Alcune considerazioni sul divieto di “gold plating"

Sommario. – 1. La disciplina del termine dilatorio tra aggiudicazione definitiva e stipula del contratto: la c.d. clausola di “stand still”. – 2. L’istituto dello stand still nel nuovo Codice degli appalti pubblici. – 3. Il divieto di gold plating. Definizione e disciplina. – 3.1. Il divieto di gold plating con riferimento alla scelta del Legislatore delegato di escludere la clausola di stand still per gli appalti sotto soglia comunitaria. - 3.2. Portata applicativa del divieto di gold plating: considerazioni alla luce del parere del Consiglio di Stato del 1 aprile 2016 n. 855. – 4. Considerazioni conclusive

 

  1. La disciplina del termine dilatorio tra aggiudicazione definitiva e stipula del contratto: la c.d. clausola di “stand still”.

Nell’ambito della contrattualistica pubblica, in particolare all’interno della procedura di affidamento, si configura la clausola c.d. di “stand still” che rappresenta lo strumento attraverso il quale si determina un impedimento temporaneo alla stipula del contratto di appalto conseguente all’ aggiudicazione definitiva.

In tale prospettiva, infatti, lo strumento ora menzionato garantisce la piena tutela giurisdizionale degli operatori economici coinvolti nella procedura di gara, onde evitare che le loro ragioni possano essere frustrate dalla stipula del contratto di appalto conseguente all’aggiudicazione ritenuta viziata.

L’origine di questo meccanismo sospensivo si rinviene nel diritto comunitario, che impone agli Stati membri dell’Unione Europea standard minimi di garanzia sostanziale e processuale.

In tale contesto, si inserisce la clausola di stand still che, lungi dal rappresentare un mero strumento di appesantimento del procedimento selettivo delle offerte, garantisce l’effettività della tutela in forma specifica normativamente riconosciuta al concorrente pretermesso.

La Direttiva ricorsi[i] prevede due diverse tipologie di meccanismi sospensivi.

Il primo meccanismo è quello propriamente detto di stand still (sostanziale) e prevede, appunto, l’applicazione di un termine dilatorio tra aggiudicazione definitiva e stipula del contratto, al fine di garantire al ricorrente la piena tutela delle proprie ragioni, laddove volesse proporre ricorso avverso l’aggiudicazione definitiva.

Il secondo rappresenta un effetto sostanzialmente automatico dell’avvenuta proposizione del ricorso (c. d. stand still processuale); il contratto di appalto, infatti, non potrà essere stipulato fintanto che non vi sia una decisione, cautelare o di merito, sul ricorso stesso.

In tale prospettiva, il Legislatore comunitario ha preferito predisporre rimedi di carattere preventivo, volti ad evitare la produzione degli effetti derivanti dalla stipula di un contratto conseguente ad una aggiudicazione viziata, piuttosto che rimedi successivi connessi alla risoluzione di problematiche molto più complesse.

Ai fini di una corretta individuazione dell’istituto in esame giova ricordare, seppur brevemente, il ruolo ricoperto dal giudice amministrativo nell’ambito della contrattualistica pubblica, con particolare riferimento ai poteri che gli vengono riconosciuti in relazione alla sorte del contratto.

La disciplina nazionale, infatti, consente al giudice amministrativo che annulla l’aggiudicazione di valutare l’opportunità di dichiarare o meno l’inefficacia del contratto, sulla base di una valutazione comparativa degli interessi in gioco.

In particolare l’art. 121 del Codice del processo amministrativo, al comma 2, sancisce che “il contratto resta efficace, anche in presenza delle violazioni di cui al comma 1 qualora venga accertato che il rispetto di esigenze imperative connesse ad un interesse generale imponga che i suoi effetti siano mantenuti [...]”. Ed ancora l’art. 122 c.p.a prescrive che “ fuori dei casi indicati dall’articolo 121, comma1, e dell’art. 123, comma 3, il giudice che annulla l’aggiudicazione definitiva stabilisce se dichiarare inefficace il contratto, fissandone la decorrenza, tenendo conto, in particolare, degli interessi delle parti, dell’effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello stato di esecuzione del contratto e della possibilità di subentrare nel contratto, nei casi in cui il vizio dell’aggiudicazione non comporti l’obbligo di rinnovare la gara e la domanda di subentrare sia stata proposta”.

