Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 5 novembre 2014, n. 5470

Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 5 novembre 2014, n. 5470
 

Presidente Caringella; Estensore Lotti
 

 

Nei casi di cessione di azienda, fusione e incorporazione societaria avvenute nell’anno antecedente alla pubblicazione di un bando di gara, i legali rappresentanti delle società cedenti, incorporate o fuse sono tenuti compiere le (o a esser oggetto delle) dichiarazioni di cui all’art. 38, comma 1, lett. c), del Codice appalti essendo questi da considerarsi come rientranti fra i soggetti cessati dalla carica.
 

 

Allo stesso modo, anche nel caso di contratto di affitto di azienda – che rientra, per analogia, tra le ipotesi di cessione, fusione e incorporazione – gli amministratori e direttori tecnici dell’impresa locatrice sono tenuti a rendere le dichiarazioni di cui all'art. 38, comma 1, lett. c), del Codice appalti.
 

 

In presenza di un obbligo dichiarativo ex lege, la mancata presentazione delle dichiarazioni da parte dei soggetti obbligati, non può essere regolarizzata altrimenti violandosi la par condicio dei concorrenti. Non potendo accogliersi nell’ambito degli appalti pubblici la teoria del cd. “falso innocuo”, la produzione tardiva della dichiarazione mancante o la sanatoria della forma omessa, non è consentita.

BREVI ANNOTAZIONI

 

 

OGGETTO DELLA PRONUNCIA

 

Con la pronuncia in commento, il Consiglio di Stato torna ad affrontare il tema dell’onere di presentazione, da parte del cessionario di azienda, della dichiarazione relativa al requisito di cui all’art. 38, comma 1, lett. c), d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, anche con riferimento agli amministratori ed ai direttori tecnici che hanno prestato la propria attività presso la cedente nell’anno anteriore alla pubblicazione del bando.

Nel caso di specie, tali principi sono stati applicati – per analogia – anche alla fattispecie dell’affitto di autonomo ramo d’azienda.

Inoltre, il Collegio ha affrontato anche la teoria del cd. “falso innocuo”, ritenendo che – alla luce dei principi espressi dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 9/2014 – nel campo delle procedure ad evidenza pubblica tale teoria non possa trovare applicazione.

 

 

PERCORSO ARGOMENTATIVO

 

Nella sentenza in esame, i Giudici di Palazzo Spada, confermando l’impugnata sentenza del Tar per la Regione Marche, hanno statuito la legittimità dell’esclusione da una gara d’appalto di una società per la mancata presentazione della dichiarazione di moralità professionale con riferimento ai legali rappresentanti della concedente affitto di ramo d’azienda.

Anzitutto, il Collegio richiama le sentenze dell’Adunanza Plenaria nn. 10 e 21 del 2012, a partire dalle quali si è affermato il principio di diritto secondo cui nei casi di cessione di azienda, fusione ed incorporazione societaria, i legali rappresentanti delle società cedenti, incorporate o fuse con altra società, devono essere considerati come rientranti fra i soggetti cessati dalla carica e quindi per essi debba essere resa la dichiarazione ex art. 38, comma 1, lett. c), Codice appalti (sempreché, la vicenda societaria sia avvenuta nell’anno antecedente la pubblicazione del bando di gara).

È stato chiarito, infatti, che tale norma, pur non richiamando espressamente i casi di cui sopra, comprenda anche ipotesi non testualmente indicate ma, comunque, riconducibili alla medesima ratio, ovvero alla sostanziale continuità del soggetto imprenditoriale cui ineriscono.

Pertanto, nel richiamare una per giurisprudenza ormai costante, è stato sottolineato che tutte le vicende modificative della compagine societaria comportano l’onere di presentazione delle dichiarazioni suddette e ciò, ad opinione dei Giudici di appello, non può che ritenersi applicabile anche nel caso di affitto di azienda.

