Tar Emilia Romagna, sez. I, 12 luglio 2018, n. 575

Colui che partecipa ad una gara per l’assegnazione di un appalto pubblico deve segnalare qualunque fatto anche solo ipoteticamente rilevante rispetto al giudizio di affidabilità che compete alla Stazione appaltante e che per questo deve discriminare i fatti segnalati rilevanti da quelli che non lo sono, dovendo motivare in caso di presenza di elementi critici sia l’ammissione che l’esclusione.

Il fatto che la corruzione non rientri tra i reati che, secondo l’art. 80, commi 1 e 2, D.lgs. 50/2016, comportano l’esclusione automatica dalla gara non significa che non sia un fatto rilevante secondo l’ampia formulazione del comma 5 della medesima norma.

Con la sentenza in rassegna, il Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia Romagna ha accolto l’azione di annullamento del provvedimento di mancata esclusione proposto dalla ricorrente ex art. 120, comma 2 bis, C.p.a. (c.d. “rito super-accelerato”).

In sintesi, la vicenda oggetto del giudizio riguarda una procedura aperta, suddivisa in 48 lotti, indetta dall’Amministrazione resistente per la fornitura di “stent vascolari periferici per le regioni Emilia-Romagna, Lazio e Sardegna”, alla quale hanno deciso di partecipare numerosi operatori di settore, fra i quali parte ricorrente e la società controinteressata.

Nella redigere il DGUE, la prima – insieme a un’altra impresa concorrente - dichiarava di aver recentemente subito una condanna penale per corruzione, in primo grado, dal Tribunale di Modena, allegando apposita e completa dichiarazione esplicativa e giustificativa (da notare che, al momento della presentazione delle offerte di gara, non erano ancora state pubblicate le motivazioni ma esclusivamente il dispositivo della sentenza di condanna); la seconda, nonostante fosse stata anch’essa condannata nel medesimo giudizio penale, ometteva del tutto tale dichiarazione all’Amministrazione, limitandosi semplicemente a comunicare di non essere mai incorsa in alcun illecito amministrativo.

In esito alla valutazione dei requisiti dei partecipanti alla procedura concorsuale da parte della Commissione di gara, la Stazione appaltante ammetteva con riserva la società ricorrente, avanzandole specifiche richieste di chiarimento in merito alla vicenda penale, mentre la società controinteressata, rimasta silente sul punto, veniva esonerata da ulteriori verifiche.

Nelle more della procedura, la ricorrente presentava apposita istanza all’Amministrazione con cui, da un lato, segnalava che anche l’impresa controinteressata era stata condannata tramite la medesima sentenza penale del Tribunale di Modena, dall’altra ne domandava l’esclusione per omessa – e, dunque, falsa – dichiarazione.

Ciononostante, la Stazione appaltante decideva ugualmente di ammettere la controinteressata al prosieguo della procedura di gara.

Investito della questione, con la sentenza in commento, il Giudice adito ha correttamente disposto l’annullamento del provvedimento di mancata esclusione della controinteressata sulla base delle seguenti argomentazioni.

In primo luogo, il ricorso è stato giustamente considerato tempestivo poiché il termine a quo è quello della comunicazione della delibera di ammissione, a nulla rilevando l’eventuale previa conoscenza dell’omissione secondo l’eccezione sollevata dalla controinteressata: d’altro canto, come efficacemente evidenziato anche dal Collegio, è regola generale di diritto processuale che fin quando non si conosca la decisione della Stazione appaltante ogni ricorso sia prematuro e da dichiarare, conseguentemente, inammissibile per carenza di interesse.

Nel merito, invece, a giudizio del TAR la questione dell’omessa comunicazione del suddetto dispositivo, prima ancora che venga depositata la motivazione, costituisce sicuramente un autonomo motivo di esclusione dalla procedura di gara per dichiarazione reticente e la condanna per corruzione non può che rientrare all’interno della definizione di “grave illecito professionale” di cui all’art. 80, comma 5, lett. c).

Il fatto che si tratti di un mero dispositivo, infatti, non impedisce comunque alla Stazione appaltante di effettuare la valutazione, dal momento che le imputazioni sono certamente individuabili, così come la circostanza che il reato di corruzione non sia fra quelli cui l’art. 80, commi 1 e 2, ricollega l’esclusione automatica dalla gara, non significa che esso non sia comunque un fatto rilevante secondo l’ampia formulazione dell’art. 80, comma 5.

Inoltre, lo scopo della dichiarazione che ogni concorrente deve obbligatoriamente effettuare circa l’esistenza di elementi negativi a suo carico, precisa il Tribunale, è di consentire all’Amministrazione appaltante l’espletamento delle verifiche necessarie all’adozione del provvedimento di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), D.Lgs. 50/2016 e tale onere dichiarativo discende direttamente dall’art. 85 del Codice in tema di contenuti del DGUE (laddove si fa riferimento alla dichiarazione che l’operatore economico non verta in una delle situazioni contemplate dall’art. 80 del Codice).

Sussiste, dunque, un vero e proprio obbligo di legge – confermato anche dalle Linee Guida n. 6/2016 - nel comunicare qualunque elemento idoneo, anche astrattamente, a determinare l’esclusione di un candidato, a nulla rilevando l’eventuale lacuna sul punto del bando di gara o l’ambigua formulazione del modello di dichiarazione a esso allegato, in virtù del principio di eterointegrazione della lex specialis.

In conclusione, giova ribadire che la decisione in oggetto si pone il linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale circa l’obbligo di onnicomprensività delle dichiarazioni, recentemente ribadito dal Consiglio di Stato (III sez.) con la sentenza 5 settembre 2017, n. 4192, secondo cui “il concorrente ad una gara pubblica non può operare alcun filtro nell’individuazione dei precedenti penali valutando esso stesso la loro rilevanza ai fini dell’ammissione alla procedura di gara, spettando tale potere esclusivamente alla stazione appaltante” (nel medesimo senso, ex multis, cfr. Cons. St., sez. V, 17 luglio 2017, n. 3493; Id., 11 aprile 2016, n. 1412; Tar Campania, sez. VIII, 16 aprile 2018, n. 2495; Id., 21 febbraio 2018, n. 1146; Tar Lombardia, sez. IV, 23 marzo 2018, n. 792).

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