Le norme sopra citate permettono di individuare le linee direttive seguite dal Legislatore.

Detto altrimenti, sulla base degli interessi e delle violazioni in atto, il giudice amministrativo deve operare un accertamento, di carattere più vincolato in un caso e di carattere più discrezionale nell’altro, al fine di valutare se mantenere in vita il contratto già stipulato.

Ed invero, nel caso delle violazioni di cui all’art. 121, co.1, c.p.a, che prevede la sopravvivenza del contratto solo in caso di accertamento di esigenze di carattere imperativo, l’attività del giudice è vincolata al riscontro di dette esigenze, che consentono la sopravvivenza del contratto stipulato.

Diversamente, al giudice amministrativo è riconosciuta molta discrezionalità laddove non si riscontrino le gravi violazioni di cui sopra. In questa seconda ipotesi, infatti, la giurisdizione sfiora il carattere del sindacato di merito, nell’ambito del quale il giudice è chiamato a decidere, sulla base di una valutazione comparativa degli interessi in gioco, quale sia preordinato rispetto agli altri, con conseguente statuizione circa l’opportunità di lasciare in vita o meno il contratto in questione.

Una così ampia discrezionalità porta con sé inevitabili conseguenze sul tema della tutela giurisdizionale del ricorrente non aggiudicatario.

 Va da sé, infatti, che anche laddove il giudice dovesse riscontrare l’illegittimità dell’aggiudicazione definitiva, potrebbe comunque ritenere più conveniente mantenere in vita il contratto già stipulato, escludendo definitivamente il rimedio della tutela specifica a favore del ricorrente.

Quest’ultimo, a questo punto, avrebbe diritto ad una tutela per equivalente, che, per quanto appagante, non sarebbe in grado di soddisfarlo allo stesso modo di un eventuale subentro nel contratto di appalto.

In caso di ricorso, pertanto, solo la mancata stipula del contratto è capace di preservare la pienezza della tutela del ricorrente.

 Al contrario, la stipula dello stesso, inevitabilmente, metterebbe il giudice di fronte a quel giudizio comparativo di interessi, che ben può tradursi nella decisione finale di lasciare in vita il contratto, ormai, già stipulato.

 Tale situazione ha indotto, prima il Legislatore comunitario, e poi quello nazionale, ad adottare un sistema preventivo quale quello dello stand still, volto proprio a garantire la pienezza e l’effettività della tutela giurisdizionale cui ha diritto il partecipante pretermesso.

L’impedimento temporaneo alla stipula del contratto, infatti, per il tempo in cui il ricorrente ha la possibilità di proporre ricorso avverso l’aggiudicazione, lascia impregiudicate le sue ragioni.

 

2. L’istituto dello stand still nel nuovo Codice degli appalti pubblici.

Il nuovo Codice degli appalti pubblici (D.lgs. 50/2016), di attuazione delle Direttive europee 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, è ispirato, tra le altre cose, a ragioni di semplificazione normativa, snellezza, flessibilità procedurale, valorizzazione della trasparenza e tutela degli interessi quali ambiente e lavoro.

In tale contesto si inserisce la disciplina dello stand still, che si configura nel nuovo Codice degli appalti sotto le due diverse forme (già analizzate) di stand still sostanziale e processuale.

Ed invero, l’art. 32, co 9 del D.lgs. 50 del 2016 prescrive che “il contratto non può comunque essere stipulato prima di trentacinque giorni dall’invio dell’ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione”. La norma ora in esame fa riferimento al c.d. stand still sostanziale e il termine di trentacinque giorni è stato coordinato con il termine di ricorso giurisdizionale di trenta, allo specifico fine di evitare la stipulazione del contratto in pendenza di giudizio.

All’interno di tale meccanismo, infatti, si inserisce il c.d. stand still processuale, che prevede un effetto sospensivo automatico di venti giorni dalla proposizione del ricorso con contestuale proposizione dell’istanza cautelare.

