Cons. Stato, Sez. V, 21 agosto 2017, n. 4051

1) La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha affermato che l’inadempimento all’onere di dichiarare i fatti richiesti ai sensi dell’articolo 38, comma 1, lettera f) (con particolare riguardo alle inadempienze nell’esercizio dell’attività professionale) non è sanzionato di per sé, cioè per ragioni formali, ma solo se costituisce un effettivo e sostanziale ostacolo alla valutazione da parte della stazione appaltante.

 

1) Conf. Cons. Stato, Sez.V, 11 aprile 2016, n. 1412; 22 ottobre 2015, n. 4870.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9959 del 2016, proposto da

Ing. Armido Frezza s.r.l. in proprio e quale capogruppo mandataria di un R.T.I. con la con W. Frezza Costruzioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Matteo Mazzone e Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso lo studio Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2

contro

Delta Lavori s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni Bruno e Antonio Morgante, con domicilio eletto presso lo studio Giovanni Bruno in Roma, via Savoia 31, interno 2 (nuovo indirizzo)

nei confronti di

Gran Sasso Acqua s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Domenico Gentile e Adriano Cavina, con domicilio eletto presso lo studio Domenico Gentile in Roma, via Virginio Orsini, 19

per la riforma della sentenza del T.A.R. dell’Abruzzo, Sezione I, n. 793/2016

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Delta Lavori s.p.a. e della Gran Sasso Acqua s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 luglio 2017 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati angelo Clarizia, Matteo Mazzone, Giovanni Bruno e Domenico Gentile;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue

FATTO

Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo e recante il n. 9959/2016, la Delta Lavori s.p.a. impugnava l’aggiudicazione definitiva (disposta con determina dirigenziale adottata dalla Gran Sasso Acqua s.p.a., n. 16/2016) della procedura di gara aperta per l’affidamento della progettazione esecutiva e la realizzazione dei lavori di ricostruzione delle infrastrutture in ambito urbano centro storico dell’Aquila (in particolare, relativi al lotto n.1 nella località di Quarto San Pietro), in favore del R.T.I. costituendo fra la Armido Frezza s.r.l. e la Walter Frezza Costruzioni s.r.l..

La ricorrente in primo grado domandava, altresì, una volta dichiarata l’inefficacia del contratto eventualmente stipulato tra la stazione appaltante e il R.T.I. aggiudicatario, che le venisse riconosciuto il subentro nell’appalto. Infine, in subordine, domandava la condanna della Gran Sasso Acqua s.p.a. al risarcimento del danno per equivalente.

La sentenza impugnata ha accolto nel merito il ricorso principale e quello per motivi aggiunti, dopo aver rilevato che il progettista (la VAMS Ingegneria s.r.l.), indicato dal RTI aggiudicatario, non aveva dichiarato alla stazione appaltante, come invece disposto dall’articolo 38, lett. f), del decreto legislativo n. 163 del 2006, un grave errore professionale (ovvero un errore del progetto esecutivo) commesso nei confronti del Consorzio di bonifica 9 di Catania, riguardo ad un appalto di lavori di ristrutturazione e adeguamento funzionale Canale Cavazzini IV.

Pertanto, secondo la sentenza, una tale omissione comportava l’automatica esclusione del R.T.I. costituendo dalla procedura di gara.

In particolare, la sentenza ha ribadito la ratio della disposizione, di garantire l’affidabilità del contraente, per il quale sorge l’obbligo di comunicare alla stazione appaltante eventuali carenze o patologie anche afferenti a pregressi rapporti contrattuali, nonché di consentire proprio a quest’ultima di valutare il comportamento tenuto dall’operatore economico.

Ritenuti assorbiti gli ulteriori motivi di gravame, la sentenza ha accertato la legittimità dell’esclusione dalla procedura di gara del R.T.I. aggiudicatario nonché il subentro della ricorrente nell’appalto per omessa dichiarazione circa l’ errore professionale relativo ad un precedente rapporto con pubbliche amministrazioni, non rilevando che la valutazione di questo episodio fosse ancora sub iudice, essendo sufficiente l’avvenuto accertamento in sede amministrativa (articolo 38, lettere c), e) e g) del decreto legislativo n. 163 del 2006).

L’Ing. Armido Frezza s.r.l. propone appello dinanzi al Consiglio di Stato, domandando la riforma della sentenza.

L’appello si compone di quattro motivi, con i quali l’appellante si duole dell’illegittimità della sentenza, asserendo, in particolare, che avrebbe affermato l’“onnicomprensività della dichiarazione”, facendo, in tal modo, emergere il principio che tutte le imprese dovrebbero dichiarare “ogni e qualunque errore in cui esse siano incorse durante la propria attività professionale”, al fine di consentire alla stazione appaltante di svolgere ogni valutazione circa la gravità o meno dello stesso.

