Cons. Stato, Adunanza plen., 11 maggio 2018, n. 7 e Cons. Stato, Adunanza plen., 18 maggio 2018, n. 8

Con distinti provvedimenti, cronologicamente consecutivi nella pubblicazione, l’Adunanza plenaria ha ritenuto opportuno restituire gli atti alle Sezioni di provenienza, avvalendosi dei poteri previsti dall’art. 99, comma 1, ultimo alinea, c.p.a.

I motivi della restituzione sono i seguenti:

Cons. Stato, Adunanza plen., 11 maggio 2018, n. 7

Devono essere restituiti gli atti alla Sezione rimettente in quanto i profili già esaminati con l’ordinanza di rimessione a proposito di questioni preliminari rispetto ai quesiti prospettati potrebbero escludere la possibilità per l’Adunanza plenaria di un loro esame approfondito, non condizionato dalle valutazioni già espresse. Verrebbe, infatti, esclusa la possibilità dell’affermazione di un principio di diritto conseguente ad un esame pieno delle fattispecie.

Cons. Stato, Adunanza plen., 18 maggio 2018, n. 8

E’ inammissibile rimettere all’Adunanza plenaria una questione di diritto se il motivo di ricorso che ha originato il quesito in esame è stato già deciso in sede di rimessione. Pertanto, la controversia va restituita alla Sezione rimettente affinché la stessa chiarisca, ove ritenga di rimettere nuovamente gli atti, se abbia inteso esprimere il proprio punto di vista al riguardo e non abbia piuttosto già deciso su quel motivo. Comunque il quesito sottoposto all’Adunanza va formulato in modo puntuale tenendo conto della censura nella sua interezza dedotta in giudizio.

Ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio appare necessaria e sufficiente la notificazione dell’atto introduttivo esclusivamente all’amministrazione che ha emanato il provvedimento impugnato in virtù della disposizione di cui all’art. 41 c.p.a.

Pubblicato il 02/01/2018

N. 00007/2018REG.PROV.COLL.

N. 08488/2016 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8488 del 2016, proposto dal Comune della Spezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Carrabba, Ettore Furia, Marcello Puliga e Giovanni Corbyons, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone, 44;

contro

la signora Laura Carrara, rappresentata e difesa dagli avvocati Matteo Vicini e Piera Sommovigo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Luca Gabrielli in Roma, via Filippo Nicolai, 70;
il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

la signora Raffaella Aversa, non costituitasi in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LIGURIA – GENOVA - SEZIONE I, n. 904/2016, resa tra le parti, concernente un diniego di sanatoria edilizia e un ordine di demolizione relativo a un box auto;

 


Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della signora Laura Carrara e del Mibact;

Viste le memorie difensive dell’appellante e dell’appellata signora Carrara;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 9 novembre 2017 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti gli avvocati Carrabba, Corbyons, Sommovigo e l’avvocato dello Stato Noviello;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 


FATTO e DIRITTO

1. Il giudizio odierno ha ad oggetto la riforma della sentenza semplificata del TAR Liguria n. 904 del 2016, con la quale è stato accolto, per violazione del giudicato, il ricorso proposto dalla signora Laura Carrara avverso un diniego di permesso di costruire in sanatoria, e conseguente ordinanza di demolizione, adottati dal Comune della Spezia nel giugno del 2016, esclusivamente con riferimento a un locale box “seminterrato”, traslato, e realizzato con maggiori dimensioni, posto all’interno della proprietà della stessa signora Carrara in località Isola, Via Marconi, 113.

Il giudizio di primo grado, definito con la sentenza n. 904/2016, oggi impugnata dal Comune, faceva seguito a un ricorso della medesima parte privata contro un diniego comunale di permesso di costruire in sanatoria dell’11 marzo 2103, con il quale era stata respinta l’istanza di sanatoria edilizia avanzata dalla signora Carrara, nel dicembre del 2012, con riguardo alla realizzazione di opere in difformità da un progetto a suo tempo approvato con la concessione edilizia n. 45 del 3 febbraio 1999; il ricorso è stato deciso con la sentenza n. 140 del 2016 di accoglimento, per quanto attiene al box, per difetto di motivazione, salvi e riservati gli ulteriori atti della P. A.

Dato che la sentenza impugnata affronta argomenti che hanno formato oggetto della precedente causa, vale a dire del ricorso n. r. g. 647 del 2013, deciso con la sentenza n. 140 del 2016, si ritiene opportuno operare un riassunto complessivo dei termini della controversia.

Nel 1999 il Comune rilasciò, alla signora Carrara, la concessione edilizia n. 45 per la costruzione di due fabbricati di civile abitazione.

Allo scopo di conseguire il permesso di costruire in sanatoria, verso la fine del 2012 la signora Carrara presentò un progetto relativo a opere eseguite in difformità dalla concessione n. 45/1999.

In particolare, dette opere difformi riguardavano:

“-la realizzazione di due locali interrati sottostanti il corpo di fabbrica principale, precisamente un sottoscala e un locale ad uso legnaia/deposito, aventi rispettivamente superficie di mq 12 e mq 31 circa;

- la traslazione e l’ampliamento del box interrato, la cui superficie è stata incrementata di mq 16 circa;

- l’installazione di un forno nell’area pertinenziale antistante il piano interrato dell’edificio residenziale;

- la modifica delle previste sistemazioni esterne, mediante la realizzazione di un muro di contenimento, di un pianerottolo a sbalzo e di un nuovo scivolo… “ (così, la sent. 140/2016 cit.).

L’istanza di sanatoria venne respinta con provvedimento dirigenziale del 11 marzo 2013, motivato per relationem con riferimento al parere dato dalla Commissione edilizia nella seduta del 14 gennaio 2013, così formulato: “contrario in quanto l’intervento ha comportato realizzazioni di volumi in zona di vincolo paesaggistico e pertanto non sanabile ed inoltre si rileva carenza di distanza dai confini e tra pareti finestrate”.

Con il diniego veniva in sostanza esclusa in radice la regolarizzabilità di volumi realizzati in modo abusivo, in assenza dell’autorizzazione paesaggistica, con riferimento, implicito ma non per ciò meno sicuro, a quanto dispone l’art. 167, comma 4, del codice n. 42 del 2004.

Il ricorso n. r. g. 647 del 2013, proposto dalla signora Carrara avverso il diniego di sanatoria, fu, come si è detto, accolto dal TAR con la sentenza n. 140 del 2016, per quanto di ragione, con conseguente annullamento del diniego medesimo.

Circa la traslazione e l’ampliamento del box, per 16 mq., il giudice di primo grado considerò fondato il profilo di censura di difetto di motivazione, con peculiare riguardo alla mancata valutazione delle osservazioni presentate dalla ricorrente in sede endo - procedimentale (v. punti 3.5. e 3.7. della sent. 140/16 cit., da cui si ricava che nelle osservazioni procedimentali della proprietaria, non vagliate dal Comune, si sosteneva che l’intervento eseguito sul box non interessa il lato emergente del terreno e, comunque, “era stato contornato da sistemi di inserimento ambientale atti a garantire il pieno rispetto del vincolo paesaggistico gravante sull’area” –v. anche, “infinem”, il p. 5. sent.).

Va trascritto anche il p. 4.1. della sentenza n. 140/2016, poiché a esso fa richiamo, in motivazione, la sentenza oggi appellata: “per quanto riguarda i locali interrati costruiti al di sotto del fabbricato principale, occorre preliminarmente rammentare che, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, anche i volumi sotterranei sono considerati rilevanti dal punto di vista paesaggistico e, pertanto, possono essere in contrasto con le previsioni intese ad impedire l’alterazione dello stato dei luoghi attraverso la realizzazione di nuove strutture…

Altra giurisprudenza ha precisato, però, che la rilevanza paesaggistica di un volume interrato non sussiste qualora esso, per le sue caratteristiche, possa essere qualificato come mero volume tecnico…

Proprio in ragione dei caratteri che li contraddistinguono, infatti, tali volumi sono inidonei ad introdurre un impatto sul territorio eccedente la costruzione principale…

Ciò premesso, gli elementi in atti non consentono di stabilire con certezza se i locali interrati in questione possiedano effettivamente le caratteristiche proprie dei “volumi tecnici”, intesi quali opere prive di autonomia e aventi funzione meramente accessoria-pertinenziale rispetto ai volumi abitabili.