Il Consiglio di Stato ha specificato, infatti, che in tale fattispecie “l’influenza dell’impresa locatrice è destinata a restare intatta per tutto lo svolgimento del rapporto e ben potrebbe costituire un agevole mezzo per aggirare gli obblighi sanciti dal codice degli appalti”.

Del resto, la specificità del contratto di affitto sta proprio nella continuità imprenditoriale tra l’affittante e l’affittuario, il quale – almeno in astratto – ben può utilizzare i mezzi ed il personale dell’azienda affittata, nonché usufruire dei suoi requisiti tecnici, organizzativi ed economici.

Per il Collegio, allora, l’unico elemento che potrebbe consentire di non soggiacere all’obbligo di presentazione delle dichiarazioni di cui all’art. 38, comma 1, lett. c) per i legali rappresentanti che hanno operato nell’impresa locatrice nell’anno antecedente alla pubblicazione del bando si rivela quello di dimostrare una completa “cesura tra le gestioni” (elemento del tutto mancante nel caso di specie).

Dopo aver così motivato la reiezione del ricorso in appello, il Consiglio di Stato, nella pronuncia in commento, compie una breve indagine anche in merito alla teoria del cd. “falso innocuo”, negandone in radice la possibilità di applicazione alle procedure ad evidenza pubblica.

Il Collegio, infatti, ritenendo che l’obbligo dichiarativo in questione sia insito nel contenuto della norma di legge, esclude la possibilità della produzione tardiva della dichiarazione ove del tutto mancante.

Tale principio è stato di recente chiarito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 9/2014, la quale, focalizzando l’attenzione sulla necessità degli obblighi dichiarativi, ha affermato che “il “potere di soccorso” sancito dall’art. 46, comma 1, del Codice dei contratti pubblici - sostanziandosi unicamente nel dovere della stazione appaltante di regolarizzare certificati, documenti o dichiarazioni già esistenti ovvero di completarli ma solo in relazione ai requisiti soggettivi di partecipazione, chiedere chiarimenti, rettificare errori materiali o refusi, fornire interpretazioni di clausole ambigue nel rispetto della par condicio dei concorrenti - non consente la produzione tardiva della dichiarazione o del documento mancanti o la sanatoria della forma omessa, ove tali adempimenti siano previsti a pena di esclusione dal medesimo Codice, dal regolamento di esecuzione e dalle leggi statali”.

Ebbene, a parere dei Giudici, tale pronuncia deve essere letta nel senso di escludere la possibilità di applicazione della teoria sostanzialistica (di derivazione penalistica) del c.d. “falso innocuo”, in quanto la completezza delle dichiarazioni nelle procedure di evidenza pubblica è in sé un valore da perseguire.

In altri termini, una dichiarazione inaffidabile (o addirittura mancante) è, dunque, lesiva degli interessi ‘protetti’ dalla norma, a prescindere dal fatto che l’impresa meriti sostanzialmente di partecipare alla gara.

 

 

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

 

La pronuncia è degna di nota per aver esteso, in via analogica, i principi espressi dalla giurisprudenza, sin dalle sentenze dell’Adunanza Plenaria nn. 10 e 21 del 2012, circa l’obbligo di rilasciare le dichiarazioni di moralità professionale per gli amministratori delle società fuse o cedenti ramo d’azienda, anche alla fattispecie di affitto di autonomo ramo d’azienda.

La necessità di rendere tali dichiarazioni sarebbe insita nello stesso art. 38, comma 1, lett. c), Codice appalti che attribuisce specifica rilevanza anche alle condanne penali subite dai soggetti cessati dalla carica nell’anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara.

Appare evidente, pertanto, che lo scopo perseguito dalla giurisprudenza sia quello di limitare quanto più possibile i fenomeni elusivi e di fornire una tutela preventiva rispetto alla concreta lesione dei beni giuridici che le stazioni appaltanti sono tenute a garantire nelle gare pubbliche.

Se da un lato tale ragionamento rischia di allontanarsi dal principio di tassatività delle cause di esclusione, comportando un’ulteriore estensione dell’ambito di applicazione dell’art. 38, dall’altro ha certamente il pregio di garantire una maggiore certezza del sistema e l’uniformità dei giudizi delle stazioni appaltanti.

