Cons. Stato, Sez. V^, Ordinanza 2 febbraio 2017, n.2324

1.         Il ricorso ex art. 112, comma 5, del cod. proc. amm., rubricato “richiesta di chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza”, deve ritenersi ammissibile ogniqualvolta sia utilizzato al fine di ottenere precisazioni e delucidazioni su punti del decisum ovvero sulle concrete e precise modalità di esecuzione in cui si riscontrino elementi di dubbio o di non immediata chiarezza, senza però poter introdurre con tale strumento alcuna doglianza volta a modificare e/o integrare le statuizioni rese e di cui si richiedono precisazioni e delucidazioni.

2. La penalità di mora è dovuta per ogni ritardo nell’esecuzione della sentenza che sia imputabile alla parte su cui incombe tale obbligo, e comunque impone al creditore di cooperare con il debitore per l’esecuzione della prestazione dovuta.

 

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero di registro generale 10296 del 2015, proposto da

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Luigi D'Ottavi, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;

contro

Real Fettuccina FC - Associazione Sportiva Dilettantistica, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Simone Ciccotti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Lucrezio Caro, n. 62; 
Due Ponti Società Sportiva Dilettantistica s.r.l., non costituita in giudizio; 

per l’esecuzione

della sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. V n. 06688/2011, resa tra le parti;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Real Fettuccina FC Associazione Sportiva Dilettantistica;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 2 febbraio 2017 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti gli avvocati Raimondo (in dichiarata delega di D'Ottavi) e Ciccotti;

F A T T O

1.- Con ricorso ai sensi dell’art. 112, comma 5, del cod. proc. amm. Roma Capitale ha chiesto chiarimenti in merito agli effetti ovvero la riforma della sentenza 20 dicembre 2011, n. 6688 di questo Consiglio di Stato, Sez. V, adottata in sede di ottemperanza alla sentenza della Sezione n. 1134 del 2009, relativamente all’applicazione della sanzione progressiva disposta ai sensi dell’art. 114, comma 4, lett. e), dello stesso cod. proc. amm.

In particolare l’Amministrazione ha chiesto: “- se le modalità di ottemperanza attuate dall’Amministrazione abbiano posto in essere condotte tali da giustificare l’applicazione aritmetica della penale, anche alla luce dell’assenza di ritardo o inadempimento imputabile alla stazione appaltante; - se l’applicazione pedissequa posta alla base dell’azione di esecuzione intrapresa dall’associazione, anche in assenza di alcuna rituale richiesta al giudice dell’ottemperanza, possa costituire abuso sostanziale o processuale del diritto, tenuto conto dell’adempimento manifestato dall’Amministrazione alla luce delle evidenze contabili e della dialettica tra le parti sostanziali; - se l’applicazione della penale progressiva per l’adempimento qualora superi il valore del pregiudizio medio tempore subito dall’aggiudicatario prima del “bene della vita” possa superare il valore della concessione; - se sussista violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza, collaborazione alla luce degli accadimenti rappresentati; - in subordine se sussistano gli estremi per disporre la riforma parziale della decisione di ottemperanza”.

2. - La vicenda contenziosa trae origine dal procedimento di gara indetto il 21 settembre 2005 e finalizzato all’individuazione del soggetto concessionario (per la ristrutturazione, ripristino funzionale e gestione) dell’impianto sportivo di proprietà comunale sito nel parco di Tor di Quinto. Il giudicato (sentenza n. 1134 del 2009) ha riconosciuto che l’affidamento dovesse essere effettuato in favore del raggruppamento avente come mandataria l’associazione Real Fettuccina; in sede di ottemperanza, con la sentenza n. 6688 del 2011, è stata disposta l’immediata consegna dell’area in favore del predetto raggruppamento e, oltre ad ordinare all’Amministrazione di adottare tutti i provvedimenti necessari a garantire alla Real Fettuccina l’effettiva disponibilità dell’area, è stata disposta, per il caso di inerzia e ritardo, l’applicazione di una penalità di mora progressiva (c.d. astreinte).