La questione, peraltro, non è stata approfondita dall’amministrazione che, stante l’incompletezza degli elementi riferiti nell’istanza di sanatoria, avrebbe dovuto svolgere più approfonditi accertamenti in ordine alla funzione e alla natura dei locali in questione.

Tanto più che le volumetrie sotterranee abusivamente realizzate dalla ricorrente, pur esistenti nella realtà fisica, non incidono sul carico urbanistico e sono prive di impatto visivo nonché della capacità di incidere significativamente sull’assetto del territorio.

Anche sotto questo profilo, pertanto, la motivazione dell’atto non è idonea ad esplicitare adeguatamente le ragioni del diniego…

…in conclusione, il provvedimento impugnato è inficiato sotto il profilo del difetto di motivazione nelle parti in cui respinge l’istanza di sanatoria avente per oggetto l’intervento sul box, la costruzione dei due locali interrati e le opere di sistemazione delle aree esterne; il diniego di sanatoria del forno, invece, è illegittimo per violazione dell’art. 167, comma 4, del d.lgs. n. 42 del 2004…” .

La pronuncia n. 140/2016 è passata in giudicato e “in ottemperanza alla sentenza“ (così, nelle premesse dell’ordinanza di demolizione n. 58/2016) il Comune, con nota in data 19 febbraio 2016, ha avviato un nuovo procedimento per il riesame in via istruttoria della domanda di sanatoria e per la ri - emanazione del provvedimento impugnato emendato dal difetto di motivazione con riferimento all’intervento sul box.

Con nota in data 26 aprile 2016, l’Amministrazione ha comunicato alla ricorrente il preavviso di rigetto in relazione alla istanza medesima, ai sensi dell’art. 10 bis della l. n. 241 del 1990, con riguardo al solo box, ha assegnato termine per presentare osservazioni e le ha respinte con atto del 10 giugno 2016, poiché fondate sul presupposto, non veritiero, che il box fosse completamente interrato, trattandosi, in realtà, afferma il Comune, di un manufatto non completamente interrato su tre lati, emergente parzialmente del suolo e integrante volumetria apprezzabile sotto il profilo paesaggistico, come tale non sanabile, ai sensi dell’art. 167, comma 4, del t. u. n. 42/2004, disposizione che impone la riduzione in pristino dei manufatti “realizzati in assenza diautorizzazione paesaggistica”.

Nell’odierno appello, il Comune afferma che la circostanza che il box non sia completamente interrato e che, al contrario, emerga dal terreno, integrando così una volumetria propria e autonoma, è elemento che risulta dai rilievi fotografici di parte e che la stessa sentenza del TAR n. 140/2016 aveva accertato tale elemento là dove, nel riprendere il contenuto delle osservazioni procedimentali di parte ricorrente, aveva fatto riferimento in modo esplicito al box e al suo “lato emergente dalterreno”.

In data 11 giugno 2016 il Comune ha notificato alla signora Carrara il (secondo) diniego di sanatoria in quanto la realizzazione del box, costruito in assenza di specifica autorizzazione paesaggistica, ha comportato un aumento della volumetria e della superficie in zona vincolata, come tale non sanabile, sulla base di quanto dispone l’art. 167, comma 4, del codice n. 42 del 2004, che impone la riduzione in pristino per manufatti realizzati in assenza di autorizzazione paesaggistica.

Con la successiva ordinanza del 30 giugno 2016 il Comune ha disposto la demolizione del box.

La ricorrente, come rilevato, ha impugnato dinanzi al TAR, con svariate censure, sia il nuovo diniego di sanatoria del box e sia l’ordine di riduzione in pristino.

2. Il TAR, con la sentenza n. 904 del 2016, ha accolto il ricorso motivando come segue: “…in argomento si è già avuta la sentenza 140 del 2016 con cui il tribunale accolse un’analoga domanda della ricorrente, che si doleva dell’illegittimità del pregresso diniego di sanatoria relativo a due locali interrati, al box ancor oggi in contestazione, alle sistemazioni esterne modificate rispetto al progetto e ad un forno posizionato davanti al piano interrato dell’edificio di pertinenza.

In quell’occasione il collegio condivise in parte le domande della parte, sì che giunse al complessivo accoglimento della domanda principale di annullamento del provvedimento impugnato.

Il collegio ravvisò tra gli altri vizi il difetto della motivazione della determinazione con cui la p. a. aveva disatteso la domanda di sanatoria, ed al riguardo la p. a. si è posta nella situazione di chi deve più chiaramente giustificare la volontà manifestata; va notato per completezza che il comune di La Spezia avrebbe potuto appellare la sentenza, cosa che non risulta aver fatto, sì che può ritenersi che l’ente locale abbia accettato il contenuto della pronuncia citata.

Con l’atto qui gravato il comune si è rideterminato soltanto sul box, respingendo nuovamente la domanda di sanatoria, mentre nulla è stato disposto a proposito degli altri manufatti che erano stati ritenuti insanabili.

Così definito l’oggetto del contendere … la p.a. ha mostrato di aver apprezzato in modo parziale il senso della decisione, posto che l’unico profilo trattato nella nuova determinazione impugnata riguarda il mancato rilievo riservato alle memorie procedimentali che l’interessata aveva a suo tempo depositato all’attenzione degli uffici amministrativi; nulla è invece detto a proposito delle conclusioni a cui era giunto il collegio in ordine al rilievo edilizio e, per conseguenza paesistico, del box interrato e traslato nella sua ubicazione, e di cui il provvedimento impugnato dichiara tuttora l’insanabilità. In particolare il punto 4 della motivazione della sentenza 140 del 2016 esponeva a proposto del locale in parte interrato che “.. le volumetrie sotterranee abusivamente realizzate dalla ricorrente, pur esistenti nella realtà fisica, non incidono sul carico urbanistico e sono prive di impatto visivo nonché della capacità di incidere significativamente sull’assetto del territorio…”

A fronte di un’asserzione di tal fatta la p.a. aveva l’onere di appellare la pronuncia per far dichiarare l’erroneità dell’assunto ora citato, ovvero di rideterminarsi in argomento chiarendo con ulteriori spunti in fatto il proprio dissenso dalla ricostruzione operata dal tribunale.

E invece con l’atto 10.6.2016 del dirigente comunale viene ribadito soltanto che “ …trattasi di manufatto non completamente interrato su tre lati, emergente parzialmente dal suolo oltre alla palificata svedese che costituisce volumetria apprezzabile sotto il profilo paesaggistico…”

Quel che il collegio rimarca è l’assenza di ogni giustificazione all’asserzione di cui alla sentenza, che non è stata censurata nell’idonea sede di appello e non è stata oggetto di una contestazione in fatto nella motivazione del nuovo provvedimento.

In conseguenza di ciò l’assorbente motivo con cui si denuncia la violazione del giudicato è fondato e va accolto; a diversa conclusione non possono indurre le difese depositate dall’amministrazione che si soffermano sulla natura dei volumi interrati e sul loro regime urbanistico e paesistico (art. 167 d.lvo 22.1.2001, n. 42), posto che dette argomentazioni avrebbero dovuto corredare la giustificazione del provvedimento.

Consegue da ciò l’annullamento dei provvedimenti gravati, dovendosi disporre la regolarizzazione del manufatto ancora in contestazione in accoglimento della domanda proposta al riguardo dalla ricorrente.

