Cons. G.A. Reg. Sic., 27 marzo 2018, n. 175

Stante il contrasto giurisprudenziale in atto, si richiede, ai sensi dell'art. 99, co. 1, c.p.a, l’intervento dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, al fine della definizione delle seguenti questioni di diritto:

a) se la rideterminazione degli oneri concessori sia estrinsecazione di potere autoritativo da parte della amministrazione comunale, nell’ambito dell’autotutela pubblicistica soggetta ai presupposti e requisiti dell’art. 21-novies, l. n. 241/1990, ovvero sia espressione di una sua legittima facoltà, nell’ambito del rapporto paritetico di natura creditizia, conseguente al rilascio del titolo edilizio a carattere oneroso, sottoposto nelle sue forme di esercizio al termine prescrizionale ordinario;

b) ove dovesse prevalere la prima opzione interpretativa, se la rideterminazione dei suddetti oneri sia da ascrivere all’ambito dei rapporti di diritto pubblico quali che siano le ragioni che l’abbiano ispirata, ovvero solo nei casi in cui la stessa dipenda dalla applicazione di parametri o coefficienti determinativi diversi (originari o sopravvenuti) da quelli in precedenza applicati, con esclusione quindi dei casi di errore materiale di calcolo delle somme dovute sulla base dei medesimi parametri normativi;

c) in alternativa ed a prescindere dall’inquadramento giuridico della fattispecie secondo le richiamate categorie, e quale che sia la natura giuridica da riconnettere al provvedimento rideterminativo degli oneri concessori, se vi sia spazio, ed in quali limiti, perché possa trovare applicazione nella fattispecie in esame il principio del legittimo affidamento del privato, da ricostruire vuoi sulla base della disciplina pubblicistica dell’autotutela, vuoi su quella privatistica della lealtà e della buona fede nell’esecuzione delle prestazioni contrattuali, ovvero sulla base dei principi desumibili dai limiti posti dall’ordinamento civile per l’annullamento del contratto per errore o per altra causa. i quesiti.

 

Pubblicato il 27/03/2018

N. 00175/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00519/2014 REG.RIC.           

N. 00518/2014 REG.RIC.           

REPUBBLICA ITALIANA

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

in sede giurisdizionale

ha pronunciato la presente

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA

sul ricorso numero di registro generale 519 del 2014, proposto dal Comune di Cinisi, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Antonino Ruffino, con domicilio eletto presso il suo studio in Palermo, via Villa Heloise, 21;

 

contro

Società di Santo Faro s.n.c., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Maria Beatrice Miceli, con domicilio eletto presso il suo studio in Palermo, V. Nunzio Morello, 40;

 

sul ricorso numero di registro generale 518 del 2014, proposto dal Comune di Cinisi, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Antonino Ruffino, con domicilio eletto presso lo studio Antonino Ruffino in Palermo, via Villa Heloise, 21;

contro

Michele Palazzolo, rappresentato e difeso dall'avvocato Maria Beatrice Miceli, con domicilio eletto presso lo studio Maria Beatrice Miceli in Palermo, V. Nunzio Morello, 40;

per la riforma

quanto al ricorso n. 519 del 2014:

della sentenza del T.a.r. Sicilia – Palermo, sez. III n. 185/2014, resa tra le parti, concernente procedimento di rideterminazione degli oneri concessori

quanto al ricorso n. 518 del 2014:

della sentenza del T.a.r. Sicilia - Palermo, sez. III n. 188/2014, resa tra le parti, concernente procedimento di rideterminazione oneri concessori

 

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della società di Santo Faro s.n.c. (oggi Diesse s.r.l.) e di Michele Palazzolo;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2018 il Consigliere Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti l’avvocato Antonino Ruffino e l’avvocato Maria Beatrice Miceli;

 

1. Con gli appelli in esame il Comune di Cinisi impugna le sentenze di cui in epigrafe con le quali il T.a.r. della Sicilia, sede di Palermo, ha accolto due distinti ricorsi, contenenti analoghe censure, l’uno (R.G. n. 518/2014) proposto dal signor Michele Palazzolo, l’altro (R.G. n. 519/2014) dalla società Di Santo Faro (oggi DIESSE s.r.l.), avverso le note comunali (rispettivamente n. 9005 e 9004, entrambe del 7 maggio 2007) recanti la rideterminazione degli oneri concessori in relazione a titoli edilizi a suo tempo rilasciati agli odierni appellati per la realizzazione di due distinti stabilimenti, ricadenti nella stessa zona ( a destinazione commerciale) del territorio comunale.

In entrambe le sentenze qui gravate il giudice di prime cure ha accolto il solo motivo di primo grado incentrato, in ambedue i ricorsi, sulla erronea rideterminazione degli oneri sulla base della tariffa prevista per i centri commerciali, laddove secondo l’assunto fatto proprio dal T.a.r. si sarebbe dovuto tener conto della natura non propriamente commerciale (ma piuttosto artigianale) dell’attività disimpegnata all’interno dei capannoni ed applicare in tal modo una tariffa più bassa di quella in concreto applicata. Le sentenze di primo grado, che hanno partitamente esaminato e respinto anche gli altri motivi di ricorso, hanno quindi annullato, in accoglimento del dedotto motivo, gli atti gravati e rimesso all’Amministrazione comunale per la rideterminazione degli oneri sulla base del corretto regime tariffario applicabile.