3. - Deduce Roma Capitale le difficoltà incontrate per provvedere, in esecuzione della sentenza, fin dal 2012, allo sgombero (da cose e persone) delle aree sottratte nel tempo alla disponibilità dell’Amministrazione, sia a causa della presenza di occupanti senza titolo, sia in ragione di edifici realizzati abusivamente e quindi da demolire. Allega di avere inutilmente proposto, in più occasioni, all’associazione sportiva un’immissione in possesso a fasi progressive, in connessione con la realizzazione delle complesse e numerose demolizioni. Aggiunge di avere formalizzato un’offerta transattiva per la somma di euro 675.000,00 per il pregiudizio arrecato al raggruppamento aggiudicatario e precisa che in data 28 luglio 2015 è stato sottoscritto il “verbale di ripresa in consegna e contestuale consegna dell’impianto sportivo”.

4. - Roma Capitale lamenta che il computo della penalità di mora, secondo una modalità progressiva, porti ad un risultato aberrante e manifestamente iniquo rispetto al valore del bene della vita tutelato (consistente nel conseguimento dell’impianto sportivo, il cui valore è stimato in euro 650.000,00), in violazione di quanto disposto dall’art. 114, comma 4, lett. e), del cod. proc. amm.

5. - Si è costituita in resistenza la Real Fettuccina F.C., associazione sportiva dilettantistica, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza nel merito del ricorso. In particolare, allega l’associazione di avere formalmente rinunciato ad ogni pretesa eccedente l’importo oggetto dell’esperito pignoramento presso terzi (pari ad euro 19.415.555,62) e poi di avere accettato, a stralcio, la minore somma di euro 15.000.000,00, in questa sede confermata, impegnandosi a destinare il settanta per cento della somma percipienda nella trasformazione e gestione dell’impianto. Eccepisce l’inammissibilità della domanda per carenza di riferibilità della fattispecie al disposto dell’art. 112, comma 5, del cod. proc. amm., il quale non consente un riesame del merito del dictum della sentenza ottemperanda ai fini della purgazione degli effetti della sanzione. Nel merito allega, tra l’altro, di non avere mai ricevuto proposte di pagamento parziale, ribadisce la proporzionalità della sanzione, concludendo anche per la trasmissione degli atti alla Procura della Corte dei Conti.

6. - Nella camera di consiglio del 2 febbraio 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

D I R I T TO

1.- Va anzitutto rilevato che con ordinanza 23 novembre 2016, n. 4915 questa Sezione ha disposto un incombente istruttorio chiedendo all’amministrazione comunale di fornire una puntuale relazione sul procedimento seguito per l’ottemperanza del giudicato e quindi per la consegna dell’impianto sportivo.

2. - L’adempimento istruttorio è stato eseguito con nota prot. n. QM/2016/61394 in data 12 dicembre 2016 da Roma Capitale, Dipartimento Sport e Politiche Giovanili, U.O. Gestione e Sviluppo Impiantistica Sportiva, dalla quale emerge, mediante una dettagliata relazione, l’indicazione che la consegna dell’immobile è risultata particolarmente difficile in ragione della presenza di numerose occupazioni senza titolo dell’area e dell’intervenuta realizzazione di manufatti abusivi, a fronte della richiesta della Real Fettuccina della consegna di un compendio immobiliare libero da persone e cose e totalmente bonificato.