Risulta infatti che dopo la formazione del giudicato sulla carenza della motivazione anche in ordine al rilievo edilizio e paesistico del manufatto interrato la p.a non ha adeguatamente rimotivato i propri assunti, sì che la questione è definita dal punto di vista processuale…” .

3. Il Comune ha appellato la decisione con quattro motivi.

In particolare, con il primo, l’Amministrazione appellante ha dedotto “travisamento del fatto oggetto del giudizio definito con la sentenza del TAR Liguria 140/16; erronea applicazione dell’art. 2909 c. c. ed erronea statuizione riguardante l’asserito onere del Comune di impugnare la precedente sentenza 140/16”.

La signora Carrara si è costituita per resistere e questa Sezione, con l’ordinanza n. 5633 del 2016, ha respinto l’istanza cautelare rilevando, sul fumus boni juris, per ciò che in questa sede più interessa, che “merita un approfondimento adeguato, che solo un esame della controversia nel merito può garantire, la questione, in particolare, se il riferimento, contenuto nella sentenza del Tar Liguria n. 140 del 2016, al fatto che “le volumetrie sotterranee abusivamente realizzate dalla ricorrente…non incidono sul carico urbanistico ecc. “, fosse da ritenere, o no, riconducibile ai locali interrati e non anche al box seminterrato il quale ultimo, appunto, nella prospettazione del Comune appellante non risulterebbe essere completamente interrato emergendo invece in parte dal terreno e costituendo una volumetria propria e autonoma, con la conseguenza che, sempre ad avviso dell’Amministrazione appellante, al Comune non erano preclusi –e risultano di fatto essere stati compiuti- il riesame e la rinnovazione della valutazione della istanza del privato…” .

In prossimità dell’udienza di discussione la parte appellante e l’appellata signora Carrara hanno depositato memorie e all’udienza del 9 novembre 2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

4. L’appello è fondato e va accolto con riferimento a quanto dedotto con il primo motivo.

Al riguardo, va premesso che ai fini per cui oggi è causa compete a questo Collegio interpretare la sentenza n. 140/2016 e verificare la correttezza della statuizione con la quale la sentenza impugnata, n. 904 del 2016, ha giudicato fondata la censura di violazione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 140/2016.

La sentenza impugnata, nell’accogliere il motivo con cui si deduceva la “violazione delgiudicato”, rileva “che la p.a. ha mostrato di aver apprezzato in modo parziale il senso della decisione (n. 140/16) posto che l’unico profilo trattato nella nuova determinazione impugnata riguarda il mancato rilievo riservato alle memorie procedimentali che l’interessata aveva a suo tempo depositato all’attenzione degli uffici amministrativi; nulla è invece detto a proposito delle conclusioni a cui era giunto il collegio in ordine al rilievo edilizio e, per conseguenza paesistico, del box interrato e traslato nella sua ubicazione, e di cui il provvedimento impugnato dichiara tuttora l’insanabilità. In particolare il punto 4 della motivazione della sentenza 140 del 2016 esponeva a proposto del locale in parte interrato che “.. le volumetrie sotterranee abusivamente realizzate dalla ricorrente, pur esistenti nella realtà fisica, non incidono sul carico urbanistico e sono prive di impatto visivo nonché della capacità di incidere significativamente sull’assetto del territorio…”.

A fronte di un’asserzione di tal fatta –prosegue il TAR- la p.a. aveva l’onere di appellare la pronuncia per far dichiarare l’erroneità dell’assunto ora citato, ovvero di rideterminarsi in argomento chiarendo con ulteriori spunti in fatto il proprio dissenso dalla ricostruzione operata dal tribunale.

E invece con l’atto 10.6.2016 del dirigente comunale viene ribadito soltanto che “ …trattasi di manufatto non completamente interrato su tre lati, emergente parzialmente dal suolo oltre alla palificata svedese che costituisce volumetria apprezzabile sotto il profilo paesaggistico…”.

Quel che il collegio rimarca è l’assenza di ogni giustificazione all’asserzione di cui alla sentenza, che non è stata censurata nell’idonea sede di appello e non è stata oggetto di una contestazione in fatto nella motivazione del nuovo provvedimento…” .

La statuizione appena riportata non può essere condivisa.

Questo Collegio non condivide in particolare la ricostruzione operata in sentenza del “significato” di quanto deciso in precedenza dal TAR con la sentenza n. 140/2016.

La Sezione ritiene infatti che l’Amministrazione, nel rideterminarsi sulla “questione box”, non sia incorsa in nessuna violazione del giudicato, e ciò in primo luogo perché il p. 4.1. della sentenza n. 140/2016, riportato sopra, si riferiva non al box ma ai (due) “locali interrati sottostanti il corpo di fabbrica principale”. E la locuzione “volumetria sotterranea” non riguardava anche il box.

Sulla traslazione e sull’ampliamento del locale box, la sentenza n. 140 del 2016 si era pronunciata, ai punti 3.5. e 3.7. della motivazione, considerando fondato il profilo di censura di difetto di motivazione esclusivamente con riguardo alla mancata valutazione delle osservazioni presentate dalla ricorrente in sede endo procedimentale: osservazioni basate sull’assunto per cui l’intervento effettuato sul box non interessava il lato emergente del terreno e, comunque, “era stato contornato da sistemi di inserimento ambientale atti a garantire il pieno rispetto del vincolo paesaggistico gravante sull’area…”, sicché, in punto “traslazione e ampliamento del box”, il vincolo di conformazione al quale la P. A. era astretta doveva ritenersi tutt’altro che rigoroso e, anzi, “attenuato” e tale da non precludere un riesercizio dell’azione amministrativa, da parte dell’ente locale, in sede di esecuzione del giudicato, previo riesame, motivato e adeguatamente istruito, come l’Amministrazione non ha mancato di fare, della istanza relativa al box e delle osservazioni procedimentali formulate dalla proprietaria interessata, in modo tale da condurre ove del caso a un nuovo diniego finale emendato, però, dalla insufficienza motivazionale riscontrata in sentenza.

Detto altrimenti, alla luce della “intensità attenuata” dell’obbligo conformativo derivante dalla sentenza n. 140/2016, poiché l’unico “punto fermo di conformazione” al quale andava “agganciata” l’azione amministrativa di attuazione del giudicato era quello, indicato ai pp. 3.5. e 3.7. della sentenza n. 140/2016, attinente all’obbligo di valutare le osservazioni procedimentali della proprietaria, il vincolo di conformazione non era certamente tale da dover condurre necessariamente a un accoglimento della istanza di sanatoria, ben potendo condurre, come poi è avvenuto, a un nuovo provvedimento, emendato (sì) dal vizio motivazionale riconosciuto sussistente con la sentenza n. 140/2016 (ma) ugualmente non satisfattivo della pretesa del privato.

Diversamente da ciò che si ritiene nella sentenza impugnata, dunque, nella specie non è venuta in considerazione alcuna violazione del giudicato.

Al contrario, la P. A. ha adempiuto all’obbligo di conformazione derivante dai menzionati pp. 3.5. e 3.7. della sentenza n. 140/2016, eliminando il vizio di legittimità, essenzialmente di carattere motivazionale, riscontrato in sentenza.

E’ erronea e risultato di travisamento l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo la quale, a fronte di quanto rilevato al p. 4.1. della decisione n. 140/2016, il Comune aveva l’onere di appellare la statuizione per cui “le volumetrie sotterranee abusivamente realizzate dalla ricorrente, pur esistenti nella realtà fisica, non incidono sul carico urbanistico e sono prive di impatto visivo e della capacità di incidere significativamente sull’assetto del territorio”.

Non può trovare accoglimento la tesi per cui il Comune, astenendosi dal proporre appello, aveva accettato di “qualificare” (anche) il box come locale interrato, in base a quanto statuito dal TAR, con la conseguenza che non sarebbe stato consentito ridare rilievo edilizio e paesaggistico al box medesimo, rimettendo così in discussione una statuizione ormai passata in giudicato.

