L’introduzione del soccorso istruttorio ha segnato un passo decisivo nella storia dei procedimenti di gara ad evidenza pubblica, nella direzione del passaggio da una impostazione formalistica ad un diverso, più elastico approccio procedimentale.

Il mutamento di prospettiva trae linfa dalla chiara matrice comunitaria dell’istituto, che attinge alla cultura pratica, “sostanzialistica”, del diritto europeo, ispirato, prima ancora che ai principi della massimizzazione della concorrenza, a quello della prevalenza della sostanza sulla forma. L’applicazione di tale categoria del pensiero a plurime traduzioni legislative, peraltro in svariate materie, hanno consentito di penetrare anche in Italia il muro dei formalismi di cui si nutrono le procedure di evidenza pubblica, che separa le parti della contesa, fino a consentire una sostanziale interlocuzione tra stazione appaltante ed imprese partecipanti anche nella fase della presentazione e valutazione delle domande di partecipazione alle procedure di gara e di presentazione delle relative offerte tecniche, con sempre più ampie possibilità di integrazioni documentali. I limiti di tale “dialogo” tra le parti continuano tuttavia ad alimentare dibattiti dottrinali e un nutrito contenzioso giurisdizionale.

Il punto essenziale è che l’accennato discrimen, l’equilibrio tra opposti interessi, è difficilmente sussumibile in una prescrizione secca di legge. Di qui la domanda: fino a che punto può spingersi l’istituto? Quali sono i suoi confini? Detto in altri termini: quando il favor partecipationis incontra il limite della par condicio tra i partecipanti alla procedura concorsuale?

Trovare un momento di sintesi, di bilanciamento, tra questi due opposti interessi, meritevoli entrambi della massima tutela, è l’oggetto delle riflessioni che si espongono e per la cui completa comprensione occorre partire dall’analisi della genesi normativa dell’istituto, che consentono di meglio apprezzare gli slanci e gli squarci aperti da recente giurisprudenza.

L’ingresso del soccorso istruttorio nelle procedure di evidenza pubblica, per molto tempo costruite sulla base di schemi formalistici e ripetitivi di canoni ermeneutici tratti dalle norme del vecchio testo unico sulla contabilità di Stato, è certamente tardivo rispetto alla ventata di novità che già negli anni ’90 dello scorso secolo portò alla legge regolativa del procedimento amministrativo. Quest’ultimo diventava, come noto, per effetto della legge di riforma, un luogo “aperto” alle istanze dei destinatari dell’atto finale, riportato nelle mani di soggetti “responsabili” e disegnato sulla falsariga di un modello processuale, attraverso la valorizzazione della fase istruttoria e dei momenti di convergenza, incontro e composizione degli interessi pubblici con quelli dei privati, sia singoli che portatori degli interessi diffusi. Tali elementi di democrazia procedimentale - che con la legge 241 del 1990 irrompevano nell’agere della pubblica amministrazione, riconducendolo entro un unico grande binario procedimentale - non contaminavano tuttavia le procedure di evidenza pubblica, che restavano pur sempre imperniate nell’ottica unilaterale e formalistica della assoluta prevalenza dell’interesse pubblico; in essi la convergenza degli interessi di parte privata rivestiva un ruolo del tutto occasionale e privo di schemi di composizione e di modelli per così dire “partecipativi”. I venti comunitari (a partire dalla direttiva europea n. 71/305/CEE del 26 luglio 1971 fino alla Direttiva appalti 24/2014/U), le modifiche normative, la codificazione della materia, i ripetuti interventi giurisprudenziali e di aggiustamento normativo, hanno ricomposto la frattura tra iter procedimentale amministrativo e procedure di affidamento dei contratti pubblici, disegnando la liturgia della gara pubblica sulla falsa riga di un procedimento amministrativo, con tutte le relative conseguenze: dalla responsabilizzazione di un unico soggetto per tutte le fasi della procedura di gara (RUP) fino alla partecipazione emendativa e correttiva - rispetto alla decisione che sfocia nell’adozione dell’atto finale - del soggetto portatore dell’interesse privato, sulla scia dell’art. 6 della legge 241/90, che consente al responsabile del procedimento, nel segmento tipico della fase istruttoria, di utilizzare il meccanismo della “regolarizzazione” al fine di colmare lacune documentali, rettificare dichiarazioni o correggere errori.

Nella stessa maniera opera il soccorso istruttorio nelle procedure di conclusione dei contratti pubblici, istituto che consente di limitare le ipotesi di esclusione degli operatori economici dalle procedure di gara ai soli casi di carenze gravi e sostanziali dei requisiti per la partecipazione alla procedura di evidenza pubblica.

La disciplina dell’istituto, originariamente contenuta nel combinato disposto degli artt. 38, comma 2bis e 46, comma 1ter, del D.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 è attualmente cristallizzata nell’art. 83, comma 9, del D.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 con i correttivi introdotti dal D.lgs. n. 56 dell’aprile del 2017.

La conquistata gratuità del soccorso istruttorio è espressione del principio del favor partecipationis ma, anche, potrebbe dirsi - continuando nel parallelismo con la legge regolatrice del procedimento - del divieto di aggravamento dello stesso, in adesione all’idea di un’azione amministrativa coerente con gli obiettivi da raggiungere e tale da non comportare per il destinatario un sacrificio maggiore del necessario.