Per ciò che concerne, infine, il richiamo effettuato alla teoria del c.d. "falso innocuo”, il Consiglio di Stato conferma di aderire, come più volte affermato nelle pronunce più recenti, alla teoria formalistica che ne esclude l’applicazione nel campo dei contratti pubblici.

Le ricostruzioni tipicamente penalistiche, infatti, mal si attagliano al settore delle procedure ad evidenza pubblica in cui occorre poter fare affidamento su una dichiarazione idonea a far assumere tempestivamente alla stazione appaltante le necessarie determinazioni in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla gara o alla sua esclusione (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. III, 16 marzo 2012, n. 1471).

 

 

PERCORSO BIBLIOGRAFICO

 


F. Caliandro, L’estensione dell’onere dichiarativo concernente i requisiti di moralità professionale nelle gare pubbliche. Cause e possibili conseguenze, in I contratti dello Stato e degli Enti pubblici, Rivista trimestrale di dottrina e giurisprudenza, 3/2012, Maggioli Editore;

C. Commandatore, Il “falso innocuo” nelle gare per l’affidamento degli appalti pubblici, in www.lexitalia.it

T. F. Massari, Il falso innocuo approda in Corte di giustizia, in www.ilnuovodirittoamministrativo.it

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

 

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 2834 del 2014, proposto da:  Gemeaz Ellior Spa in proprio e quale Capogruppo Mandataria Costituendo RTI, rappresentato e difeso dall'avv. Riccardo Anania, con domicilio eletto presso l’avv. Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, 14/4A; 
RTI Camst Soc. Coop. a R.L., rappresentato e difeso dall'avv. Riccardo Anania, con domicilio eletto presso l’avv. Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, 14/4A; 

 

contro

 

Jesiservizi Srl, rappresentata e difesa dagli avv. Angelo Clarizia e Alessandro Lucchetti, con domicilio eletto presso l’avv. Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2;
Dussmann Service Srl, rappresentata e difesa dagli avv. Filippo Martinez, Davide Moscuzza e Ulisse Corea, con domicilio eletto presso l’avv. Ulisse Corea in Roma, via dei Monti Parioli, 48;

sul ricorso numero di registro generale 3919 del 2014, proposto da: 
Jesiservizi Srl, rappresentata e difesa dall'avv. Alessandro Lucchetti, con domicilio eletto presso l’avv. Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2; 

 

contro

 

Dussmann Service Srl, rappresentata e difesa dagli avv. Filippo Martinez, Davide Moscuzza e Ulisse Corea, con domicilio eletto presso l’avv. Ulisse Corea in Roma, via dei Monti Parioli, 48; 

 

nei confronti di

 

Gemeaz Elior Spa in proprio e in qualità di Capogruppo Mandataria Costituenda ATI, rappresentato e difeso dall'avv. Riccardo Anania, con domicilio eletto presso l’avv. Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, 14/4A; ATI - Camst Soc. Coop. a R.L.; 

 

per la riforma

 

quanto al ricorso n. 2834 del 2014 e al ricorso n. 3919 del 2014:

della sentenza del T.A.R. MARCHE – ANCONA, SEZIONE I, n. 358/2014, resa tra le parti, concernente affidamento servizio di refezione asili nido e scuole dell'infanzia e primarie del Comune di Jesi e residenza protetta casa di riposo "Vittorio Emanuele II” – MCP.