Il Collegio ritiene che la sentenza (n. 904/2016) non possa essere condivisa là dove ha considerato esistente la violazione del giudicato n. 140/2016 da parte del Comune, e ha affermato che la P. A. aveva l’onere di impugnare la sentenza n. 140/2016 “in parte qua”.

Il p. 4.1. della sentenza n. 140/2016, sui locali interrati e le volumetrie sotterranee, riportato sopra al p. 1., risultava come detto riferibile, appunto, ai locali interrati “sottostanti il corpo di fabbricaprincipale”, ma non anche al box (che, in punto di fatto, stando alle foto prodotte, effettivamente non risulta completamente interrato, emerge parzialmente dal terreno e integra volumetria apprezzabile sul piano paesaggistico, non sanabile, ex 167, comma 4, del codice n. 42/2004).

In proposito, l’appellata parla di “modestia di incremento volumetrico”.

Il Comune afferma dal canto proprio che il box realizzato avrebbe una superficie quasi doppia di quella autorizzata.

Questo Collegio non è tenuto ad assumere una posizione specifica su questi aspetti: basterà dire qui che le affermazioni del Comune sul parziale affioramento del box dal terreno e sulla “volumetria apprezzabile sul piano paesaggistico del manufatto”, stando agli atti di causa, appaiono tutt’altro che travisate.

Né va accolto il riferimento, compiuto dall’appellata, alla “sostanziale identità e assimilazione, per configurazione e struttura, tra locali e box”.

E’ dunque corretto il punto di partenza dal quale ha preso le mosse la P.A. nel rideterminarsi sulla “questione box”.

Da un lato, il p. 4.1. della sentenza n. 140/2016 riguardava “i locali interrati costruiti al di sotto delfabbricato principale” e, dunque, locali diversi dal “box seminterrato”, ai quali la proprietaria aveva fatto riferimento nella domanda di sanatoria respinta dal Comune con l’atto dell’11 marzo 2013. Dall’altro, in modo persuasivo parte appellante rimarca che l’annullamento in sede giurisdizionale del diniego di sanatoria aveva posto il Comune davanti a una alternativa:

- o impugnare la sentenza per superare il ritenuto difetto di motivazione del diniego, “nelle parti in cui respinge l’istanza di sanatoria avente per oggetto l’intervento sul box, la costruzione dei due locali interrati e le opere di sistemazione delle aree esterne; il diniego di sanatoria del forno, invece, è illegittimo per violazione dell’art. 167, comma 4, del d.lgs. n. 42 del 2004” (p. 5. sent. n. 140/2016);

- oppure, avviare un nuovo procedimento per il riesame della istanza.

E dato che la sentenza n. 140/2016 non conteneva statuizioni tali da precludere un nuovo esame della istanza, vagliato il difetto di motivazione sulla valutazione delle osservazioni presentate dalla interessata nel corso del procedimento, l’ente ha deciso di optare per il riesercizio dell’azione amministrativa previo riesame della domanda, senza che, come detto, ciò dovesse necessariamente portare a un soddisfacimento della pretesa, ma solo a un nuovo atto finale emendato dal vizio motivazionale riscontrato con la sentenza n. 140/2016.

Diversamente da quanto ritenuto dal TAR, il Comune ha ritualmente ottemperato alla sentenza n. 140/2016.

Assorbito ogni altro motivo di gravame la sentenza va riformata e il ricorso di primo grado respinto.

Tuttavia, le singolarità della vicenda, sul piano amministrativo e processuale, giustificano in via eccezionale la compensazione delle spese e dei compensi del doppio grado, per intero nei riguardi del Mibact e per la metà nei confronti dell’appellata signora Carrara.

Per la restante metà, spese e compensi del doppio grado seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 8488 del 2010, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado n. 557 del 2016.

Spese del doppio grado del giudizio compensate per intero nei riguardi del Mibact e per la metà nei confronti dell’appellata signora Carrara.

Per la restante metà l’appellata è condannata a rimborsare all’Amministrazione appellante € 3.000,00 (euro tremila/00), per spese e onorari dei due gradi del giudizio, oltre agli accessori, come per legge.

Dispone che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 novembre 2017, con l'intervento dei magistrati:

 

 

Luigi Maruotti, Presidente

Silvestro Maria Russo, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere, Estensore

Dario Simeoli, Consigliere

Italo Volpe, Consigliere

 

 

Pubblicato il 18/05/2018

N. 00008/2018

N. 00013/2017 REG.RIC.A.P.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)

ha pronunciato la presente

SENTENZA NON DEFINITIVA CON ORDINANZA DI RESTITUZIONE ALLA SEZIONE

sul ricorso numero di registro generale 13 di A.P. del 2017, proposto da
Smartest Srl in proprio e quale Mandataria Costituendo Rti, Smart P@Per S.p.A. in proprio e quale mandante del costituendo Rti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Gennaro Terracciano, Antonio Maria Berardi, Luigi Cameriero, con domicilio eletto presso lo studio Gennaro Terracciano in Roma, piazza S. Bernardo 101;

contro

Azienda Ospedaliera Regionale "San Carlo" di Potenza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Domenico Carlomagno, con domicilio eletto presso lo studio Federico Freni in Roma, via Panama 58;

nei confronti

Soc. Spix S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Stefano Vinti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Emilia N. 88;
Soc. Gruppo Servizi Informatici S.r.l. (G.S.I.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Vinti, Dario Capotorto, con domicilio eletto presso lo studio Stefano Vinti in Roma, via Emilia N. 88;

per la riforma

della sentenza breve del TAR per la Basilicata, Sezione I, n. 00190/2016, resa tra le parti, concernente l’aggiudicazione definitiva della gara per l' affidamento del servizio di custodia e digitalizzazione delle cartelle cliniche

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Azienda Ospedaliera Regionale "San Carlo" di Potenza e di Soc. Spix S.r.l. e di Soc. Gruppo Servizi Informatici S.r.l. (G.S.I.);

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 dicembre 2017 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Terracciano, e Vinti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con il gravame di cui in epigrafe la Società Smartest S.r.l., in proprio e nella qualità di mandataria del costituendo raggruppamento temporaneo di imprese con la mandante SMART P@per S.p.a., ha chiesto l'annullamento della sentenza con cui il TAR per la Basilicata ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso diretto all’annullamento del risultato della procedura aperta, con una base di gara pari a 2.234.000,00 euro, per l’affidamento dell’appalto del servizio di custodia e digitalizzazione delle cartelle cliniche dell'Azienda Ospedaliera Regionale "San Carlo" di Potenza e dell'Azienda Sanitaria di Potenza, aggiudicata al controinteressato costituendo raggruppamento temporaneo di imprese tra la mandataria SPIX Italia S.r.l., e la mandante Società Gruppo Servizi Informatici (G.S.I.) S.r.l. .

La decisione appellata, accogliendo la corrispondente eccezione sollevata con il ricorso incidentale del RTI SPIX ITALIA s.r.l., ha affermato che il gravame introduttivo avrebbe dovuto essere necessariamente notificato anche all’Azienda sanitaria locale di Potenza in quanto, nella specie, sarebbe venuta in considerazione una peculiare procedura di scelta del contraente, effettuata in forma aggregata, nella quale cioè l’attività di stazione appaltante è demandata ad un solo ente. Per il TAR, in tale ipotesi, "non viene in rilievo, quindi, un ente dotato di autonoma soggettività giuridica costituito per l'acquisizione di servizi destinati ad altre Amministrazioni, né agli atti di causa risulta che all'Azienda ospedaliera intimata sia stata conferita la rappresentanza processuale dell'Azienda sanitaria locale di Potenza.