Le plurime modifiche normative non hanno intaccato il divieto, espressamente sancito e riprodotto nella più recente legislazione regolamentatrice, di applicare l’intervento emendativo alle carenze afferenti l’offerta tecnica ed economica; al di là di tale limite gli operatori economici sono legittimati ad integrare o regolarizzare qualsiasi elemento formale della domanda. Nonostante il decreto correttivo abbia eliminato la “incerta distinzione” tra irregolarità essenziali e non essenziali, sono considerate irregolarità essenziali, pertanto non sanabili, le carenze della documentazione che non consentono l’individuazione del contenuto o del soggetto responsabile dell’offerta tecnica ed economica.

A fronte di irregolarità insanabili si procederà all’immediata esclusione dell’operatore dalla gara. In presenza di irregolarità sanabili il responsabile unico del procedimento avvia la regolarizzazione assegnando all’operatore economico un termine non superiore a 10 giorni per procedere alle integrazioni, con testuale previsione di esclusione dalla procedura ove decorra infruttuosamente il termine assegnato per la regolarizzazione.

Certezza di termini, certezza di procedimento ma, ancora, incertezza dei confini applicativi dell’istituto.

Rimangono infatti ampi spazi interpretativi, penetrabili dall’interprete anche grazie alla mancata puntuale perimetrazione normativa delle fattispecie riconducibili al concetto di “irregolarità essenziale”, sicchè rimangono prive di una chiara definizione le lacune dell’offerta di carattere solo formale e le ipotesi, invece, di effettiva carenza sostanziale del requisito.

Una lettura rigorosamente letterale spinge comunque a fissare dei paletti: le irregolarità insanabili, sono quelle carenze concernenti l’offerta tecnica ed economica e, più genericamente, quelle attinenti la documentazione che non consentono l’individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa. “Sicché può fondatamente ritenersi che la nuova disciplina abbia esteso il novero delle fattispecie “regolarizzabili”, nell’intento di privilegiare gli aspetti sostanziali, rispetto agli adempimenti di natura formale, e tanto all’evidente scopo d’ampliare e favorire la partecipazione alle gare ad evidenza pubblica” (cfr T.A.R. Campania Sezione staccata di Salerno sentenza 31 gennaio 2017, n. 194).

Ancora, con riferimento al primo comma del riformulato art. 83, si rileva come la predetta “disposizione, collocata in calce al comma in commento, non può essere interpretata in maniera da contraddire la stentorea affermazione di principio introdotta ab initio, che, mediante l’uso della più ampia locuzione “qualunque”, intende senza dubbio configurare l’istituto quale rimedio generale a presidio della prevalenza della sostanza sulla forma nelle pubbliche gare” (cfr T.A.R. Campania Sezione staccata di Salerno, sentenza 16 gennaio 2017, n. 106).

Potrebbe osservarsi come l’istituto non sia utilizzabile per supplire a radicali omissioni dichiarative o colmare carenze sostanziali (ex multis e tra le più recenti, Tar Lazio- Sezione Terza Quater - sentenza 8 giugno 2017, n. 6791). Nessun allargamento o dilatazione ermeneutica dei suoi confini potrebbe infatti plausibilmente spingersi fino al punto da consentire la produzione, ex post, di documentazione essenziale per l’aggiudicazione della gara.

Al contrario, la regola basilare, da assumere quale premessa maggiore sembrerebbe essere la seguente: il soccorso istruttorio non può portare in soccorso ciò che non c’è.

Il limite è e resta l’offerta tecnica, che non può essere legittimamente integrata in elementi così essenziali da costituirne il nucleo sostanziale. La facoltà di emendare, precisare, chiarire, specificare – entro il cui perimetro semantico può legittimamente espandersi l’istituto del soccorso istruttorio - non può varcare tale area e non può dunque spingersi sul terreno della integrazione e del completamento di veri e propri “buchi” dell’offerta tecnica, come la carenza di documenti essenziali. Non si tratterebbe, in tal caso, di adminicula, ma delle colonne portanti dell’offerta tecnica, quindi di deficienza inemendabile. Inoltre la possibilità di ricorrere all’istituto solo entro limiti tassativi risponde al generale principio di “responsabilità” che deve guidare il concorrente nella formulazione e presentazione dell’offerta, facendogli assumere il rischio di eventuali errori.

Se si accede a questa prospettiva, coerente con un sistema di necessario bilanciamento tra valori e interessi da tutelare, rischiano di apparire eccessivamente dilatative dei confini dell’istituto alcune aperture giurisprudenziali, in particolare quelle relative al cosiddetto “soccorso istruttorio processuale” (cfr. sentenze nn. 975 e 976 del 2 marzo 2017 della III sezione del Consiglio di Stato). Nelle stesse si profila un intervento del Giudice di natura formalmente accertativa, ma sostanzialmente emendativo rispetto alla mancata obbligatoria attivazione del soccorso istruttorio da parte dalla stazione appaltante in procedure di gara già concluse ed aggiudicate.

Permane il rischio che in tal modo la gara pubblica si tramuti in una fattispecie a formazione progressiva, emendabile in ogni momento ed in ogni suo elemento, quand’anche essenziale, un puzzle da costruire nel tempo.