Più precisamente, si evince che, a seguito della sentenza 20 dicembre 2011, n. 6688 emessa in sede di ottemperanza, nel maggio 2012 l’Amministrazione ha adottato gli atti di accertamento dello stato di fatto propedeutici allo sgombero, culminati nella determina dirigenziale n. 398 del 21 settembre 2012, avente ad oggetto “sgombero forzoso dell’impianto sportivo di proprietà capitolina sito in Roma, via di Tor di Quinto n. 57/b”, cui ha fatto seguito l’interlocuzione tra i vari organi (od articolazioni organizzative) dell’Amministrazione finalizzata all’esecuzione del provvedimento ed all’appostamento di somme a bilancio da impiegare a tale scopo. Nel maggio 2013 è stato affidato a Risorse per Roma s.p.a. l’incarico di eseguire le operazioni di sgombero, bonifica e sicurezza dell’impianto in questione, per un importo complessivo di euro 403.047,06. In data 4 dicembre 2014 ha avuto luogo lo sgombero parziale dell’area e tale attività di recupero di aree del compendio è proseguito per il primo semestre del 2015. Sul piano giuridico, con determina dirigenziale n. 130 in data 2 marzo 2015 sono state acquisite aree non più nella disponibilità dell’Amministrazione. Il 22 luglio 2015 è stato sottoscritto il disciplinare di concessione tra Roma Capitale e la Flaminio Real società sportiva dilettantistica a r.l., per una durata prevista di anni 33 (sino al 22 luglio 2048), contemplante la corresponsione di un canone sotto forma di servizio di manutenzione del verde; quindi in data 28 luglio 2015 l’intero complesso sportivo è stato consegnato alla Flaminio Real società sportiva, salva l’ulteriore attribuzione, il 27 maggio 2016, dell’area che era sottoposta a sequestro penale. Risale al 29 aprile 2015 l’offerta transattiva dell’Amministrazione per il ritardo nella consegna del bene, ammontante ad euro 675.000,00.

3. – Ciò premesso in punto di fatto, occorre esaminare innanzitutto l’eccezione di inammissibilità del ricorso in trattazione svolta dall’associazione resistente, la quale assume l’”improprietà” del rimedio della “richiesta di chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza”, di cui all’art. 112, comma 5, del cod. proc. amm. per perseguire una finalità pratica di purgazione degli effetti della penalità di mora.

L’eccezione, pur involgendo un profilo giuridicamente molto complesso ed opinabile, pur in assenza di precedenti giurisprudenziali, non risulta meritevole di condivisione.

3.1. La giurisprudenza (Ad. plen., 15 gennaio 2013, n. 2) ha avuto modo di rilevare che il ricorso ex art. 112, comma 5, del cod. proc. amm. non presenta caratteristiche che consentano di ricondurlo, in senso sostanziale, al novero delle azioni di ottemperanza, trattandosi di un ricorso che ha natura giuridica diversa tanto dall’azione finalizzata all’attuazione del comando giudiziale (art. 112, comma 2), quanto dall’azione esecutiva in senso stretto (art. 112, comma 3), e che presuppone dubbi od incertezze sull’esatta portata del comando giuridico oggetto dell’obbligo conformativo; né può essergli attribuita la natura di incidente di esecuzione ai sensi dell’art. 114, comma 7, ponendosi esso dal punto di vista logico-sistematico al di fuori del vero e proprio giudizio di ottemperanza (in termini Cons. Stato, V, 7 settembre 2015, n. 4141).

Tuttavia, con riferimento al caso di specie, occorre tenere conto della peculiarità della situazione in cui la dedotta esorbitanza/iniquità del calcolo della penalità di mora, costituentene un limite applicativo ai sensi dell’art. 114, comma 4, lett. e), non avrebbe altro strumento per essere tutelata, a parte la revocazione, nei limiti in cui sia ravvisabile un errore di fatto revocatorio (art. 395 n. 4 del cod. proc. civ.). Soluzione, questa, non coerente con il sistema, specie ove si consideri che l’irrogazione della penalità di mora è sottoposta a limiti nei presupposti e nella determinazione dell’importo (a questo secondo riguardo essendo comunque applicabili i parametri stabiliti dall’art. 614-bis del cod. proc. civ.).