In tal senso l’art. 32, co.11, D.lgs. 50/2016 prescrive che “ se è proposto ricorso avverso l’aggiudicazione con contestuale domanda cautelare, il contratto non può essere stipulato, dal momento della notificazione dell’istanza cautelare alla stazione appaltante e per i successivi venti giorni, a condizione che entro tale termine intervenga almeno il provvedimento cautelare di primo grado o la pubblicazione del dispositivo della sentenza di primo grado in caso di decisione del merito all’udienza cautelare ovvero fino alla pronuncia di detti provvedimenti se successiva. […]”.

È opportuno sin da subito rilevare che l’istituto dello stand still non rappresenta una novità del nuovo Codice degli appalti pubblici, in considerazione del fatto che detto impedimento temporaneo alla stipula del contratto già era previsto dall’art. 11, co.10, del Decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163[ii].

La vera novità che in queste sede rileva analizzare è la previsione legislativa con cui si determina l’esclusione dell’applicazione del periodo dilatorio nel caso degli appalti sotto la soglia comunitariamente rilevante.

A tal proposito l’art. 32, co.10, lett. b) prescrive che “il termine dilatorio di cui al comma 9 non si applica nei seguenti casi: […] nel caso di affidamenti effettuati ai sensi dell’articolo 36, comma2, lettera a) e b)”[iii].

La norma stabilisce che, con riferimento agli affidamenti sotto soglia[iv], non sia necessario imporre il termine dilatorio dello stand still, non trattandosi di un onere comunitariamente “imposto”.

Ciò considerato, occorre analizzare le motivazioni che hanno spinto il Legislatore nazionale a non prevedere l’applicazione del temine in esame nel caso specifico degli appalti sotto soglia.

In altri termini, occorre soffermarsi sulle ragioni che hanno indotto il nostro Legislatore delegato a non adottare la clausola dello stand still, ove non comunitariamente imposta, alla luce del pedissequo rispetto dei criteri direttivi contenuti nella Legge delega.

Ciò posto, ai fini di una corretta individuazione della categoria in esame occorre far riferimento alla Legge delega 28 gennaio 2016, n.11.

Ed invero, l’art. 1 di detta legge stabilisce che, tra i vari criteri e principi direttivi cui il Legislatore delegato deve attenersi nell’attuazione delle Direttive europee sui contratti e le concessioni pubbliche, vi sia anche il c.d. divieto di “gold plating”.

 

 

3. Il divieto di gold plating. Definizione e disciplina.

Quando si parla di divieto di gold plating si fa riferimento al divieto rivolto allo Stato, che recepisce le Direttive europee, di introdurre o mantenere livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dal diritto europeo.

Infatti, in sede di recepimento delle norme europee, ci si riferisce al gold plating come a «quella tecnica che va al di là di quanto richiesto dalla normativa europea pur mantenendosi dentro la legalità. Gli Stati membri hanno ampia discrezionalità in sede di attuazione delle direttive comunitarie. Essi possono aumentare gli obblighi di comunicazione, aggiungere i requisiti procedurali, o applicare regimi sanzionatori più rigorosi. Se non è illegale, il gold plating è di solito presentata come una cattiva pratica, perché impone costi che avrebbero potuto essere evitati»[v].

Il Legislatore delegante, pertanto, prevede, al fine di recepire in maniera adeguata l’obiettivo di flessibilità e snellimento perseguito dalle Direttive europee, il divieto di introdurre oneri procedurali qualora non necessari.

Tuttavia, lo stesso rigore rinvenuto nel recepimento del diritto sovranazionale viene stemperato dallo stesso Legislatore delegante laddove ammette che, a livello nazionale, possa essere adottata una regolamentazione più esaustiva e completa al fine di tutelare principi costituzionalmente garantiti.

In tale prospettiva, infatti, anche il divieto di gold plating, previsto dall’art. 1, lett. a), della legge delega richiama la legge 28 novembre 2005, n. 246[vi], lascia il Legislatore nazionale libero di derogarvi, introducendo una regolamentazione più severa, a condizione che ne sia data adeguata motivazione nell’AIR (Analisi di Impatto della Regolazione), con indicazione dei fattori eccezionali che hanno indotto ad operare in tal senso.

Quanto premesso ci permette di comprendere lo stretto legame che intercorre tra il divieto di gold plating, previsto dal Legislatore delegante, e la scelta del Legislatore delegato di non prevedere il periodo di stand still negli appalti sotto soglia.