Ne consegue, nel caso di specie, che l'Azienda capofila agisce su mandato dell'Azienda a sé collegata, esclusivamente ai fini dell'espletamento della procedura concorsuale, tramite un mero modulo organizzatorio, ovverosia uno strumento di raccordo tra Amministrazioni privo di una propria individualità, e non un centro formale di imputazione autonomo, con la conseguenza che gli atti della procedura vanno imputati non solo alla "capofila", ma anche all'altra Amministrazione che lo compone, che deve autonomamente formalizzare il rapporto con l'impresa aggiudicataria, mediante la stipulazione di apposito contratto".

Di qui l’affermazione dell’inammissibilità del ricorso notificato alla sola amministrazione capofila procedente, e non anche all’aggregata Azienda Sanitaria Locale di Potenza.

2. L’appello introduttivo principale della Società Smartest S.r.l. è affidato alla deduzione di quattro motivi di gravame.

Con il primo capo di doglianza, di carattere pregiudiziale, si lamenta l’errorin iudicando, irragionevolezza e l’illogicità dell’affermazione per cui la mancata notifica anche all’Azienda sanitaria locale di Potenza avrebbe comportato l’inammissibilità del ricorso per incompleta instaurazione del contraddittorio. La necessità di procedere alla notificazione del ricorso giurisdizionale a tutti i soggetti che aderiscono alla procedura centralizzata di acquisto si scontrerebbe con l'art. 41 C.P.A., il cui precetto confermerebbe le precedenti previsioni dell'articolo 21 della L. n. 1034/1971 e dell'art. 36, comma 2, del T.U. R.D. 26 giugno 1924, n. 1054. In accoglimento del presente mezzo, chiede pertanto che venga in alternativa: o disposto il rinvio al TAR per la delibazione della fondatezza delle sue censure assorbite in primo grado, ovvero che questo Giudice d’appello si pronunci su tutte le censure che hanno formato oggetto del ricorso innanzi al TAR come riproposte con l’appello medesimo.

Con un secondo motivo di censura si lamenta la violazione dei paragrafi C.1, C.7 e F.3 del Capitolato di gara, ed eccesso di potere sotto diversi profili: la commissione di gara non avrebbe correttamente valutato, in relazione alle prescrizioni contenute nel capitolato di gara, i tempi di esecuzione indicati nei due progetti presentati dal RTI SPIX Italia S.r.l. e dall’ATI appellante principale.

Con la terza doglianza si deduce l’irragionevolezza della motivazione, l’errata valutazione dei presupposti, il difetto di istruttoria, e la disparità di trattamento per violazione dell'art. 46, commi 1 e 1 bis, del d.lgs. n.163/2006 (pro tempore vigente) in relazione al paragrafo C.3 dell’Allegato 1 – “Caratteristiche tecniche del servizio” del capitolato di gara. Il RTI SPIX – GSI avrebbe espresso nel progetto (paragrafo 6.2.4 -Pagina 93 - Gestione richieste "on demand" cartelle cliniche) dei tempi per l'erogazione dei servizi di consegna "on demand" delle cartelle cliniche depositate presso il sito di stoccaggio palesemente sbagliati e non credibili: per cui il predetto RTI avrebbe dovuto essere escluso dalla gara ex art. 46, comma 1 bis codice dei contratti pubblici ovvero, in subordine, allo stesso raggruppamento si sarebbero dovuti assegnare punti “0” per tale elemento.

Infine, con la quarta censura, si lamenta la carenza della motivazione e l’ulteriore violazione dell'art. 46, comma 1 e comma 1 bis, del d.lgs. n.163/2006 in relazione rispettivamente al paragrafo "F.2” del citato Allegato 1, e dell’Allegato 7 del capitolato di gara. Mentre l’ATI Smartest S.r.l. aveva offerto 19 PC + 17 stampanti, il progetto originario del RTI SPIX — OSI prevedeva la fornitura di un numero molto basso di postazioni di lavoro da fornire alla stazione appaltante (6 PC + 6 stampanti per le sole attività di back office).

La successiva integrazione dell’offerta del predetto RTI, illegittimamente richiesta, non andava dunque presa in considerazione, e in ogni caso nessun chiarimento si palesava necessario. Il punteggio assegnato al RTI SPIX-GSI avrebbe dovuto esser formulato "allo stato degli atti" e avrebbe dovuto essere più basso, a tutto concedere, di almeno il 40% rispetto a quello delle appellanti.

3. L’Azienda Ospedaliera Regionale "San Carlo" di Potenza si è formalmente costituita in giudizio e, con memoria, ha sottolineato l’esattezza delle ragioni poste a base dalla sentenza impugnata.

4. L’ATI appellata RTI SPIX — GSI, a sua volta costituitasi nel presente giudizio con memoria ex art. 101 comma 2, c.p.a. del 6 giugno 2016: in via principale, ha riproposto in appello le censure del ricorso incidentale di prime cure, che i giudici del TAR hanno omesso di esaminare; in via subordinata, ha comunque chiesto che il ricorso venga rinviato al primo grado ex art. 105, co.1, c.p.a. per l'integrazione del contraddittorio nei riguardi dell'ASP di Potenza.

5. Con Ordinanza n. 4403/2017, del 21/09/2017, la Sezione III, preso atto di alcuni contrasti giurisprudenziali in atto, ha ritenuto necessario sospendere il giudizio e deferire il presente ricorso all'esame dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell'art. 99, comma 1, c.p.a. ponendo due quesiti relativi:

-- alla necessità, o meno, di estendere il contraddittorio processuale, mediante la notificazione del ricorso giurisdizionale, oltreché al soggetto che ha adottato il provvedimento di aggiudicazione impugnato, a tutti i soggetti che aderiscono ad una procedura di aggiudicazione in forma aggregata.

-- alla possibilità, o meno, per le imprese riunite in un raggruppamento di determinare liberamente l'entità delle rispettive quote di esecuzione delle prestazioni, fermo restando il rispetto dei requisiti minimi complessivi di qualificazione previsti dalla legge.

6. Con le memorie e le relative repliche per l’Udienza pubblica, tutte le parti hanno riproposto ed illustrato le proprie argomentazioni.

7. All’Udienza pubblica del 13.12.2017:

-- il difensore della parte appellante principale ha sottolineato in particolare che: l’appalto concerneva un “sistema integrato di gestione delle cartelle” diretto a consentire un’archiviazione unitaria per consentire l’accesso diretto agli archivi ad entrambe le strutture sanitarie; la delega delle funzioni di stazione appaltante era espressamente vietata dall’art. 33 del d.lgs. n.163/2006 e s.m.i.;

-- il patrocinatore RTI SPIX s.r.l. ha fatto un diretto richiamo alle proprie difese, con particolare riguardo all’ultima memoria di replica.

La causa è stata conseguente trattenuta in decisione dall’Adunanza.

DIRITTO

1. Il collegio ritiene che, ai fini di una corretta identificazione delle questioni di cui è investita l'Adunanza Plenaria, occorra provvedere al una puntuale ricognizione di quanto disposto dalla III Sezione del Consiglio di Stato con l'ordinanza di rimessione

2. In particolare la III Sezione, con l'ordinanza in questione:

a) ha rimesso a questa Adunanza la questione concernente la necessità, o meno, della notifica del ricorso introduttivo a tutte le amministrazioni che hanno proceduto alla gara in forma aggregata (par. 10);

b) ha ritenuto, tuttavia, di procedere all'esame di alcuni motivi di carattere escludente del ricorso incidentale, riproposti in appello precisando che "i primi cinque motivi, in particolare, risulterebbero idonei, ove accolti a determinare l'esclusione delle ricorrenti principali della gara, con la conseguente inammissibilità del gravame fin qui descritto" (par. 11);

c) in tal modo la Sezione ha esaminato preliminarmente i motivi del ricorso incidentale rispetto alle questioni attinenti al ricorso principale;

d) la Sezione ha rigettato il primo (par.12) ed il quinto (par.13) motivo del ricorso incidentale riproposti in appello;