3.2. – Deve pertanto, sotto un profilo logico e sistematico, ammettersi il rimedio della richiesta di chiarimenti nel suo contenuto proprio di strumento volto ad ottenere precisazioni e delucidazioni su punti del decisum ovvero sulle concrete e precise modalità di esecuzione, laddove si riscontrino elementi di dubbio o di non immediata chiarezza, senza che con ciò possano essere introdotte ragioni di doglianza volte a modificare e/o integrare il proprium delle statuizioni rese (in termini Cons. Stato, IV, 3 marzo 2015, n. 1036), nel caso di specie, con la sentenza di ottemperanza (ma lo stesso discorso potrebbe farsi con riguardo ad una sentenza di merito).

3.3. Alla stregua di ciò il presente ricorso deve essere dichiarato inammissibile nella sola parte in cui chiede, seppure in via subordinata, la riforma parziale (cioè in relazione alla determinazione delle modalità di operatività della penalità di mora) della sentenza n. 6688 del 2011.

4. – Ad avviso della Sezione nell’ambito della richiesta di chiarimenti al giudice rientra la domanda di interpretazione del dictum contenuto nella sentenza.

In questo caso si tratta di comprendere e definire la portata della penalità di mora che la sentenza n. 6688 del 2011 fa decorrere, per il caso di mancata esecuzione, dal trentunesimo giorno dalla notificazione o comunicazione della medesima, con le modalità di progressività della sanzione (nella misura base fissata in euro trecento al giorno) che cresce ogni quindici giorni del cinquanta per cento.

4.1. La sentenza reca l’ordine all’Amministrazione «di adottare tutti gli atti necessari a norma dell’avviso di gara ed i conseguenziali comportamenti finalizzati a garantire al ricorrente l’effettiva disponibilità dell’area in esame ai fini dell’esercizio delle attività oggetto della concessione alla stregua della lex specialis» (pag. 7) nel termine di trenta giorni dalla comunicazione e/o notificazione.

Ciò significa che la penalità di mora è dovuta per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della sentenza; la natura sanzionatoria della somma di denaro in questione, non controversa, e bene chiarita dalla stessa sentenza della cui interpretazione si controverte, presuppone che si tratti di un inadempimento parziale (ritardo) imputabile alla parte sulla quale incombe l’obbligo di dare ottemperanza della decisione.

4.2. In questa prospettiva la Sezione osserva che, come emerge dalla relazione di Roma Capitale del 12 dicembre 2016, il “ritardo imputabile” all’Amministrazione sia cessato non con l’adozione della determina dirigenziale n. 398 in data 21 settembre 2012, disponente lo sgombero forzoso, ma con il successivo affidamento dell’incarico per l’esecuzione delle operazioni di sgombero, bonifica e sicurezza dell’impianto sportivo alla Risorse per Roma s.p.a. con determinazione dirigenziale n. 148 del maggio 2013, e la prefissazione dell’avvio delle procedure di sgombero al 17 giugno 2013: invero con nota del 12 giugno 2013 è stata anche comunicata la contestuale consegna dell’impianto alla società aggiudicataria.

A tale conclusione si giunge nella ragionevole considerazione che in quel lasso temporale (12/17 giugno) non solo l’associazione sportiva ha ingiustificatamente ritenuto di non prendere in consegna il compendio fino al completamento dei lavori di recinzione e bonifica (come da comunicazione del 13 giugno 2013), pur essendo imposto dagli ordinari principi di buona fede al creditore di cooperare con il debitore per l’esecuzione della prestazione (salvo il caso dell’assoluta impossibilità ovvero dell’inutilità dell’adempimento parziale, circostanze di cui non è stata fornita alcuna prova e fermo restando che neppure vi sono elementi per ritenere che si trattasse effettivamente di un adempimento parziale), ma anche perché i successivi ostacoli alla consegna sono dipesi dalla necessità di provvedere su adempimenti che non si inseriscono in un rapporto ordinario di causalità (come ad esempio la necessità di fornire ospitalità a nuclei familiari presenti nella struttura, la necessità di riacquisire la disponibilità di aree di proprietà della Unipolsai Assicurazione, la necessità di gestire rapporti con l’Autorità giudiziaria sia in relazione al fatto che in prossimità del Teatro Tenda vi era una persona agli arresti domiciliari, sia in relazione al fatto che parte di detta area era interessata da un sequestro penale).

