T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 11 gennaio 2017, n. 12

1. Illegittimità dell’ammissione alla gara d’appalto dell’impresa aggiudicataria - completamento del  servizio oggetto della procedura di gara -  conferma dell’efficacia del contratto - risarcimento dei danni per equivalente in favore della seconda classificata.

2.Annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione - risarcimento del danno nelle procedure d’appalto - non è una conseguenza automatica -  necessaria la positiva verifica di tutti i requisiti previsti ex art. 2043 c.c. :  1) lesione della situazione soggettiva tutelata, 2) la colpa dell’Amministrazione, 3) l’esistenza di un danno patrimoniale e 4) la sussistenza di un nesso causale tra l’illecito e il danno subito.

3.Responsabilità del danno conseguente ad annullamento giurisdizionale della procedura di gara - elemento soggettivo -  violazione grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tale da palesare la negligenza e l'imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato - errore scusabile per la sussistenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto -  esclusione della responsabilità.

4.Diritto comunitario - responsabilità extracontrattuale dello Stato - violazione grave e manifesta del diritto comunitario -  violazione anche quando lo Stato membro interessato dispone di un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto -  sussistenza.

5.Corte di Giustizia UE - risarcimento dei danni - riconoscimento del carattere colpevole della violazione della normativa sugli appalti pubblici – impossibilità per gli Stati membri.

6.Amministrazione aggiudicatrice - responsabilità per violazione del diritto comunitario - deve prescindere da qualsiasi forma di colpevolezza - anche di tipo oggettivo.

7.Pregiudizio risarcibile -  ricorso all’art.  1223 cod. civ.  -  danno emergente e lucro cessante - criterio del 10% del prezzo a base d’asta - presunto utile d’impresa - non può essere oggetto di applicazione automatica e indifferenziata -  prova  a carico dell’impresa della percentuale di utile effettivo - desumibile anche dall’esibizione dell’offerta economica presentata.

8. Lesione curriculare -  lesione come immagine e prestigio professionale - al di là dell’incremento degli specifici requisiti di qualificazione e di partecipazione alle singole gare - danno futuro - criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto.

9.Mancato utile - spetta nella misura integrale -  in caso di annullamento dell’aggiudicazione impugnata e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente - solo se si dimostra di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista della commessa - in assenza di allegazione probatoria - liquidazione nella misura del 5% cento dell’offerta.

 

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce - Sezione Seconda

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso r.g. n. 881 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
- xxx s.r.l., in proprio e quale capogruppo mandataria del costituendo raggruppamento avente quale mandante la società yyy  s.r.l., rappresentata e difesa dall’Avv. Marco Vozza, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Agnese Caprioli, in Lecce alla via Luigi Scarambone 56;

contro

- il Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce e presso la medesima per legge domiciliato;

nei confronti di

- zzz s.r.l., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Enrico Pellegrini e Alberto Maria Durante, con domicilio eletto presso lo studio dei difensori, in Lecce alla via Garibaldi 43;

per l’annullamento

- dello sconosciuto provvedimento di ammissione alla gara per l’affidamento del servizio prevalente eventualmente disposto dalla Stazione appaltante in favore della controinteressata Ecos s.r.l., mai notificato e/o comunicato in via amministrativa e/o pubblicato sul profilo del committente;

- dello sconosciuto provvedimento di aggiudicazione definitiva per l’affidamento del predetto servizio alla medesima controinteressata, mai notificato e/o comunicato in via amministrativa e/o pubblicato sul profilo del committente;

- dell’invito a presentare offerta per l’affidamento del servizio o, in ogni caso, in ogni sua parte di interesse;

- di tutte le schede tecniche allegate al predetto invito ad offrire e, in particolare, della scheda tecnica per il servizio, ove interpretato nel senso che il servizio di vigilanza armata notturna possa essere erogato in difetto di licenza prefettizia ex art. 134 R.D. 733/1933 e, in ogni caso, in ogni sua parte di interesse;

- dei dati generali di procedura, nella parte in cui dispongono la trasmissione, a carico dei concorrenti, dei documenti comprovanti il possesso dei requisiti di partecipazione, ivi compreso quelli per l’erogazione del servizio di guardiania notturna e, in ogni caso, in ogni sua parte di interesse;

- di tutti i verbali di gara redatti nell’espletamento della procedura di gara, mai comunicati e, in particolare, del processo verbale n. 117 del 26.4.2016, del p.v. n. 125 del 2.5.2016 e del p.v. n. 137 dell’11.5.2016, tutti conosciuti a seguito della nota Prot. M_D MSTANAVTA 0011124 del 30.5.2016;

- della richiesta di giustificazioni alla xxx s.r.l., effettuata via MEPA dalla Stazione appaltante nei soli estremi con la nota prot. M_D MSTANAVTA 0011124 del 30.5.2016;

- ove necessario, e per quanto di interesse:

- dell’elenco delle superfici e frequenze del servizio di pulizia per il periodo giugno-settembre 2016;

- della scheda tecnica per l’erogazione del servizio di salvamento nuoto;

- della scheda tecnica per l’erogazione del servizio bar/paninoteca/pizzeria;

- dell’annesso 1 all’invito a presentare offerta;

- dell’annesso 2 all’invito a presentare offerta;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale;

- nonché, per il conseguimento dell’aggiudicazione, con ogni consequenziale effetto;

- e per la declaratoria d’inefficacia dell’eventuale contratto d’appalto stipulato medio tempore con la xxx s.r.l., in ogni caso chiedendo sin d’ora di conseguire l’aggiudicazione e/o subentrare nell’affidamento o, gradatamente, il risarcimento per equivalente.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati.

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e di xxx s.r.l..

Visti gli atti della causa.

Visti gli artt. 74 e 120 c.p.a..

Relatore all’udienza pubblica del 19 ottobre 2016 il Cons. Ettore Manca e uditi gli Avv.ti Vozza, Roberti -per la p.a. - e Meneleo -in sostituzione degli Avv.ti Pellegrini e Durante.

