Consiglio di Stato sez. III 23 giugno 2016 n. 3505

E’ estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio, poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante.

Occorre invece valutare il rischio di inquinamento mafioso in base all’ormai consolidato criterio del più «probabile che non», alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso.

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 9881 del 2015, proposto dall’Autorità Nazionale Anticorruzione - ANAC, in persona del legale rappresentante pro tempore; dal Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro-tempore; dall’U.T.G. - Prefettura di Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore, dal Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; 

contro

la -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Luigi Maria D'Angiolella, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Sergio Como in Roma, via Antonelli, n. 48; 

nei confronti di

Il Comune di Santa Maria Capua Vetere, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli Sez. I, n. 3966 del 2015.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della -OMISSIS-;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 giugno 2016 il Cons. Paola Alba Aurora Puliatti e uditi per le parti l’Avvocato Ugo Ricupero, su delega dell’Avvocato Luigi Maria D'Angiolella, e l'Avvocato dello Stato Carmela Pluchino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. - Con ricorso n.r.g. 695 del 2015, proposto al T.a.r. Campania, sede di Napoli, la -OMISSIS- impugnava la determina del Comune di Santa Maria C.V. n. 20 del 27 febbraio 2015, avente ad oggetto la revoca del «servizio fornitura posa in opera di misuratori idrici letture di rivelamento consumi fornitura idrica ed installazione di piombature e raccordi antifrode nell'ambito territoriale del Comune», l’informazione antimafia dell’Ufficio Territoriale del Governo di Caserta n. 7532 del 10 febbraio 2015 presupposta, e la nota dell’ANAC n. 33376 del 20 marzo 2015 – VIG-USAN Ufficio Sanzioni, avente ad oggetto la comunicazione della segnalazione dell’inserimento nel casellario giudiziale della relativa annotazione.

2. - A fondamento del provvedimento interdittivo, erano poste le risultanze della nota dei Carabinieri di Caserta n. 283340/1-5 del 26 gennaio 2015, da cui si evinceva che i signori -OMISSIS- e -OMISSIS-, rispettivamente amministratore unico e socio della -OMISSIS-, avevano acquistato la società con atto del 20 novembre 2011 dalla signora -OMISSIS-, moglie del signor -OMISSIS-, responsabile tecnico, condannato nello stesso anno alla pena di sei anni di reclusione per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. per aver favorito il -OMISSIS-; inoltre, il signor -OMISSIS- fino al 30 luglio 2013 risultava essere stato amministratore unico di una società sottoposta a sequestro preventivo dal GIP di Napoli.

3. – La società ricorrente deduceva la violazione dell’art.1 e ss. e dell’art. 7 e ss. L. 241/90; del Co-dice antimafia (d.lgs. n.151/11 art. 82 e ss.), l’errore sui presupposti e la contraddittorietà; l’eccesso di potere per carenza di motivazione ed ingiustizia manifesta, il difetto di istruttoria.

Con riguardo alla circostanza della qualità del signor -OMISSIS- di amministratore di una società sottoposta a sequestro preventivo, la ricorrente evidenziava che costui era stato nominato a tale carica dalla stessa Autorità Giudiziaria competente e, con riguardo alla posizione del signor -OMISSIS-, rilevava che questi da poco tempo era responsabile tecnico della società ricorrente, figura priva di qualsiasi potere di gestione ed amministrazione.

Peraltro, tra l’-OMISSIS- ed il signor -OMISSIS- era sorto un contenzioso riguardo al suo licenziamento, intimato in data 5 febbraio 2015.

4. - Le Amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso.

5. - Con la sentenza in epigrafe, il ricorso è stato accolto, con compensazione delle spese di lite tra le parti.

6. - Con l’appello in esame, le Amministrazioni lamentano l’erroneità e l’ingiustizia della sentenza del TAR, in quanto fondata su una erronea interpretazione degli elementi di fatto e del quadro normativo di riferimento, nonché viziata sotto il profilo motivazionale e contraddittoria.

7. - Resiste in giudizio l’appellata.