4.3. Si può dunque ritenere che alla data del 17 giugno 2013 sia cessato il “ritardo imputabile” all’Amministrazione nell’ottemperanza della sentenza e che dunque a quella data sia cessata anche la ratiogiustificativa della penalità di mora, statuita in sede di ottemperanza secondo il criterio di progressività sanzionatoria, con la conseguenza che essa è dovuta fino a tale data, e comunque, per evidenti esigenze di coerenza ed equità, per un importo non inferiore agli euro 675.000,00, oggetto dell’offerta transattiva di Roma Capitale.

5. - In conclusione, alla stregua di quanto esposto, la richiesta di chiarimenti deve essere accolta secondo quanto osservato, nel senso che la penalità di mora è dovuta, secondo le modalità fissate nella sentenza di questa Sezione n. 6688 del 2011, fino alla data del 17 giugno 2013.

Le spese della presente fase possono essere compensate in ragione della novità delle questioni.

Stante l’ammontare della somma dovuta a titolo di penalità di mora si dispone la trasmissione del presente provvedimento alla Corte dei Conti per quanto di competenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) accoglie l’istanza di chiarimenti ai sensi dell’art. 112, comma 5, del cod. proc. amm. nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.

 

Guida alla lettura

La decisione in commento ha chiarito la natura e portata del ricorso della richiesta di chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza della sentenza di condanna, questione che lo stesso Ecc.mo Consiglio di Stato ha rilevato involgere un profilo giuridicamente molto complesso.

In particolare con tale ricorso venivano richiesti chiarimenti in merito agli effetti della sentenza di condanna, al fine della purgazione degli effetti della penalità in mora. Ciò avuto riguardo al lasso di tempo trascorso tra l’aggiudicazione di una concessione di un impianto sportivo e la successiva consegna del medesimo ed a seguito dei 4 anni intercorsi tra la decisione che aveva ordinato l’ottemperanza e l’effettiva messa a disposizione del bene per difficoltà nello sgombero delle aree occupate abusivamente.

Dinanzi ad un’esecuzione civile azionata dal concessionario, tenuto conto del mero calcolo aritmetico evidenziato nella sentenza di ottemperanza, con sanzione progressiva in ragione dell’urgenza dell’adempimento, l’Amministrazione concedente ha formulato ricorso per richiesta di chiarimenti dinanzi al medesimo Consiglio di Stato come giudice dell’ottemperanza.

Il Collegio, nella fattispecie, ha dunque ricordato come la giurisprudenza ha già avuto modo di rilevare che tale ricorso non sia riconducibile né al novero delle azioni di ottemperanza né a quello dell’azione esecutiva in senso stretto, non avendo inoltre alcuna natura di incidente dell’esecuzione (come affermato tra l’altro dall’Adunanza Plenaria 15 gennaio 2013, n.2).

Tuttavia, è stato anche precisato, che al fine di configurare l’ammissibilità o meno dell’utilizzo di tale rimedio, occorra tener presente sia la peculiarità della situazione concreta, la quale non avrebbe altro strumento se non quello della richiesta di chiarimenti per rilevare la dedotta esorbitanza/iniquità del calcolo della penalità in mora, sia la ratio del rimedio sotto il profilo logico e sistematico, che prevede l’utilizzo della richiesta di chiarimenti ogniqualvolta vi siano dubbi o incertezze sul decisum della sentenza ovvero sulle concrete e precise modalità di esecuzione, al fine di ottenere le necessarie precisazioni e delucidazioni.

Conseguentemente, il ricorso è stato dichiarato dal Consiglio di Stato inammissibile solo nella parte in cui veniva richiesta, seppure in via subordinata, la riforma parziale della determinazione delle modalità di operatività della penale di mora mentre è stato accolto per quanto riguardava la richiesta di chiarimenti in relazione all’abnorme quantificazione operata in sede civile dal concessionario rispetto al principio di proporzionalità invocato dall’art. 112 c.p.a. in relazione alla sanzione progressiva.