Osservato quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.- Richiamata l’ordinanza n. 334/2016 di questa Sezione, del seguente tenore:

- <<Premesso che:

- la ricorrente partecipava alla procedura indetta dalla Marina Militare/Comando Stazione Navale di Taranto per l’affidamento del servizio “di pulizia (servizio prevalente), assistenza bagnanti, cooperazione nelle attività gestionali dello stabilimento e gestione del servizio bar/paninoteca/pizzeria per lo stabilimento elioterapico Sottufficiali e Graduati di San Vito (Ta) nel periodo presunto di apertura dalla prima decade di giugno alla seconda decade di settembre, oltre al periodo di approntamento e disapprontamento”;

- la lex specialis della procedura prevedeva, tra i servizi secondari richiesti, quello di guardiania, indicando orari e precise modalità di svolgimento (deve precisarsi che l’Amministrazione faceva ricorso a una procedura negoziata senza bando, a seguito di precedente procedura rimasta senza offerte);

- la ricorrente si collocava al secondo posto della graduatoria, dietro la ditta xxx s.r.l.;

- essa contesta, con il presente ricorso, l’ammissione alla gara della predetta xxx s.r.l. -e poi tutti gli atti alla stessa conseguenti, tra cui l’aggiudicazione della gara medesima-, fondamentalmente perché priva dei requisiti per svolgere il servizio di guardiania, e, inoltre, per l’assenza di alcuni requisiti di qualificazione, l’assenza della licenza di somministrazione di alimenti e bevande e l’anomalia dell’offerta;

- la contro-interessata si difende osservando che tali requisiti, relativi a servizi diversi da quello principale, non erano richiesti dalla lettera d’invito, e, inoltre allegando una serie di elementi a conferma della congruità della propria offerta.

Osservato, in via generale, che il prescelto sistema di scelta del contraente, “rappresenta un’eccezione al principio generale della pubblicità e della massima concorsualità tipica della procedura aperta. […] il Collegio […] richiama l’orientamento della giurisprudenza secondo cui nell’ambito della procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara la stazione appaltante può, senza modificare in modo sostanziale le condizioni del contratto, negoziare alcuni aspetti con gli interessati per ottenere offerte più appropriate. In tal senso, si ritiene che i margini di discrezionalità della stazione appaltante sono sensibilmente maggiori rispetto a quelli previsti per le altre procedure selettive, con attenuazione dei principi della predeterminazione dei criteri di massima e della par condicio giustificata dalla maggiore flessibilità della procedura e comunque da una parità di trattamento da rispettare con l’applicazione di quanto indicato nella lettera d’invito (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3999; idem, 8 marzo 2010, n. 1305; Tar Piemonte, sez. II, n. 1273 del 2004) >> (T.A.R. Lazio Roma, II, 23 giugno 2015, n. 8580).

Considerato che:

- l’intenzione, da parte del difensore della zzz s.r.l., di proporre ricorso incidentale, precludeva al Collegio di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a.;

- nel bilanciamento degli opposti interessi appaiono in questa fase cautelare prevalenti, ormai iniziata la stagione estiva, le generali esigenze connesse a una pronta esecuzione del contratto (di brevissima durata), potendo l’aspettativa della ricorrente trovare eventuale tutela in sede risarcitoria>> (T.A.R. Puglia Lecce, II, ordinanza n. 334 del 30 giugno 2016).

2.- Ritenuto che il ricorso è inammissibile nella parte in cui xxx agisce quale capogruppo del costituendo raggruppamento con yyy s.r.l., in assenza di un mandato con rappresentanza processuale e in aderenza ai principi espressi in argomento da Consiglio di Stato, Sezione III, 14 gennaio 2014, n. 102 (v. anche T.A.R. Piemonte, I, 24 aprile 2009, n. 1140, secondo cui <<sin che l’ATI non venga costituita, una cosa è dire (come da pacifica giurisprudenza) che anche le singole potenziali mandanti individualmente considerate possono tutelare le loro ragioni relativamente alla procedura in cui è stata formulata l’offerta dell’ATI costituenda, altra è dire che la ‘futura’ mandataria possa agire in giudizio anche per conto delle mandanti prima che il mandato sia rilasciato, attribuendole così la rappresentanza attuale ed immediata di un modulo organizzatorio che non si è concretizzato per libera scelta delle parti, e dunque in mancanza tanto di mandato che di specifica previsione normativa che le attribuisca una rappresentanza legale>>).

3.- Ritenuto inoltre, a un compiuto esame della causa, che il primo -e assorbente- motivo di censura è fondato e dev’essere accolto, nei sensi che seguono:

a) la procedura in oggetto concerneva l’affidamento del servizio “di pulizia (servizio prevalente), assistenza bagnanti, cooperazione nelle attività gestionali dello stabilimento e gestione del servizio bar/paninoteca/pizzeria per lo stabilimento elioterapico Sottufficiali e Graduati di San Vito (Ta) nel periodo presunto di apertura dalla prima decade di giugno alla seconda decade di settembre, oltre al periodo di approntamento e disapprontamento”.

b) l’art. 2 del Bando di gara prescriveva che “I servizi di pulizia, assistenza bagnanti, cooperazione nelle attività gestionali e gestione del servizio bar/paninoteca dovranno essere svolti secondo le modalità di dettaglio previste…da schede tecniche che si allegano”.

c) quanto al “Servizio di cooperazione nelle attività gestionali dello stabilimento” la scheda tecnica prevedeva, tra l’altro, il servizio di guardiania notturna, richiedendo che lo stesso fosse svolto nella fascia oraria 19.00 - 07.00 per tutti i giorni della settimana e che il personale adibitovi fosse “munito di regolari autorizzazioni per lo svolgimento dei servizi di vigilanza di cui al D.P.R. 4 agosto 2008, n. 153”; e, inoltre, ponendo una serie di specifiche prescrizioni (“Il servizio dovrà essere svolto da personale all’uopo incaricato, in divisa e armato. Dovrà essere altresì previsto il collegamento con una centrale operativa attiva 24 ore su 24. Il personale addetto al servizio guardiania dovrà risultare…regolarmente assunto e assicurato secondo le vigenti leggi in materia per il periodo in cui il servizio dovrà essere effettuato”).

d) la zzz s.r.l., poi risultata aggiudicataria, concorreva singolarmente.

e) essa tuttavia, ‘pacificamente’, non risultava in possesso dei requisiti autorizzatori, oltre che economico-strutturali, per svolgere il richiesto servizio di vigilanza armata e custodia di beni per conto terzi: per tale ragione, dunque, non poteva, singolarmente, partecipare alla procedura di gara (mentre le era consentita la partecipazione in raggruppamento, insieme a soggetto qualificato rispetto al servizio in parola).