2. Con i ricorsi in appello di cui in epigrafe, il Comune di Cinisi si duole della erroneità delle gravate sentenze lamentando che il giudice di primo grado non si sarebbe reso conto che, ai fini della determinazione degli oneri concessori relativi agli interventi edilizi, il regime giuridico si articola in due sole tariffe applicabili, una per gli immobili a destinazione abitativa, l’altra per quelli a destinazione commerciale, onde senz’altro corretta avrebbe dovuto ritenersi la tariffa applicata dal Comune per interventi realizzati, in entrambi i casi esaminati per chiare finalità produttive, in zona commerciale. D’altronde, secondo la difesa del Comune, già la originaria determinazione degli oneri concessori era stata fatta sulla base della tariffa prevista per gli insediamenti commerciali e direzionali, la rideterminazione in autotutela (oggetto dei ricorsi di primo grado) essendo intervenuta al solo fine di rettificare ( non già la tariffa applicabile) quanto le sue concrete modalità applicative, avuto riguardo al parametro della superficie lorda e della superficie complessiva dell’insediamento.

3. Le stesse sentenze sono state appellate in via incidentale dalle parti intimate le quali, oltre a chiedere la reiezione dell’appello principale, hanno riproposto le censure di primo grado respinte dal T.a.r.

In particolare, le parti qui appellate hanno rilevato in via incidentale la erroneità delle sentenze, deducendo:

a) la violazione del principio di affidamento, essendo l’atto di rideterminazione degli oneri concessori intervenuto a notevole distanza temporale dal rilascio del titolo edilizio e dalla originaria determinazione degli oneri in misura corrispondente a circa un quarto rispetto a quanto rideterminato dal Comune con le note avversate in primo grado;

b) il difetto di motivazione sui criteri di calcolo adottati dal Comune per la determinazione degli oneri, risultati di incerta o comunque difficile comprensione;

c) l’erronea quantificazione dei predetti oneri, sulla base della pavimentazione lorda dei capannoni, anziché su quella netta;

d) il diritto all’esenzione dal pagamento di ogni onere, atteso che gli interventi ricadrebbero nell’ambito del patto territoriale Golfo di Castellamare in relazione al quale il Comune di Cinisi sarebbe esonerato dalla realizzazione delle opere di urbanizzazione (onde non potrebbe, per simmetria, richiedere il pagamento di alcun onere);

e) l’erronea applicazione retroattiva dell’adeguamento contributivo che, per contro, ai sensi dell’art. 24 l. r. n. 25 del 1997 si applicherebbe soltanto dall’anno successivo a quello di effettiva determinazione;

f) l’erronea applicazione di una maggiorazione a titolo di sanzione per omesso versamento della terza rata dei contributi per come originariamente determinati, e ciò nonostante che il Comune fosse beneficiario di espressa polizza fideiussoria che avrebbe potuto/dovuto far valere tempestivamente alla scadenza dei singoli ratei.

4. Le parti hanno scambiato memorie in vista dell’udienza di trattazione.

All’udienza pubblica del 21 febbraio 2018 entrambi i ricorsi sono state trattenuti per la decisione.

5. Osserva preliminarmente il Collegio che gli appelli vertono su analoghe questioni di diritto, onde ricorrono le condizioni per disporne la riunione, per connessione oggettiva (e parzialmente soggettiva) tra le cause proposte, in vista della loro trattazione unitaria e della definizione a mezzo di un’unica sentenza.

6. Per ragioni logiche prima che giuridiche devono essere esaminati per primi gli appelli incidentali ed in particolare, nel rispetto della tassonomia delle censure proposta dalle appellanti incidentali, il primo motivo dedotto in entrambi tali mezzi, col quale si contesta lo stesso presupposto (potrebbe dirsi l’an) della pretesa della amministrazione comunale di Cinisi di por mano alla rideterminazione degli oneri a distanza di tempo dalla primigenia determinazione occorsa in sede di rilascio dei rispettivi titoli edilizi. Non par dubbio, infatti, che se detto motivo dovesse essere oggetto di favorevole scrutinio, nessuno spazio residuerebbe, per palese carenza di interesse in capo alle distinte parti in contesa, per approfondire le questioni subordinate – ivi compresa quella posta a base della sentenza di accoglimento - inerenti le modalità concrete attraverso cui l’amministrazione ha determinato le somme dovute dai beneficiari dei rispettivi titoli edilizi.

7. L’appellante principale ha sollevato, in relazione a tale primo motivo di appello incidentale, una eccezione di inammissibilità processuale della questione, sotto il profilo che in primo grado la censura sarebbe stata articolata non nel senso di negare in astratto il potere dell’amministrazione di agire in autotutela per la rideterminazione degli oneri concessori, ma piuttosto nel solo senso di prospettare un possibile vizio di eccesso di potere per violazione dell’affidamento che la parte avrebbe riposto sulla definitività dell’originaria determinazione degli oneri concessori.