Con riferimento al merito della richiesta di chiarimenti sulla portata della penalità di mora prevista dalla sentenza di condanna, il Collegio ha chiarito che la loro natura sanzionatoria presuppone che si tratti di un ritardo imputabile alla parte sulla quale incombe l’obbligo di eseguire quanto disposto dal giudice, ragione per cui è dovuta solo fino alla data in cui è attribuibile a tale soggetto il perdurare dell’inadempimento.

Inoltre è stato ricordato che nell’esecuzione di tale prestazione al creditore è sempre imposto l’obbligo di cooperare con il debitore secondo gli ordinari principi di buona fede e correttezza.

Per tali ragione il Consiglio di Stato ha accolto la richiesta di chiarimenti, rilevando che la penalità di mora è dovuta fino alla data del perdurante ritardo imputabile al debitore e non oltre a tale data.

Occorre sottolineare che il Consiglio, nell’affermare ciò, ha necessariamente richiamato le “evidenti esigenze di coerenza ed equità”, dichiarando che il quantum della penalità di mora non può essere inferiore all’offerta transattiva che era stata presentata dalla parte debitrice a ristoro del pregiudizio subito nel ritardo, ipotesi non accettata dal concessionario che aveva agito in sede civilistica per l’esecuzione della somma. A tale riguardo giova osservare che la sentenza di ottemperanza, lungi dal quantificare il quantum della prestazione, aveva solo indicato la modalità di accrescimento progressivo senza imporre un tetto massimo.

Proprio i succitati principi devono guidare l’applicazione di tale strumento di coazione indiretta: fine infatti della penalità di mora progressiva è quello di favorire una piena ed esaustiva tutela giurisdizionale, un rapido adeguamento della realtà fattuale alla statuizione contenuta nella sentenza di merito, e non quello di prestare una tutela risarcitoria al creditore, per la quale sono previsti strumenti ad hoc di diverso tenore.

La ratio dell’istituto in oggetto dovrebbe poi assumere una specifica connotazione in relazione alle condizioni in cui versa il debitore pubblico, caratterizzato dalle innegabili difficoltà nell’adempimento collegate a vincoli normativi e di bilancio, allo stato della finanza pubblica e alla rilevanza di specifici interessi pubblici che deve perseguire e rappresentare.

Tale constatazione è stata fatta propria ed esplicata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 15 del 2014, al chiaro fine di indirizzare il giudice amministrativo verso una corretta applicazione della penalità di mora : “si deve, infine, osservare che la considerazione delle peculiari condizioni del debitore pubblico, al pari dell’esigenza di evitare locupletazioni eccessive o sanzioni troppo afflittive, costituiscono fattori da valutare non ai fini di un’astratta inammissibilità della domanda relativa a inadempimenti pecuniari, ma in sede di verifica concreta della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura nonché al momento dell’esercizio del potere discrezionale di graduazione dell’importo. Non va sottaciuto che l’art. 114, comma 4, lett. e, c.p.a., proprio in considerazione della specialità, in questo caso favorevole, del debitore pubblico - con specifico riferimento alle difficoltà nell’adempimento collegate a vincoli normativi e di bilancio, allo stato della finanza pubblica e alla rilevanza di specifici interessi pubblici- ha aggiunto al limite negativo della manifesta iniquità, previsto nel codice di rito civile, quello, del tutto autonomo, della sussistenza di altre ragioni ostative. Ferma restando l’assenza di preclusioni astratte sul piano dell’ammissibilità, spetterà allora al giudice dell’ottemperanza, dotato di un ampio potere discrezionale sia in sede di scrutinio delle ricordate esimenti che in sede di determinazione dell’ammontare della sanzione, verificare se le circostanze addotte dal debitore pubblico assumano rilievo al fine di negare la sanzione o di mitigarne l’importo”.