f) né la conclusione appena enunciata può reputarsi superabile per aver la zzz s.r.l. poi fornito il ‘nominativo’ dell’impresa che avrebbe dovuto svolgere il servizio di guardiania notturna: tale indicazione difatti interveniva, su richiesta della stessa Commissione, dopo la scadenza del termine di presentazione delle offerte -e, anzi, successivamente allo stesso esame delle medesime- e in sede di verifica della loro anomalia/congruità, sicché non poteva valere a costituire, tardivamente, un raggruppamento di imprese (mancava, in ogni caso, una sottoscrizione dell’intera offerta da parte della ditta indicata da Ecos), né a dar vita, altrettanto tardivamente, a un contratto di subappalto (peraltro vietato dall’art. 18 del Bando di gara) o di avvalimento, i quali avrebbero richiesto un’espressa indicazione in tal senso -con corrispondente assunzione di impegno nei confronti della stazione appaltante- in sede di offerta.

g) a ciò deve aggiungersi che il contratto stipulato tra la zzz s.r.l. e il Consorzio P.M. aveva a oggetto un mero “servizio di portierato”, ben diverso dunque da quello di guardiania notturna, da affidare a personale in divisa e armato, previsto dalla lettera d’invito.

4.- Ritenuta, dunque, l’illegittimità dell’ammissione alla gara della zzz s.r.l..

4.1 Ritenuto tuttavia che, ormai completato, al termine della stagione balneare 2016, il servizio oggetto della procedura, deve confermarsi l’efficacia del contratto e valutarsi la domanda di risarcimento dei danni per equivalente pure avanzata dalla società xxx s.r.l..

5.- Osservato, sul punto, che: <<Per quanto riguarda il risarcimento del danno, in giurisprudenza si specifica tradizionalmente che esso non è una conseguenza automatica dell’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione, richiedendosi la positiva verifica di tutti i requisiti previsti, e cioè la lesione della situazione soggettiva tutelata, la colpa dell’Amministrazione, l’esistenza di un danno patrimoniale e la sussistenza di un nesso causale tra l’illecito e il danno subito (cfr., ex multis, Cons. St., V, 28 maggio 2004 n. 3465).

Vale a dire che in caso di domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti di una pubblica Amministrazione, al fine di stabilire se la fattispecie concreta integri una ipotesi di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., si è sempre affermato che il giudice deve procedere, in ordine successivo, a svolgere le seguenti indagini: a) accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) stabilire se il danno accertato sia qualificabile come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’Ordinamento, tale essendo l’interesse indifferentemente tutelato nelle forme del diritto soggettivo, dell’interesse legittimo e dell’interesse di altro tipo, pur se non immediato oggetto di tutela in quanto preso in considerazione dall’Ordinamento a fini diversi da quelli risarcitori; c) accertare sotto il profilo causale, facendo applicazione dei noti criteri generali, se l’evento dannoso sia riferibile a una condotta dell’Amministrazione; d) stabilire se l’evento dannoso sia riferibile a dolo o colpa dell’Amministrazione.

Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, in particolare, in precedenza la giurisprudenza sosteneva che ai fini della risarcibilità del danno ingiusto causato dall’Amministrazione al privato -a seguito di un atto amministrativo dichiarato illegittimo- la presenza dell’elemento soggettivo della colpa, ai fini dell’imputabilità, fosse di per sé ravvisabile nell’accertata illegittimità del provvedimento (cfr., ex multis, Cass. civ., III, 9 giugno 1995 n. 6542); e anzi che il risarcimento del danno conseguente all’illegittimità dell’atto spettasse a prescindere dall’indagine sulla colpa dell’Amministrazione (cfr., ex multis, Cass. civ., sez. un., 22 ottobre 1984 n. 5361).

La Cassazione Civile, con la sentenza delle Sezioni Unite, del 22 luglio 1999, n. 500, ha modificato il precedente tradizionale orientamento, affermando che non è più invocabile il principio secondo il quale la colpa della struttura pubblica sarebbe in re ipsa nel caso di esecuzione volontaria di atto amministrativo illegittimo (cfr. anche Cass., I, 22 febbraio 2008 n. 4539), poiché tale principio, enunciato dalla giurisprudenza con riferimento all’ipotesi di attività illecita, per lesione di un diritto soggettivo, secondo la tradizionale interpretazione dell’art. 2043 c.c., non è conciliabile con la lettura di tale disposizione svincolata dalla lesione di un diritto soggettivo; e l’imputazione non può quindi avvenire sulla base del mero dato obiettivo della illegittimità dell’azione amministrativa, ma il giudice deve svolgere una più penetrante indagine, non limitata al solo accertamento dell’illegittimità del provvedimento in relazione alla normativa ad esso applicabile, bensì estesa anche alla valutazione della colpa, non del funzionario agente (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia), ma della P.A. intesa come apparato, che sarà configurabile nel caso in cui l’adozione e l’esecuzione dell’atto illegittimo (lesivo dell’interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi, e che il giudice può valutare, in quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalità.

Una nozione oggettiva, cioè, che tenga conto dei vizi che inficiano il provvedimento, nonché, in linea con le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, della gravità della violazione commessa dall’Amministrazione, anche alla luce dell’ampiezza delle valutazioni discrezionali a essa rimesse, dei precedenti giurisprudenziali, delle condizioni concrete e dell’apporto dato dai privati nel procedimento.

Pertanto, si è precisato che la responsabilità vada affermata quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tale da palesare la negligenza e l'imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato, e che viceversa vada negata quando l’indagine conduca al riconoscimento di un errore scusabile, per la sussistenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (cfr., ex multis, Cons. St., V, 13 aprile 2010 n. 2029).

Tale nozione della colpa di tipo oggettivo, del resto, derivava dal recepimento di analogo orientamento della giurisprudenza comunitaria, secondo cui:

- gli Stati membri sono responsabili per i danni derivati ai singoli a causa di violazioni del diritto comunitario;

- tale principio trova applicazione anche nel caso in cui la violazione sia riferibile al legislatore nazionale;

- il risarcimento dei danni per la violazione di diritti riconosciuti ai singoli dalla normativa comunitaria non può essere subordinato a comportamenti dolosi o colposi dell’organo statale, essendo sufficiente che l’inadempimento sia grave e manifesto e in connessione diretta con i danni derivati (cfr., ex multis, Corte giustizia CE, 5 marzo 1996 n. 46).