7.1. Il Collegio ritiene che detta eccezione sia infondata per l’evidente ragione che la prospettata lesione dell’affidamento – dedotta come prima censura dalle originarie parti ricorrenti – integra un motivo di ricorso autonomo che, respinto con le sentenze impugnate e riproposto con gli appelli incidentali, questo giudice deve esaminare nel merito, inquadrando la fattispecie nella sua corretta cornice giuridica, a prescindere dalla (se del caso erronea) prospettazione delle parti.

In sostanza, non rileva che le parti appellanti incidentali (originarie ricorrenti) non abbiano ricondotto la lesione dell’affidamento al tardivo esercizio del potere di autotutela amministrativa, essendo in ogni caso ben chiara la censura dedotta e la sottostante pretesa della parte ricorrente a ritenere intangibile la originaria determinazione degli oneri concessori per come operata dal Comune di Cinisi in occasione del rilascio dei titoli edilizi.

8. Orbene, l’esame della questione nel merito impone uno sforzo ermeneutico ricostruttivo necessario per la corretta qualificazione giuridica della fattispecie, dovendosi stabilire se debba qui farsi applicazione di istituti di stretta matrice pubblicistica (ed in particolare dell’autotutela e delle sue modalità di esercizio) ovvero degli stessi frammisti ad istituti di diritto privato: con possibili esiti diversificati delle questioni controverse, a seconda che si ritenga applicabile l’uno o l’altro strumentario giuridico.

8.1. Più in particolare, qui si tratta della dibattuta questione involgente le forme, le condizioni ed i tempi attraverso cui un’amministrazione comunale può rideterminare (in malam partem) gli oneri concessori dovuti dal soggetto beneficiario di un titolo edilizio dopo che questi abbia già ritirato il provvedimento assentivo (e magari anche iniziato e completato i lavori) ed abbia avuto contezza in quella sede o, ancor prima, degli importi determinati dalla amministrazione quale contributo commisurato alla incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione: ed abbia, in definitiva, sulla base di quei dati, fatto affidamento su un determinato preventivo di spesa del programmato intervento edilizio.

9. E’ bene subito precisare che i casi qui in esame esulano dalle ipotesi del mero errore di calcolo degli oneri concessori desumibile già dall’iniziale atto determinativo degli importi dovuti.

Qui è accaduto, in entrambe le fattispecie di causa, che il Comune di Cinisi abbia dapprincipio fissato l’importo dovuto dal signor Palazzolo e dalla ditta Di Santo Faro s.n.c. a titolo di oneri di urbanizzazione, nell’ambito rispettivamente della concessione edilizia n. 3 del 22 ottobre 2002 (e della successiva variante n. 2 del 28 marzo 2003) nonché della concessione edilizia n. 2 del 22 ottobre 2002 (e della successiva variante n. 1 del 28 marzo 2003). Indi, a distanza di oltre quattro anni dalla data di tali atti, ha provveduto a rideterminare (con le già richiamate note n. 9004 e 9005 del 7 maggio 2007) gli importi dovuti a tal titolo dalle parti qui appellate, incrementandoli in misura corrispondente a circa quattro volte gli importi originari (portandoli ad euro 167.223,47 per il Palazzolo ed a euro 181.590,54 per la società Diesse s.r.l., già Di santo Faro s.n.c.).

A base di tali rideterminazioni il Comune ha addotto l’erronea determinazione originaria dei rispettivi contributi, effettuata sulla base della tariffa più bassa (quella da applicare sulla superficie dell’insediamento e non dell’intero lotto) e su una superficie minore (quella occupata dagli edifici, con esclusione degli spazi di pertinenza esterni). In sostanza, l’errore sarebbe stato duplice, perché sarebbe stata applicata un’unica tariffa (quella più bassa) ad una superficie inferiore a quella effettiva, invece che le previste due tariffe in relazione ai distinti parametri della superficie lorda dei fabbricati e della superficie complessiva dell’insediamento.

Si tratta dunque di errore di impostazione dei criteri di calcolo, e non di mero erroneo svolgimento del calcolo sulla base di criteri corretti.

10. La difesa del Comune di Cinisi assume che l’errore sarebbe stato indotto dal tecnico di fiducia delle parti private, che avrebbe fornito dati fuorvianti sulla cui base sarebbe maturato l’errore sulla originaria determinazione dei contributi. Inoltre, il Comune sostiene che la fattispecie in esame sarebbe ben distinta da quelle oggetto delle decisioni di questo CGA risalenti al 2007 (v. oltre al par. 13) di accoglimento dei ricorsi delle parti private, in ragione del fatto che:

- nelle vicende qui in esame la originaria determinazione comunale sarebbe avvenuta con la clausola salvo conguaglio, onde non vi sarebbe un affidamento della parte privata meritevole di tutela;

- l’errore nel calcolo del contributo sarebbe evidente e riconoscibile;

- non vi sarebbe stato adempimento integrale dell’obbligazione di pagamento degli oneri determinati con il primo calcolo;

- la stessa parte avrebbe richiesto il riesame della quantificazione ritenendo di essere esente, onde la situazione giuridica avrebbe dovuto ritenersi in fieri e non esaurita, sì da far ritenere legittima la rettifica operata dalla amministrazione comunale nel superiore interesse pubblico alla corretta contribuzione dei cittadini alle opere di urbanizzazione.

