T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-ter, 5 gennaio 2015, n. 21.

 

T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-ter, 5 gennaio 2015, n. 21.

Presidente Filippi; Estensore Rotondi.

 

Non può considerarsi illegittima l’aggiudicazione di una gara d’appalto indetta da un’Amministrazione comunale per l’affidamento di un pubblico servizio allorché il presidente della società cooperativa risultata aggiudicataria svolga lavori socialmente utili presso lo stesso Comune, nonché nel caso in cui del consiglio di amministrazione della medesima società faccia parte un soggetto che rivesta, contemporaneamente, la carica di consigliere comunale presso l’ente locale. Invero, i lavori socialmente utili non configurano un rapporto di impiego la cui titolarità preclude, pena la risoluzione del rapporto di lavoro, lo svolgimento di attività privata. Inoltre, l’art. 63, comma 1°, n. 2 del T.U.E.L., laddove vieta anche ai consiglieri comunali di aver parte, direttamente o indirettamente, in appalti nell’interesse del Comune, non trova applicazione qualora aggiudicataria dell’appalto sia una società cooperativa, stante quanto disposto dal comma 2° della medesima norma. 

 

BREVI ANNOTAZIONI

L’OGGETTO DELLA PRONUNCIA

Il giudizio conclusosi con la sentenza in epigrafe ha ad oggetto l’impugnazione del provvedimento di autotutela con cui un’Amministrazione comunale ha annullato una gara d’appalto, indetta per l’affidamento di un pubblico servizio e provvisoriamente aggiudicata ad una cooperativa, unica partecipante alla gara insieme alla società ricorrente.

Il ricorso proposto da quest’ultima, volto a ottenere l’annullamento della determinazione assunta in via di autotutela, è stato dichiarato infondato per difetto di interesse alla coltivazione dei motivi di gravame, tesi perlopiù a censurare il provvedimento di aggiudicazione provvisoria ancorché oggetto dell’impugnativa fosse l’annullamento (rectius, revoca) della gara.

Nel vagliare le doglianze addotte dalla ricorrente, il T.A.R. capitolino ha operato talune importanti precisazioni in ordine ai conflitti di interesse suscettibili di configurarsi nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica.

Invero, ha chiarito come i lavori socialmente utili eseguiti presso un’Amministrazione non possano configurare rapporto di pubblico impiego incompatibile con lo svolgimento di attività privata.

Inoltre, ha precisato la latitudine applicativa della causa di incompatibilità di cui all’art. 63, comma 1°, n. 2. del T.U.E.L. che, ai sensi del comma 2° della medesima norma, non trova applicazione a coloro che abbiano parte in cooperative o consorzi di cooperative regolarmente iscritte nei pubblici registri.

Sulla scorta delle esposte considerazioni, il Collegio ha escluso la sussistenza di una correlazione immediata e diretta tra il procedimento di gara e specifici interessi privati idonei a giustificare l’esclusione dalla procedura dell’aggiudicataria provvisoria, avente come presidente e componente del consiglio di amministrazione, rispettivamente, un dipendente del Comune e un consigliere comunale.

 

 IL PERCORSO ARGOMENTATIVO

La società ricorrente, partecipante a una gara d’appalto indetta da un’Amministrazione comunale, ha impugnato la determinazione con cui quest’ultima ne ha disposto l’annullamento in autotutela.

Onde comprendere le censure addotte a sostegno dell’impugnazione, giova ripercorrere le tappe fondamentali della vicenda oggetto del giudizio.

Invero, il gravato provvedimento di autotutela è intervenuto nell’ambito di una gara indetta con il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa per l’affidamento di un pubblico servizio, cui hanno partecipato la ricorrente, nonché una società cooperativa, risultata aggiudicataria provvisoria all’esito del sorteggio effettuato dalla commissione a fronte della parità di punteggio raggiunto dalle concorrenti.

Indi, il Responsabile del Servizio Amministrativo ha disposto l’annullamento della procedura, avendone riscontrato taluni profili di illegittimità, segnatamente: la difformità dell’operazione di sorteggio rispetto a quanto prescritto dall’art. 77 del r.d. n. 827/1924, nonché il difetto di motivazione nella valutazione operata dalla commissione in ordine ai progetti tecnici e alle esperienze pregresse delle concorrenti, peraltro apprezzate in violazione dei parametri previsti dal bando.

Ebbene, la ricorrente ha adito il competente T.A.R. al fine di ottenere la caducazione della  determinazione assunta ai sensi dell’art. 21-nonies, L. n. 241/1990, avverso cui sono stati proposti i seguenti motivi di ricorso:

- nullità della notifica del provvedimento, comunicato dall’Amministrazione a mezzo di dipendente privo della qualifica di messo notificatore e con modalità di recapito diverse da quelle indicate dall’art. 79, comma 5-bis del Codice dei contratti pubblici;

- omessa comunicazione di avvio del procedimento in violazione dell’art. 7 della L. n. 241/1990;

- omessa valutazione di un motivo di esclusione dell’aggiudicataria, quale il conflitto di interessi determinato dall’appartenenza alla società di un consigliere comunale, componente del c.d.a., e di un dipendente del Comune, presidente della cooperativa;

- illegittimità della decisione della commissione di non procedere ad un’offerta migliorativa, bensì di aggiudicare la gara mediante sorteggio, per contrasto con l’art. 77 del r.d. n. 827/1924;

- violazione della L. n. 241/1990, nonché dell’art. 10, comma 1° del Codice dei contratti pubblici, per aver il Responsabile del Servizio Amministrativo assunto il provvedimento impugnato in difetto della preventiva istruttoria del R.U.P.