In altri termini, secondo il diritto comunitario perché sussista responsabilità extracontrattuale dello Stato è necessario che sia stata compiuta una violazione grave e manifesta del diritto comunitario, e una violazione va considerata tale anche quando lo Stato membro interessato (e, se del caso, l’ente pubblico substatale) dispone di un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente, nel porre in essere l'atto all’origine del danno. L’esistenza e l’ampiezza di questo margine di discrezionalità devono essere determinate con riferimento esclusivo al diritto comunitario, e per stabilire se la violazione di esso sia qualificabile come grave e manifesta, il giudice nazionale deve tener conto di tutti gli elementi che la caratterizzano, tra cui figurano il carattere intenzionale o involontario della violazione e del conseguente danno, la scusabilità o inescusabilità di un eventuale errore di diritto, il fatto che i comportamenti di un’istituzione comunitaria abbiano concorso all’adozione o al mantenimento in vigore del provvedimento contrario al diritto comunitario (cfr. Corte giustizia CE, 4 luglio 2000 n. 424).

Tali criteri sono stati in tutti questi anni utilizzati sia nella materia degli appalti, nell’ambito della quale vengono più facilmente in rilievo disposizioni comunitarie da applicare che riconoscono diritti ai singoli, e sia in qualsiasi altra materia in cui fosse da accertare la responsabilità di una pubblica Amministrazione a fini risarcitori.

Nella materia degli appalti, tale orientamento ha visto modificare i suoi principi cardine a opera della pronuncia della Corte Giustizia CE, sez. III, 30 settembre 2010 (causa C-314/2009), a seguito della quale il profilo dell’accertamento della sussistenza della colpa, sebbene nel senso oggettivo sopra chiarito, è destinato a perdere ogni importanza (in applicazione di tale pronuncia vedi T.A.R. Sicilia - Catania, IV, 07.12.2010, n. 4624; T.A.R. Lombardia - Brescia, II 4.11.2010 n. 4552), essendosi affermato che “la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento, a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’Amministrazione aggiudicatrice, al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’Amministrazione suddetta, nonché sull’impossibilità per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata”.

In sostanza, la Corte ha ritenuto che gli Stati membri non possono subordinare la concessione di un risarcimento al riconoscimento del carattere colpevole della violazione della normativa sugli appalti pubblici commessa dall’amministrazione aggiudicatrice.

In primo luogo la Corte, dopo aver premesso che la direttiva 89/665 impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie per garantire l’esistenza di procedure di ricorso efficaci e, in particolare, quanto più rapide possibile contro le decisioni delle amministrazioni aggiudicatrici che abbiano “violato” il diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o le norme nazionali di trasposizione di quest’ultimo, e che per quanto riguarda, in particolare, il mezzo di ricorso inteso a ottenere il risarcimento dei danni, la direttiva 89/665 stabilisce che gli Stati membri fanno sì che i provvedimenti presi ai fini dei ricorsi prevedano i poteri che permettano di accordare tale risarcimento ai soggetti lesi da una violazione, ha chiarito che, tuttavia, la direttiva 89/665 stabilisce solamente i requisiti minimi che le procedure di ricorso istituite negli ordinamenti giuridici nazionali devono rispettare al fine di garantire l’osservanza delle prescrizioni del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici, e che, in mancanza di una disposizione specifica in merito, spetta all’Ordinamento giuridico interno di ogni Stato membro determinare le misure necessarie per garantire che le procedure di ricorso consentano effettivamente di accordare un risarcimento ai soggetti lesi da una violazione della normativa sugli appalti pubblici.

Ora, per la Corte “il tenore letterale degli artt. 1, n. 1, e 2, nn. 1, 5 e 6, nonché del sesto ‘considerando’ della direttiva 89/665 non indica in alcun modo che la violazione delle norme sugli appalti pubblici atta a far sorgere un diritto al risarcimento a favore del soggetto leso debba presentare caratteristiche particolari, quale quella di essere connessa ad una colpa, comprovata o presunta, dell’amministrazione aggiudicatrice, oppure quella di non ricadere sotto alcuna causa di esonero di responsabilità”. E tale conclusione sarebbe suffragata, da un lato, dal fatto che gli Stati membri possono prevedere per questo tipo di ricorsi termini ragionevoli da osservarsi a pena di decadenza, e ciò per evitare che i candidati e gli offerenti possano in qualsiasi momento allegare violazioni della normativa suddetta, e dall’altro dalla circostanza che gli stessi hanno la facoltà di prevedere che, dopo la conclusione del contratto successiva all’aggiudicazione dell’appalto, i poteri dell’organo responsabile delle procedure di ricorso siano limitati alla concessione di un risarcimento.

In tale contesto, ha precisato la Corte, “il rimedio risarcitorio può costituire un’alternativa procedurale compatibile con il principio di effettività, sotteso all’obiettivo di efficacia dei ricorsi perseguito dalla citata direttiva [...], soltanto a condizione che la possibilità di riconoscere un risarcimento in caso di violazione delle norme sugli appalti pubblici non sia subordinata -così come non lo sono gli altri mezzi di ricorso[...]- alla constatazione dell’esistenza di un comportamento colpevole tenuto dall’amministrazione aggiudicatrice”.

Da questo punto di vista, la Corte ha rimarcato che, come rilevato dalla Commissione europea, poco importa al riguardo che la disciplina di riferimento “non faccia gravare sul soggetto leso l’onere della prova dell’esistenza di una colpa dell’amministrazione aggiudicatrice, bensì imponga a quest’ultima di vincere la presunzione di colpevolezza su di essa gravante, limitando i motivi invocabili a tal fine”, perché “quest’ultima normativa genera anch’essa il rischio che l’offerente pregiudicato da una decisione illegittima di un’amministrazione aggiudicatrice venga comunque privato del diritto di ottenere un risarcimento per il danno causato da tale decisione, nel caso in cui l’amministrazione suddetta riesca a vincere la presunzione di colpevolezza su di essa gravante”.