11. Osserva il Collegio che, al di là di tutti questi profili e degli altri che le cause pongono e che indubbiamente dovranno essere affrontati e decisi con il merito, se del caso anche per i profili quantificatori vertendo le cause in una materia affidata alla giurisdizione esclusiva del g.a. (ai sensi dell’art. 133, lett. f), c.p.a.), per la definizione degli appelli sia tuttavia ancor prima necessario prendere posizione sulla cennata questione di carattere generale, e cioè se la rideterminazione degli oneri concessori sia attività sussumibile nell’autotutela amministrativa ovvero sia inquadrabile nell’ambito di un normale rapporto paritetico di debito-credito, come tale astretta alle regole ed ai rimedi di diritto comune.

12. Ora, poiché su tale questione non si registrano posizioni omogenee nella giurisprudenza amministrativa, il Collegio ritiene di deferirla all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ricorrendo l’ipotesi prevista dall’art. 99 c.p.a., atteso che il suindicato punto di diritto ha dato luogo a contrasti giurisprudenziali che non appare utile alimentare ulteriormente, ma piuttosto dirimere, affidando la risoluzione della questione al giudice della nomofilachia.

13. In sintesi, le interpretazioni che sono state sostenute in giurisprudenza sulla natura del contributo dovuto in occasione del rilascio del titolo edilizio ai sensi dell’art. 16 d.P.R. n. 380 del 2001 e sulla possibilità di rideterminarlo possono essere così ricordate.

13.1. Secondo una prima tesi di questo CGA (cfr. sentenze CGARS nn. 64, 188, 244, 373, 422, 790 tutte del 2007) la determinazione del contributo darebbe luogo ad un rapporto paritetico che, seppur azionabile da ambo le parti nel rispetto del termine prescrizionale ordinario di dieci anni, si cristallizzerebbe nel quantum al momento del rilascio del titolo edilizio, nel senso che lo stesso non sarebbe suscettibile di modifiche successive (se non nei casi di manifesto errore di calcolo) in quanto, in applicazione dei principi desumibili dalla disciplina dei contratti, non darebbe mai luogo ad un errore riconoscibile (donde l’intangibilità pressoché assoluta della originaria determinazione amministrativa). Secondo tale approccio ermeneutico, non vi sarebbe ragione per l’applicazione dell’istituto dell’autotutela amministrativa per la eventuale rideterminazione del contributo (proprio perché il rapporto inter partes è di natura paritetica) né, come si diceva, vi sarebbe spazio per una modifica successiva per errore perché questo, in quanto maturato nella sfera riservata dell’amministrazione, sarebbe per definizione non riconoscibile e quindi irrilevante, con la conseguenza che si dovrebbe sempre salvaguardare la tutela dell’affidamento della parte privata.

13.2. Altra tesi fatta propria in alcune sentenze della quarta sezione del Consiglio di Stato (cfr. in particolare, Cons. St., IV, 27.9.2017 n. 4515; Cons. St., IV, 12.6.2017 n. 2821), pur muovendo da analoga impostazione sulla natura paritetica del rapporto, giunge tuttavia a conclusioni opposte.

Si è osservato, infatti, che proprio perché si tratta di un rapporto di debito-credito di natura paritetica, soggetto a prescrizione decennale, la rettifica è sempre possibile sia in bonam che in malam partem, entro il limite della prescrizione del diritto reciproco delle parti alla correzione delle esatte somme dovute, perché per un verso il procedimento è svincolato dal rispetto delle condizioni legali di esercizio dell’autotutela amministrativa (in particolare, di quelle previste all’art. 21-novies l. n. 241 del 1990), per altro verso la rideterminazione del contributo dovuto secondo rigidi parametri regolamentari o tabellari non soltanto è possibile, ma costituisce atto dovuto, residuando altrimenti un indebito oggettivo, inammissibile nei rapporti di diritto amministrativo.

Più in particolare, nella sentenza n. 2821 del 2017 si afferma che, in sostanza, l’applicazione di una tariffa diversa da quella corretta altro non è che un errore di calcolo della tariffa, sicché vi sarebbe sempre spazio per la rettifica, purché si tratti della tariffa vigente all’epoca del rilascio del titolo edilizio (con esclusione quindi di ogni forma di applicazione di regimi tariffari in via retroattiva).