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Jesiservizi Srl, di Dussmann Service Srl e di Gemeaz Elior Spa in proprio e in qualità di Capogruppo Mandataria Costituenda ATI;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 luglio 2014 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti gli avvocati Anania Riccardo, Clarizia Angelo, Lucchetti Alessandro e Moscuzza Davide;

 

FATTO

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, Sez. I, con la sentenza 19 aprile 2014, n. 358 ha accolto il ricorso proposto dall’attuale appellata Dussmann Service s.r.l. per l’annullamento; dell’aggiudicazione definitiva al RTI Gemeaz Elior s.p.a. della procedura aperta per l'affidamento della refezione per gli asili nido e scuole dell'infanzia e primarie del Comune di Jesi, nonché per la Residenza Protetta Casa di Riposo "Vittorio Emanuele II"; dei verbali di gara, nella parte in cui il RTI controinteressato è stato ammesso alla procedura di gara; del diniego parziale di accesso agli atti; del diniego di autotutela rispetto all'istanza presentata ex art. 243-bis, d.lgs. n. 163/2006.

Il TAR fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, che la mancata dichiarazione dei requisiti soggettivi della cedente ramo d’azienda è causa di esclusione da una procedura ad evidenza pubblica per il concorrente che si sia reso cessionario di ramo d’azienda nell’anno antecedente alla pubblicazione del bando di gara.

Infatti, ha osservato il TAR, la mandataria del RTI controinteressato si è resa cessionaria di ramo d’azienda in data 5 settembre 2012 e la stessa si è resa affittuaria di ramo d’azienda in data 24 luglio 2012; nella domanda di partecipazione alla procedura ad evidenza pubblica della controinteressata Gemeaz Elior non sono stati dichiarati i requisiti soggettivi della cedente ramo d’azienda e della concedente affitto di ramo d’azienda.

Per tale ragione, ha concluso il TAR, il raggruppamento controinteressato avrebbe dovuto essere escluso dalla procedura ad evidenza pubblica, non potendo invocarsi l’esercizio del potere di soccorso, stante l’omessa dichiarazione.

L’appellante Gemeaz Elior s.p.a., in proprio e quale mandataria di RTI con Camst soc. coop. a r.l., contestava la sentenza del TAR, deducendo:

- Omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia (eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado proposto da Dussmann); violazione e/o falsa applicazione degli art. 120 (10° comma) e 74 c.p.a.;

- Omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia (natura dei contratti denominati di affitto e cessione di ramo d’azienda); violazione e/o falsa applicazione degli art. 120 (10° comma) e 74 c.p.a.; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 38, d.lgs. n. 163-06; infondatezza dell’unico motivo di ricorso di primo grado proposto da Dussmann;

- Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 38 e 46 del d.lgs. n. 163-06; infondatezza dell’unico motivo di ricorso di primo grado proposto da Dussmann, sotto ulteriore profilo.

L’appellante Jesiservizi s.r.l. contestava la sentenza del TAR, deducendo:

- Violazione per falsa applicazione dell’art. 38, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 163-06, nonché del disciplinare di gara in relazione all’asserito obbligo di esclusione in ipotesi di omessa dichiarazione dei requisiti di onorabilità come previsti dalla norma citata in capo agli esponenti qualificati delle parti cedenti ovvero locatrici nell’ambito di contratto di cessione ovvero affitto di ramo d’azienda;

- Violazione per falsa applicazione dell’art. 46 d.lgs. n. 163-06 in relazione all’asserito divieto di esercizio dei poteri di c.d. “soccorso istruttorio” da parte dell’Amministrazione aggiudicatrice con riguardo all’acquisizione degli elementi istruttori utili a confermare la sussistenza dei requisiti ex art. 38, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 163-06, in capo ai soggetti ritenuti tenuti alla comprova dei requisiti medesimi;

- In subordine, istanza di rinvio per questione pregiudiziale di interpretazione del diritto del Trattato e derivato in tema di appalti e concessioni ex art. 267, comma 1 e 3, TFUE alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea al fine di conseguire una pronuncia in ordine alla corretta interpretazione degli art. 44 e 45, nonché 51, della direttiva 2004/18/CE concernente i requisiti soggettivi dei concorrenti e le relative cause di loro esclusione, nonché il potere dell’Amministrazione aggiudicatrice di richiedere integrazioni o chiarimenti concernenti la documentazione rivolta alla prova della sussistenza dei requisiti soggettivi con particolare riferimento all’osservanza del principio di proporzionalità tra le misure legislative ed amministrative di esclusione e le finalità perseguite dalla disciplina sui requisiti di ordine generale degli operatori economici partecipanti alle procedure di aggiudicazione nel quadro del tendenziale divieto di restrizione alla partecipazioni;

- Violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 122 c.p.a. con riguardo alla presente fattispecie.