In definitiva, secondo la Corte di Giustizia l’accertamento, a fini risarcitori, della responsabilità di una pubblica Amministrazione per violazione del diritto comunitario deve prescindere da qualsiasi forma di colpevolezza, anche laddove tale accertamento sia, come era finora, di tipo oggettivo, in quanto legata alla gravità della violazione stessa (vedi le precisazioni di Cons. St., VI, 9 marzo 2007 n. 1114, secondo cui dalla sentenza della Corte di Giustizia [14 ottobre 2004, C-275/03] -che ha sanzionato lo Stato del Portogallo per aver subordinato la condanna al risarcimento dei soggetti lesi in seguito alle violazioni del diritto comunitario che regola la materia dei pubblici appalti all’allegazione della prova, da parte dei danneggiati, che gli atti illegittimi dello Stato o degli enti di diritto pubblico siano stati commessi colposamente o dolosamente- non può trarsi la conclusione che non sia più richiesto il requisito della colpa della P.A., dal momento che la decisione del giudice comunitario pare riferirsi all’onere della prova in relazione all’elemento soggettivo della responsabilità della P.A., e non all’esigenza di accertare la responsabilità, prescindendo dalla colpa dell’Amministrazione, perché nell’Ordinamento italiano la possibilità per il privato danneggiato di utilizzare presunzioni pone sostanzialmente a carico della P.A. l’onere di dimostrare l’esistenza di un errore scusabile, senza alcuna lesione, quindi, dei principi comunitari).

Ora, c’è da dire che, nel caso in esame, un problema di applicazione in senso stretto di norme comunitarie attributive di diritti ai singoli, di cui valutare l’eventuale violazione nell’espletamento della procedura di gara, non si porrebbe, perché l’importo dell’appalto era … ben al di sotto della c.d. “soglia comunitaria” … [e lo stesso può dirsi con riferimento alla gara oggetto della presente sentenza, ndr].

Tuttavia, il Collegio osserva che in numerose occasioni la stessa giurisprudenza comunitaria ha affermato che, anche se le procedure specifiche e rigorose previste dalle direttive comunitarie che coordinano le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici si applicano soltanto ai contratti il cui valore supera la soglia espressamente prevista, e che pertanto le disposizioni di tali direttive non si applicano agli appalti il cui valore non raggiunge la soglia fissata da queste ultime, ciò non significa che questi appalti siano del tutto esclusi dall’ambito di applicazione del diritto comunitario, in quanto le amministrazioni aggiudicatrici sono comunque tenute a rispettare le norme fondamentali del trattato CE, con particolare riferimento al principio di parità di trattamento e non discriminazione (cfr. Tribunale I grado CE, sez. V, 20 maggio 2010 n. 258; vedi anche Corte giustizia CE, sez. I, 14 giugno 2007 n. 6; Id., sez. IV, 23 dicembre 2009 n. 376).

In base a tali affermazioni, il Collegio ritiene che il principio espresso dalla citata sentenza della Corte di Giustizia 30 settembre 2010 -circa l’irrilevanza, al fine di riconoscere il risarcimento in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, della colpevolezza della riscontrata violazione di legge- non possa che essere applicato anche in relazione agli appalti il cui importo si collochi al di sotto della c.d. soglia comunitaria; pena una ingiustificabile disparità di trattamento tra imprese che partecipano a gare sopra la soglia, che si vedrebbero riconoscere il risarcimento in base a tale nuovo principio, e imprese che, partecipando a gare sotto quella soglia, se lo vedrebbero invece negare a causa di difficoltà interpretative della normativa, o della riscontrata esistenza di un qualsivoglia errore scusabile dell’Amministrazione (nel senso dell’applicabilità del principio della responsabilità oggettiva in materia di risarcimento danni nel settore degli appalti anche sotto soglia vedi, ex multis, Cons. St., V, 8.11.2012, n. 5686).

D’altra parte, è proprio sulla base di considerazioni di questo tipo che in giurisprudenza si è affermato spesso che, introdotto il principio della risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi nel campo degli appalti pubblici disciplinati dal diritto comunitario, risulterebbe in insanabile contrasto con il principio di uguaglianza il mantenimento di un orientamento di segno negativo in merito alla tutelabilità aquiliana delle stesse posizioni soggettive coinvolte in procedure di gara regolate dalle norme di diritto interno, in quanto concernenti lavori o forniture di livello economico anche lievemente inferiore rispetto allo standard che rende operante la disciplina comunitaria; per cui le procedure di evidenza pubblica vanno applicate anche se l’importo è al di sotto della soglia comunitaria, in rispetto dei principi del trattato CE a tutela della concorrenza (cfr. Cons. St., VI, 15 giugno 2009 n. 3829).

Da tutto quanto premesso consegue che non essendoci la necessità di riscontrare nella fattispecie in esame l’elemento soggettivo, solitamente richiesto per la configurabilità di un danno risarcibile, deve essere verificata (solo) la sussistenza degli altri requisiti richiesti per il risarcimento del danno, e cioè la lesione della situazione soggettiva tutelata, l’esistenza di un danno patrimoniale e la sussistenza di un nesso causale tra l’illecito e il danno subito.

[...]

Appare utile rammentare che, in generale, il pregiudizio risarcibile si compone, secondo la definizione dell’art. 1223 cod. civ., del danno emergente e del lucro cessante, e cioè della diminuzione reale del patrimonio del privato, per effetto di esborsi connessi alla (inutile) partecipazione al procedimento, e della perdita di un’occasione di guadagno o, comunque, di un’utilità economica connessa all’adozione o all’esecuzione del provvedimento illegittimo.

Se per la prima voce di danno non si pongono particolari problemi nell’assolvimento dell'onere della prova [...], per la seconda si configurano, viceversa, rilevanti difficoltà.

Per avere accesso al risarcimento, infatti, il privato deve dimostrare non solo che la sua sfera giuridica ha subito una diminuzione per effetto dell’atto illegittimo, ma che non si è accresciuta nella misura che avrebbe raggiunto se il provvedimento viziato non fosse stato adottato o eseguito.

Ora, la descritta circostanza che la ricorrente avrebbe dovuto essere l’aggiudicataria dell’appalto consente di dare per accertata l’esistenza del danno consistente nel mancato guadagno inevitabilmente derivante dalla mancata esecuzione dei lavori, nonché di quello legato all’impossibilità di vantare in futuro quello specifico appalto nel proprio curriculum d’impresa, cioè la mancata acquisizione di requisiti di qualificazione e di valutazione, invocabili in successive gare.