13.3. Entrambe le tesi muovono dal rilievo, ampiamente diffuso nella giurisprudenza amministrativa, secondo cui le controversie in tema di determinazione della misura dei contributi edilizi concernono l'accertamento di diritti soggettivi che traggono origine direttamente da fonti normative, per cui sono proponibili, a prescindere dall'impugnazione di provvedimenti dell'amministrazione, nel termine di prescrizione (Cons. St., sez. IV, 20 novembre 2012 n. 6033; Id., sez. V, 4 maggio 1992, n. 360); ribadiscono che si tratta di rapporto creditorio paritetico, ma pervengono, come detto, a conclusioni assai diversificate sul piano della tutela da apprestare alla parte privata che, come nella specie, abbia subito una rideterminazione in peius.

13.4. Una posizione diversa e innovativa rispetto ai riferiti orientamenti giurisprudenziali, quantomeno in ordine alla impostazione teorica delle questioni, si rinviene poi in altra sentenza della quarta sezione del Consiglio di Stato (cfr. Cons. St., IV, n. 5402 del 2016). Qui il rapporto nascente dalla determinazione del contributo (nel caso esaminato, di costruzione) è attratto nell’orbita del regime di diritto pubblico, in quanto qualificato prestazione patrimoniale imposta di carattere non tributario, con conseguente applicabilità, in astratto, delle regole dell’autotutela amministrativa. E tuttavia, sul piano della tutela dell’affidamento della parte privata rispetto ad una delibera di giunta comunale di rideterminazione del contributo di costruzione (sia pur di adeguamento alla soglia minima del 5% fissata dalla legge nazionale all’art. 16, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001), si afferma che le garanzie partecipative (in particolare, art. 10 bis l. 241 del 1990) devono essere pur sempre coordinate con le previsioni dell’art. 21-octies l. cit. e con le esigenze di finalizzazione del procedimento con l’applicazione della tariffa dovuta. Si richiama al proposito la giurisprudenza del Consiglio di Stato sul recupero di somme indebitamente corrisposte dalla amministrazione (Cons. St., V, n. 5863/2015), fattispecie che viene assimilata a quella di causa, relativa a somme dovute dal privato e non riscosse dall’ente comunale.

Al di là del contenuto negativo delle statuizioni sui singoli capi di domanda, la decisione si segnala per il cambio di passo rispetto ai precedenti arresti della medesima sezione in ordine all’inquadramento generale nei sensi anzidetti dell’istituto del contributo previsto dall’art. 16 cit.

13.5. In tale contesto, non potrebbe non farsi menzione di quanto affermato dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 24 del 2016. In tale decisione, resa sulla diversa questione della applicabilità delle sanzioni per ritardo nel pagamento dei contributi, pur in presenza di una polizza fideiussoria a garanzia del debito del contributo ammesso a dilazione, si è tra l’altro affermato – per quel che qui rileva – che il contributo dovuto dal privato in occasione del ritiro di un permesso di costruire, quale prestazione patrimoniale imposta funzionale a remunerare l’esecuzione di opere pubbliche, si colloca pacificamente nell’alveo dei rapporti di diritto pubblico.

Si è in particolare affermato che il contributo di costruzione dovuto dal soggetto che intraprenda un’iniziativa edificatoria rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione e ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario. Per tale motivo, le prestazioni da adempiere da parte dell’Amministrazione comunale e del privato intestatario del titolo edilizio non sono tra loro in posizione sinallagmatica, con la conseguenza che il soggetto obbligato è tenuto a corrispondere il contributo di costruzione nel rispetto dei termini stabiliti. Il suo mancato pagamento legittima quindi l’Amministrazione ad esercitare il suo potere - dovere in ordine all’applicazione di sanzioni pecuniarie crescenti in rapporto all’entità del ritardo (ai sensi dell’art. 42 d.P.R. n. 380 del 2001) e, in caso di persistenza dell’inadempimento, alla riscossione del contributo e delle sanzioni secondo le norme vigenti in materia di riscossione coattiva delle entrate.

In effetti, le conclusioni della Plenaria meritano condivisione, quantomeno se restano ferme le conclusioni sulla natura di prestazione patrimoniale imposta del contributo di che trattasi e sul suo carattere non sinallagmatico rispetto agli interventi di urbanizzazione che mettono capo all’ente pubblico, secondo un livello di programmazione temporale e qualitativo sul quale il privato non avrebbe titolo per interferire.

13.6. L’ascrizione all’alveo dei rapporti di diritto pubblico del contributo in questione imporrebbe quindi, in via consequenziale, l’applicazione del regime proprio dell’autotutela amministrativa all’attività di rideterminazione delle somme dovute a tal titolo dalla parte privata, quantomeno nei casi in cui non si tratti di por mano ad un semplice errore materiale di calcolo desumibile dagli atti del procedimento ovvero non si tratti di rideterminazione imposta dall’adozione di un nuovo provvedimento abilitativo edilizio, anche semplicemente per effetto della intervenuta decadenza temporale del primo (ma qui si resterebbe in ogni caso fuori dall’ambito dell’autotutela).

