciplina di cui al suddetto c. 10 bis e quindi facendo decorrere il termine triennale dal momento in cui la sanzione diviene definitiva (per l’intervenuta inoppugnabilità dello stesso o qualora, invece, se contestato in giudizio, venga confermata)[57].

Per quel che riguarda le condotte distorsive della concorrenza, ciò potrebbe comportare un problema di ‘ultrattività’ della loro rilevanza temporale ai fini dell’esclusione dalle gare d’appalto. Questo perché la stazione appaltante può valutarle come motivo espulsivo sin da quando l’operatore economico viene sanzionato con provvedimento meramente esecutivo dell’AGCM, senza contare che taluna giurisprudenza[58] ha pure ritenuto che la sola pendenza di un procedimento antitrust determini l’obbligo dichiarativo e la conseguente verifica dei fatti da parte dell’amministrazione aggiudicatrice.

L’illecito antitrust finisce quindi per atteggiarsi quasi a una sanzione sine die giacché passibile di determinare l’esclusione del concorrente dalla gara non solo per il triennio successivo all’accertamento definitivo dell’infrazione, ma anche per tutta la durata del procedimento antitrust e dei successivi giudizi di impugnazione[59].

2.3. Le misure di self-cleaning.

L’art. 80, c. 7 del d.lgs. n. 50/2016 consente al concorrente che abbia commesso un grave illecito professionale di partecipare ugualmente alla gara ove riesca a «provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti».

In tal caso, ai sensi del successivo c. 8, se la stazione appaltante ritiene che le misure di cui al c. 7 siano sufficienti, l’operatore economico non è escluso della procedura d’appalto; viceversa, dell’esclusione viene data motivata comunicazione all’operatore economico.

Si tratta del c.d. istituto di self-cleaning di matrice europea, introdotto nel nostro ordinamento sulla scorta dell’art. 57, c. 6 della direttiva 2014/24/UE, che similmente prevede che l’operatore economico, colpevole di aver commesso un grave illecito professionale, «può fornire prove del fatto che le misure da lui adottate sono sufficienti a dimostrare la sua affidabilità (…). Se tali prove sono ritenute sufficienti, l’operatore economico in questione non è escluso dalla procedura d’appalto. A tal fine, l’operatore economico dimostra di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito, di aver chiarito i fatti e le circostanze in modo globale collaborando attivamente con le autorità investigative e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti. Le misure adottate dagli operatori economici sono valutate considerando la gravità e le particolari circostanze del reato o dell’illecito».

Tale disposizione introduce, dunque, un meccanismo di provvedimenti di ravvedimento operoso da cui si evince il favor verso misure che consentano di ovviare a pregressi comportamenti negativi, in un'ottica di contemperamento dell'esigenza di escludere dal mercato i soggetti immeritevoli con quella di mantenervi le imprese che si adoperino concretamente per rimediare a condotte inappropriate, al fine, per un verso, di garantire l’interesse ad un’ampia platea di concorrenti, e, dall'altro, di incoraggiare misure concrete di dissociazione e compensazione[60].

Grava, comunque, sull’operatore economico l’onere di provare di aver adottato tali misure riparative.

In maniera del tutto esemplificativa, il par. VI delle Linee Guida ANAC n. 6 riporta talune misure tipiche di self-cleaning, quali: l’adozione di provvedimenti finalizzata a garantire adeguata capacità professionale dei dipendenti, organizzando anche specifiche attività formative; la rinnovazione degli organi societari o l’esperimento di azioni di responsabilità contro i responsabili dei gravi illeciti professionali; l’adozione di misure di carattere organizzativo, strumentale o strutturale volte a migliorare la qualità delle prestazioni; l’adozione e l’efficace attuazione di modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire illeciti della medesima specie di quello verificatosi e l’affidamento, ad un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, del compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza di questi; la dimostrazione che il fatto integrante la fattispecie sanzionata è stato commesso eludendo fraudolentemente i modelli di prevenzione adottati o che non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di controllo.

L’idoneità delle misure riparative attuate rimane, però, comunque soggetta alla valutazione discrezionale della stazione appaltante circa la loro idoneità a ripristinare l’affidabilità e l’integrità morale dell’operatore economico.

Così, in materia di sanzioni antitrust, è stato ritenuto dalla giurisprudenza[61] che la stazione appaltante possa utilmente valutare come self-cleaning le misure di compliance vagliate dall’AGCM ai fini dell’entità della sanzione.

Deve però precisarsi che l’istituto del self-cleaning è soggetto ad alcuni limiti[62].

In primo luogo, tali misure operano solo pro futuro e non possono trovare applicazione per fatti pregressi[63].

Perciò, le azioni preventive devono essere adottate, in ogni caso, entro il termine di presentazione delle offerte ovvero, nel caso di attestazione, entro la data di sottoscrizione del contratto con la SOA proprio perché «tali misure rilevano tipicamente in sede di procedura di gara, cioè per verificare che, in relazione all'affidamento offerto, non vi siano potenziali rischi derivanti da pregresse condotte del concorrente»[64].

Il fatto che le misure di self-cleaning abbiano effetto solo con riguardo alle partecipazione alle gare posteriori rispetto alla loro adozione risponde a logica prima ancora che alla normativa vigente, essendo inimmaginabile un loro effetto retroattivo in quanto solo dopo la presentazione delle offerte «la stazione appaltante valuta l'affidabilità dell'operatore qual si presentava al momento dell'offerta, e per l'offerta che ha presentato, dovendo anzitutto cautelarsi da comportamenti scorretti che incidono sulla procedura ad evidenzia pubblica in corso (in termini Cons. Stato, V, 6 aprile 2020, n. 2260)»[65].

Sotto altra prospettiva, tali misure riparative incontrano un altro limite quando il grave illecito professionale si verifichi durante la gara d’appalto.

Infatti, in questo caso, lo strumento del self-cleaning non potrà in ogni caso evitare l’espulsione dell’operatore ravveduto dalle procedure ad evidenza pubblica già in corso, dovendosi coniugare il principio di retroattività delle misure riparatorie con quello del necessario mantenimento dei requisiti di partecipazione senza soluzione di continuità per tutta la durata della gara[66].

2.4. Gli obblighi dichiarativi.

Sin qui si è avuto modo di spiegare che:

  1. gli illeciti antitrust integrano un motivo di esclusione da una gara pubblica e, tal fine, devono ritenersi rilevanti i provvedimenti sanzionatori meramente esecutivi;
  2. il limite triennale di rilevanza temporale dei gravi illeciti professionali decorre dall’accertamento definitivo dell’infrazione;
  3. la stazione appaltante può decidere di ammettere alla gara il concorrente che abbia posto in essere misure di self-cleaning idonee a dimostrare la sua affidabilità professionale.