La Sezione è poi passata all'esame del secondo, terzo e quarto motivo del ricorso incidentale, "tutti riferiti al carattere verticale del RTI appellante pur in assenza dei previsti requisiti di legge” (par.14);

e) la Sezione ha quindi confutato il secondo motivo del ricorso incidentale proposto in primo grado, rigettandolo (par.15);

f) la Sezione ha altresì respinto il quarto motivo del ricorso incidentale (par.16);

g) il collegio rimettente è passato all'esame del terzo motivo del ricorso incidentale, volto a denunciare il fatto che "il RTI Smartest avrebbe dato vita ad una ATI verticale mediante una suddivisione verticale dei servizi, mentre la lex specialis di gara non avrebbe mai previsto una suddivisione delle attività commissionate" (par.17);

h) al riguardo ha affermato che "considera la Sezione che in un RTI orizzontale come quello in esame, se non espressamente richiesto dal bando, basta che il RTI nel suo complesso abbia il requisito richiesto, mentre ai fini dell'esecuzione della gara de qua è previsto l'istituto dell'avvalimento, per cui la singola azienda partecipante non deve obbligatoriamente possedere quel requisito", "dovendo essere rigettato il motivo incidentale in esame" (par.18);

i) la Sezione ha osservato che gli ulteriori motivi del ricorse incidentale dovevano essere rimessi al TAR in caso di accoglimento del primo motivo dell'appello principale (par. 18);

1) pur avendo ritenuto di rigettare il terzo motivo di ricorso incidentale (par.18), la sezione ha osservato che "il predetto punto di diritto" appariva controverso, sussistendo un orientamento in base al quale occorrerebbe evitare di ammettere che all'interno di una ATI le imprese possano distribuirli le attività in modo del tutto avulso delle proprie capacità tecniche", ricordando la giurisprudenza che postula la necessaria corrispondenza fra quote di qualificazione e quote di esecuzione (Cons. St., v, n. 4684 del 2016; Ad. Plen. n. 27 del 2014).

La Sezione ha peraltro osservato che "la circostanza che il diritto dell'Unione europea preveda l'istituto dell'avvalimento ... potrebbe consentire una rivalutazione dei requisiti tecnico economici di partecipazione alle pubbliche gare che, mediante la serie storica dei fatturati per attività comparabili consentano una ragionevole presunzione circa l'attività tecnico-economica dell'impresa concorrente", e che, ove tale premessa risultasse condivisibile, potrebbe "ritenersi necessario e sufficiente che siano garantite la loro affidabilità e responsabilità attraverso la qualificazione del RTI sulla base del complessivo fatturato conseguito dalle singole imprese", mentre "resterebbe liberamente modulabile la ripartizione dell’esecuzione degli obblighi fra le imprese partecipanti, dovendosi quindi ritenere ogni componente del raggruppamento in grado di garantire, nei limiti della propria qualificazione, l'avvalimento nei confronti degli altri partecipanti al RTI al fine di rispettare gli adempimenti assunti mediante la ripartizione interna delle quote di esecuzione". Anche il "suindicato punto di diritto" è stato quindi deferito all'Adunanza Plenaria

3. Tale essendo il contenuto del provvedimento di rimessione, si osserva che, in realtà, lo stesso ha in parte un contenuto decisorio per quanto concerne il primo, il secondo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso incidentale di primo grado. Si è quindi di fronte, in parte qua, ad una sentenza non definitiva, che rigetta i sopra indicati motivi del ricorso incidentale di primo grado (n. IV e V).

Per il resto la Sezione, ha, da un lato, affermato che doveva essere rigettato anche il terzo motivo del ricorso (paragrafo 18) e, dall'altra, ritenuto di rimettere il punto controverso sopra descritto, rilevando che la sua definizione dovrebbe essere ritenuta preliminare, ai fini della decisione ciel punto controverso di cui al paragrafo 10, e cioè di quello riguardante i problemi relativi alla notifica del ricorso introduttivo).

4. Risulta, pertanto, palese che la Sezione ha, con certezza, rimesso a questa Adunanza la questione riguardante la necessità, o meno, della notificazione del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado a tutte le amministrazioni che hanno proceduto alla gara in forma aggregata, anche se ha ritenuto di evidenziare che il suo esame dovrebbe essere subordinato a quello del terzo motivo del riscorso incidentale. Ciò in quanto, presumibilmente, ha ritenuto che l'esame dei motivi del ricorso incidentale avrebbe in ogni caso dovuto precedere l'esame delle questioni concernenti il ricorso principale.

5. L'Adunanza osserva che alla stessa compete esaminare le questioni rimesse dalla III Sezione, ma che essa non è vincolata all'ordine di esame suggerito dall'ordinanza di rimessione, spettando alla stessa Adunanza plenaria stabilire l'esatto ordine di soluzione delle questioni.

Nel caso di specie non può essere seguito l'ordine suggerito dalla Sezione rimettente: se è vero infatti che, normalmente, il ricorso incidentale escludente deve essere esaminato prima del ricorso principale, è altresì vero che una regola del genere non può valere per la (diversa) questione della corretta notificazione del ricorso principale.

Dalla soluzione di tale problema dipende, infatti, la corretta costituzione del rapporto giuridico processuale, ed è palese che, in mancanza di essa, non può nemmeno passarsi all'esame del ricorso incidentale, che, appunto, suppone la regolare instaurazione del giudizio.

Il quesito di cui al punto 10 dovrà quindi, essere esaminato prima delle ulteriori questioni rimesse con il paragrafo 10 dell'ordinanza; e ciò anche se la Sezione rimettente ha ritenuto, con pronuncia avente natura e valore di sentenza, di esaminare e di definire con una statuizione di rigetto alcuni dei motivi spiegati con il predetto ricorso incidentale.

6. Con riferimento al primo quesito prospettato con l'ordinanza di rimessione, concernente la necessità, o meno, in caso di procedura di aggiudicazione in forma aggregata, di provvedere alla notificazione del ricorso introduttivo del giudizio non solo al soggetto capofila che ha curato la procedura e che ha adottato il provvedimento (o i provvedimenti) impugnati ma anche a tutti i soggetti che aderiscono alla procedura di aggiudicazione in forma aggregata, il Collegio osserva che appare preferibile quell'orientamento giurisprudenziale del giudice di appello (Cons. Stato, Sez. III, 13 settembre 2013 n. 4541; Sez. V, 6 luglio 2012 n. 3966; Sez. V, 15 marzo 2010 n. 1500) che ritiene sufficiente la notifica alla sola amministrazione capofila, che abbia curato la procedura concorsuale attraverso l'emanazione del bando, la costituzione della Commissione giudicatrice l'adozione degli atti di gara e l'emanazione del provvedimento di aggiudicazione.

A tale esito appare, infatti, necessario pervenire considerando il rilievo decisivo, ai fini della soluzione del quesito, dell'art. 41 c.p.a, che identifica l'amministrazione cui deve essere notificato il ricorso introduttivo del giudizio esclusivamente in quella che ha emesso l'atto impugnato.

In virtù della disposizione di cui all'art. 41 c.p.a., ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio appare necessaria e sufficiente la notificazione dell'atto introduttivo esclusivamente all'amministrazione che ha emanato il provvedimento impugnato.

In altri termini, la disposizione di cui all'art. 41 c.p.a., nell'enunciare la regola generale sopra ricordata, positivamente esclude che l'atto introduttivo del giudizio debba essere notificato anche ad amministrazioni od enti che a diverso titolo abbiano avuto modo di partecipare al procedimento.

Corollario di tale regola - come è stato esattamente affermato (Cons. Stato, sez. V, nr. 3966/2012, cit.) – è che solo quando l'atto finale sia imputabile a più amministrazioni, come accade per gli atti di concerto (Cons. Stato, nr.183 del 2006) o come può verificarsi per gli accordi di programma (Cons. Stato, IV, nr. 3403 del 2006), la legittimazione passiva riguarda tutte le amministrazioni interessate.