Per la prima tipologia di danno, il Collegio ritiene sufficiente precisare che esso è legato al semplice esercizio dell’attività di impresa, finalizzato all’ottenimento di un utile, non essendo pensabile che tale attività sia esercitata in perdita.

[...]

E infatti, come è noto, in materia di illeciti civili in generale la prova del danno può essere articolata con ogni mezzo, ivi comprese le allegazioni e le presunzioni semplici…

Si tratta allora di liquidare concretamente il danno, cioè determinare la misura dell’obbligazione pecuniaria dovuta in sostituzione del bene della vita perduto.

In precedenza, sia il legislatore che la giurisprudenza hanno sentito l’esigenza di ricorrere a criteri presuntivi e astratti di determinazione del danno.

Il primo ha individuato un preciso canone per la determinazione del pregiudizio connesso alla perdita di un’occasione di successo in una procedura concorsuale, definendo, con l’art. 35 del D.Lgs. n. 80/98 (ora abrogato dal n. 20 del comma 1 dell’art. 4 dell’allegato 4 al D.Lgs. 2 luglio 2010 n. 104), un peculiare metodo di liquidazione del danno fondato proprio sulla definizione giudiziale di parametri valutativi indeterminati.

La giurisprudenza amministrativa ha invece individuato in via equitativa, ex art. 1226 c.c., un riferimento positivo, applicato analogicamente in materia di appalti sia di servizi che di forniture, prima nell’art. 345 della L. 20 marzo 1865 n. 2248, allegato F, e poi nell’art. 122 del D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554, nonché nell’art. 37 septies, comma 1, lett. c, della l. 11 febbraio 1994 n. 109; tutte disposizioni che quantificano nel 10% “dell'importo delle opere non eseguite” l'importo da corrispondere all’appaltatore in caso di recesso facoltativo dell’Amministrazione, nella determinazione forfettaria e automatica del margine di guadagno presunto nell’esecuzione di appalti di lavori pubblici (cfr., ex multis, Cons. St., IV, 6 luglio 2004 n. 5012; Id., V, 30 luglio 2008 n. 3806).

Tale orientamento, peraltro molto diffuso, non era però seguito in maniera unanime, sostenendosi anche che ai fini del risarcimento dei danni provocati da illegittimo esercizio del potere amministrativo il soggetto che avanza la domanda di risarcimento deve fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo, perché tale principio attiene allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti. Inoltre, nel processo amministrativo non sarebbero ammissibili domande di condanna generica ex art. 278 c.p.c., e il ricorso alla c.d. “sentenza sui criteri” -ex art. 35, comma 2, D.Lgs. n. 80/1998- di liquidazione del danno postula che sia stata accertata l’esistenza del danno stesso e che il giudice sia in grado di individuare i criteri generali che saranno di guida per la formulazione dell’offerta da parte della P.A. (cfr. Cons. St., V, 13 giugno 2008 n. 2967).

Il Collegio ritiene che i due orientamenti non siano incompatibili, anche dopo la specificazione per il processo amministrativo -con l’art. 124 del D.Lgs. 104/2010, relativo alla “tutela in forma specifica e per equivalente”- della regola secondo la quale il danno per equivalente, per essere risarcibile, oltre che subìto deve essere anche “provato”.

Tanto è vero che anche dopo l’entrata in vigore di tale disposizione, la giurisprudenza, che questo Collegio condivide, ha precisato, con specifico riferimento a essa, da una parte che il criterio del 10% del prezzo a base d’asta -che pure è in grado di fondare una presunzione su quello che normalmente è l’utile che un’impresa trae dall’esecuzione di un appalto- non può essere oggetto di applicazione automatica e indifferenziata, e, dall’altra, che la prova, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, può comunque essere desunta dall’esibizione dell’offerta economica presentata al seggio di gara (cfr., ex multis, Cons. St., VI, 9.12.2010, n. 8646).

[...]

C’è poi da dire che l’impresa ingiustamente privata dell’esecuzione di un appalto può rivendicare, a titolo di lucro cessante, anche la perdita della specifica possibilità concreta di incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al curriculum professionale, da intendersi anche come immagine e prestigio professionale, al di là dell’incremento degli specifici requisiti di qualificazione e di partecipazione alle singole gare (cfr., ex multis, Cons. St., IV, 27 novembre 2010, n. 8253).

In particolare, il danno che l’impresa riceverà in futuro dal mancato inserimento di questo specifico appalto nel proprio curriculum d’impresa, cioè il risarcimento del danno futuro, sia in termini di danno emergente che di lucro cessante, non può compiersi in base ai medesimi criteri di certezza che presiedono alla liquidazione del danno già completamente verificatosi nel momento del giudizio, e deve avvenire secondo un criterio di rilevante probabilità; a tal fine, il rischio concreto di pregiudizio è configurabile come danno futuro ogni volta che l’effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati e inequivocamente sintomatici di quella probabilità, secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto (cfr., ex multis, Cass. civ., III, 27 aprile 2010, n. 10072). Probabilità che, in fattispecie come quelle in esame, è certamente elevata, essendo legata alla normale attività d’impresa, fondata su una necessaria costante partecipazione alle gare d’appalto.

Motivo per il quale il Collegio ritiene che la voce di danno in questione possa essere ragionevolmente quantificata, sempre in via equitativa, in misura pari al 2% del prezzo a base d’asta, ridotto della percentuale di ribasso offerta dalla ricorrente.

Spesso la giurisprudenza afferma che in caso di annullamento dell’aggiudicazione, e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, il mancato utile spetta nella misura integrale solo se il ricorrente dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, tenuti a disposizione in vista dell’aggiudicazione; e in difetto di tale dimostrazione, ritiene che l’impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi, e di qui la decurtazione del risarcimento (cfr., ex multis, Cons. St., VI, 21 settembre 2010 n. 7004).

Si tratta di un’applicazione del principio dell’aliunde perceptum, in base al quale, onde evitare che a seguito del risarcimento il danneggiato possa trovarsi in una situazione addirittura migliore rispetto a quella in cui si sarebbe trovato in assenza dell’illecito, dall’importo dovuto a titolo risarcitorio va detratto quanto da lui percepito grazie allo svolgimento di diverse attività lucrative, nel periodo in cui avrebbe dovuto eseguire l’appalto in contestazione.