Ebbene, al fine di rendere possibile alla stazione appaltante il corretto esercizio del suo potere discrezionale di esclusione di un’impresa dalla gara, gli operatori economici sono chiamati a dichiarare qualunque circostanza che, anche in astratto, possa incidere sulla valutazione operata dalle P.A., comprese le misure di self-cleaning eventualmente adottate.

Dunque, alla luce di quanto sin qui esposto, l’operatore economico dovrà dichiarare nel DGUE l’eventuale sussistenza di un provvedimento dell’AGCM emesso a suo carico sia quando questo sia meramente esecutivo, sia quando comunque sia intervenuta una sentenza di condanna definitiva in sede giurisdizionale o quando, non impugnando, il concorrente abbia prestato acquiescenza alla sanzione.

Tale obbligo dichiarativo però deve necessariamente coniugarsi con la rilevanza temporale triennale dell’illecito antitrust, ai sensi dell’art. 80, c. 10 bis, d.lgs. n. 50/2016. Invero, sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha recentemente ribadito che «l'obbligo declaratorio in sede di gara non può avere un carattere omnicomprensivo di ogni e qualsiasi vicenda storica del concorrente, a pena di appesantire oltre misura il procedimento di gara (…), sicché deve escludersi che cause di esclusione che hanno perduto rilevanza temporale debbano comunque essere dichiarate»[67].

D’altronde, se non fosse così, si realizzerebbe un’evidente disparità di trattamento tra le situazioni nelle quali intervengono condanne ostative (per le quali è pacifica la limitazione del periodo di inibizione e dunque la rilevanza temporale della condanna, ai sensi dell’art. 80, c. 10 e 10 bis, d.lgs. n. 50/2016) rispetto ai diversi motivi espulsivi facoltativi, soggetti al controllo discrezionale della stazione appaltante[68].

Per tali ragioni, l’operatore economico dovrà dichiarare il commesso illecito anticoncorrenziale sino ai tre anni successivi al suo accertamento definitivo e non oltre.

Sotto una diversa prospettiva, più improntata al principio di trasparenza della totale disclosure, parte della giurisprudenza ha ritenuto che gli operatori economici siano obbligati comunque a dichiarare anche la ‘mera pendenza’ di un procedimento antitrust[69], non potendosi riconoscere al concorrente alcun filtro valutativo all’operatore economico, né alcuna facoltà di scelta delle vicende da indicare.

In ogni caso, è indubbio che - anche qualora l’operatore economico non dovesse dichiarare preventivamente l’illecito antitrust commesso - venuta a conoscenza della mancata informativa, la P.A. potrà comunque comminargli la misura espulsiva[70].

Infine, per quel che concerne le misure di self cleaning, è interessante in questa sede richiamare la sentenza della CGUE del 14 gennaio 2021 (causa C‑387/19), che potrebbe comportare risvolti sul piano pratico nel nostro ordinamento.

Con tale pronuncia, i giudici europei hanno chiarito che l’art. 57, par. 6 della direttiva 2014/24/UE deve essere interpretato nel senso che, se non espressamente previsto dalla normativa nazionale né dalla lex specialis, non può ritenersi che sull’impresa concorrente incorra l’obbligo di fornire spontaneamente, al momento della presentazione della domanda di partecipazione o dell’offerta, la prova di avere posto in essere misure di self-cleaning, in virtù del principio di proporzionalità.

Pertanto, a fortiori, la mancata spontanea dichiarazione dei provvedimenti di ravvedimento operoso non potrà costituire motivo di espulsione dalla gara d’appalto, giacché la normativa nazionale (art. 80, c. 7, d.lgs. n. 50/2016) non prevede tale obbligo, lasciando aperta l’ipotesi che un tale adempimento possa espletarsi anche in un momento successivo della procedura, a meno che i documenti di gara non prevedano in maniera espressa che la prova delle misure riabilitative debba avvenire spontaneamente e solo al momento della presentazione della domanda di partecipazione o dell’offerta.

Peraltro, attesa la natura self-executing della direttiva in commento, tale principio produce effetto diretto nel nostro ordinamento, non richiedendo la trasposizione nel diritto interno per poter essere invocata dall’impresa concorrente interessata e applicata a suo vantaggio.

IV. FOCUS SUI LIMITI DEL SINDACATO GIURISDIZIONALE SULLA SCELTA ESPULSIVA DELLA STAZIONE APPALTANTE: LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO N. 845 DEL 7 FEBBRAIO 2022.

1. La sentenza del Consiglio di Stato n. 845 del 7 febbraio 2022. Premessa.

Con la sentenza n. 845, pubblicata in data 7 febbraio 2022, la sez. V del Consiglio di Stato si è pronunciata sulla mancata esclusione da una gara pubblica di un raggruppamento temporaneo di imprese in cui una delle società mandanti era stata destinataria di un provvedimento sanzionatorio dell’AGCM per avere violato l’art. 101 TFUE.

Nella citata decisione, il Supremo consesso ha ribadito taluni principi di diritto ormai cristallizzati nella giurisprudenza in materia di esclusione dalle procedure ad evidenza pubblica per violazione della normativa antitrust, quali: la natura discrezionale della valutazione dell’amministrazione aggiudicatrice (anche sulla violazione degli obblighi dichiarativi delle imprese concorrenti), la necessarietà di una motivazione adeguata ai fini del provvedimento decisorio della P.A. e l’operatività pro futuro delle misure di self-cleaning.

Oltre a ciò, questa pronuncia si rivela particolarmente interessante perché affronta la tematica del sindacato del giudice amministrativo sulla decisione (discrezionale) della stazione appaltante che incide in maniera significativa anche sull’onere motivazionale incombente sulle pubbliche amministrazioni.

1.1. La vicenda processuale.

La vicenda su cui il Consiglio di Stato si è espresso ha ad oggetto una procedura aperta telematica, suddivisa in dieci lotti, per l’affidamento dei servizi di vigilanza attiva e guardiania a favore degli enti operanti nel territorio regionale, bandita dalla Regione Veneto il 10 luglio 2017 e gestita dall’Azienda Zero.

La procedura, svoltasi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, si concludeva con l’aggiudicazione del lotto n. 2 ad un RTI con mandataria Civis S.p.A. e mandanti Rangers s.r.l., Sicuritalia S.p.A. (oggi Sicuritalia Ivri S.p.A.) e Istituto di Vigilanza Privata Castellano s.r.l.

Alle spalle del raggruppamento, si posizionava la CDS s.r.l., seconda in graduatoria per lo stesso lotto, la quale impugnava l’aggiudicazione davanti al T.A.R. Veneto che respingeva il ricorso con sentenza n. 1190 del 2018 della sez. I, successivamente confermata dalla sez. V del Consiglio di Stato con sentenza 29 novembre 2019, n. 8167.

A seguito di tale vicenda processuale, in data 16 dicembre 2019, quando ancora non era stato stipulato il contratto d’appalto, la Sicuritalia S.p.A. veniva sanzionata dall’AGCM per un illecito anticoncorrenziale commesso tra il 2013 e il 2017.