Inoltre, l’appellante aggiunge che, in base a dati di comune esperienza, è possibile che si commettano irregolarità o che vi siano parziali inadempimenti ad obbligazioni contrattuali, senza tuttavia che ciò sia sufficiente per qualificare un’impresa come inaffidabile ed escluderla dal novero dei possibili contraenti dell’amministrazione. In particolare, l’appellante afferma che non è stata accertata a proprio carico alcuna inadempienza considerabile “grave”, dal momento che non vi è stata nemmeno da parte del Consorzio catanese una risoluzione o rescissione del rapporto, tanto che lo stesso aveva dichiarato che tale irregolarità non andasse a pregiudicare la realizzazione o l’utilizzazione dell’opera.

Si è costituita in giudizio la Gran Sasso Acqua GSA s.p.a. la quale ha concluso nel senso dell’accoglimento dell’appello.

Si è altresì costituita in giudizio la Delta Lavori s.p.a. la quale ha invece concluso nel senso della reiezione dell’appello.

All’udienza pubblica del 6 luglio 2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dalla Ing. Armidio Frezza s.r.l., attiva nel settore delle costruzioni (la quale aveva partecipato alla gara indetta dalla Gran Sasso Acqua per l’affidamento di lavori acquedottistici nel centro storico de L’Aquila e si era classificata al primo posto) avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo che ha accolto il ricorso della seconda classificata e, per l’effetto, ha annullato l’aggiudicazione già disposta.

2. L’appello impone di esaminare in particolare due questioni:

i) se sia sussistente in capo alle concorrenti di pubbliche gare, in relazione al novero degli ‘errori professionali’ di cui all’articolo 38, comma 1, lettera f) del Codice dei contratti pubblici del 2006, un obbligo di “onnicomprensività della dichiarazione” (in base al quale il concorrente sarebbe onerato – e a pena di esclusione – di dichiarare qualunque inadempimento che abbia caratterizzato la propria vicenda professionale, al fine di consentire alla stazione appaltante la più consapevole valutazione in ordine alla rilevanza di tali precedenti);

ii) se costituisca un “errore grave nell’esercizio dell’attività professionale” ai sensi della detta disposizione il fatto che, nei confronti di un’impresa incaricata di attività di progettazione, sia stata disposta una variante progettuale ai sensi dell’articolo 132, comma 1, lettera e).

3. Al primo dei quesiti va fornita risposta negativa, dovendo escludersi che l’articolo 38, comma 1, lettera f) del decreto legislativo n. 163 del 2006 esprima un principio di ‘onnicomprensività della dichiarazione’, tale per cui il concorrente a una pubblica gara sarebbe tenuto a dichiarare qualunque circostanza che sia potenziale sintomo di inesatti adempimenti contrattuali, al fine di consentire alla stazione appaltante di valutare tali circostanza con la maggiore possibile ampiezza di strumenti conoscitivi.

Infatti, ai sensi della richiamata disposizione, sono esclusi dalle pubbliche gare e non possono essere affidatari di contratti pubblici, i soggetti “(…) f) che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante”.

La disposizione, ispirata ad evidenti ragioni di sicurezza giuridica e di affidabilità dei candidati contraenti, assegna alle stazioni appaltanti specifici poteri (peraltro non tipizzati nei loro precisi contorni) per accertare l’eventuale precedente commissione di ‘gravi errori professionali’ negli appalti pubblici; ma non impone ai concorrenti un obbligo, dai contorni lati e malcerti, di dichiarare qualsivoglia inadempimento contrattuale che potrebbe, anche solo astrattamente, concretare ipotesi di ‘grave errore professionale’.

La disposizione in esame presenta un significativo tratto distintivo – ad esempio – rispetto al comma 1, lettera c) e al comma 3 del medesimo articolo 38, i quali onerano i concorrenti di indicare in modo puntuale “tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione”.

La distinzione fra le due previsioni è giustificata se solo si consideri:

– che, nel caso delle condanne penali, il Codice del 2006 ha, tendenzialmente, fatto coincidere la soglia di rilevanza dichiarativa con quella di rilevanza penale (la quale è un parametro di riferimento certo, pur se di non pacifica omogeneità);

– che, al contrario, nel caso dei gravi errori professionali, il carattere di suo indeterminato della locuzione è di ostacolo a configurare un onere dichiarativo ad oggetto in realtà indeterminabile (essendo indeterminabile a priori è il novero delle inadempienze contrattuali – anche di minima entità – che possono verificarsi nel corso dell’ordinaria attività di impresa).