Per converso, le partecipazioni al procedimento giuridicamente qualificate (come quelle concernenti il potere di iniziativa o di proposta, la partecipazione all'intesa che abbia preceduto l'adozione del provvedimento finale, ovvero gli atti preparatori) non sono idonee ad estendere la veste di parte necessaria a soggetti diversi dall'autorità emanante. A tal fine, infatti, sarebbe necessaria una formale imputazione del provvedimento finale ad una pluralità di amministrazioni (Cons. Stato, V, nr. 3966/2012 cit.). Una diversa soluzione, volta ad estendere la legittimazione processuale a soggetti diversi dall'autorità che ha emanato l'atto, si risolverebbe in una oggettiva violazione della norma che presidia la legittima costituzione del rapporto giuridico processuale.

Nei casi sopra ricordati, d'altra parte, si è di fronte ad una unica amministrazione (capofila) che gestisce la procedura e che di essa è responsabile, sicché soltanto ad essa sono imputabili gli atti ed i provvedimenti della medesima, divenendo così l'amministrazione cui notificare il ricorso giurisdizionale per l'instaurazione del giudizio (Cons. Stato, V, nr. 1500 del 2010); tutto ciò mentre le altre amministrazioni, eventualmente interessate alla procedura, sono tuttavia sfornite di os ad loquendum sulle vicende della gara.

Deve, infine, essere rilevato che alla prospettazione sopra esposta non può essere opposta la disciplina di cui all'art. 81 c.p.c., pacificamente applicabile al processo amministrativo, secondo cui fuori dai casi previsti dalla legge, nessuno può far valere in nome proprio un diritto altrui. Nelle fattispecie sopra ricordate, infatti, l'amministrazione capofila è chiamata a far valere e tutelare una situazione giuridica soggettiva propria (quella derivante dall'essere l'amministrazione che ha posto in essere il procedimento ed emanato il provvedimento di aggiudicazione). Non si verifica pertanto alcuna forma di sostituzione processuale, con la legittimazione straordinaria che a questa è connessa, mentre l'eventuale rilevanza degli esiti della aggiudicazione nei confronti del soggetto in unione di acquisto con l'amministrazione procedente, ha luogo in forza dei rapporti interni fra le due amministrazioni, privi, per le ragioni già esposte, di rilevanza processuale.

6. Si deve dunque affermare il principio di diritto per cui, ai sensi dell’art. 41 comma 2, c.p.a., in caso di impugnazione di una gara di appalto svolta in forma aggregata da un soggetto per conto e nell’interesse anche di altri enti, il ricorso deve essere notificato esclusivamente « … alla pubblica amministrazione che ha emesso l’atto impugnato ...».

7. Alla stregua delle considerazioni sopra esposte si evidenzia che, di conseguenza, la mancata evocazione in giudizio dei beneficiari del contratto non comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado.

Deve così, concludersi per la fondatezza del primo motivo dell’impugnazione proposta dalla dall’ATI Smartest s.r.l. .

Nel caso in esame, infatti, come esattamente rilevato dall'appellante, la procedura aperta per l'affidamento del servizio di custodia e digitalizzazione delle cartelle cliniche dell'Azienda ospedaliera regionale San Carlo di Potenza e dell'Azienda sanitaria di Potenza è stata indetta dal Direttore generale dell'Azienda Ospedaliera San Carlo; con provvedimento della medesima autorità è stato costituito il seggio di gara e nominata la commissione esaminatrice; con decreti della medesima Autorità è stata disposta sia l'aggiudicazione provvisoria che quella definitiva, sicché l'unica amministrazione legittimata a contraddire rispetto al ricorso della Società deve essere identificata nella medesima Azienda ospedaliera San Carlo.

Non può condurre, infine, ad un diverso avviso l'affermazione della parte appellata, formulata in memoria, secondo la quale l'Azienda ospedaliera San Carlo avrebbe richiesto la designazione di due esperti, quali componenti della Commissione giudicatrice, e che i relativi nominativi sarebbero stati comunicati dall'ASP di Potenza alla medesima Azienda ospedaliera San Carlo. Tale circostanza, infatti, non incide in alcun modo sul fatto decisivo che la Commissione giudicatrice ha operato esclusivamente quale organo straordinario dell’amministrazione procedente, e cioè dell'Azienda ospedaliera San Carlo.

Nei limiti di cui sopra, il primo motivo dell’appello principale deve, sul punto, essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, il ricorso di primo grado deve essere dichiarato ammissibile.

8. Quanto alle ulteriori questioni prospettate con l'ordinanza, l'Adunanza ritiene opportuno che, ai sensi dell’art. 99 c.p.a., comma 1 ultimo periodo, la controversia sia restituita alla III Sezione, perché la stessa meglio chiarisca, ove ritenga di rimettere nuovamente gli atti a questa Adunanza, il contenuto e la portata delle questioni rimesse.

In particolare:

a) nell'ordinanza si afferma che (paragrafo 18) il "motivo incidentale in esame" (e cioè il terzo) deve essere rigettato; tuttavia, nel successivo punto 19 si evidenzia che il "predetto punto di diritto" (e quindi quello in precedenza trattato al paragrafo 18) è controverso in giurisprudenza. Il punto trova ulteriore esplicazione al paragrafo 20, e lo stesso viene poi, conclusivamente, deferito all'Adunanza plenaria, ai sensi dell'art. 99, co. 3, c.p.a. e cioè per la non condivisione del principio espresso dalla medesima Adunanza.

Ciò premesso, appare innanzitutto necessario che la Sezione chiarisca se, con l'ordinanza, si sia inteso effettivamente rigettare il terzo motivo di ricorso di primo grado (come sembrerebbe dal tenore letterale del provvedimento) rimettendo, di conseguenza, inammissibilmente, all'Adunanza una questione di diritto, la cui soluzione appare destinata a non operare sul caso concreto, ovvero se si sia, invece, inteso esprimere, con i paragrafi 19 e 20, il punto di vista della Sezione, rimettendo all'Adunanza la pronuncia sul terzo motivo del ricorso incidentale;

b) la Sezione dovrà altresì, meglio specificare la questione prospettata con il paragrafo 20 in relazione alla censura cui esso pare riferirsi, anche comunque formulando in modo puntuale il quesito sottoposto a questa Adunanza. Si osserva, infatti, che con la terza censura del ricorso incidentale era stata sostanzialmente dedotto che illegittimamente si sarebbe proceduto alla costituzione di una ATI verticale, mentre l'ordinanza sembra limitarsi a definire l'ATI in questione come orizzontale, diffondendosi poi sulla questione riguardante la corrispondenza -ritenuta non necessaria dall'ordinanza- tra requisiti di qualificazione e requisiti di esecuzione;

c) in ogni caso, la Sezione dovrà, comunque, preventivamente provvedere ad acquisire copia degli eventuali contratti di avvalimento sottoscritti tra i soggetti facenti parte del raggruppamento appellante principale.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), non definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto:

accoglie il primo motivo dell’appello principale e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara ammissibile il ricorso di primo grado delI'ATI Smartest s.r.l. .

Rimette la causa alla III Sezione del Consiglio di Stato perché la stessa possa fornire, ove ritenga di dovere nuovamente rinviare la controversia, i chiarimenti di cui in motivazione ed acquisire la documentazione ivi indicata.

Riserva al definitivo ogni statuizione sulle spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del 13 dicembre 2017 e del 9 maggio 2018 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Alessandro Pajno, Presidente

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Franco Frattini, Presidente

Giuseppe Severini, Presidente

Luigi Maruotti, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore

Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

 

Guida alla lettura

Si tratta di due ipotesi in cui l’Adunanza plenaria ha esercitato il potere di restituzione degli atti ritenendo di non potersi pronunciare sui quesiti formulati dalla Sezione rimettente.