Nel dettaglio, l’Autorità Antitrust accertava che la predetta mandante, unitamente ad altre società, aveva dato luogo ad un accordo finalizzato a falsare il gioco della concorrenza in procedure per l’affidamento di servizi di vigilanza armata (analoghe a quella espletata dalla Regione Veneto, sia per contenuto che per modalità di partecipazione).

In particolare, secondo l’AGCM, mediante l’utilizzo strumentale di RTI (talvolta anche fittizi) e subappalti, la Sicuritalia si era garantita l’aggiudicazione di gare alle quali essa partecipava, assicurandosi l’annullamento della concorrenza da parte dei più temibili avversari (le altre parti del cartello). Tali soggetti avevano così realizzato una spartizione illecita del mercato, a livello geografico e per cliente storico, in palese violazione dell’art. 101 TFUE.

Per tali ragioni, l’AGCM aveva condannato Sicuritalia al pagamento di una sanzione pecuniaria pari a € 8.328.592,00, il cui importo era stato comunque mitigato giacché l’Antitrust aveva ritenuto che l’impresa avesse adottato idonee misure di self-cleaning consistenti nell'approvazione di un modello organizzativo interno di compliance antitrust.

Avuta conoscenza di tale provvedimento sanzionatorio, la CDS s.r.l. lo aveva denunciato ad Azienda Zero, lamentando la sua mancata comunicazione da parte del RTI e sottolineandone la portata escludente ai sensi di cui all’art. 80, c. 5, lett. c) del d.lgs. n. 50/2016.

Espletata l’istruttoria, con atto del RUP del 18 febbraio 2020, Azienda Zero concludeva di non dover procedere all’esclusione dalla procedura del RTI, rilevando che: a) la sanzione non era ancora definitiva, essendo stata impugnata di fronte al giudice amministrativo; b) gli illeciti contestati a Sicuritalia riguardavano gare diverse a cui la stessa aveva partecipato in raggruppamento con altri competitors; c) la mandante aveva comunque fornito argomentazioni convincenti per giustificare la sua condotta; d) erano state predisposte misure riparative idonee a comprovare l’affidabilità dell’impresa.

La CDS s.r.l. impugnava l’atto del RUP di fronte al T.A.R. Veneto contestando, tra l’altro, all’amministrazione aggiudicatrice di non avere fornito una motivazione adeguata alla mancata esclusione del RTI dalla gara e, soprattutto, di non avere affatto valutato la violazione dell’obbligo, incombente su ogni concorrente, di dichiarare i fatti sopravvenuti all’aggiudicazione.

La sez. I del Tribunale adìto, con sentenza n. 1244 dell’11 dicembre 2020, accoglieva parzialmente il ricorso, ritenendo fondati i motivi di diritto esposti, e chiedeva alla stazione appaltante di rideterminarsi alla luce del principio di continuità dei requisiti di partecipazione alla gara e rispettando i criteri motivazionali imposti ad ogni P.A. circa l’esclusione o meno di un operatore economico da una procedura ad evidenza pubblica. In particolare, il T.A.R. affermava che la motivazione della stazione appaltante non teneva in adeguata considerazione «la speciale gravità delle condotte, accertate e sanzionate dalla AGCM, nonché la evidente vicinanza temporale rispetto alla procedura di cui è causa. Elementi, quelli richiamati, che avrebbero dovuto sollecitare approfondimenti di maggiore latitudine, tenuto conto, da un lato, della particolare rilevanza economica delle gare intaccate dalle condotte illecite e, dall’altro lato, della speciale incidenza delle violazioni rispetto al complessivo mercato di riferimento, cosa che non consente di circoscrivere la risonanza degli illeciti in esame, indipendentemente dalla definitività dell’accertamento, alle sole procedure all’interno dei quali essi si sarebbero verificate, come erroneamente sostenuto nell’impugnato provvedimento del RUP».

Avverso tale decisione, il RTI Civis proponeva appello di fronte al Consiglio di Stato e Azienda Zero spiegava appello incidentale (basato sui medesimi motivi).

Il Consiglio di Stato definiva la vicenda de qua statuendo l’infondatezza delle impugnazioni con la sentenza in commento.

2. Motivi della decisione.

Con la citata decisione, il Consiglio di Stato ha innanzitutto confermato la rilevanza del provvedimento meramente esecutivo ai fini dell’esclusione da una gara pubblica per avere l’operatore commesso un illecito antitrust sanzionato dall’AGCM. Sul punto, la sentenza ha richiamato il punto 2.2.3.1 delle Linee guida ANAC n. 6, la già commentata ordinanza della CGUE del 4 giugno 2019 (causa C-425/18) e la conforme giurisprudenza nazionale in materia[71].

Inoltre, i giudici di Palazzo Spada hanno ribadito la «chiara operatività solo pro futuro delle misure organizzative virtuose»[72] e la sussistenza di un obbligo dichiarativo in capo all’operatore economico di comunicare alla stazione appaltante i potenziali motivi di esclusione dalla gara, tra cui (ovviamente) anche le sanzioni subite per illeciti distorsivi della concorrenza ai sensi dell’art. 80, c. 5, lett. c-bis) del d.lgs. n. 50/2016. Invero, sul punto, il Consiglio di Stato ha chiarito che, pur non essendo rilevante a fini espulsivi in sé, l’obbligo dichiarativo è funzionale all’apprezzamento discrezionale della stazione appaltante, da eseguirsi anche in considerazione del fatto omesso[73].

Sulla base di tali rilievi, i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto che le contestazioni avanzate dinanzi al T.A.R. Veneto nei confronti dell’atto del RUP fossero effettivamente fondate e che fosse necessaria una riedizione del potere valutativo proprio della stazione appaltante, mediante una maggiore ponderazione della vicenda sub iudice.

Ciò detto, la pronuncia in commento desta particolare interesse ove il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza di primo grado, affermando che il T.A.R. non ha posto in essere valutazioni nel merito della decisione della stazione appaltante.

2.1. Il sindacato giurisdizionale sulla valutazione discrezionale della stazione appaltante.

Di fronte al Consiglio di Stato, il RTI Civis aveva, tra l’altro, denunciato l’eccesso di giurisdizione del T.A.R. Veneto, asseritamente reo di avere invaso la sfera della discrezionalità amministrativa.

A parere del Raggruppamento appellante, il Collegio non avrebbe potuto ritenere inadeguate le motivazioni della P.A., sottolineando la «speciale gravità» delle condotte sanzionate, la loro «rilevanza temporale» rispetto alla gara e la «sopravvalutazione» delle misure riabilitative, nonché affermando che la sussistenza di tali elementi avrebbe necessitato di «approfondimenti di maggiore latitudine» da parte della stazione appaltante.