Il T.A.R. capitolino, valutate le esposte doglianze, ha dichiarato l’infondatezza del ricorso.

Segnatamente, quanto al primo motivo, il G.A. ha rilevato il difetto di interesse della ricorrente, posto che le modalità di comunicazione degli atti amministrativi, insuscettibili di incidere sul loro contenuto e pertanto privi di attitudine invalidante, rilevano quale mere irregolarità, in grado di condizionare solo la decorrenza del termine di impugnazione.

In ordine, invece, all’asserita violazione dell’art. 7 della L. n. 241/1990 per omessa comunicazione di avvio del procedimento, il Collegio, nel solco tracciato da un consistente orientamento giurisprudenziale, di cui ha richiamato il recente arresto del C.d.S n. 4116/2012, ha evidenziato la possibilità di prescindere dalla comunicazione di avvio del procedimento di autotutela allorché non sia intervenuta l’aggiudicazione definitiva.

Quanto al terzo e quarto motivo di gravame, i Giudici hanno rilevato il difetto di interesse in capo alla ricorrente, avendo essi a oggetto “… vizi che affliggono l’aggiudicazione della gara, mentre oggetto di impugnativa, nonché oggetto di interesse immediato, è la determinazione con la quale l’aggiudicazione provvisoria è stata annullata e l’intera gara revocata”.

Non a caso, il T.A.R. è pervenuto al rigetto del ricorso evidenziando come la ricorrente avesse omesso di censurare le ragioni addotte a sostegno del provvedimento di revoca, eccetto quella concernente la modalità (per sorteggio) di individuazione dell’aggiudicatario provvisorio.

Ciononostante, il Collegio, ai fini conformativi dell’azione amministrativa, ha operato significative precisazioni in ordine all’asserito conflitto di interessi derivante dal ruolo rivestito, nella compagine societaria dell’aggiudicataria, da un dipendente del Comune e da un consigliere comunale, rispettivamente presidente e consigliere di amministrazione della società.

Invero, quanto alla posizione del primo, ha assunto rilievo dirimente la circostanza che questi svolgesse presso il Comune lavori socialmente utili, insuscettibili – secondo l’indirizzo pretorio condiviso dal Collegio (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, n. 225/2003) – di configurare un rapporto di pubblico impiego la cui titolarità preclude, pena la risoluzione del rapporto di lavoro, lo svolgimento di attività privata.

Nondimeno – si è chiarito – anche qualificando il rapporto di lavoro causativo dell’asserita incompatibilità come rapporto di impiego alle dipendenze del Comune, l’unica conseguenza suscettibile di derivarne sarebbe stata la risoluzione del detto rapporto.

Il referente normativo da cui ha tratto le mosse il vaglio in ordine alla posizione del consigliere comunale, componente del consiglio di amministrazione, è invece l’art. 63, comma 1°, n. 2 del D.Lgs. n. 267/2000, a tenore del quale: “Non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale o circoscrizionale ... colui che, come titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti, nell’interesse del comune o della provincia, ovvero in società ed imprese volte al profitto di privati, sovvenzionate da detti enti in modo continuativo, quando le sovvenzioni non siano dovute in forza di una legge dello Stato o della regione, fatta eccezione per i comuni con popolazione non superiore a 3.000 abitanti qualora la partecipazione dell’ente locale di appartenenza sia inferiore al 3 per cento e fermo restando quanto disposto dall'articolo 1, comma 718, della legge 27 dicembre 2006, n. 296”.

Il T.A.R. capitolino ha focalizzato l’attenzione sul disposto di cui al comma 2° della menzionata norma, a mente del quale la previsione di cui al comma 1° n. 2 non trova applicazione a coloro che abbiano parte in cooperative o consorzi di cooperative, regolarmente iscritte nei pubblici registri. In virtù di tanto, ha dedotto come il consigliere di amministrazione della cooperativa aggiudicataria non potesse rientrare nella latitudine applicativa della causa di incompatibilità di cui all’art. 63, comma 1°, n. 2 del T.U.E.L., non configurandosi in fattispecie del tipo di quelle in esame profili di incompatibilità e/o conflitti di interesse.

Infine, lo scrutinio del Collegio ha investito il quinto motivo di gravame, volto a censurare l’omessa acquisizione del parere del R.U.P. da parte del Responsabile del Servizio Amministrativo.

Sul punto, si è chiarito come, stante il disposto di cui all’art. 12, comma 1° del D.lgs. n. 163/2006, ai sensi del quale l’aggiudicazione provvisoria è soggetta ad approvazione dell’organo competente secondo l’ordinamento delle amministrazioni aggiudicatrici, nulla ostasse acché il Responsabile del Servizio Amministrativo esercitasse le proprie attribuzioni prescindendo dal parere del R.U.P., peraltro privo di qualsivoglia rilevanza allorché, come nel caso di specie, si debbano operare quelle valutazioni di opportunità che, com’è noto, precedono la revoca della gara.