Lo stand still, infatti, prima facie, costituisce un aggravio della procedura selettiva, non comunitariamente imposto.

 

3.1. Il divieto di gold plating con riferimento alla scelta del Legislatore delegato di escludere la clausola di stand still per gli appalti sotto soglia comunitaria.

In base alle considerazioni svolte, si ritiene che il Legislatore delegato, al fine di evitare di incorrere in un eccesso di delega, abbia ritenuto necessario non introdurre regolamentazioni ulteriori rispetto a quelle comunitariamente imposte in riferimento alla clausola di stand still per gli appalti sotto soglia.

Se così interpretato, tuttavia, il divieto di gold plating non sembrerebbe ammettere alcun tipo di sindacato di merito volto a svelare le diverse finalità di volta in volta perseguite dal Legislatore nella predisposizione di determinati oneri procedurali.

A ben vedere la questione, analizzata in questi termini, si scontra inevitabilmente con il parimenti, se non preordinato, tema della tutela dei diritti costituzionali, tra cui sicuramente merita particolare attenzione il diritto ad una piena ed effettiva tutela giurisdizionale e il diritto di non discriminazione.

In sostanza, pare opportuno interrogarsi su quale sia la linea di confine tra oneri di regolamentazione procedurale fini a sé stessi, e oneri di regolamentazione funzionali a soddisfare primari valori costituzionali, dovendosi ritenere che, in questo secondo caso, il Legislatore nazionale non incontri limiti di alcun tipo.

Lo stesso Legislatore comunitario, inoltre, ha in più occasioni ricordato che il Legislatore nazionale è libero di introdurre regolamentazioni più stringenti, quindi obblighi ulteriori rispetto a quelli comunitariamente imposti, a tutela di valori particolarmente rilevanti, purché questo avvenga nel rispetto del principio di trasparenza, proporzionalità, adeguatezza e non discriminazione[vii].

Anzi, lo Stato, da questo punto di vista, si trova nelle migliori condizioni, conoscendo il contesto economico-sociale e territoriale di riferimento, per valutare quali siano gli oneri che riescano meglio a conciliare trasparenza e non discriminazione.

Ciò posto, anche in richiamo della predetta giurisprudenza comunitaria, si ritiene che, in specifiche ipotesi, obblighi ulteriori rispetto a quelli imposti dalle Direttive europee siano, non solo consentiti, ma auspicabili per garantire la piena tutela dei valori costituzionali.

Per ciò che concerne la mancata applicazione del termine dilatorio tra aggiudicazione definitiva e stipula del contratto negli appalti sotto soglia, se è vero che non si rientra nel campo di applicazione della Direttiva comunitaria (e quindi si potrebbe pensare che prevedere obblighi ulteriori violi il divieto di gold plating), non può non considerarsi la stretta connessione esistente tra l’istituto dello stand still e la tutela del diritto ad una piena ed effettiva tutela giurisdizionale e di non discriminazione.

Da questo punto di vista, infatti, il Legislatore non ha mai differenziato la tutela in questione a seconda che si tratti di un appalto sopra o sotto soglia comunitaria.

Al contrario, non ammettere l’applicazione della clausola di stand still, sembra avere l’effetto di introdurre una tutela giurisdizionale del ricorrente pretermesso differenziata a seconda che si tratti di appalti sotto soglia o sopra soglia, e questo non può non rappresentare una anomalia del sistema.

Inoltre, è opportuno sin da subito rilevare che il divieto di gold plating non è di derivazione comunitaria.

Le Direttive europee, infatti, accanto a disposizioni a recepimento vincolato, prevedono un livello di regolamentazione minima per gli Stati, fatta sempre salva la possibilità di introdurre livelli di regolamentazione ulteriore a tutela di interessi fondamentali.

Come si è innanzi accennato, inoltre, il divieto in questione, nella stessa Legge delega, non viene imposto in termini assolutistici, essendo ivi prevista, comunque, la possibilità per il Governo di derogarvi, dandone adeguata motivazione nell’AIR.

In sostanza, anche a voler ammettere che il divieto di gold plating sia riferibile a qualsiasi onere procedurale eccedente, rispetto a quelli imposti dal diritto sovranazionale, questo non si presenta quale assoluto e inderogabile.