In sostanza, l’onere di provare (l’assenza del)l’aliunde perceptum viene fatto gravare non sull’Amministrazione, ma sull’impresa, e tale ripartizione muove dalla presunzione, a sua volta fondata sull’id quod plerumque accidit, secondo cui l’imprenditore (specie se in forma societaria), in quanto soggetto che esercita professionalmente una attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili, normalmente non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni contrattuali alternative, dalla cui esecuzione trae utili (cfr. Cons. St., VI, 9 giugno 2008, n. 2751).

[...]

Sull’importo, come sopra quantificato, l’Università dovrà poi computare la rivalutazione monetaria maturata, secondo gli indici ISTAT, a decorrere dalla notifica del ricorso introduttivo fino alla data di deposito della presente decisione, giacché con la pubblicazione si verifica la trasformazione del debito di valore in debito di valuta.

Saranno altresì corrisposti gli interessi legali sulle somme sopra indicate, a decorrere dalla data di pubblicazione sopra indicata fino all’effettivo soddisfo>> (T.A.R. Sicilia Catania, IV, 13 novembre 2015, n. 2616).

5.1 E ancora osservato, in termini generali, che: <<il mancato utile spetta nella misura integrale, in caso di annullamento dell’aggiudicazione impugnata e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se questi dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista della commessa. In difetto, si presume invece che l’impresa abbia riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori a titolo di aliunde perceptum, coerentemente con quanto previsto in via generale dall’art. 1227 c.c. […] aliunde perceptum calcolato forfettariamente nella misura del 50% (C.S., Sez. IV., 11.11.2014 n. 5531, Sez. III, 12.11.2014 n. 5567, Sez. V, 8.8.2014 n. 4248) >> (T.A.R. Sicilia Catania, II, 21 maggio 2015, n. 1396); il danno da mancata aggiudicazione, dunque, <<in assenza di allegazione probatoria [nel caso in esame essa è fornita in via presuntiva, ndr], de [ve] essere liquidato nella misura del 5 per cento dell’offerta [percentuale appunto ottenuta riducendo del 50%, per quanto appena scritto, quella del 10% dell’importo a base d’asta utilizzata generalmente per individuare in via presuntiva l’intero utile di impresa], in quanto è ragionevole ritenere che [la ditta] abbia riutilizzato mezzi e manodopera impiegati per la gara da cui è stata esclusa illegittimamente per lo svolgimento di altri lavori analoghi o di servizi e forniture, vedendo così ridotta la propria perdita di utilità (in tal senso, ex multis: Cons. Stato, IV, 9 febbraio 2015, n. 656). La richiamata percentuale dell’offerta, in mancanza di ulteriori puntuali allegazioni e anche in applicazione dell’articolo 1226 del codice civile, deve ritenersi idonea a ristorare anche il c.d. danno curriculare patito dalla [parte] in conseguenza della illegittima mancata aggiudicazione. Gli importi in tal modo determinati dovranno essere incrementati degli accessori di legge>> (Consiglio di Stato, V, 13 settembre 2016, n. 3858);

6.- Considerato quindi, con riguardo allo specifico caso in esame, che:

- la ricorrente si classificava al secondo posto della graduatoria (per cui, ove l’Amministrazione avesse escluso la contro-interessata, essa avrebbe potuto conseguire l’aggiudicazione del servizio: il comportamento dell’Amministrazione è dunque evento che ha causato il danno per il quale viene adesso richiesto il ristoro, anche per equivalente).

- risulta nel caso in esame sussistente, anche astrattamente prescindendo dagli indirizzi espressi alla luce della richiamata giurisprudenza euro-unitaria, <<l’elemento soggettivo idoneo a configurare un danno risarcibile […]. Al riguardo ci si limita comunque a richiamare il consolidato orientamento secondo cui, inquadrando la responsabilità della P.A. da provvedimento illegittimo nell’ambito del modello aquiliano, il privato può provare la colpa dell’amministrazione anche semplicemente dimostrando l’illegittimità del provvedimento lesivo, illegittimità la quale, pur non identificandosi nella colpa, costituisce, tuttavia, un indizio (grave, preciso e concordante) idoneo a fondare una presunzione (semplice) di colpa che l’amministrazione può vincere dimostrando elementi concreti da cui possa evincersi la scusabilità dell’errore compiuto (Sul punto, ex multis: Cons. Stato, IV, 16 aprile 2016, n. 1347; id., VI, 4 settembre 2015, n. 4115 id., VI, 16 aprile 2015, n. 1944).

Al riguardo ci si limita ad osservare che, nel corso dell’intera vicenda, la [p.a.] non ha allegato alcun elemento o circostanza idonea a deporre nel senso della scusabilità dell’errore.

Resta quindi confermato che sussistono nel caso di specie tutti gli elementi perché si possa ammettere il ristoro del danno subito [dalla ricorrente] nell’ambito della complessiva vicenda>> (Consiglio di Stato, V, n. 3858 del 2016 cit.).

7.- Ritenuto dunque, in ordine alla determinazione del quantum risarcitorio da porre a carico dell’amministrazione aggiudicatrice e applicati i principi esposti nelle richiamate pronunce, che:

- xxx perviene a una complessiva quantificazione dei danni subiti pari a euro 50.342,08 (così determinato: utile per i servizi di pulizia e assistenza ai bagnanti = 1.401,00; utile per gli ingressi giornalieri = 8.543,89, pari al 10% dei relativi incassi previsti; utile per il servizio di bar/paninoteca/pizzeria = 38.000,00, pari al 20% del relativo fatturato previsto; danno curriculare = 2.397,19, pari al 5% dell’importo richiesto a titolo di danno patrimoniale).

- essa contesta la sussistenza di un aliunde perceptum allegando la circostanza di non avere più, sin dal febbraio 2016, personale alle proprie dipendenze (e tuttavia precisando che, ove si fosse aggiudicato l’appalto, avrebbe provveduto a nuove assunzioni, anche con contratti a termine), sicché “non ha impiegato le eventuali maestranze in vista di nuovi appalti e/o concessioni dalla cui esecuzione (rectius: dai cui utili) si sarebbe dovuto, eventualmente, depurare il quantum debeatur” (v. pag. 12 memoria Do.Ma del 3 ottobre 2016 e nota da questa inviata all’INAIL in data 20 settembre 2016).