 

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

La pronuncia in commento offre interessanti spunti di indagine laddove, nel vagliare la fondatezza dei motivi di ricorso, affronta profili di sicuro rilievo, quali, in particolare, quello concernente il campo di applicazione dell’art. 63, comma 1°, n. 2 del T.U.E.L, nonché quello, indirettamente scrutinato e solo lambito, inerente alla natura del potere di revoca della gara d’appalto provvisoriamente aggiudicata.

Invero, in ordine a quest’ultimo aspetto, il Collegio ha sostenuto l’assunto secondo cui è “… necessario l’avviso di avvio del procedimento in autotutela quando vi è stata l’aggiudicazione definitiva e non anche (come nella fattispecie) nei confronti dell’aggiudicazione provvisoria”.

Siffatto esito interpretativo, condiviso anche da più recenti arresti giurisprudenziali, è strettamente correlato alle caratteristiche che connotano il provvedimento di aggiudicazione provvisoria, nonché, conseguentemente, quello di autotutela adottato per travolgerla.

E infatti, secondo consolidata giurisprudenza, l’aggiudicazione provvisoria deve essere considerata provvedimento instabile a effetti interinali, atteso che la scelta non definitiva del soggetto aggiudicatario non costituisce atto conclusivo del procedimento, facendo nascere in capo all’interessato una mera aspettativa alla sua conclusione e non anche, al pari dell’aggiudicazione definitiva, una posizione giuridica qualificata, nonché il legittimo affidamento nella conservazione del bene della vita (T.A.R. Calabria, Cosenza, 16 aprile 2013, n. 450; Cons. Stato, Sez. V, 15 febbraio 2010, n. 808; idem, 9 aprile 2010, n. 1997; idem, Sez. V, 20 luglio 2009, n. 4527).

Ebbene, ancorché non vi sia dubbio che la stazione appaltante, entro i limiti imposti dall’onere di motivazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 29 dicembre 2009, n. 8966; T.A.R. Lazio, Sez. II, 30 aprile 2010, n. 8975; idem, Sez. II- quater, 2 aprile 2010, n. 5621; T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II,  16 febbraio 2011, n. 302) e dal rispetto dei principi di buona fede e correttezza (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 8 novembre 2012, n. 5681), possa procedere all’annullamento o alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria ovvero non procedere all’aggiudicazione definitiva, giova però chiarire la peculiare natura che, in fattispecie di tal sorta, detiene il potere di autotutela.

Invero, alla stregua di un consistente orientamento giurisprudenziale, “… la decisione della stazione appaltante di procedere alla “revoca” dell’aggiudicazione provvisoria e di non dar corso alla gara svolta, in  presenza di ragioni di pubblico interesse, non è attività di secondo grado… rientrando nell’unico procedimento di gara e nella medesima sequenza procedimentale” (ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 11 luglio 2012, n. 4116; idem , Sez. V, 20 aprile 2012, n. 2338; T.A.R. Toscana, Sez. I, 21 settembre 2011, n. 1407).

Ne consegue, secondo quanto statuito anche dalla pronuncia in commento, la possibilità di prescindere dal contraddittorio procedimentale, “… non essendo imposte né la comunicazione di avvio del procedimento (v. Cons. Stato, Sez. V. 18 luglio 2012, n. 4189; idem, n. 4116/2012 cit.; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 24 ottobre 2006, n. 3790), né, peraltro, la ponderazione dell’interesse pubblico al non perfezionamento dell’aggiudicazione con l’interesse antagonista dell’aggiudicatario in via provvisoria” (Cons. Stato, Sez. V, 20 aprile 2012, n. 2338).

Viceversa, in presenza di un provvedimento di aggiudicazione definitiva, l’esercizio del potere di autotutela deve essere necessariamente preceduto, a pena di illegittimità, dalla comunicazione di avvio del procedimento, “… dovendosi dare modo all’aggiudicatario definitivo, titolare di una posizione giuridica qualificata, di poter interloquire prospettando fatti e osservazioni finalizzate alla migliore individuazione dell’interesse pubblico, concreto ed attuale, alla cui unica cura deve essere indirizzata la potestà pubblica” (Cons. Stato, Sez. V, 12 febbraio 2010, n. 743).

Come cennato, la sentenza presenta un rilevante profilo di interesse anche laddove interviene a precisare la latitudine applicativa della causa di incompatibilità di cui all’art. 63, comma 1°, n. 2 del T.U.E.L., dopo aver peraltro chiarito l’impossibilità di qualificare i lavori socialmente utili eseguiti presso l’Amministrazione comunale come rapporto di pubblico impiego incompatibile, ai sensi dell’art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001, con lo svolgimento di attività privata.