Le considerazioni svolte, quindi, inducono a ritenere che il Legislatore ben avrebbe potuto prevedere il periodo di stand still anche per gli appalti sotto soglia, dandone adeguata motivazione.

 Aldilà delle considerazioni di cui sopra sulla natura derogabile o meno del divieto, sembra opportuno interrogarsi sulla vera portata applicativa dello stesso.

 

3.2. Portata applicativa del divieto di gold plating: considerazioni alla luce del parere del Consiglio di Stato del 1 aprile 2016 n. 855.

Si ritiene, infatti, che la questione sulla portata applicativa del divieto di gold plating, previsto dalla Legge delega, vada affrontata in maniera differente.

Lo stesso Consiglio di Stato nel parere n. 855, che è stato chiamato a rilasciare sullo schema del nuovo Codice degli appalti, ha evidenziato la necessità di contemperare la portata del divieto con la tutela dei valori fondamentali.

A parere del Consiglio di Stato, infatti, la norma in esame andrebbe preferibilmente interpretata nel senso di ritenere che il divieto faccia riferimento agli oneri di regolamentazione fini a sé stessi, di carattere burocratico e amministrativo. Questi ultimi, infatti, sarebbero in contrasto con le finalità di snellimento e maggior efficienza imposte dalle Direttive.

Al contrario, il divieto non avrebbe nulla a che vedere con quella regolamentazione finalizzata a garantire la salvaguardia di valori costituzionali.

Sembra ragionevole sostenere, dunque, che il divieto di gold plating limiti il Legislatore delegato nell’introduzione dei soli “oneri non necessari”[viii], perché sostanzialmente inutili e fini a sé stessi.

Lo stesso non può dirsi in riferimento a quegli oneri diretti a tutelare valori sovraordinati; se così non fosse, infatti, si determinerebbe un abbassamento del livello di tutela che ogni Stato deve garantire ai propri cittadini.

Ed invero, il raffronto tra tutela dei valori costituzionali, (quali la salute, l’ordine pubblico, la sicurezza, la pienezza della tutela giurisdizionale e non discriminazione) e tutela delle esigenze di semplificazione ed efficienza, non può che vedere quest’ultima recessiva rispetto alla prima.

 

 

4. Considerazioni conclusive.

Sulla scorta delle considerazioni svolte, sembra lecito ritenere che il divieto di gold plating, sancito dal Legislatore delegante, faccia riferimento alle regole meramente procedurali e fini a sé stesse. Il divieto in questione, infatti, non sembrerebbe avere nulla a che vedere con gli oneri di regolamentazione volti a tutelare i diritti fondamentali dell’ordinamento.

In particolare, non sempre la semplificazione può essere raggiunta con la riduzione delle regole o degli oneri, ma, sulla base del contesto nel quale ci si muove, può essere necessario introdurre nuove regolamentazioni quando finalizzate alla tutela di valori preordinati.

Si comprende, dunque, la necessità di svincolare il Legislatore delegato dal vincolo del divieto di gold plating nella predisposizione della clausola di stand still per gli appalti sotto soglia. Questa infatti persegue la tutela di valori fondamentali attraverso l’introduzione di regole procedurali (evidentemente non fini a sé stesse).

Ciò considerato, desta qualche perplessità la scelta del Legislatore delegato di non applicare il periodo dilatorio dello stand still agli appalti sotto soglia comunitaria.

La mancata previsione della clausola, infatti, genera una ingiustificata discriminazione in riferimento alla posizione del ricorrente pretermesso, a seconda che si tratti di un appalto sopra soglia o sotto soglia comunitaria.

La clausola di stand still, infatti, lungi dal rappresentare un mero appesantimento della procedura selettiva, persegue lo specifico obiettivo di garantire una piena tutela giurisdizionale e il rispetto del principio di non discriminazione.

La pienezza e l’effettività della tutela devono sempre essere considerati valori sovraordinati rispetto alla celerità e immediatezza del procedimento, e il divieto di gold plating, in linea con una interpretazione di sistema e costituzionalmente orientata, non può diventare lo strumento attraverso il quale eludere la tutela di valori fondamentali.