- ciò esclude, in effetti, l’esistenza di un aliunde perceptum, ma allo stesso tempo impone di ridurre equitativamente le voci di danno, poiché, se è vero che la xxx non occupava propri dipendenti in altri appalti, ricavandone utili, è altresì vero che non ne sopportava, ovviamente, i relativi costi (dei quali invece si tiene ordinariamente conto nel calcolo del lucro cessante, anche mediante l’applicazione del criterio empirico del 10%).

- sulla base di quanto fin qui esposto, dunque, anche tenuto conto dei principi di cui all’art. 1226 c.c. e applicata alle varie voci di lucro cessante una percentuale intermedia tra quelle del 5% e del 10% del fatturato di cui si è in precedenza scritto, si perviene alle seguenti somme: euro 14.250,00 relativamente ai mancati utili riferibili alla gestione del bar/paninoteca/pizzeria (il riferimento alla percentuale del 20% resta indimostrato, derivando da una previsione di incassi formulata dalla ditta Sergen che la Commissione si limitava, in sede di verifica dell’anomalia, a considerare genericamente plausibile, laddove, vieppiù per l’elevata percentuale di fatturato ‘richiesta’, esso avrebbe presupposto una prova particolarmente rigorosa); euro 6.408,00 relativamente ai mancati utili riferibili agli ingressi giornalieri; euro 1.050,00 per i servizi di pulizia e assistenza ai bagnanti (va invece stralciata la voce relativa al danno curriculare, la quale, in assenza di una puntuale allegazione -a maggior ragione necessaria nel caso in parola, connotato da una sostanziale situazione di fermo dell’azienda-, deve reputarsi ricompresa nella somma liquidata quale percentuale dell’offerta; cfr. Consiglio di Stato, n. 3858 del 2016 cit.): il quantum complessivamente dovuto sarà pertanto pari a euro 21.708,00 (da incrementarsi con la rivalutazione monetaria dal giorno in cui è stato stipulato il contratto con l’impresa illegittima aggiudicataria sino alla pubblicazione della sentenza -a decorrere da tale momento, in conseguenza della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta-, e spettando, inoltre, gli interessi nella misura legale dalla data di pubblicazione della decisione fino all’effettivo soddisfo).

7.- Ritenuto che il ricorso, inammissibile nella parte in cui xxx agiva quale capogruppo del costituendo raggruppamento con la società yyy s.r.l., dev’essere per il resto accolto nei sensi fin qui precisati, con l’effetto che:

1) deve confermarsi l’efficacia del contratto stipulato tra l’amministrazione intimata e la ditta contro-interessata;

2) l’Amministrazione medesima va condannata al risarcimento dei danni subiti dalla ricorrente xxx s.r.l., quantificati in euro 21.708,00 (ventunomilasettecentotto/00), oltre accessori di legge.

3) le spese di giudizio, poste a carico della p.a. intimata -e invece compensate con riguardo alla società contro-interessata-, debbono liquidarsi nella complessiva somma di euro 3.000 (tremila/00), oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione Seconda di Lecce, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 881 del 2016 indicato in epigrafe, come integrato da motivi aggiunti, lo accoglie nei sensi precisati in motivazione.

Condanna il Ministero della Difesa al pagamento delle spese di questo giudizio, liquidate in complessivi euro 3.000 (tremila/00), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Lecce, nella camera di consiglio del 19 ottobre 2016, con l’intervento dei magistrati:

Eleonora Di Santo, Presidente

Ettore Manca, Consigliere, Estensore

Carlo Dibello, Consigliere

 

 

Guida alla lettura

La sentenza annotata ha deciso il ricorso di un operatore economico a seguito dell’illegittima aggiudicazione  in favore di un altro di un appalto di servizio conseguente all’espletamento di una gara in cui la ricorrente si era classificata al secondo posto in graduatoria.

Nel caso di specie, essendo stati esauriti gli effetti del contratto di servizio, l’illegittima aggiudicazione ha  aperta la strada al risarcimento per equivalente pecuniario in favore della ricorrente.

Il TAR Lecce, preliminarmente, ha ritenuto  il ricorso inammissibile nella parte in cui la ricorrente agiva quale capogruppo del costituendo raggruppamento che aveva partecipato alla gara, attesa la mancanza di un mandato con rappresentanza processuale e in aderenza ai principi espressi in argomento da Consiglio di Stato, Sezione III, 14 gennaio 2014, n. 102

Quindi, il Tribunale salentino ha dato atto che la ricorrente si era classificata al secondo posto della graduatoria e, quindi, ha rilevato che il comportamento dell’Amministrazione era da qualificarsi come evento che ha causato il danno per il quale è richiesto il ristoro, anche per equivalente; ciò, peraltro, senza che fosse stata avanzata e dimostrata dalla stazione appaltante alcuna situazione riconducibile al c.d. errore scusabile.

Quindi, valutata la domanda di risarcimento, il Collegio, facendo una puntuale ricognizione della giurisprudenza nazionale ed europea e facendo applicazione dei principi allo stato della relativa elaborazione, ha ammesso il risarcimento e ha stabilito il quantum risarcitorio da porre a carico dell’amministrazione aggiudicatrice, sia pure tenendo conto dei principi di cui all’art. 1226 c.c..

In particolare, il TAR ha riconosciuto il danno emergente e ha applicato alle varie voci di lucro cessante una percentuale intermedia tra quelle del 5% e del 10% del fatturato relativamente :

a)ai mancati utili riferibili alla gestione del servizio (bar/paninoteca/pizzeria)

b)ai mancati utili riferibili agli ingressi giornalieri.

E’ stata stralciata, invece, la voce relativa al danno curriculare, la quale, in assenza di una puntuale allegazione -a maggior ragione necessaria nel caso connotato da una sostanziale situazione di fermo dell’azienda-  deve reputarsi ricompresa nella somma liquidata quale percentuale dell’offerta.

In ordine al danno curriculare, il Collegio ha ritenuto che la voce di danno in questione potesse essere ragionevolmente quantificata, in via equitativa, in misura pari al 2% del prezzo a base d’asta, ridotto della percentuale di ribasso offerta dalla ricorrente.

Al quantum complessivamente dovuto  è da applicarsi la rivalutazione monetaria dal giorno in cui è stato stipulato il contratto con l’impresa illegittima aggiudicataria sino alla pubblicazione della sentenza -a decorrere da tale momento, in conseguenza della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta- spettando, inoltre, gli interessi nella misura legale dalla data di pubblicazione della decisione fino all’effettivo soddisfo.