Sul punto, occorre premettere come, alla stregua di consolidata giurisprudenza, “… ogni Pubblica Amministrazione deve conformare la propria immagine, prima ancora che la propria azione, al principio generale di imparzialità e di trasparenza ex art. 97 Cost. (Cons. Stato, Sez. IV, 7 ottobre 1998, n. 1291; C.G.A.S., Sez. giur., 26 aprile 1996, n. 83; Cons. Stato, Sez. IV, 25 settembre 1995, n. 755), tanto che – secondo ius receptum - le regole sull’incompatibilità, oltre ad assicurare l’imparzialità dell’azione amministrativa, sono rivolte ad assicurare il prestigio della Pubblica Amministrazione ponendola al di sopra di ogni sospetto, indipendentemente dal fatto che la situazione incompatibile abbia in concreto creato o no un risultato illegittimo (Cons. Stato, Sez. VI, 13 febbraio 2004, n. 563)” (in terminis, Cons. Stato, Sez. V. 19 settembre 2006, n. 5444).

Ciò posto, giova ricostruire, seppur brevemente, la ratio e la portata dell’art. 63, comma 1°, n. 2 del T.U.E.L., in ordine alle quali importanti coordinate ermeneutiche sono state tracciate da un risalente arresto della Suprema Corte di Cassazione ( v. Cass. civ, Sez. I, 16 gennaio 2004, n. 550).

Le cause di “incompatibilità di interessi” trovano fondamento costituzionale nei principi di imparzialità e buon andamento ex art. 97, comma 1° Cost.; invero, la loro ratio consiste nell’impedire che possano concorrere all’esercizio delle pubbliche funzioni soggetti portatori di interessi configgenti con quelli dell’Amministrazione o che comunque si trovino in condizioni suscettibili di comprometterne l’imparzialità (cfr. Corte Cost. n. 288/2007; n. 44/ 2007; n. 220/2003; n. 450/2000).

Secondo la giurisprudenza costituzionale, infatti, “… l’incompatibilità, a differenza dell’ineleggibilità, è una situazione che non ha riflessi nella parità di condizioni tra candidati, ma attiene alla concreta possibilità, per l’eletto, di esercitare pienamente le funzioni connesse alla carica, anche per motivi concernenti il conflitto di interessi nel quale il soggetto verrebbe a trovarsi se fosse eletto. Di qui la conseguenza che il soggetto ineleggibile deve eliminare ex ante la situazione di ineleggibilità nella quale versa, mentre il soggetto soltanto incompatibile deve optare ex post, cioè ad elezione avvenuta, tra il mantenimento della precedente carica e il munus pubblico derivante dalla conseguita elezione” (in terminis, Corte Cost. n. 288/2010).

Ciò posto, occorre verificare se e in che misura la sussistenza di una causa di “incompatibilità di interessi” possa interferire con l’esito di una gara d’appalto.

Preliminarmente, però, non può sottacersi come la norma in esame imponga, ai fini della sua applicabilità, la sussistenza di un duplice ordine di condizioni, di tipo soggettivo e oggettivo (Cass. civ., n. 550/2004).

Quanto alla prima, il tenore letterale della disposizione è inequivocabile: è necessario che il soggetto potenzialmente incompatibile con l’esercizio della carica elettiva rivesta la qualità di “titolare” o di “amministratore” ovvero di “dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento”.

In ordine alla condizione oggettiva, invece, l’utilizzo della locuzione “ha parte, direttamente o indirettamente” ha dato adito a dubbi interpretativi, per fugare i quali è intervenuta la giurisprudenza di legittimità.

Quest’ultima ha infatti chiarito che: “la disposizione in esame si riferisce al soggetto che, rivestito di una delle predette qualità soggettive, partecipi – eventualmente con altri soggetti, anche pubblici– ad un “servizio pubblico” come portatore di un proprio specifico e particolare interesse, contrapposto a quello generale dell’ente locale e, quindi, potenzialmente confliggente con l’esercizio imparziale della carica elettiva (…). Spetta al giudice individuare, secondo le circostanze della concreta fattispecie sottopostagli e secondo la specifica disciplina applicabile, quale sia, in conformità alla disposizione in esame, la “partecipazione rilevante” e, quindi, accertare la sussistenza, o no, della causa di incompatibilità. (…) Va, infine, precisato che gli avverbi “direttamente e indirettamente” debbono intendersi riferiti non già alla condizione oggettiva, bensì a quella soggettiva (…), sicché è evidente che la condizione soggettiva di incompatibilità, nei casi di accertata divergenza tra dato formale e dato sostanziale relativamente al soggetto partecipante al servizio, non può che integrarsi nei confronti del dominus – nel senso di portatore sostanziale e non meramente formale - del predetto interesse”(Cass. civ. n. 550 cit.).

Tanto premesso, è possibile esaminare i profili di interferenza intercorrenti tra la causa di incompatibilità contemplata dalla norma in esame e la disciplina degli appalti pubblici.

La questione deve essere risolta alla luce del fondamentale principio di legalità e tipicità delle cause di esclusione di cui all’art. 46, comma 1-bis del Codice dei contratti pubblici, volto ad assicurare la massima partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica e, così, la piena attuazione del principio di concorrenza.