Se si accedesse a una così lata e insicura nozione di onere dichiarativo come quella individuata dall’appellata sentenza attraverso la formula della ‘onnicomprensività della dichiarazione’, e se si accedesse alla sua tesi per cui la violazione di tali oneri dichiarativi giustificherebbe ex se l’esclusione dalle gare, si perverrebbe a una situazione di inaccettabile incertezza e imprevedibilità del diritto, fonte di potenziale aporia di sistema e di danno all’economia del settore, per aver connesso la seria misura dell’esclusione a un novero di violazioni inammissibilmente ampio e potenzialmente indeterminato. Non vulnera il dovere di trasparenza e lealtà nel concorrere alle pubbliche gare – che è alla base della disposizione in esame – una ragionevole chiarezza nella perimetrazione dell’onere in questione, tale da permettere alle imprese che intendono parteciparvi di conoscere e rappresentarsi con sufficiente sicurezza le tipologie di precedenti che possono risultare di ostacolo alla loro affidabilità.

3.1. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha del resto affermato che l’inadempimento all’onere di dichiarare i fatti richiesti ai sensi dell’articolo 38, comma 1, lettera f) (con particolare riguardo alle inadempienze nell’esercizio dell’attività professionale) non è sanzionato di per sé, cioè per ragioni formali, ma solo se costituisce un effettivo e sostanziale ostacolo alla valutazione da parte della stazione appaltante (in tal senso: Cons. Stato, V, 22 ottobre 2015, n. 4870). Il che destituisce di fondamento la pretesa ‘onnicomprensività della dichiarazione’ su cui si fonda la sentenza appellata.

4. Passando all’esame del secondo dei richiamati quesiti (se, cioè, costituisca un “errore grave nell’esercizio dell’attività professionale” il fatto che, nei confronti di un’impresa incaricata di attività di progettazione, sia stata disposta una variante progettuale ai sensi dell’articolo 132, comma 1, lettera e) del Codice dei contratti pubblici del 2006) il Collegio ritiene sia da fornire risposta negativa.

In punto di fatto va osservato che, nell’esecuzione di un appalto di ristrutturazione e adeguamento funzionale del Canale Cavazzini (affidato alla VAMS Ingegneria dal Consorzio di Bonifica n. 9 di Catania), la stazione appaltante rilevò un errore progettuale che, “pur non pregiudicando in tutto o in parte la realizzazione dell’opera ovvero la sua utilizzazione”, era tuttavia tale da comportare un maggior esborso per l’amministrazione.

Pertanto il Consorzio di Bonifica avviò le procedure per l’approvazione di una perizia di variante suppletiva ai sensi dell’articolo 132 del Codice dei contratti pubblici del 2006 e nominò un perito per la stima del possibile danno arrecato all’ente (articolo 269, comma 7, del d.P.R. 207 del 2010).

4.1. L’articolo 132 del decreto legislativo n. 163 del 2006 fissa(va) una soglia differenziata in ordine alle conseguenze connesse a errori o omissioni del progetto esecutivo idonee a pregiudicare, in tutto o in parte, la realizzazione dell’opera ovvero la sua utilizzazione.

Infatti:

– se le variati fossero limitate entro il quinto dell’importo originario, la stazione appaltante si sarebbe limitata ad imputare al progettista le relative conseguenze economiche (articolo 132, comma 2)

– se, invece, invece, le varianti eccedessero il limitato limite quantitativo, la stazione appaltante avrebbe dovuto procedere alla risoluzione del contratto e all’indizione di una nuova gara (ivi, comma 4).

La scelta normativa fa ritenere che solo alla seconda tipologia di errori progettuali (e di conseguenti varianti) possa essere riconosciuto il carattere dell’effettiva ‘gravità’, con la conseguenza procedimentale più rigorosa per l’impresa.

Ma il carattere di gravità non può essere affermato per l’errore progettuale imputato alla VAMS Ingegneria: non solo il Consorzio di Bonifica n. 9 di Catania non aveva disposto la risoluzione del contratto, ma – per di più – la stessa stazione appaltante aveva riconosciuto che l’errore rilevato non pregiudicava affatto la realizzazione dell’opera o la sua utilizzazione (sicché, nel caso in esame, neppure era astrattamente ipotizzabile la risoluzione del contratto, contenuta dalla legge ai soli errori di maggiore gravità).

5. Per le ragioni esposte l’appello va accolto e conseguentemente, in riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso di primo grado.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado.

Condanna l’appellata alla rifusione delle spese di lite che liquida in complessivi euro 5.000 (cinquemila), oltre gli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

 

Guida alla lettura

 

Con sentenza del 21 agosto 2017 n. 4051, il Consiglio di Stato torna a pronunciarsi sulla natura della dichiarazione inerente i gravi errori professionali.