 

[i]“Fra le carenze constatate figura in particolare l’assenza di un termine che consenta un ricorso efficace tra la decisione d’aggiudicazione di un appalto e la stipula del relativo contratto. Ciò induce talvolta le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori desiderosi di rendere irreversibili le conseguenze di una decisione d’aggiudicazione contestata a procedere molto rapidamente alla firma del contratto. Per rimediare a questa carenza, che costituisce un serio ostacolo ad un’effettiva tutela giurisdizionale degli offerenti interessati, vale a dire coloro che non sono stati ancora definitivamente esclusi, è opportuno prevedere un termine sospensivo minimo, durante il quale la stipula del contratto in questione è sospesa, indipendentemente dal fatto che quest’ultima avvenga o meno al momento della firma del contratto.

Per la durata del termine sospensivo si dovrebbe tener conto dei diversi mezzi di comunicazione dell’aggiudicazione. Se si fa ricorso a mezzi di comunicazione rapidi può essere previsto un termine più breve che nel caso in cui ci si avvalga di altri mezzi di comunicazione. La presente direttiva prevede soltanto termini sospensivi minimi. Gli Stati membri sono liberi di introdurre o mantenere termini superiori al termine minimo”. Direttiva ricorsi 11 dicembre 2007 n. 66/CE.

[ii] In tal senso la norma prescrive che “Il contratto non può comunque essere stipulato prima di trentacinque giorni dall'invio dell'ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione definitiva ai sensi dell'articolo 79”.

[iii] Cfr. art. 11, co. 10 bis, lett. b), D. lgs. 12 aprile 2006 n. 163.

[iv] Art. 36, co.2, lett. a) e b), D.lgs. 50/2016. “Fermo restando quanto previsto dagli articoli 37 e 38 e salva la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie, le stazioni appaltanti procedono all'affidamento di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di cui all'articolo 35, secondo le seguenti modalità: a) per affidamenti di importo inferiore a 40.000 euro, mediante affidamento diretto, adeguatamente motivato o per i lavori in amministrazione diretta; b) per affidamenti di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro per i lavori, o alle soglie di cui all'articolo 35 per le forniture e i servizi, mediante procedura negoziata previa consultazione, ove esistenti, di almeno cinque operatori economici individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti. I lavori possono essere eseguiti anche in amministrazione diretta, fatto salvo l'acquisto e il noleggio di mezzi, per i quali si applica comunque la procedura negoziata previa consultazione di cui al periodo precedente. L'avviso sui risultati della procedura di affidamento, contiene l'indicazione anche dei soggetti invitati”.

[v] Sul tema, G. Bruzzone , M.Casella , R. Marzulli , Portata del divieto di gold plating, in Pajno A., Torchia L. (a cura di), La nuova disciplina dei contratti pubblici: le regole, i controlli, il processo.

[vi] Art. 1, co.1 , lett. a) della Legge 28 gennaio 2016, n. 11. “Il Governo è delegato ad adottare, entro il 18 aprile 2016, un decreto legislativo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, rispettivamente sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, di seguito denominato «decreto di recepimento delle direttive», nonché, entro il 31 luglio 2016, un decreto legislativo per il riordino complessivo della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di seguito denominato «decreto di riordino», ferma restando la facoltà per il Governo di adottare entro il 18 aprile 2016 un unico decreto legislativo per le materie di cui al presente alinea, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, e dei seguenti princìpi e criteri direttivi specifici, tenendo conto delle migliori pratiche adottate in altri Paesi dell’Unione europea:

a) divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive, come definiti dall’articolo 14, commi 24-ter e 24-quater, della legge 28 novembre 2005, n. 246”.

[vii] Corte di Giustizia UE: “va riconosciuto agli Stati membri un certo potere discrezionale nell’adozione delle misure destinate a garantire il rispetto del principio della parità di trattamento e dell’obbligo di trasparenza (…). Infatti, il singolo Stato membro è nella posizione migliore per individuare, alla luce di considerazioni di ordine storico, giuridico, economico o sociale che gli sono proprie, le situazioni favorevoli alla comparsa di comportamenti in grado di provocare violazioni del rispetto del principio e dell’obbligo summenzionati”.

[viii] Vedi parere del Consiglio di Stato del 1 aprile 2016 n. 855.