Com’è noto, infatti, le eventuali prescrizioni imposte dai bandi a pena di esclusione, diverse da quelle contenute nel Codice dei contratti pubblici, nel Regolamento o in altre disposizioni di legge, ovvero non riconducibili alle ipotesi contemplate dall’art. 46, comma 1-bis del D.Lgs. n. 163/2006, sono nulle per espressa previsione della predetta norma.

In virtù di tanto, deve reputarsi che la stazione appaltante non possa escludere dalla gara l’operatore economico che vi concorra per il sol fatto che ne sia titolare, amministratore o dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento taluno dei soggetti indicati dall’art. 63, comma 1°, n. 2 del D.Lgs. n. 267/2000 (sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale o circoscrizionale ), a tanto ostando il surrichiamato principio di tipicità delle cause di esclusione. Di talché, ove l’appalto fosse aggiudicato all’impresa in questione, dovrebbero poi trovare applicazione le norme del T.U.E.L. volte a regolare le ipotesi di sussistenza delle cause di incompatibilità normativamente previste.

 

PERCORSO BIBLIOGRAFICO

F. Caringella, M. Giustiniani, Manuale di diritto amministrativo. IV. I contratti pubblici, Ed. Dike, 2014; F. Caringella, M. Giustiniani, Codice dei contratti pubblici, Ed. Dike, 2014.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8928 del 2010, proposto da:

Società “I Tre Conti di Giovanna Conti & C Sas.”, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. Fernanda Moneta Mantuano, con domicilio eletto presso Fernanda Moneta Mantuano in Roma, via Treviso, 15;

contro

Comune di Jenne, rappresentato e difeso dall'avv. Livio Proietti, con domicilio eletto presso Livio Proietti in Tivoli, via Boselli, 20;

nei confronti di

Società Coop. il Rifugio Srl, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv. Giuseppe Grazzini, Francesco Freni, con domicilio eletto presso Giuseppe Grazzini in Roma, via San Domenico 20;

per l'annullamento

della determinazione n. 41, datata 10/9/2010, inerente la gara d'appalto per la gestione dell'Ostello comunale, della piscina e delle attivita' annesse siti in localita' "Lescuso" diel comune di Jenne.

 

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Jenne e della Società Coop il Rifugio Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2014 il cons. Giuseppe Rotondo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in esame, la società ricorrente, per mezzo del suo rappresentante legale, impugna la determinazione n. 41, datata 10/9/2010, con la quale il responsabile del Servizi Amministrativo del comune di Jenne:

“Visto il verbale e gli atti di gara della commissione ... della seduta del 12 agosto 2010 ... dai quali risulta aggiudicataria provvisoria della gara d’appalto in oggetto – per sorteggio – la “Tre Conti” s.a.s.;

Atteso che: - dal citato verbale del 12 agosto 2010 della commissione della gara di cui trattasi non risulta che l’operazione di sorteggio sia intervenuta in conformità a quanto previsto dall’art. 77 del r.d. 23 maggio 1924, n. 827 e s.m.i.; -non si evincono le motivazioni a supporto delle valutazioni operate dalla commissione per l’attribuzione dei singoli giudizi per i progetti tecnici e per le esperienze pregresse; - l’esperienza pregressa, in particolare, è stata valutata in difformità da quanto previsto dal bando; Considerato che i rilievi sopra evidenziati presentano vizi di legittimità insanabili;

Visto l’art. 21 nonies della L. n. 241 del 1990;

Ritenuto, pertanto, che nell’ambito dell’azione di autotutela appare necessario provvedere all’annullamento della gara in oggetto, al fine di porre al riparo l’Amministrazione da un possibile contenzioso in sede giurisdizionale”;

ha disposto “In sede di autotutela, l’annullamento della gara d’appalto per la gestione dell’Ostello comunale, della piscina e delle attività annesse, siti in località “Lescuso”, di cui al bando del 3 maggio 2010”.

In punto di fatto, rileva che:

-la gara d’appalto è stata indetta con il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa;

-ad essa hanno partecipato due concorrenti, la società ricorrente e la controinteressata “Il Rifugio”, società cooperativa a r.l.;

-nella seduta del 16 luglio 2010, la commissione (verbali n. 1 e 2) dapprima sospese e poi rinviò i lavori ad altra seduta essendo stata sollevata, da parte della soc. “Tre Conti”, una questione di incompatibilità e conflitto di interessi nei riguardi della soc. cooperativa “Il Rifugio”;

-in particolare, i rappresentanti della “Tre Conti” fecero rilevare a verbale che il socio della cooperativa “signora Monica Tani riveste anche la carica di consigliere comunale presso il comune di Jenne”, mentre il sig. Lauri Fulvio, presidente della nominata cooperativa “Il Rifugio”, allo stesso tempo presta attività lavorativa presso il comune di Jenne in qualità di lavoratore socialmente utile; di tal ché, ne invoca l’esclusione dalla gara”;

-con determinazione n. 37 del 5 agosto 2010, il Responsabile del servizio Amministrativo, a seguito delle dimissioni di due membri, provvide a nominare una nuova commissione di gara.