Invero, secondo il RTI, esprimendo il proprio giudizio su tali circostanze, il TA.R. avrebbe reso un vero e proprio giudizio sul merito della scelta amministrativa.

Richiamando la più significativa giurisprudenza sul punto[74], il Consiglio di Stato ha, tuttavia, ribadito che il potere discrezionale della P.A. è soggetto al controllo giurisdizionale, nel rispetto dei consueti limiti della manifesta illogicità, irrazionalità o errore sui fatti e «tale sindacato non concerne la condivisibilità o meno del giudizio discrezionale espresso dall’amministrazione, bensì si incentra sulla relativa motivazione, e segnatamente sulla sua idoneità a sorreggere la determinazione finale, sotto il profilo della ragionevolezza e della idoneità delle esposte argomentazioni».

Ciò premesso in punto di diritto, i giudici di Palazzo Spada hanno chiarito che il giudizio espresso dal T.A.R. nel caso di specie verteva unicamente sull’adeguatezza della motivazione resa dalla stazione appaltante, ritenuta lacunosa e insufficiente perché non aveva neppure preso in considerazione elementi che, in astratto, potevano essere rilevanti per la decisione[75].

Invero, il RUP non si era neppure pronunciato sull’«evidente vicinanza temporale» tra le condotte sanzionate dall’AGCM (riguardanti il periodo 2013/2017) rispetto alla procedura (bandita il 10 luglio 2017), perfettamente idonee ad incidere sull’esclusione dalla gara, visto il principio sopra ricordato concernente l’operatività pro futuro delle misure di self-cleaning. Secondo il Consiglio di Stato, dunque, bene aveva fatto il T.A.R. a chiedere alla stazione appaltante di rideterminarsi anche su questo aspetto[76].

In definitiva, il Consiglio di Stato ha affermato che la pronuncia del giudice di prime cure è legittima e non invade la sfera di competenza amministrativa e ciò è avvalorato dal fatto che la stazione appaltante «proprio per effetto della sentenza, è stata chiamata a rideterminarsi».

A tal fine, il T.A.R. non ha richiesto né l’acquisizione di ulteriori elementi istruttori, né di svolgere approfondimenti che neanche l’AGCM aveva indagato (contrariamente a quanto sostenuto dal Raggruppamento appellante), ma ha lasciato intatto il potere dell’amministrazione aggiudicatrice di (ri)determinarsi secondo la sua discrezionalità.

Ciò che viene richiesto alla stazione appaltante è unicamente di valutare anche le circostanze prima facie non considerate e di prendere una nuova decisione con una motivazione completa ed esaustiva.

Il sindacato del giudice amministrativo di primo grado non verte sull’esito della motivazione in sé bensì sulla «completezza dell’esame di tutti gli elementi, di ordine fattuale e giuridico che, nella concreta fattispecie, risultino rilevanti in quanto potenzialmente incidenti sull’integrità e dell’affidabilità dell’operatore economico, nonché della tenuta logica delle argomentazioni con cui l’amministrazione li ha trattati».

Invero, nonostante la riedizione del potere valutativo richiesta dal T.A.R., resta ferma la libertà della stazione appaltante di scegliere se escludere l’operatore economico o stipulare comunque il contratto d’appalto, mantenendo ferma la decisione assunta in precedenza.

In ogni caso, però, l’amministrazione aggiudicatrice dovrà motivare sia l’uno che l’altro esito della sua valutazione[77].

VI. CONCLUSIONI

L’argomento trattato è interessante ma complesso in egual misura per l’operatore pratico che si trova a doversi confrontare con fattispecie su cui ancora sia la dottrina che i giudici amministrativi hanno molto da dire.

Si è cercato sin qui di fornire una panoramica chiara e completa della normativa e della giurisprudenza odierne sull’illecito antitrust, riconducibile alla categoria dei «gravi illeciti professionali» di cui all’art. 80, c. 5, lett. c) del d.lgs. n. 50/2016 e, come tale, costituente una causa di esclusione dalle gare pubbliche di natura prettamente discrezionale.

La sussunzione della condotta distorsiva della concorrenza in questa categoria costituisce il passaggio logico indispensabile alla riconduzione del fatto illecito all’interno della suddetta norma. Cionondimeno, tale operazione può rivelarsi estremamente difficoltosa per la stazione appaltante che si trova a dover valutare diversi elementi di non sempre facile interpretazione.

Attraverso la disamina degli orientamenti giurisprudenziali comunitari e nazionali, si sono comunque individuati taluni punti fermi in materia.

In primo luogo, è ormai pacifica la rilevanza dei provvedimenti meramente esecutivi dell’AGCM, confermata con l’ordinanza della CGUE del 4 giugno 2019 (causa C-425/2018) nella quale i giudici europei hanno espressamente chiarito che l’art. 45, par. 2, c. 1, lett. d) della direttiva 2014/24/UE autorizza le stazioni appaltanti ad accertare l’illecito antitrust con qualsiasi mezzo di prova, non essendo dunque necessario un provvedimento di natura definitiva.

Parimenti consolidata è anche la rilevanza temporale triennale delle condotte antitrust, allorché la giurisprudenza amministrativa - partendo dal presupposto che il provvedimento sanzionatorio dell'AGCM rientra nella categoria dei gravi illeciti professionali ex art. 80, c. 5, d.lgs. n. 50/2016 – ha ritenuto di dovere applicare a tali fattispecie la disciplina di cui al c. 10 bis, individuando il dies a quo nell’accertamento definitivo del fatto illecito per l’intervenuta inoppugnabilità della sanzione o qualora, invece, se contestata in giudizio, venga confermata.

Infine, è altresì pacifica l’operatività pro futuro delle c.d. misure di self-cleaning, ossia per la partecipazione a gare successive all’adozione delle stesse, poiché la stazione appaltante deve cautelarsi dai comportamenti scorretti che incidono sulla procedura di affidamento e, a tal fine, è chiamata a valutare l'affidabilità dell'operatore economico, così come si presentava al momento dell'offerta e per l'offerta che ha presentato.

Tuttavia, ai fini dell’esclusione da una gara pubblica, non è sufficiente che in capo all’impresa sussista un provvedimento esecutivo dell’AGCM commesso nei termini di cui al c. 10 bis dell’art. 80, d.lgs. n. 50/2016 e per cui non siano state poste in essere misure riparative. Ciò in quanto l’amministrazione aggiudicatrice potrebbe comunque ritenere irrilevante l’illecito ai fini del rapporto fiduciario intercorrente tra P.A. e concorrente e, di conseguenza, ammettere l’operatore economico alla procedura, esercitando liberamente il proprio potere discrezionale, con l’unico onere di motivare la sua decisione.

La motivazione del provvedimento amministrativo rappresenta l’elemento chiave del meccanismo di esclusione sin qui descritto e, di conseguenza, costituisce la doglianza principale dei concorrenti estromessi dalle procedure ad evidenza pubblica.