Con gli appelli in esame, si chiedeva la reiezione del ricorso di primo grado.

Si costituiva appellata Dussmann Service s.r.l. chiedendo la reiezione degli appelli.

All’udienza pubblica del 29 luglio 2014 la causa veniva trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

 

Preliminarmente deve essere disposta la riunione degli appelli avverso la medesima sentenza, ai sensi dell’art. 96, comma 1, c.p.a.

Nel merito, il Collegio ritiene infondato il primo motivo d’appello formulato dalla Gemeaz Elior s.p.a., ove è proposta un’eccezione di inammissibilità (ovvero di improcedibilità del ricorso di primo grado di Dussmann Service s.r.l. per difetto di interesse), in quanto la sentenza di condanna riportata in data 10 ottobre 2013 dall’ex-procuratore e institore della Dussmann medesima, sig. Francesco Paglia, rileverebbe quale “impedimento legale” alla stipula del contratto con Dussmann.

Tale eccezione, tuttavia, a prescindere dalla questione della dissociazione opposta dall’appellata Dussmann, in quanto volta all’esclusione della Dussmann Service s.r.l. dalla gara in contestazione e, quindi, lamentando sostanzialmente la sussistenza di una causa di esclusione (pur sopravvenuta) della Dussmann medesima che doveva essere valutata dalla stazione appaltante, costituisce domanda incidentale di carattere riconvenzionale che avrebbe dovuto essere proposta ritualmente con un ricorso incidentale notificato nei termini, non potendo sollevarsi tale questione con mera eccezione, già in primo grado, pertanto, inammissibile.

Per quanto riguarda il secondo motivo d’appello formulato dalla Gemeaz Elior s.p.a., sostanzialmente coincidente con il primo motivo d’appello di Jesiservizi s.r.l., riguardante l’affitto di autonomo ramo d’azienda dalla Ve-ris, avente ad oggetto l’attività di centro cottura e produzione pasti esercitato nei locali siti in Pordenone, Via Delle Crede n. 101/1, non si può condividere l’assunto delle parti appellanti.

Infatti, come è noto, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con le sentenze n. 10 e n. 21 del 2012, ha sancito il principio di diritto secondo cui nei casi di cessione di azienda, fusione e incorporazione societaria, i legali rappresentanti delle società cedenti, incorporate o fuse con altra società, devono essere considerati come rientranti fra i soggetti cessati dalla carica e quindi per essi debba essere resa la dichiarazione ex art. 38, comma 1, lett. c), qualora la vicenda societaria sia avvenuta nell’anno antecedente la pubblicazione del bando di gara.

La fattispecie di “cessione di azienda”, cui si riferiscono le anzidette pronunce (in particolare, la sentenza del Consiglio di Stato, Ad. Plen. 4 maggio 2012, n. 10), è sicuramente rappresentata dal trasferimento dell’azienda, riferibile ad una vicenda traslativa, ma è estensibile, per identità di ratio, anche all’affitto d’azienda.

Infatti, è vero che nel cd. Codice degli appalti manca una norma, con effetto preclusivo, che preveda in caso di cessione o affitto d’azienda un obbligo specifico di dichiarazioni in ordine ai requisiti soggettivi degli amministratori e direttori tecnici della cedente – atteso che l’art. 51 del codice si occupa della sola ipotesi di cessione del ramo d’azienda successiva all’aggiudicazione della gara; tuttavia non è neppure dubitabile che la norma di cui al citato art. 38, comma 1, lett. c), comprende anche ipotesi non testuali, ma pur sempre ad essa riconducibili sotto il profilo della sostanziale continuità del soggetto imprenditoriale a cui si riferiscono (così A.P. n. 10 del 2012 per la fattispecie specifica della cessione d’azienda).