Nella seduta del 12 agosto 2010, la commissione di gara, dopo aver richiamato i parametri di valutazione delle offerte stabiliti nel bando, passò alla “disamina della documentazione contenente le esperienze documentate di gestione di strutture simili e le caratteristiche metodologiche per lo svolgimento della gestione” presentata dalle due concorrenti.

A seguito dell’esame di detta documentazione, la commissione attribuì i punteggi di seguito riportati:

a)soc. I Tre Conti s.a.s.: Caratteristiche metodologiche per lo svolgimento della gestione: fino a un massimo di n. 5 punti – documentazione giudicata più che sufficiente – punteggio di 3; Esperienza documentata di gestione di strutture simili: fino a un massimo di n. 5 punti – documentazione giudicata mediocre – punteggio di 1,5 - punteggio complessivo pari a punti 4,5;

b)Cooperativa Il Rifugio: Caratteristiche metodologiche per lo svolgimento della gestione: fino a un massimo di n. 5 punti – documentazione giudicata scarsa – punteggio di 1; Esperienza documentata di gestione di strutture simili: fino a un massimo di n. 5 punti – documentazione giudicata buona – punteggio di 3,5 – punteggio complessivo pari a punti 4,5.

Nella stessa seduta, la commissione, dopo avere aperto le buste contenenti le offerte economiche, attribuì i seguenti punteggi:

a)soc. I Tre Conti : aumento del 20,50% del canone base indicato nel bando – punteggio attribuito pari a 5 (massimo punteggio attribuibile all’offerta pari o superiore al 20%);

b)cooperativa Il Rifugio: aumento del 21,00% del canone base indicato nel bando – punteggio attribuito pari a 5 (massimo punteggio attribuibile all’offerta pari o superiore al 20%).

Preso atto che entrambe le concorrenti avevano raggiunto il medesimo punteggio pari a 9,5 la commissione, al fine di procedere all’aggiudicazione provvisoria, effettuò il sorteggio tra le parti incaricando un ragazzo di estrarre da un’urna chiusa il nominativo.

All’esito del sorteggio risultò aggiudicataria provvisoria la cooperativa “Il Rifugio”.

Come sopra anticipato, il Responsabile del Servizio Amministrativo, in sede di verifica/approvazione dei risultati di gara, rilevata la presenza di diversi profili di illegittimità nella procedura di gara (dal verbale del 12 agosto 2010 non risultava che l’operazione di sorteggio fosse intervenuta in conformità a quanto previsto dall’art. 77 del r.d. 23 maggio 1924, n. 827 e s.m.i.; non si evincevano le motivazioni a supporto delle valutazioni operate dalla commissione per l’attribuzione dei singoli giudizi per i progetti tecnici e per le esperienze pregresse; l’esperienza pregressa, in particolare, era stata valutata in difformità da quanto previsto dal bando), dispose l’annullamento in autotutela della gara d’appalto.

Sulla scorta di questi fatti, l’odierna ricorrente ha impugnato la suddetta determinazione n. 41 del 10/9/2010 affidando il ricorso ai seguenti motivi:

1)nullità della notifica del provvedimento impugnato:

1.1)la determinazione di annullamento della gara d’appalto non è stata notificata bensì semplicemente comunicata dal comune di Jenne a mezzo di proprio dipendente che non ha la qualifica di messo notificatore; inoltre, le modalità di recapito non sono state quelle indicate nell’art. 79, c. 5 bis del D.Lgs n. 163 del 2006;

2)violazione dell’art. 7 della L. n., 241 del 1990:

2.1)l’Amministrazione comunale ha omesso di comunicare l’avvio del procedimento di autotutela:

3)violazione della legge n. 154 del 1981 e del D.Lgs n. 293 del 1993 per mancata valutazione in ordine ad un motivo di esclusione della società cooperativa “Il Rifugio”:

3.1)il presidente della società controinteressata è impiegato presso il comune di Jenne mentre la signora Monica Tani (componente del Consiglio di amministrazione della Cooperativa) è consigliere comunale: sussiste, pertanto, un’ipotesi di correlazione immediata e diretta fra il procedimento di gara e specifici interessi privati, tali da invocare l’esclusione della cooperativa dalla gara;

4)violazione dell’art. 77 del r.d. n. 827 del 1924:

4.1)la commissione di gara ha proceduto direttamente all’aggiudicazione mediante sorteggio anziché procedere ad un’offerta migliorativa;

5)violazione della L. n. 241 del 1990 nonché dell’art. 10, c. 1 del D.Lgs n. 163 del 2006:

5.1)per il procedimento in questione è stato individuato un responsabile unico del procedimento nella persona della signora Tarascio Simona, dipendente comunale; sennonché, dagliatti consegnati dal Comune non risulta alcuna istruttoria condotta dal R.U.P. né alcun parere in merito alle condizioni di ammissibilità, requisiti di legittimazione e presupposti che siano rilevanti per l’emanazione del provvedimento finale. Ne consegue, che il responsabile del Servizio Amministrativo ha adottato un atto sulla base di valutazioni effettuate dal medesimo, senza acquisire la preventiva istruttoria del R.U.P., avocando a sé competenze attribuite per legge al R.U.P..

Si sono costituiti in giudizio il comune di Jenne e la cooperativa “Il Rifugio depositando documenti e articolate memorie difensive.