Perciò, al fine di evitare una proliferazione del contenzioso e continui effetti sulle procedure in corso, le amministrazioni aggiudicatrici sono chiamate a giustificare la loro scelta tenendo conto di tutti gli elementi fattuali e giuridici che potrebbero (in astratto) incidere sull’esclusione o meno dalla gara, tra cui ad esempio: le misure di self-cleaning; la rilevanza temporale degli illeciti rispetto alla procedura d’appalto; l’adempimento degli obblighi dichiarativi incombenti sugli operatori economici.

Ciò che importa non è ‘cosa’ la stazione appaltante decida, ma che lo faccia dando prova (nella motivazione) di aver tenuto conto di tutte queste circostanze.

Qualora dovesse emergere che tali elementi non sono stati specificatamente indagati dalla P.A., i giudici amministrativi hanno il potere di chiedere alla stazione appaltante di (ri)determinarsi con una motivazione completa ed esaustiva. 

È importante evidenziare che, in questo caso, il sindacato del giudice amministrativo non verte sull’esito della motivazione in sé, bensì sulla completezza dell’esame di tutte le circostanze in ipotesi incidenti sull’integrità e sull’affidabilità dell’operatore economico. Infatti, resta ferma la libertà della P.A. di stipulare in ogni caso il contratto d’appalto anche all’esito della nuova valutazione.

Invero, nel momento in cui il giudice amministrativo si esprime sul provvedimento di esclusione, non può sostituire il suo giudizio alla scelta discrezionale della P.A. perché il suo controllo deve vertere sull’illegittimità del provvedimento e non sulla sua opportunità.

In tali fattispecie, secondo quanto chiarito dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 845 del 7 febbraio 2022, ad essere stigmatizzata è l’incompletezza della motivazione e non anche la decisione nel merito della pubblica amministrazione che è e rimane puramente discrezionale. Si considera, dunque, pienamente rispettato il principio giurisprudenziale secondo cui la motivazione dell’amministrazione aggiudicatrice è censurabile dal giudice amministrativo solo per manifesta carenza, illogicità e contraddittorietà.

In conclusione, è fondamentale che la stazione appaltante giustifichi l’esclusione o meno di un concorrente fornendo una motivazione congrua e soprattutto completa, in cui dia conto di avere preso in considerazione tutti i fatti oggettivamente idonei a falsare la concorrenza, posto che la valutazione degli elementi salienti di tali fattispecie resta una prerogativa esclusiva dell’amministrazione aggiudicatrice. Quello del giudice amministrativo rimane un controllo di mera legittimità, la cui intensità deve essere necessariamente modulata affinché non si verifichino ingerenze nella sfera della discrezionalità della pubblica amministrazione.


[1]Invero, l’art. 1, c. 1 bis, l. n. 241/1990 stabilisce che: «La pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente».

[2]M. Giustiniani – P. Fontana, Le gare pubbliche, Roma, DIKE Giuridica Editrice, 2021, 3.

[3] R. Caponigro, Il principio del favor partecipationis e la tutela delle piccole e medie imprese nell’affidamento degli appalti pubblici, in www.italiappalti.it, 2017.

[4]Sul punto si veda C. Cost. sent. 23/11/2007, n. 401 secondo cui: «Deve, anzi, rilevarsi come sia stata proprio l’esigenza di uniformare la normativa interna a quella comunitaria, sul piano della disciplina del procedimento di scelta del contraente, che ha determinato il definitivo superamento della cosiddetta concezione contabilistica, che qualificava tale normativa interna come posta esclusivamente nell’interesse dell’amministrazione, anche ai fini della corretta formazione della sua volontà negoziale».

[5] F. Caringella, Manuale ragionato di diritto amministrativo, Roma, DIKE Giuridica Editrice, 2019, 1133.

[6] R. Giovagnoli, Compendio di diritto amministrativo, Torino, ITAedizioni, 2020, 555.

[7]Al riguardo, F. Caringella, Manuale ragionato di diritto amministrativo, cit., 1133, osserva che tra l’emanazione della c.d. legge Merloni e l’introduzione del nuovo codice dei contratti pubblici, vi è stata in Italia una copiosa produzione normativa nel settore degli appalti: «(i) il D.lgs. 17 marzo 1995, n. 157, in materia di appalti di servizi; (ii) il D.lgs. 17 marzo 1995, n. 158, in materia di appalti nei c.d. settori esclusi; (iii) il d.P.R. 20 agosto 2001, n. 384, in materia di acquisiti in economia; (iv) il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 30, per gli affidamenti in materia di beni culturali; (v) il d.P.R. 19 aprile 2005, n. 170, in materia di appalti nel settore della difesa».

[8]Al riguardo, R. Caponigro, Il principio del favor partecipationis e la tutela delle piccole e medie imprese nell’affidamento degli appalti pubblici, cit. osserva che: «La compresenza della duplice esigenza volta alla tutela della concorrenza tra le imprese ed al buon uso del denaro della collettività è stata chiaramente delineata dalla giurisprudenza europea la quale, nel dichiarare che uno degli obiettivi della normativa comunitaria in materia di appalti pubblici è costituito dall’apertura alla concorrenza nella misura più ampia possibile e che è nell’interesse del diritto comunitario che venga garantita la più ampia partecipazione possibile di offerenti ad una gara d’appalto, ha aggiunto che siffatta apertura alla concorrenza è prevista non soltanto con riguardo all’interesse comunitario alla libera circolazione dei prodotti e dei servizi, ma anche nell’interesse stesso dell’amministrazione aggiudicatrice che può disporre in tal modo di un’ampia scelta circa l’offerta più vantaggiosa e più rispondente ai bisogni della collettività pubblica interessata (cfr. ex multis: sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Quarta Sezione, 23 dicembre 2009 nel procedimento C-305/08)».

[9]Cfr. AGCM.it, Vademecum per le stazioni appaltanti, accessibile all’indirizzo: https://www.agcm.it/pubblicazioni/dettaglio?id=99633d5f-c9f7-4779-b26c-148037d64047&parent=Vademecum&parentUrl=/pubblicazioni/mini-guide, in cui l’AGCM ha individuato taluni fenomeni antitrust, con l’obiettivo di aiutare le stazioni appaltanti ad individuare i comportamenti anomali delle imprese partecipanti a una gara pubblica, sintomatici di un’alterazione concorrenziale.

[10] Cfr. C. Buonauro, Disciplina antitrust e procedure di affidamento dei contratti pubblici, in www.giustizia-amministrativa.it, 2021, 4, il quale distingue gli illeciti anticoncorrenziali nel settore degli appalti pubblici in due macrocategorie: a) fattispecie oggettive «che riguardano il momento di presentazione delle offerte e  di formulazione dei loro contenuti sostanziali, quali, rispettivamente, il  boicottaggio della gara (…); la presentazione di offerte di comodo (o ‘di cortesia’ o ‘fasulle’)»; b)           fattispecie soggettive, tra cui «vengono in rilievo, in primis, forme di abuso di strumenti di cooperazione tra imprese  attraverso un improprio uso, con finalità anticoncorrenziali degli istituti (…) dell’avvalimento, del subappalto e dell’associazione/raggruppamento di operatori economici».