Pertanto, l’esigenza di riferire le dichiarazioni anche agli amministratori dell’impresa dalla quale la concorrente ha ottenuto la disponibilità dell’azienda è ancora più evidente nel caso in cui si tratti di affitto e non di cessione dell’azienda, dal momento che l’influenza dell’impresa locatrice è destinata a restare intatta per tutto lo svolgimento del rapporto e ben potrebbe costituire un agevole mezzo per aggirare gli obblighi sanciti dal codice degli appalti (cfr., in termini, Consiglio di Stato, Sezione III, 18 luglio 2011, n. 4354; C.G.A., 5 gennaio 2011, n.8 e 26 ottobre 2010, n. 1314).

Sotto il profilo della necessità che anche l'affittuario sia soggetto agli obblighi di dichiarazione di cui all'art. 38 del d.lgs. n. 163-06, il Collegio, quindi, condivide l'assunto della Dussmann Service s.r.l., poiché si realizza, in sostanza, una situazione assolutamente analoga a quella della cessione di azienda, salvo per il fatto che, nel primo caso, gli effetti del contratto hanno natura transitoria e vi è un obbligo di restituzione del complesso aziendale mentre nel secondo, invece, gli effetti hanno natura permanente.

Infatti, anche nel contratto di affitto di azienda non soltanto l'affittuario è in condizione di utilizzare mezzi d'opera e personale facenti capo all'azienda affittata ma, soprattutto, si mette in condizione di avvantaggiarsi anche dei requisiti di ordine tecnico organizzativo ed economico finanziario facenti capo a tale azienda, per quanto ciò avvenga per un periodo di tempo determinato e malgrado la "reversibilità" degli effetti una volta giunto a scadenza il contratto di affitto d'azienda, con l'obbligo di restituzione del complesso aziendale".

Anche tale fattispecie, quindi, ad avviso del Collegio rientra per analogia tra quelle che, per giurisprudenza oramai pacifica del Consiglio di Stato, soggiacciono all'obbligo di rendere le dichiarazioni di cui all'art. 38, comma 1, lett. c), del Codice, riguardante anche gli amministratori e direttori tecnici dell'impresa cedente nel caso in cui sia intervenuta un'operazione di cessione d'azienda in favore del concorrente nell'anno anteriore alla pubblicazione del bando (cfr., citata sentenza Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 4 maggio 2012, n. 10).

Ciò che rileva, infatti, non è la natura reale o personale del diritto attribuito alla concorrente sull'azienda di un altro soggetto, ma la circostanza obiettiva che questa intende utilizzare, ai fini della partecipazione alla gara, come si verifica nella specie, trattandosi, come detto, di un affitto d’azienda avente ad oggetto l’attività di centro cottura e produzione pasti esercitato nei locali siti in Pordenone, Via Delle Crede n. 101/1E.

Inoltre, si deve rilevare che la continuità imprenditoriale tra l’affittuario e l’affittante risulta insita in re ipsa nello stesso trasferimento della disponibilità economica di una parte dell’azienda ad altra impresa, giuridicamente qualificabile come affitto, ad eccezione della sola ipotesi in cui il soggetto interessato (cessionario) abbia fornito la prova di una completa cesura tra le gestioni, prova del tutto assente nel caso di specie.

Né può rilevare la circostanza che l’affitto dalla Ve-ris avrebbe riguardato una realtà aziendale di “limitata rilevanza economica”, posto che la rilevanza economica nel caso di specie non appare così marginale, atteso che per l’affitto in questione è stato pattuito un corrispettivo mensile di euro 15.000, non certo trascurabile, per un periodo consistente (sei anni).