Con ordinanza n. 5097/2010 è stata motivatamente respinta la domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato

All’udienza del 15 ottobre 2014, la causa è stata trattenuta per la decisione.

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo di gravame, l’interessata deduce nullità della notifica del provvedimento impugnato.

La censura è infondata e, comunque, non sorretta da un concreto interesse.

Le modalità di comunicazione degli atti amministrativi afferiscono al profilo esogeno dell’atto, senza inficiarne il contenuto e, dunque, la validità intrinseca.

La determinazione impugnata è stata regolarmente affissa sull’albo pretorio, in tal modo conseguendo l’esecutività ed assolvendosi all’onere di pubblicità-notizia.

La circostanza per cui essa sia stata recapitata brevi manu alla ricorrente per il tramite di un dipendente comunale degrada, nella particolarità del caso, a mera irregolarità non viziante in grado, tutt’al più, di incidere sulla piena conoscenza del provvedimento ai fini della decorrenza del termine per la proposizione del ricorso giurisdizionale o amministrativo (v. art. 21 della L. n. 1034/1971 ratione temporis vigente).

Con il secondo motivo di gravame, la società istante deduce violazione dell’art. 7 della L. n. 241 del 1990 per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento di autotutela.

Il motivo è infondato.

In relazione all'esercizio di poteri in autotutela avverso l'atto di aggiudicazione il Collegio aderisce all'orientamento giurisprudenziale che, in via generale, reputa necessario l'avviso di avvio del procedimento in autotutela quando vi è stata l'aggiudicazione definitiva e non anche (come nella fattispecie) nei confronti dell'aggiudicazione provvisoria (per tutte, Consiglio di Stato, sez. III, 11 luglio 2012 n. 4116).

Anche il terzo motivo non ha pregio.

Con esso, parte ricorrente censura il verbale di gara, ovvero l’aggiudicazione provvisoria disposta in favore della controinteressata, per mancata valutazione in ordine ad un motivo di esclusione della società cooperativa “Il Rifugio” (conflitti di interessi e incompatibilità del suo presidente e di uno dei soci).

Si tratta, come detto, di vizi che affliggono l’aggiudicazione della gara mentre oggetto di impugnativa, nonché oggetto di interesse immediato per la ricorrente, è la determinazione con la quale l’aggiudicazione provvisoria è stata annullata e l’intera gara revocata.

Dovrebbe, pertanto, dichiararsi, in parte qua, il difetto di interesse alla coltivazione del motivo di gravame atteso che il suo eventuale accoglimento aggiungerebbe, semmai, un ulteriore profilo di illegittimità ai vizi riscontrati in sede di esercizio del potere di autotutela.

Ad ogni modo, anche ai fini conformativi della futura azione amministrativa, il Collegio osserva che il motivo di ricorso è infondato.

Il D.Lgs n. 293 del 1993 (richiamato dalla ricorrente) regola i rapporti di lavoro con il pubblico impiego, vietando espressamente la possibilità per i dipendenti di svolgere anche attività privata, pena la risoluzione del rapporto di lavoro.

Il presidente della Cooperativa “Il Rifugio” svolge lavori socialmente utili (L.S.U.) presso il comune di Jenne.

Il Collegio aderisce all'orientamento giurisprudenziale secondo cui, con riguardo ai L.S.U., non è configurabile un rapporto d’impiego in senso proprio né con lo Stato né con gli enti locali (v. in termini, anche per una ricostruzione dell’istituto, Tar Puglia, Bari, sez. I, n. 255/2003).

Cade, pertanto, il profilo di incompatibilità e/o conflitto di interessi evidenziato dalla ricorrente dovendosi escludere che il presidente della Cooperativa sia dipendente del comune di Jenne.

Ad ogni modo, l’eventuale sanzione che colpirebbe il presidente della cooperativa ai sensi del citato Decreto – ove anche si intendesse qualificare il suo rapporto come di impiego alle dipendenze del Comune – sarebbe esclusivamente quella di vedersi risolto il rapporto di lavoro.

Diverso il caso della signora Monica Tani che, in qualità di membro del C.d.A. della cooperativa, è anche consigliere comunale.

L’art. 63 del D.Lgs n. 267 del 2000 (T.U. EE.LL.) dispone che (1^ comma, n. 2) “Non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale o circoscrizionale ... colui che, come titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti, nell'interesse del comune o della provincia, ovvero in società ed imprese volte al profitto di privati, sovvenzionate da detti enti in modo continuativo, quando le sovvenzioni non siano dovute in forza di una legge dello Stato o della regione, fatta eccezione per i comuni con popolazione non superiore a 3.000 abitanti qualora la partecipazione dell'ente locale di appartenenza sia inferiore al 3 per cento e fermo restando quanto disposto dall'articolo 1, comma 718, della legge 27 dicembre 2006, n. 296”.

Trova applicazione, tuttavia, al caso di specie il successivo comma 2 dell’art. 63 citato a mente del quale “L'ipotesi di cui al numero 2) del comma 1 non si applica a coloro che hanno parte in cooperative o consorzi di cooperative, iscritte regolarmente nei registri pubblici”.