Anche la giurisprudenza della Corte Europea ha sottolineato –  a fortiori, proprio in controversie in cui era parte lo Stato italiano - la peculiarità della condizione del debitore pubblico, se pur sotto l’aspetto temporale del termine per adempiere al dettame del giudice di merito, aspetto che però non può che essere ritenuto essenziale nella definizione del quantum di una penalità progressiva legata al protrarsi dell’inadempimento come quella disciplinata dall’articolo 112, comma 5 del codice del processo amministrativo. La Corte ha quindi rilevato – ritenendo che l’esecuzione della condanna relativa all’indennizzo de quo debba considerarsi inclusa nel termine complessivo del processo e dunque rilevare al fine della tutela al giusto processo  –    la necessità di assicurare al debitore pubblico un lasso di tempo tollerabile, se pur non superiore a sei mesi, per adempiere: “la Corte ricorda di avere già deliberato (vedi in primis, Cocchiarella c. Italia, citato sopra § 89 “La Corte può ammettere che un'amministrazione possa aver bisogno di un lasso di tempo prima di procedere ad un pagamento; comunque, trattandosi di un ricorso indennitario volto a rimediare le conseguenze dell'eccessiva durata dei procedimenti, tale lasso di tempo non dovrebbe in genere superare sei mesi a far data dal momento in cui la decisione di indennizzo diviene esecutiva.”) che se è plausibile che un’amministrazione possa necessitare di un certo lasso di tempo per procedere a un pagamento, cionondimeno, trattandosi di un ricorso per indennizzo teso a risarcire le conseguenze della durata eccessiva dei processi, tale lasso di tempo non dovrebbe superare generalmente sei mesi a partire dalla data in cui la decisione di risarcimento diventa esecutiva”, “ La Corte considera che alla luce della giurisprudenza nel merito (vedi Simaldone c. Italia di cui sopra, § 62), occorre definire la soglia superata la quale si prefigura una violazione dell’articolo 1 del Protocollo 1, in sei mesi a partire dal momento in cui la definizione della controversia diventa esecutiva” (decisione 21 dicembre 2010 Gaglione c. Italia).

In tal senso si era anche espressa la prima Sezione del Tar del Lazio, il quale con la sentenza n. 4940 del 29 aprile 2016 ha stabilito che il termine di centoventi giorni di cui all’art. 14, comma 1, D.L.  n. 669/1996, convertito dalla legge n. 30/1997, concesso alle Amministrazioni dello Stato e agli Enti pubblici non economici per eseguire i provvedimenti giurisdizionali che li obbligano al pagamento di somme di danaro, è applicabile non solo ai procedimenti di "esecuzione forzata", di cui alla testuale previsione normativa, ma anche al giudizio di ottemperanza innanzi al giudice amministrativo, e quindi, nel sostenere l’applicabilità dell’art. 14, comma 1, D.L. n.  669/1996 al giudizio di ottemperanza avverso sentenze di condanna pecuniaria, ha così chiarito come lo stesso possa utilmente esperirsi soltanto dopo l’infruttuoso decorso del termine di 120 giorni dalla notifica del titolo esecutivo. Dunque soltanto a partire da tale momento l’Amministrazione può ritenersi inadempiente rispetto a una sentenza recante la condanna al pagamento di una somma di danaro.

In conclusione, l’istituto introdotto di recente, secondo la lettura del giudice amministrativo, ha il pregevole intento e scopo di favorire una piena ed esaustiva tutela giurisdizionale, andando a reprimere il prostrarsi dell’inadempimento attraverso l’introduzione di una penalità in misura progressiva; tuttavia tale intento non può non tener conto, come chiarito dallo stesso giudice dell’ottemperanza, della realtà fattuale in cui deve operare e delle peculiari condizioni in cui può versare il debitore, in primis nel caso in cui si tratti del debitore pubblico, motivo per cui il giudice amministrativo, a cui la norma lascia una discrezionalità forse eccessiva, non può che orientarsi nella definizione di tale penalità di mora tenendo conto di ciò e dei principi di equità e coerenza. Ciò al fine di evitare una locupletazione del privato non proporzionale e non rispettosa della ratio legis.