Nel primo caso ha ritenuto che la questione ad essa deferita dalla Quinta Sezione non potesse essere utilmente esaminata nell’ambito della controversia, in quanto al riguardo assume rilievo significativo il fatto che l’opzione tra “teoria ontologica” e “teoria eziologica” non sembra avere riferimento soltanto al problema dell’astratta risarcibilità della chance, ma implica rilevanti conseguenze in ordine alla qualificazione della natura giuridica della figura, all’identificazione degli elementi costitutivi della fattispecie, all’accertamento dell’ingiustizia del danno e del nesso di causalità, all’accertamento probatorio ed al grado di certezza con esso richiesto, alla determinazione della consistenza della situazione soggettiva vantata nei confronti del debitore, agli eventuali criteri di liquidazione del danno[1].

Poiché la Quinta Sezione sembrerebbe essersi già pronunciata su diversi profili sopra cennati, quali la sussistenza del nesso di causalità tra il comportamento dell’amministrazione – l’affidamento del contratto senza gara – e la perdita di chance, l’esistenza e la consistenza, anche ai fini risarcitori, della chance di aggiudicazione e le connesse valutazioni legate al profilo probatorio, potrebbero, in tal modo, essere stati toccati profili attinenti, in ultima analisi, alla determinazione stessa della natura giuridica della perdita di chance, nonché al danno risarcibile.

In particolare, la fissazione con sentenza della consistenza della chance di aggiudicazione mediante gara di Fastweb nella misura del 20%, da una parte potrebbe far ritenere in qualche modo già effettuata, implicitamente, una opzione per uno dei metodi – ontologico o eziologico – utilizzati dalla giurisprudenza e, dall’altra, potrebbe porre un problema di coerenza tra l’affermazione, nei sensi sopra esposti, della consistenza della chance e la questione della risarcibilità della stessa, apparendo i due profili, sopra indicati, strettamente correlati.

Le affermazioni contenute nella sentenza di rimessione in ordine alla sussistenza del nesso di causalità ed alla consistenza della chance di aggiudicazione – quest’ultima calcolata secondo una percentuale correlata al numero dei potenziali concorrenti di una gara virtuale – potrebbero, così, implicare l’utilizzazione di un metodo di accertamento dell’illecito e di liquidazione del danno, la cui correttezza potrebbe apparire strettamente correlata ai quesiti prospettati sulla ricostruzione dell’illecito e sulle conseguenze sull’esistenza e sulla liquidazione del danno da perdita di chance; quesiti, peraltro, risolvibili in astratto anche attraverso l’individuazione di percorsi ricostruttivi alternativi ovvero intermedi e comunque eclettici rispetto alla dicotomia tra “teoria ontologica” e “teoria eziologica”.

In una situazione del genere, caratterizzata dall’incertezza sopra descritta, la pronuncia dell’Adunanza plenaria, da una parte, potrebbe inammissibilmente interferire con profili già esaminati dalla Sezione con la sentenza non definitiva; dall’altra, potrebbe risultare in qualche modo condizionata dalle chiavi ricostruttive utilizzate dalla Sezione e dalle scelte già operate con sentenza, così escludendo la possibilità stessa di un esame approfondito dei quesiti prospettati non condizionato da tali scelte. Verrebbe, in tal modo, esclusa la possibilità dell’affermazione di un principio di diritto conseguente ad un esame pieno delle fattispecie.

Nel secondo caso l’Adunanza plenaria ha assunto una decisione più articolata. Con riferimento ad alcuni quesiti ha rilevato che il contenuto del provvedimento di rimessione, in realtà, ha già un contenuto decisorio onde ritiene di non pronunciarsi.

Su altri quesiti la Sezione ha individuato un punto controverso da esaminarsi da parte dell’Adunanza plenaria come questione preliminare[2].

L’Adunanza osserva, invece, che non è vincolata all’ordine di esame suggerito dall’ordinanza di rimessione, spettando alla stessa Adunanza plenaria stabilire l’esatto ordine di soluzione delle questioni.

Nel caso di specie non può essere seguito l’ordine suggerito dalla Sezione rimettente: se è vero infatti che, normalmente, il ricorso incidentale escludente deve essere esaminato prima del ricorso principale, è altresì vero che una regola del genere non può valere per la (diversa) questione della corretta notificazione del ricorso principale.

Dalla soluzione di tale problema dipende, infatti, la corretta costituzione del rapporto giuridico processuale, ed è palese che, in mancanza di questa, non può nemmeno passarsi all’esame del ricorso incidentale, che, appunto, suppone la regolare instaurazione del giudizio.

Quanto agli altri quesiti, con riferimento al primo concernente la necessità o, meno, in caso di procedura di aggiudicazione in forma aggregata, di provvedere alla notificazione del ricorso introduttivo del giudizio non solo al soggetto capofila che ha curato la procedura e che ha adottato il provvedimento (o i provvedimenti) impugnati ma anche a tutti i soggetti che aderiscono alla procedura di aggiudicazione in forma aggregata, il Collegio osserva che appare preferibile quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui è sufficiente la notifica alla sola amministrazione capofila, che abbia curato la procedura concorsuale attraverso l’emanazione del bando, la costituzione della Commissione giudicatrice, l’adozione degli atti di gara e l’emanazione del provvedimento di aggiudicazione atteso che l’art. 41 c.p.a. identifica l’amministrazione cui deve essere notificato il ricorso introduttivo del giudizio esclusivamente in quella che ha emesso l’atto impugnato.

Viceversa, solo quando l’atto finale sia imputabile a più amministrazioni, come accade per gli atti di concerto o per gli accordi di programma, la legittimazione passiva riguarda tutte le amministrazioni interessate.

Quanto, poi, alle ulteriori questioni prospettate con l’ordinanza, l’Adunanza ritiene opportuno che, ai sensi dell’art. 99 c.p.a., comma 1, ultimo periodo, la controversia sia restituita alla III Sezione, perché la stessa meglio chiarisca, ove ritenga di rimettere nuovamente gli atti a questa Adunanza, il contenuto e la portata delle questioni rimesse[3].


[1] Con sentenza non definitiva n. 118 del 2018, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, accertata la consistenza della chance di aggiudicazione mediante gara vantata dalla società ricorrente nella misura del 20%, aveva prospettato la questione relativa all’astratta risarcibilità di tale posizione giuridica atteso il contrasto di giurisprudenza tra pronunce aderenti alla teoria della chance ontologica e quelle che invece optano per la chance eziologica. Nell’ambito della dicotomia dei danni risarcibili ex art. 1223 cod. civ., la teoria della chance ontologica configura tale posizione giuridica come un danno emergente, ovvero come bene giuridico già presente nel patrimonio del soggetto danneggiato, la cui lesione determina una perdita suscettibile di autonoma valutazione sul piano risarcitorio.

La teoria eziologica intende, invece, la lesione della chance come violazione di un diritto non ancora acquisito nel patrimonio del soggetto, ma potenzialmente raggiungibile, con elevato grado di probabilità, statisticamente pari almeno al 50%. Si tratta dunque di un lucro cessante.

 

[2] L’ordinanza di rimessione è del Consiglio di Stato, Sez. III, 21 settembre 2017, n. 4403.

 

[3] Per una ricostruzione della casistica di pronunce dell’Adunanza plenaria di restituzione degli atti alla Sezione ai sensi dell’art. 99, comma 1, ultimo alinea, c.p.a. si rinvia al sito www.giustizia-amministrativa.it, News US in data 18 maggio 2018, L’Adunanza plenaria arricchisce la casistica delle ipotesi di rinvio degli atti alla sezione ex art. 99, comma 1, ultimo periodo c.p.a.

LEGGI l'ordinanza 00007/2018 REG. Prov. Coll.

LEGGI la sentenza non definitiva 00013/2017 Reg. Ric. A.P.