Pare evidente, dunque, che non ricorra nel caso di specie alcuna ipotesi di incompatibilità e/o conflitto di interesse in capo alla signora Monica Tani essendo costei socia di Cooperativa senza finalità di lucro.

Con il quarto motivo di ricorso, la ricorrente deduce violazione dell’art. 77 del r.d. n. 827 del 1924: la commissione di gara ha proceduto direttamente all’aggiudicazione mediante sorteggio anziché procedere ad un’offerta migliorativa.

Anche in questo caso, e per le medesime ragioni sopra evidenziate, il Collegio rileva un difetto di interesse in capo alla ricorrente alla proposizione del motivo di gravame.

Va soggiunto, sullo specifico punto, che il comune di Jenne ha provveduto ad annullare (rectius, revocare) la procedura di gara (indetta con deliberazione della G.C. n. 22 del 26/3/2010) sulla base di plurimi motivi di legittimità e di opportunità (v. motivazione D.D. n. 41/2010).

Ebbene, nel gravarsi avverso la suddetta determinazione, parte ricorrente ha sottoposto a puntuale censura soltanto una delle argomentazioni concernenti l’asserita illegittimità dell’atto, ovvero la modalità (per sorteggio) con la quale l’Amministrazione è pervenuta all’aggiudicazione provvisoria; tralasciando tuttavia di censurare le ulteriori argomentazioni che pure sorreggono la determinazione impugnata, ciascuna delle quali in grado di sostenere autonomamente il provvedimento.

Più precisamente, l’interessata non ha mosso alcuna censura avverso ben due specifiche ragioni indicate dal Responsabile del Servizio Amministrativo a motivo della revoca, quali: “dal verbale del 12 agosto 2010 ... non si evincono le motivazioni a supporto delle valutazioni operate dalla Commissione per l’attribuzione dei singoli giudizi per i progetti tecnici e per le esperienze pregresse; l’esperienza pregressa, in particolare, è stata valutata in difformità da quanto previsto dal bando”.

Si tratta di due autonome motivazioni che, siccome non avversate con specifici motivi di doglianza, resistono all’azione impugnatoria nel senso che, ove anche fosse accolto il profilo viziante messo in luce dalla ricorrente (l’illegittimità del sorteggio per stabilire l’aggiudicatario provvisorio), continuerebbero a supportare (autonomamente) la legittimità dell’atto.

Con il quinto motivo di gravame, l’interessata sostiene che per il procedimento di gara è stato individuato un Responsabile unico del procedimento nella persona della signora Tarascio Simona, dipendente comunale.

Sennonché, dagli atti consegnati dal Comune non risulta alcuna istruttoria condotta dal R.U.P. né alcun parere in merito alle condizioni di ammissibilità, requisiti di legittimazione e presupposti che siano rilevanti per l’emanazione del provvedimento finale.

Ne consegue, che il responsabile del Servizio Amministrativo ha adottato un atto sulla base di valutazioni effettuate dal medesimo, senza acquisire la preventiva istruttoria del R.U.P., avocando a sé competenze attribuite per legge al R.U.P..

Il motivo è infondato.

La signora Tarascio Simona è stata nominata segretario verbalizzante della commissione nonché responsabile del procedimento.

L’incarico, tuttavia, non è stato indicato nel bando o avviso di gara, così come prescrive il comma 8, art. 10 del D.Lgs n. 163 del 2006.

Da cui, la prima perplessità sulle effettive competenze della sig. T.S. quale R.U.P. per la procedura di gara de qua.

In disparte quanto sopra, il Collegio non ravvede nella procedura posta in essere i dedotti profili di illegittimità.

Ai sensi dell’art. 12, c. 1 del D.Lgs n. 163 del 2006 l’aggiudicazione provvisoria è soggetta ad approvazione dell’organo competente secondo l’ordinamento delle amministrazioni aggiudicatrici.

Nel caso di specie, non è contestata la competenza del Responsabile del Servizio Amministrativo.

Legittimamente, pertanto, detto responsabile si è determinato nei divisati sensi, quale soggetto titolare delle relative attribuzioni.

L’intervento del R.U.P. non appare, nella particolarità della fattispecie, condizionante né vincolante per l’organo deputato a verificare la bontà delle operazioni di gara, la cui decisione si può discostare - motivatamente - dal parere endoprocedimentale.

Ancor più ove si consideri che oggetto della determinazione n. 41/2010 è stata la revoca dell’intera procedura di gara: decisione, questa, la cui valutazione, in termini soprattutto di opportunità, non postulava affatto – giusta regola del contrarius actus - il parere del R.U.P..

In conclusione, per quanto sin qui argomentato, il ricorso in esame è infondato e va, perciò, respinto.

Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la società “I Tre Conti” s.a.s., in persona del suo legale rappresentante, al pagamento delle spese processuali che si liquidano, in parti uguali, in favore del comune di Jenne e della controinteressata soc. coop. “Il Rifugio” per complessivi euro 3.000,00 oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:

 

Maddalena Filippi, Presidente

Roberto Caponigro, Consigliere

Giuseppe Rotondo, Consigliere, Estensore