8. - All’udienza del 23 giugno 2016, la causa è stata trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

1. – Ritiene la Sezione che l’appello è fondato e va accolto.

2. - La sentenza impugnata ha ritenuto che «la scrittura privata del 20 novembre 2011 avente ad oggetto la cessione di quote sociali della -OMISSIS- da -OMISSIS-, moglie di -OMISSIS-, ritenuto dall’Ufficio Territoriale del Governo di Caserta l’intraneus recante il possibile condizionamento mafioso, a -OMISSIS- e -OMISSIS-, rispettivamente amministratore unico e socio della società, non presenta univoca significatività indiziaria di un attuale tentativo di infiltrazione mafiosa».

Neppure sussisterebbero indizi a carico degli acquirenti, i signori -OMISSIS- e -OMISSIS-, sul collegamento ad ambienti della locale criminalità organizzata.

Né, con riguardo al primo di essi, sarebbe indiziante il ruolo di amministratore della -OMISSIS-, facente capo al signor -OMISSIS-, società sequestrata nello stesso processo in cui quest’ultimo ha riportato una condanna per reati di tipo associativo, non risultando mai rimosso da tale carica dall’Autorità Giudiziaria.

Ad avviso del TAR, la vicenda di cessione delle quote sociali da parte della moglie, -OMISSIS-, in assenza di altri elementi indiziari a sostegno di un attuale possibile condizionamento mafioso, avrebbe comportato la definitiva estromissione del signor -OMISSIS- dalla società, anche ove intesa come eventuale gestione di fatto.

3. - Le Amministrazioni appellanti richiamano, invece, il complesso quadro indiziario delineato dalla nota del Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta del 26 gennaio 2015.

La sentenza non terrebbe conto del carattere preventivo dell’interdittiva, che prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali dei titolari e degli amministratori dell’azienda.

4. - Ritiene il Collegio che l’insieme degli elementi risultanti dalle indagini poste a base dell’informativa sia idoneo a fondare la valutazione del pericolo di condizionamento.

4.1. - Dalla nota del 26 gennaio 2015 del Comando Provinciale Carabinieri di Caserta, espressamente richiamata nel provvedimento prefettizio, emerge che «--OMISSIS- e -OMISSIS-, rispettivamente amministratore unico e socio della -OMISSIS-, con atto di compravendita del 20 novembre 2011, hanno acquistato quote nominali della predetta società da -OMISSIS- cl.58, moglie del responsabile tecnico -OMISSIS- nato il -OMISSIS- (CE), condannato in data 18 febbraio 2011 dal Tribunale di S. Maria C.V. (CE) alla pena di sei anni di reclusione per i reati di cui all’art.416 bis ed altro, aggravati dall’art.7 della legge 203/1991, per aver favorito l’organizzazione camorristica denominata ‘-OMISSIS-’; --OMISSIS- fino al 30 luglio 2013 risulta essere stato anche amministratore unico di altra società già sottoposta a sequestro preventivo nel 2007 dal GIP del Tribunale di Napoli, destinataria della stessa sentenza di parziale confisca dei beni».

Tali indizi inducono a ritenere effettivamente sussistenti i collegamenti e gli intrecci di interessi economici tra l’ex responsabile tecnico condannato e l’attuale amministratore unico, suscettibili di fondare il pericolo paventato nell’informativa.

4.2. - Su alcuni punti, invero, le argomentazioni in senso contrario del primo giudice risultano carenti.

4.2.1. - Ad avviso del Collegio, il valore indiziante dei rapporti di interesse economico tra i signori -OMISSIS-, che si trae dalle vicende della -OMISSIS- e dal ruolo rivestito dal signor -OMISSIS- in quella società fino al 2013 (sottoposta a sequestro nello stesso processo in cui il signor -OMISSIS-ha riportato la condanna per reati di tipo associativo), non viene meno per il fatto che sia stata mantenuta dal signor -OMISSIS- la carica di amministratore fino al luglio 2007, su disposizione del GIP del Tribunale di Napoli.

Infatti, ai fini preventivi, rileva la sussistenza di comuni interessi economici tra soggetti sospettati di aderire a consorterie mafiose e soggetti capaci di influire sulle scelte dell’azienda.