 

La questione muove dall’appello avverso una sentenza che ha ritenuto legittima l’esclusione di un RTI per omessa dichiarazione dell’errore professionale.

Si discute della “onnicomprensività della dichiarazione”; ossia se le imprese debbano dichiarare ogni e qualunque errore in cui siano incorse durante l’attività professionale.

Com’è noto, la ratio dell’art. 38, comma 1, lett. f) del D.Lgs. 163/2006 è quella di consentire alla stazione appaltante di valutare la rilevanza del comportamento tenuto dall’impresa partecipante nell’esercizio dell’attività professionale, ai fini del buon esito dell’appalto da affidare. Ne consegue che l’esclusione per le ipotesi del grave errore nell’esercizio dell’attività professionale di cui alla lett. f) del comma 1 dell’art. 38 non assume carattere sanzionatorio, inserendosi in un giudizio prognostico della corretta esecuzione dell’appalto. La fattispecie della dichiarazione “non veritiera” in quanto priva della doverosa menzione di eventi la cui valenza ostativa all’instaurazione di un rapporto contrattuale è riservata alla stazione appaltante rimane fuori dalla sanatoria introdotta dall’art. 38, comma 1 ter del D.Lgs. 163/2006, in quanto non v’è la mancanza o la carenza, bensì la diversa fattispecie di dichiarazione non veritiera, con le conseguenze previste dal codice dei contratti pubblici per l’ipotesi di falsa dichiarazione che resta confermata anche in vigenza della novella introdotta dal D.L. 90/2014.

Ad avviso del Supremo Consesso, ai sensi dell’articolo 38, l’impresa non è tenuta a dichiarare qualunque circostanza che sia potenziale sintomo di inesatti adempimenti contrattuali.

La norma, infatti, assegna alle stazioni appaltanti specifici poteri per accertare la precedente commissione di ‘gravi errori professionali’ negli appalti pubblici; ma non impone ai concorrenti l’obbligo di dichiarare qualsivoglia inadempimento contrattuale che potrebbe, anche solo astrattamente, concretare ipotesi di ‘grave errore professionale’.

La locuzione ‘gravi errori professionali’, invero, ha carattere indeterminato. Ciò implica l’impossibilità di configurare un onere dichiarativo con oggetto in realtà indeterminabile.

Se si accedesse alla tesi della ‘onnicomprensività della dichiarazione’, si avrebbe un’inaccettabile incertezza e imprevedibilità del diritto.

Va da sé, comunque, che le stazioni appaltanti dispongono di una sfera di discrezionalità nel valutare quanto eventuali precedenti professionali negativi incidano sull’affidabilità di chi aspira a essere affidataria di suoi contratti.

E’ agevole affermare, di conseguenza, che tale discrezionalità può essere esercitata solo se l’Amministrazione dispone di tutti gli elementi che consentono di formare compiutamente una volontà.

 Deve poi essere ulteriormente rilevato come tale valutazione sia di stretta spettanza della stazione appaltante, per cui non è ammissibile che la relativa valutazione sia eseguita, a monte, dalla concorrente la quale autonomamente giudichi irrilevanti i propri precedenti negativi, omettendo di segnalarli con la prescritta dichiarazione.

Sussisterà, quindi, l’obbligo del partecipante ad una pubblica gara di mettere a conoscenza la stazione appaltante delle vicende pregresse (negligenze ed errori) o fatti risolutivi occorsi in precedenti rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni.

Lo stesso discorso vale anche per le misure di self cleaning. Infatti non vi è dubbio che, anche in relazione alle clausole di esclusione di cui alla lettera c), comma 5, dell’art. 80 del D.Lgs. n. 50/2016, vige la regola secondo la quale la gravità dell’evento è ponderata dalla stazione appaltante, sicché l’operatore economico è tenuto a dichiarare situazioni ed eventi potenzialmente rilevanti ai fini del possesso dei requisiti di ordine generale di partecipazione alle procedure concorsuali ed a rimettersi alla valutazione della stazione, non essendo configurabile in capo all’impresa partecipante ad una gara alcun filtro valutativo o facoltà di scegliere i fatti da dichiarare e sussistendo, al contrario, l’obbligo della onnicomprensività della dichiarazione in modo da permettere alla Stazione appaltante di espletare con piena cognizione di causa le valutazioni di sua competenza.

Omettere circostanze pregresse può impedire, da un lato, una valutazione completa (falsando la percezione delle condizioni reali della ricorrente) sull’affidabilità e l’integrità morale del candidato e, d’altro lato, essere sintomatica di una condotta non trasparente e collaborativa dello stesso.