Se il Collegio potesse esprimere una preferenza rispetto alle suindicate opzioni ermeneutiche, osserverebbe che la soluzione da ultimo proposta, oltre a recuperare coerenza sul piano dogmatico con il sistema giuridico di riferimento, si rivelerebbe più appropriata anche in ordine al miglior grado di contemperamento delle esigenze pubblicistiche sottese alla corretta determinazione del contributo dovuto (e alla salvaguardia degli interessi erariali), anche in sede di emenda di precedenti errori di quantificazione, e le esigenze di tutela della parte privata riguardo all’affidamento riposto nella originaria determinazione dell’ente. A tale ultimo proposito, infatti, soccorrerebbero gli istituti posti a presidio delle garanzie partecipative previsti per l’attività amministrativa di secondo grado, oltre che naturalmente il rispetto delle stesse condizioni legali di legittimo esercizio dell’autotutela, avuto riguardo ai tempi, alle forme ed ai contenuti motivazionali dell’atto espressivo dello ius poenitendi (cfr., in particolare, artt. 21 quinquies, octies e novies della l. n. 241 del 1990).

14. Stante il contrasto giurisprudenziale in atto sulle suindicate questioni si richiede, ai sensi dell'art. 99, co. 1, c.p.a, l’intervento dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, cui vanno rimessi gli atti di causa, al fine della definizione delle seguenti questioni di diritto:

a) se la rideterminazione degli oneri concessori sia estrinsecazione di potere autoritativo da parte della amministrazione comunale, nell’ambito dell’autotutela pubblicistica soggetta ai presupposti e requisiti dell’art. 21-novies, l. n. 241/1990, ovvero sia espressione di una sua legittima facoltà, nell’ambito del rapporto paritetico di natura creditizia, conseguente al rilascio del titolo edilizio a carattere oneroso, sottoposto nelle sue forme di esercizio al termine prescrizionale ordinario;

b) ove dovesse prevalere la prima opzione interpretativa, se la rideterminazione dei suddetti oneri sia da ascrivere all’ambito dei rapporti di diritto pubblico quali che siano le ragioni che l’abbiano ispirata, ovvero solo nei casi in cui la stessa dipenda dalla applicazione di parametri o coefficienti determinativi diversi (originari o sopravvenuti) da quelli in precedenza applicati, con esclusione quindi dei casi di errore materiale di calcolo delle somme dovute sulla base dei medesimi parametri normativi;

c) in alternativa ed a prescindere dall’inquadramento giuridico della fattispecie secondo le richiamate categorie, e quale che sia la natura giuridica da riconnettere al provvedimento rideterminativo degli oneri concessori, se vi sia spazio, ed in quali limiti, perché possa trovare applicazione nella fattispecie in esame il principio del legittimo affidamento del privato, da ricostruire vuoi sulla base della disciplina pubblicistica dell’autotutela, vuoi su quella privatistica della lealtà e della buona fede nell’esecuzione delle prestazioni contrattuali, ovvero sulla base dei principi desumibili dai limiti posti dall’ordinamento civile per l’annullamento del contratto per errore o per altra causa.

15. Tutte le altre questioni che la causa pone e le spese di lite saranno definite con la sentenza definitiva.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, non definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe, ne dispone, previa loro riunione, il deferimento all'adunanza plenaria del Consiglio di Stato limitatamente al motivo degli appelli incidentali indicato in motivazione.

Riserva al definitivo le altre questioni e la pronuncia sulle spese.

Manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione dei fascicoli di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all'adunanza plenaria.

Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2018, con l'intervento dei magistrati:

Rosanna De Nictolis, Presidente

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore

Carlo Modica de Mohac, Consigliere

Giuseppe Verde, Consigliere

Maria Immordino, Consigliere

 

Guida alla lettura

La questione involge forme, condizioni e tempi attraverso cui un’amministrazione comunale può rideterminare (in malam partem) gli oneri concessori dovuti dal soggetto beneficiario di un titolo edilizio dopo che questi abbia già ritirato il provvedimento assentivo (e magari anche iniziato e completato i lavori) ed abbia avuto contezza in quella sede o, ancor prima, degli importi determinati dalla amministrazione quale contributo commisurato alla incidenza delle spese di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione: ed abbia, in definitiva, sulla base di quei dati, fatto affidamento su un determinato preventivo di spesa del programmato intervento edilizio.

La questione di carattere generale è se la rideterminazione degli oneri concessori sia attività sussumibile nell’autotutela amministrativa ovvero sia inquadrabile nell’ambito di un normale rapporto paritetico di debito-credito, come tale astretta alle regole ed ai rimedi di diritto comune[1].

Il punto di diritto in esame ha dato luogo a contrasti giurisprudenziali che possono sintetizzarsi in tre orientamenti.