Tanto più nel caso in esame il pericolo è concreto, considerato che il signor -OMISSIS-ha riportato una condanna penale per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. e che nell’ambito di quel processo venne disposto il sequestro della -OMISSIS-

4.2.2. – La circostanza che il signor -OMISSIS-sia stato licenziato prima che sia stata emessa l’interdittiva (pochi giorni prima, con racc. del 2 febbraio 2015) non ha valore dirimente.

I rapporti con l’attuale amministratore ben potrebbero continuare indipendentemente dalla persistenza del rapporto di lavoro.

4.2.3. - La cessione delle quote della società al signor -OMISSIS- può interpretarsi come definitiva estromissione del signor -OMISSIS-dalla società; ma potrebbe anche rappresentare, al contrario, la possibilità per questi di continuare una ingerenza indiretta, tramite un soggetto affidabile e ben conosciuto, negli affari della società.

4.2.4. - Anche la circostanza che il signor -OMISSIS- sia incensurato non è sufficiente ad escludere il rischio di condizionamento.

Secondo la recente giurisprudenza di questa Sezione, è estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio, poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante.

Occorre invece valutare il rischio di inquinamento mafioso in base all’ormai consolidato criterio del più «probabile che non», alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso.

Per questo gli elementi posti a base dell’informativa potrebbero essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, potrebbero essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione.

I fatti che l’autorità prefettizia deve valorizzare prescindono, infatti, dall’atteggiamento antigiuridico della volontà mostrato dai singoli e finanche da condotte penalmente rilevanti, non necessarie per la sua emissione, ma sono rilevanti nel loro valore oggettivo, storico, sintomatico, perché rivelatori del condizionamento che la mafia, in molteplici, cangianti e sempre nuovi modi, può esercitare sull’impresa anche al di là e persino contro la volontà del singolo.

5. - In conclusione, l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va respinto il ricorso introduttivo di primo grado n.r.g. 695 del 2015.

6. - Le spese dei due gradi di giudizio si compensano tra le parti per giusti motivi.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull'appello n. 9881 del 2015, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso introduttivo n.r.g. 695 del 2015.

Spese compensate dei due gradi.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare ………….

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2016.

 

 

 

Guida alla lettura

Il Consiglio di Stato con pronuncia del 23 giugno 2016, in riforma della sentenza appellata, ritiene effettivamente sussistenti i collegamenti e gli intrecci di interessi economici intercorrenti tra l’ex responsabile tecnico condannato e l’attuale amministratore unico, idonei a fondare il paventato percolo oggetto dell’informativa antimafia.

Nell’affermare quanto innanzi esposto il Collegio ritiene carenti le argomentazioni di senso contrario offerte dal T.A.R. Campania, Napoli sez. I 27 luglio 2015 n. 3966.

Palesi appaiono infatti i Comuni interessi economici afferenti a soggetti sospettati di aderire a consorterie mafiose e soggetti capaci di influire sulle scelte aziendali.

A sostegno di quanto sopra la Corte richiama la sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. a danno dell’ex responsabile tecnico della società, soggetto vicino all’attuale amministratore unico.

Argomento a contrario non può trarsi dalla venuta cessione delle quote sociali dal predetto responsabile tecnico all’attuale amministratore unico, tale condotta non potendo essere interpretata quale chiara e definitiva estromissione del soggetto condannato dalle scelte involgenti la società.

Richiamando la consolidata posizione giurisprudenziale va sostenuto come il sistema dell’informativa antimafia, non avente carattere sanzionatorio, non si basa sulla logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là di ogni ragionevole dubbio, lo stesso al contrario essendo legato a filo doppio al più blando criterio del più probabile che non, quale regola di giudizio idonea a decretare la presenza di un inquinamento mafioso evincibile dalla comune esperienza di osservazione dei fenomeni sociali.

Ne discende, dunque, che fondati sospetti di contiguità mafiosa ben risultano idonei a fondare l’emissione di una misura antimafia di cui al D.lgs. 159/2011.