[11]Cfr. AGCM.it, Vademecum per le stazioni appaltanti cit. secondo cui l’AGCM dovrebbe insospettirsi di fronte ad una gara in cui: 1) non viene presentata alcuna offerta; 2) ne viene presentata solo una o vengono comunque presentate un numero di offerte insufficiente per procedere all’assegnazione dell’appalto; 3) vengono presentate offerte dello stesso importo, specie ove tale circostanza giustifichi l’annullamento della gara o la ripartizione dell’appalto pro quota secondo la lex specialis.

[12]Cfr. AGCM.it, Vademecum per le stazioni appaltanti cit. secondo cui sono da ritenersi sospette le offerte aventi ad oggetto importi troppo elevati se parametrati ai prezzi di listino o a quanto offerto dallo stesso operatore nelle gare precedenti, nonché quelle contenenti condizioni particolari o notoriamente inaccettabili.

[13] L’AGCM segnala, altresì, come sospette: la costituzione di un’ATI o l’astensione (in vista di un successivo subappalto) da parte di imprese che sarebbero singolarmente in grado di partecipare a una gara; la costituzione di ATI o subappalto da parti di operatori economici accomunati dalla stessa attività prevalente; la costituzione di un’ATI nei casi di aggiudicazione basata sull’offerta economicamente più vantaggiosa, posto che potrebbe essere il frutto di una strategia escludente, volta ad impedire a imprese minori di raggiungere il necessario punteggio qualitativo.

[14]La suddivisione riportata è quella operata in M. Giustiniani – P. Fontana, Le gare pubbliche, cit., 196.

[15]L. Fogli, Le cause di esclusione dalle gare pubbliche, in Azienditalia, 8-9/2021, 1416.

[16] L. Fogli, Le cause di esclusione dalle gare pubbliche, cit., 1417.

[17] C. Caringella – M. Giustiniani – P. Mantini, I contratti pubblici. Trattato sistematico sulla contrattualistica pubblica, Roma, DIKE Giuridica Editrice, 2021, 663.

[18] Cfr. T.A.R. Campania Salerno, Sez. II, sent. 22/03/2021, n. 731.

[19] Cfr. T.A.R. Brescia, Sez. I, sent. 10/02/2021, n. 143, conforme a T.A.R. Lazio Roma, Sez. III quater, sent. 27/08/2021, n. 9403.

[20] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. 21/07/2015, n. 3595.

[21] Parere della Commissione speciale del Cons. Stato 3/11/2016, n. 2286; Cons. Stato, Sez. V, sent. 4/12/2017, n. 5704.

[22] Cfr. ex multis Cons. giust. amm. Sicilia, sent. 11/10/2021, n. 842; Cons. Stato, Sez. III, sent. 26/10/2020, n. 6530; Sez. V, sent. 2/03/2018, n. 1299 secondo cui, a differenza di quanto affermato da un orientamento giurisprudenziale comunque minoritario: «l’elencazione dei gravi illeciti professionali rilevanti contenuta nella lett. c) del comma 5 dell’art. 80 è meramente esemplificativa, per come si evince sia dalla possibilità della stazione appaltante di fornirne la dimostrazione “con mezzi adeguati”, sia dall’incipit del secondo inciso (“Tra questi – (id est, gravi illeciti professionali – rientrano: […]”) che precede l’elencazione».

[23] Cfr. C. Contessa, Il nuovo “Codice dei contratti” e la polimorfa nozione di “gravi illeciti professionali” in Urbanistica e appalti, n. 5/2018, 657.

[24] Così Cons. Stato, Sez. V, sent. 12/01/2021, n. 393, conforme a Cons. Stato, Sez. III, sent. 22/07/2021, n. 5517; Sez. III, sent. 5/03/2020, n. 1633.

[25] Cfr. ex multis T.A.R. Puglia Bari, Sez. III, sent. 24/03/2021, n. 495.

[26] Cfr. ex multis, T.A.R. Campania Salerno, Sez. I, sent. 11/05/2021, n. 1164, secondo cui: «In sede di valutazione della sussistenza delle condizioni di esclusione ex art. 80, comma 5, lett. c), del D.Lgs. n. 50/2016, la stazione appaltante è tenuta, nella motivazione del provvedimento, a dar adeguato conto di aver effettuato un'autonoma valutazione delle fonti di prova da cui ha tratto conoscenza della pregressa commissione di un errore professionale e di aver considerato le emergenti circostanze di fatto sotto il profilo della loro pertinenza e rilevanza in ordine all'apprezzamento di integrità morale e affidabilità professionale del concorrente. La "ratio" della previsione risiede, infatti, nell'esigenza di assicurare l'affidabilità di chi si propone quale contraente, requisito che si ritiene effettivamente garantito solo se si allarga il panorama delle informazioni, comprendendo anche le evenienze patologiche contestate da altri committenti».

[27]Nelle medesime Linee Guida viene specificato che il verificarsi delle fattispecie esemplificative ivi individuate dall’ANAC «non dà luogo all’esclusione automatica del concorrente, ma comporta l’obbligo della stazione appaltante di procedere alle valutazioni di competenza in ordine alla rilevanza ostativa degli specifici comportamenti, da effettuarsi nell’esercizio del potere discrezionale alla stessa riconosciuto».

[28] Così Cons. Stato, Sez. V, sent. 19/02/2021, n. 1500, in cui il Consiglio di Stato precisa altresì che: «tale regola sia destinata a subire eccezione nel caso in cui la pregressa vicenda professionale dichiarata dal concorrente presenti una pregnanza tale che la stazione appaltante non possa esimersi da rendere esplicite le ragioni per le quali abbia comunque apprezzato l'impresa come affidabile».

[29] G. Taccogna, Illeciti professionali degli operatori e relative dichiarazioni nelle gare d’appalto, in Urbanistica e appalti, 6/2021, 827, il quale chiarisce che: «La giurisprudenza da tempo è orientata a ritenere che, riguardo alle dichiarazioni da rendere, all’operatore economico non possano riconoscersi alcun filtro valutativo, né alcuna facoltà di scelta delle vicende da indicare (Cons. Stato, Sez. III, n. 6530/2020, 1633/2020, 7231/2018, 6328/2018), sicché l’interessato dovrebbe fornire una rappresentazione la più dettagliata possibile (Cons. Stato, Sez. III, n. 6530/2020; Sez. V, n. 2407/2019)».

[30] C. Caringella – M. Giustiniani – P. Mantini, I contratti pubblici cit., 687.

[31] M. Giustiniani – P. Fontana, Le gare pubbliche, cit., 196.