Secondo una prima tesi, la determinazione del contributo darebbe luogo ad un rapporto paritetico che, seppur azionabile da ambo le parti nel rispetto del termine prescrizionale ordinario di dieci anni, si cristallizzerebbe nel quantum al momento del rilascio del titolo edilizio, nel senso che lo stesso non sarebbe suscettibile di modifiche successive (se non nei casi di manifesto errore di calcolo) in quanto, in applicazione dei principi desumibili dalla disciplina dei contratti, non darebbe mai luogo ad un errore riconoscibile (donde l’intangibilità pressoché assoluta della originaria determinazione amministrativa). Secondo tale approccio ermeneutico, non vi sarebbe ragione per l’applicazione dell’istituto dell’autotutela amministrativa per la eventuale rideterminazione del contributo (proprio perché il rapporto inter partes è di natura paritetica), né vi sarebbe spazio per una modifica successiva per errore perché questo, in quanto maturato nella sfera riservata dell’amministrazione, sarebbe per definizione non riconoscibile e quindi irrilevante, con la conseguenza che si dovrebbe sempre salvaguardare la tutela dell’affidamento della parte privata[2].

Altra tesi, pur muovendo da analoga impostazione sulla natura paritetica del rapporto, giunge tuttavia a conclusioni opposte.

Si è osservato, infatti, che proprio perché si tratta di un rapporto di debito-credito di natura paritetica, soggetto a prescrizione decennale, la rettifica è sempre possibile sia in bonam che in malam partem, entro il limite della prescrizione del diritto reciproco delle parti alla correzione delle esatte somme dovute, perché per un verso il procedimento è svincolato dal rispetto delle condizioni legali di esercizio dell’autotutela amministrativa (in particolare, di quelle previste all’art. 21-novies l. n. 241 del 1990), per altro verso la rideterminazione del contributo dovuto secondo rigidi parametri regolamentari o tabellari non soltanto è possibile, ma costituisce atto dovuto, residuando altrimenti un indebito oggettivo, inammissibile nei rapporti di diritto amministrativo[3].

Entrambe le tesi muovono dal rilievo, ampiamente diffuso nella giurisprudenza amministrativa, secondo cui le controversie in tema di determinazione della misura dei contributi edilizi concernono l'accertamento di diritti soggettivi che traggono origine direttamente da fonti normative, per cui sono proponibili, a prescindere dall'impugnazione di provvedimenti dell'amministrazione, nel termine di prescrizione (Cons. St., sez. IV, 20 novembre 2012, n. 6033; Id., sez. V, 4 maggio 1992, n. 360). Pur ribadendo che si tratta di rapporto creditorio paritetico, i due orientamenti pervengono a conclusioni assai diversificate sul piano della tutela da apprestare alla parte privata che, come nella specie, abbia subito una rideterminazione in peius.

La terza posizione, diversa e innovativa rispetto ai riferiti orientamenti giurisprudenziali, quantomeno in ordine alla impostazione teorica delle questioni, afferma che il rapporto nascente dalla determinazione del contributo (nel caso esaminato, di costruzione) è attratto nell’orbita del regime di diritto pubblico, in quanto qualificato prestazione patrimoniale imposta di carattere non tributario, con conseguente applicabilità, in astratto, delle regole dell’autotutela amministrativa. Tuttavia, sul piano della tutela dell’affidamento della parte privata rispetto ad una delibera di giunta comunale di rideterminazione del contributo di costruzione (sia pur di adeguamento alla soglia minima del 5% fissata dalla legge nazionale all’art. 16, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001), si afferma che le garanzie partecipative (in particolare, art. 10 bis l. 241 del 1990) devono essere pur sempre coordinate con le previsioni dell’art. 21-octies l. n. 241/1990 e con le esigenze di finalizzazione del procedimento con l’applicazione della tariffa dovuta. Si richiama al proposito la giurisprudenza del Consiglio di Stato sul recupero di somme indebitamente corrisposte dalla amministrazione (Cons. St., Sez. V, n. 5863/2015), fattispecie che viene assimilata a quella di causa, relativa a somme dovute dal privato e non riscosse dall’ente comunale[4].

Quest’ultima decisione rappresenta un cambio di passo rispetto ai precedenti arresti della medesima sezione in ordine all’inquadramento generale nei sensi anzidetti dell’istituto del contributo previsto dall’art. 16 cit.

Al riguardo il Collegio remittente richiama la sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 24 del 2016[5], secondo cui il contributo di che trattasi ha natura di prestazione patrimoniale imposta e ha carattere non sinallagmatico rispetto agli interventi di urbanizzazione che mettono capo all’ente pubblico.

L’ascrizione all’alveo dei rapporti di diritto pubblico del contributo in questione imporrebbe, in via conseguenziale, l’applicazione del regime proprio dell’autotutela amministrativa all’attività di rideterminazione delle somme dovute a tale titolo dalla parte privata, quantomeno nei casi in cui non si tratti di por mano ad un semplice errore materiale di calcolo desumibile dagli atti del procedimento ovvero non si tratti di rideterminazione imposta dall’adozione di un nuovo provvedimento abilitativo edilizio, anche semplicemente per effetto della intervenuta decadenza temporale del primo (ma qui si resterebbe in ogni caso fuori dall’ambito dell’autotutela).