Per quanto riguarda, la vera e propria cessione di autonomo ramo d’azienda dalla Toscana Ristodlf, è indubbio che si sia trattato di una vera cessione rientrante nello spettro applicativo di cui alla già citata sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 4 maggio 2012, n. 10, poiché essa ha avuto ad oggetto “il complesso dei beni, diritti e rapporti di lavoro e non, riconducibili con unità funzionale all’esercizio dell’attività economica di cui sopra” (art. 1 del contratto - doc. 2 appellato), vale a dire riconducibili all’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, ristorazione, tavola calda, rosticceria, a carattere permanente; non può, dunque, ritenersi una mera cessione di licenza di somministrazione di alimenti e bevande.

Per quanto riguarda il terzo motivo d’appello formulato dalla Gemeaz Elior s.p.a., sovrapponibile al secondo motivo d’appello di Jesiservizi s.r.l., ove si lamenta la mancanza di obblighi dichiarativi nella lex specialis, con conseguente preteso obbligo di ricorso al potere/dovere di soccorso istruttorio da parte della Stazione appaltante ex art. 46, d.lgs. 163/2006, nonché la mancata applicazione della teoria sostanzialistica (o c.d. del falso innocuo), quest’ultima legata al terzo motivo d’appello (in via subordinata) di Jesiservizi s.r.l., esso è da ritenersi privo fondamento.

Infatti, la gara in oggetto è stata bandita nell’aprile del 2013, a distanza di quasi un anno dalle citate pronunce dell’Adunanza Plenaria richiamate, n. 10 e n. 21 del 2012, ove è stato chiarito che l’obbligo dichiarativo in questione scaturisce direttamente dalle legge.

Pertanto, in presenza di un obbligo dichiarativo ex lege, non può trovare spazio l’ipotizzata regolarizzazione documentale, altrimenti violandosi la par condicio dei concorrenti, come peraltro chiarito di recente dal Consiglio di Stato, Ad. Plen., 25 febbraio 2014, n. 9, non essendo consentita la produzione tardiva della dichiarazione mancante o la sanatoria della forma omessa.

Tale ultima pronuncia, inoltre, ha posto l’accento sulla necessità degli obblighi dichiarativi, sconfessando, allo stato, la teoria del cd. “falso innocuo” (id est, la teoria sostanzialistica); pertanto, nessuno spazio può esservi per un rinvio pregiudiziale su questo profilo, nonché sugli obblighi dichiarativi in materia di cessione ed affitto d’azienda (cfr., anche, sul punto, la citata pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 21-2012; cfr., anche, Consiglio di Stato, Sez. III, 6 febbraio 2014, n. 583, ove si è chiarito che il valore della completezza delle dichiarazioni da fornire in sede di offerta, insito nell’art. 38 cit., corollario di principi di matrice comunitaria come quelli di trasparenza, par condicio e proporzionalità, non si pone in contrasto con l’art. 45 della Direttiva 2004/18/CE).

Infine, per quanto riguarda l’ultimo motivo d’appello di Jesiservizi s.r.l., secondo cui sarebbe erronea la sentenza del TAR, nella parte in cui ha stabilito che “ai sensi dell’art. 122 del codice del processo amministrativo, all’annullamento dell’aggiudicazione non consegue la declaratoria dell’inefficacia del contratto”, poiché nessun contratto risulta ancora stipulato in esito alla procedura di aggiudicazione in questione, se ne deve ritenere l’irrilevanza, e quindi l’inammissibilità, non ottenendo Jesiservizi s.r.l. alcun vantaggio concreto dall’eventuale accoglimento di tale motivo e dovendo Jesiservizi s.r.l., a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione, riavviare il procedimento amministrativo, senza considerare tale affermazione del TAR, priva di pratica attuabilità, non sussistendo l’oggetto della pronuncia censurata (vale a dire, il contratto).

Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, gli appelli devono essere respinti in quanto infondati.

Le spese di lite del presente grado di giudizio possono essere compensate, sussistendo giusti motivi.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, li respinge.

Compensa le spese di lite del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 luglio 2014 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente FF

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere, Estensore

Fulvio Rocco, Consigliere

Doris Durante, Consigliere

Carlo Schilardi, Consigliere