[32] Cfr. T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, sent. 2/01/2017, n. 10; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, sent. 1/07/2017, n. 10; T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, Sez. I, sent. 15/01/2018, n. 18.

[33]Si ricorda che, prima della riforma operata con il d.l. n. 135/2018 convertito in l. n. 12/2019, il c. 5, lett. c) dell’art. 80, d.lgs. n. 50/2016 prevedeva l’esclusione dell’operatore economico dalla gara d’appalto nel caso in cui si fosse reso colpevole di «gravi comportamenti illeciti, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Tra questi rientrano: le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omissione delle informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione».

[34] M. Di Donna, I cartelli antitrust e l’esclusione dalla gara d’appalto al debutto del nuovo Codice in Urbanistica e appalti, n. 4/2017, 554.

[35] Cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, sent. 31/01/2018 n. 1119; T.A.R. Lazio, Roma, sent. 2/03/2018, n. 2934.

[36]Sulla definizione del concetto di «medesimo mercato oggetto del contratto da affidare» (o «mercato rilevante») cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, sent. 4/11/2014, n. 5423 in cui viene spiegato che: «La definizione di mercato rilevante non è (…) connotata in senso meramente geografico o spaziale, ma è relativa anche e soprattutto all'ambito nel quale l'intento anticoncorrenziale ha, o avrebbe, capacità di incidere e attitudine allo stravolgimento della corretta dinamica concorrenziale».

[37] T.A.R. Piemonte, Sez. I, ord. 21/06/2018, n. 770, il cui quesito interpretativo era: «se il combinato disposto da una parte degli articoli 53 paragrafo 3 e 54 paragrafo 4 della Direttiva 2004/17/CE, e d’altra parte dell’art. 45 paragrafo 2 lett. d) della Direttiva 2004/18/CE osti ad una previsione, come l’art. 38 comma 1 lett. f) del Decreto Legislativo n. 163/2006 della Repubblica Italiana, come interpretato dalla giurisprudenza nazionale, che esclude dalla sfera di operatività del c.d. “errore grave” commesso da un operatore economico “nell’esercizio della propria attività professionale”, i comportamenti integranti violazione delle norme sulla concorrenza accertati e sanzionati dalla Autorità nazionale antitrust con provvedimento confermato in sede giurisdizionale, in tal modo precludendo a priori alle amministrazioni aggiudicatrici di valutare autonomamente siffatte violazioni ai fini della eventuale, ma non obbligatoria, esclusione di tale operatore economico da una gara indetta per l’affidamento di un appalto pubblico».

[38] Si vedano in dottrina S. Fata, Le sanzioni dell’antitrust nelle gare di appalti pubblici in Urbanistica e appalti n. 1/2021, 30 e I. Rossi, Le condotte anticoncorrenziali e il cd. errore grave dell'operatore economico tra diritto eurounitario e recepimento interno in www.ildirittoamministrativo.it/, 2019.

[39] CGUE, sent. 13/12/2012 (C- 465/11, Forposta e ABC Direct Contract).

[40] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. 21/01/2020, n. 479 secondo cui: «La decisione di un'autorità nazionale garante della concorrenza, che stabilisca che un operatore ha violato le norme in materia di concorrenza, può senz'altro costituire indizio dell'esistenza di un errore grave commesso da tale operatore. Di conseguenza, la commissione di un'infrazione alle norme in materia di concorrenza, in particolare quando tale infrazione è stata sanzionata con un'ammenda, costituisce una causa di esclusione rientrante nell'articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettera d), della direttiva 2004/18».

[41] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. 6/04/2020, n. 2260; Cons. Stato, Sez. V, sent. 18/10/2018, n. 5960; Cons. Stato, Sez. V, sent. 19/11/2018, n. 5337. Si veda in tal senso in dottrina M. Colapinto, Il grave errore professionale quale causa di esclusione dalla gara in www.italiappalti.it, 2020.

[42] T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I quater, sent. 14/01/2020, n. 384; T.A.R. Lazio, Roma, Sez.I quater, sent. 14/01/2020, n. 386.

[43] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. 12/03/2020, n. 1760. Sul punto, in dottrina, si veda G. De Piazzi, Esclusione dell’operatore economico dalla gara per gravi errori professionali, in www.italiappalti.it, 2020.

[44] Cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. V, sent. 12/03/2020, n. 1760; Sez. V, sent. 24/07/2017, n. 3652.

[45]  Cons. Stato, Sez. V, sent. 17/09/2018, n. 5424.

[46] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. 21/01/2020, n. 479; Sez. V, 17 settembre 2018, n. 5424.

[47]Cons. Stato, Sez. VI, sent. 31/08/2021, n. 6134.

[48] Cons. St., Commissione speciale, parere del 13 novembre 2018, n. 2616 avente ad oggetto: Linee guida n. 6 recanti “Indicazione dei mezzi di prova adeguati e carenze esecutive di precedente contratto di appalto significative per l'esclusione di cui all'art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016”.

[49] Più precisamente, il Consiglio di Stato afferma che: «sembra costituire una libertà creativa dell’interprete non contenuta nei limiti fisiologici dell’interpretazione dedurre dalla citata sentenza del Giudice dell’Unione – che non si occupa della “definitività” dell’accertamento dell’illecito, ma lo postula in quanto previsto dal diritto vigente dello Stato membro dal quale proveniva la questione pregiudiziale -, o dalla ora riportata previsione della direttiva 2014/104/UE e dal diritto interno di recepimento, riferita ad altra materia (…), ricadute dirette e immediate sul regime dell’accertamento del grave illecito professionale idoneo agli effetti dell’esclusione dalla procedura di gara». La CGUE, peraltro, si era già espressa in tal senso anche in altre pronunce, come per esempio nella sent. 20/12/2017, n. 178 (causa C-178/16) in cui i giudici della Corte avevano stabilito che una decisione giurisdizionale, pur non definitiva, riguardante gli amministratori cessati doveva essere comunicata alla stazione appaltante sia perché rilevante ai fini della dimostrazione della completa ed esaustiva dissociazione, sia perché costituisce mezzo di prova idoneo per l’eventuale dimostrazione di un grave errore professionale. Sul punto, vedi in dottrina M. Cozzio, La condanna non definitiva quale causa di esclusione dalle gare in Giornale di diritto amministrativo, n. 3, 2018, 335.

[50] T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, sent. 31/01/2018, n. 1119.

[51] Così S. Fata, Le sanzioni dell’antitrust nelle gare di appalti pubblici, cit., 36.

[52] A. Amore, Gli operatori economici nel “labirinto dei gravi illeciti professionali” e il periodo triennale di esclusione dalla gara dall’accertamento definitivo in Urbanistica e appalti, n. 6/2019, 795.

[53] Invero, nella prima formulazione del c. 10 dell’art. 80, d.lgs. n. 50/2016, non erano previsti limiti espressi per la rilevanza dei gravi illeciti professionali.