Per il Collegio sarebbe preferibile la soluzione da ultimo proposta la quale, oltre a recuperare coerenza sul piano dogmatico con il sistema giuridico di riferimento, si rivelerebbe più appropriata anche in ordine al miglior grado di contemperamento delle esigenze pubblicistiche sottese alla corretta determinazione del contributo dovuto (e alla salvaguardia degli interessi erariali) e le esigenze di tutela della parte privata riguardo all’affidamento riposto nella originaria determinazione dell’ente. A tale ultimo proposito, infatti, soccorrerebbero gli istituti posti a presidio delle garanzie partecipative previsti per l’attività amministrativa di secondo grado, oltre che naturalmente il rispetto delle stesse condizioni legali di legittimo esercizio dell’autotutela, avuto riguardo ai tempi, alle forme ed ai contenuti motivazionali dell’atto espressivo dello ius poenitendi (cfr., in particolare, artt. 21 quinquiesocties e novies della l. n. 241 del 1990).


[1] In argomento A.L. Ferrario, G.A. Giuffrè, Art. 16, in M.A. Sandulli, Testo unico dell'edilizia, Milano, 2015, 438 e 440.

[2] Cons. G.A. Reg. Sic., 2 marzo 2007, n. 64; Id., 21 marzo 2007, n. 188; Id., 7 settembre 2007, 790.

[3] Cons. St., Sez. IV, 27 settembre 2017, n. 4515; Id., 12 giugno 2017, n. 2821. In particolare, in quest’ultima sentenza si afferma che l’applicazione di una tariffa diversa da quella corretta altro non è che un errore di calcolo della tariffa, sicché vi sarebbe sempre spazio per la rettifica, purché si tratti della tariffa vigente all’epoca del rilascio del titolo edilizio (con esclusione quindi di ogni forma di applicazione di regimi tariffari in via retroattiva).

Sulla natura non provvedimentale, v. anche: Cons. St., Sez. IV, 13 dicembre 2017,  n. 5874, secondo cui le controversie relative all'an e al quantum delle somme dovute a titolo di oblazione e di oneri concessori appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (un tempo ex artt. 16, l. n. 10 del 1977 e 35, comma 17, l. n. 47 del 1985, quindi ex art. 34, comma 1, d.lg. n. 80 del 1998, ed oggi in base all'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a.); esse riguardano infatti diritti soggettivi delle parti, rispetto ai quali non è configurabile il vizio di difetto di motivazione; in tale ambito di giurisdizione esclusiva gli atti di liquidazione sono privi di contenuto ed effetti provvedimentali. E ancora, Cons. St., Sez. IV, 27 settembre 2017, n. 4515: la pariteticità dell'atto con cui l'Amministrazione comunale determina la misura dei contributi edilizi e l'assenza di discrezionalità ne legittima, o addirittura ne impone, la revisione ove affetta da errore, con il solo limite della maturata prescrizione del credito; l'originaria determinazione può essere sempre rivisitata, ove la si assuma affetta da errore (e fermo restando la necessità che detta originaria erroneità della determinazione iniziale sussista effettivamente), e ciò sia laddove essa abbia indicato un importo inferiore al dovuto, che laddove abbia quantificato un importo superiore e, pertanto, non dovuto.

Circa la prescrizione decennale del diritto del Comune a riscuotere il contributo connesso agli oneri di urbanizzazione, decorrenti dal rilascio del titolo, v. Cons. St., Sez. V, 13 giugno 2003, n. 3332, in Foro amm.-C.d.S., 2003, 1891; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 21 febbraio 2013, n. 969; ovvero dal sessantesimo giorno successivo alla data di ultimazione delle opere T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. III, 6 giugno 2017, n. 1303, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Basilicata, Sez. I, 8 marzo 2013, n. 126, in Foro amm.-T.A.R., 2013, 992.

 

[4] Cons. St., Sez. IV, 21 dicembre 2016, n. 5402.

[5]La richiamata decisione, resa sulla diversa questione della applicabilità delle sanzioni per ritardo nel pagamento dei contributi, pur in presenza di una polizza fideiussoria a garanzia del debito del contributo ammesso a dilazione, ha tra l’altro affermato che il contributo dovuto dal privato in occasione del ritiro di un permesso di costruire, quale prestazione patrimoniale imposta funzionale a remunerare l’esecuzione di opere pubbliche, si colloca pacificamente nell’alveo dei rapporti di diritto pubblico.

Si è in particolare affermato che il contributo di costruzione dovuto dal soggetto che intraprenda un’iniziativa edificatoria rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione e ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario. Per tale motivo, le prestazioni da adempiere da parte dell’Amministrazione comunale e del privato intestatario del titolo edilizio non sono tra loro in posizione sinallagmatica, con la conseguenza che il soggetto obbligato è tenuto a corrispondere il contributo di costruzione nel rispetto dei termini stabiliti. Il suo mancato pagamento legittima quindi l’Amministrazione ad esercitare il suo potere - dovere in ordine all’applicazione di sanzioni pecuniarie crescenti in rapporto all’entità del ritardo (ai sensi dell’art. 42 d.P.R. n. 380 del 2001) e, in caso di persistenza dell’inadempimento, alla riscossione del contributo e delle sanzioni secondo le norme vigenti in materia di riscossione coattiva delle entrate.