[54] Cons. Stato, Commissione speciale, parere del 3 novembre 2016, n. 2286 avente ad oggetto: Linee guida ANAC “indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del codice”.

[55] M. Mangano, La rilevanza temporale del grave illecito professionale nelle procedure di affidamento degli appalti pubblici dura (più o meno) tre anni, in Urbanistica e appalti n. 1/2020, 47.

[56]Cons. Stato, Commissione speciale, parere del 30 marzo 2017, n. 782 avente ad oggetto: Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.

[57] Cons. Stato, Sez. V, sent. 29/10/2020, n. 6635. Sul punto, in dottrina si veda I. Grossi, Illecito antitrust e partecipazione alle gare di appalto in Giurisprudenza Italiana, 2021, 1715, la quale osserva che tale pronuncia si colloca, innovandolo, nel solco di un «diverso orientamento sia nazionale (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 31 gennaio 2018, n. 1119) che europeo (Corte di Giustizia dell’Unione europea, 24 ottobre 2018, C-124/17; 4 giugno 2019, C-425/18) il quale sostiene che il periodo massimo di esclusione si calcola a decorrere dalla data della decisione dell’A.G.C.M. e che ove la medesima sia stata impugnata e la sanzione sia stata confermata all’esito del giudizio, la stazione appaltante non può autonomamente valutare la violazione».

[58] T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, sent. 16/11/2020, n. 2190.

[59] I. Grossi, Illecito antitrust e partecipazione alle gare di appalto, cit.

[60] Cfr., ex multis, Cons. giust. amm. Sicilia, sent. 19/07/2021, n. 720.

[61] T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II ter, sent. 4728/2021; T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. I, sent. 28/12/2021, n. 1211.

[62] Si veda in dottrina G. Taccogna, Illeciti professionali degli operatori e relative dichiarazioni nelle gare d’appalto cit., 827.

[63] Cfr. Cons. Stato, Sez. III, sent. 11/01/2022, n. 183; Cons. Stato, Sez. III, sent. 11/01/2022, n. 191; Cons. Stato, Sez. III, sent. 11/01/2022, n. 198 che, richiamando l’orientamento maggioritario della giurisprudenza amministrativa più recente, osserva che: «le misure c.d. di self cleaning abbiano effetto pro futuro, ossia per la partecipazione a gare successive all'adozione delle misure stesse, essendo inimmaginabile un loro effetto retroattivo. Solo dopo l'adozione delle stesse la stazione appaltante può, infatti, essere ritenuta al riparo dalla ripetizione di pratiche scorrette ad opera degli stessi organi sociali, posto anche che l'atto sanzionatorio remunera una condotta ormai perfezionata in ogni elemento».

[64] Cons. Stato, Sez. V, sent. 16/08/2021, n. 5886. Peraltro, il medesimo principio era altresì contenuto nelle Linee Guida ANAC n. 6 che, al punto 14.2 prevedono: «L’adozione delle misure di self-cleaning interviene entro il termine fissato per la presentazione delle offerte o, nel caso di attestazione, entro la data di sottoscrizione del contratto con la SOA».

[65] Cons. Stato, Sez. III, sent. 22/07/2021, n. 5517.

[66] G. Taccogna, Illeciti professionali degli operatori e relative dichiarazioni nelle gare d’appalto, cit. secondo cui: «Questo principio, abbinato a quello generale che richiede l’insussistenza di cause di esclusione continuativamente per tutta la durata della gara, dalla scadenza del termine per partecipare fino all’aggiudicazione, comporta che le misure di self cleaning non possano comunque offrire un rimedio rispetto all’estromissione dalle gare già in corso quando sopraggiunge il fatto qualificabile come errore professionale grave (Cons. Stato, Sez. V, n. 5886/2021; Sez. III, n. 5517/21; T.A.R. Puglia, Sez. I, n. 825/2021)».

[67] Cons. giust. amm. Sicilia, sent. 19/04/2021, n. 326.

[68] M. Di Michele, Obblighi dichiarativi del concorrente ai sensi dell’art. 80 D.Lgs. 50/2016: gli illeciti professionali che hanno perduto rilevanza temporale non devono essere dichiarati in www. appaltiecontratti.it, 2021.

[69] T.A.R. Lombardia, Milano, Sez.I, sent. 16/11/2020, n. 2190.

[70] Cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, sent. 27/07/2021, n. 5558.

[71] Cons. Stato, Sez. V, sent. 6/04/2020, n. 2260; Sez. V, sent. 24/02/2020, n. 1381.

[72] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. 17/09/2018, n. 5424.

[73]All’uopo, nella sentenza in commento, il Consiglio di Stato ha affermato che: «Si rammenta sul punto che, per giurisprudenza ormai consolidata, se pure le omissioni dichiarative non danno luogo a un automatismo escludente, tuttavia a fini della formulazione della prognosi sull’integrità e affidabilità del concorrente è necessario l’apprezzamento di rilevanza della stazione appaltante (da ultimo, Cons. Stato, Ad. plen. n. 16 del 2020; V, 27 luglio 2021, n. 5558; 9 gennaio 2019, n. 196; IV, 5 agosto 2020, n. 4937)».

[74] Cons. Stato, Sez. V, sent. 21/01/2020, n. 479; Ad. Plen., sent. 28/10/2020, n. 16; Sez. V, sent. 17/09/2018, n. 5424; Sez. V, sent. 2/07/2020, n. 4253; Sez. VI, sent. 14/10/2013, n. 4174.

[75] Invero, nella sentenza in commento, il Consiglio di Stato afferma che tali elementi «costituiscono, per un verso, dei meri parametri di misura della rilevata incongruenza motivazionale, e, per altro verso, a fini conformativi, gli aspetti ritenuti meritevoli di “approfondimenti di maggiore latitudine”».

[76] Sul punto, il Consiglio di Stato ha inoltre affermato che, seppur non denunciato espressamente dalla CDS s.r.l., tale circostanza costituisce un elemento oggettivo, immediatamente desumibile dagli atti del giudizio e strettamente connesso alla pretesa demolitoria azionata e pertanto il T.A.R. non è incorso neppure nel vizio di ultrapetizione denunciato dall’appellante.

[77]Il Consiglio di Stato risponde così alla censura avanzata dal RTI Civis allorquando afferma che la stazione appaltante ha l’obbligo di motivare la sua scelta solo nel caso in cui decida di escludere l’impresa concorrente colpita da sanzione antitrust. A tal fine, il Supremo consesso cita Cons. Stato, Sez. V, sent. 6/04/2020, n. 2260, secondo cui: «la stazione appaltante ha il dovere di motivare adeguatamente le ragioni per le quali, pur a fronte di un’intesa anticoncorrenziale accertata e presupposta da un atto sanzionatorio dell’Autorità, ritenga comunque affidabile l’operatore economico e dunque lo ammetta alla procedura».