Cons. Stato, Sez. V, 15 marzo 2023, n. 2736

L’individuazione del dies a quo risulta così modulata: a) in via di principio, dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, comprensiva anche dei verbali ai sensi dell’art. 29, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016; b) dall’acquisizione, per richiesta della parte o per invio officioso, delle informazioni di cui all’art. 76 del d.lgs. n. 50, cit., ma (solo) a condizione che esse consentano di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati o per accertarne altri, così da consentire la presentazione, non solo dei motivi aggiunti, ma anche del ricorso principale; c) con “dilazione temporale”, nel caso di proposizione dell’istanza di accesso agli atti, fino al momento in cui questo è consentito, se i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta (sempreché, in tal caso, l’istanza di accesso sia tempestivamente proposta nei quindici giorni dalla conoscenza dell’aggiudicazione); d) dalla comunicazione o dalla pubblicità nelle forme individuate negli atti di gara ed accettate dai partecipanti alla gara, purché gli atti siano comunicati o pubblicati unitamente ai relativi allegati.

A seguito della più recente giurisprudenza, successiva alla pronuncia della Plenaria n. 12, cit., il criterio della “dilazione temporale” può essere declinato in differenti e più articolati modi, essendosi sul punto formati, pur nel rispetto delle delineate coordinate e premesse esegetiche, tre distinti orientamenti (in ogni caso relativi alla ipotesi di tempestiva formalizzazione della istanza di accesso, per vizi desumibili solo dall’esame della documentazione di gara): a) il primo (immediatamente valorizzato e diffusamente argomentato, per esempio, da Cons. Stato, Sez. V, 16 aprile 2021, n. 3127) propende, in ogni caso, per il termine “secco” (non modulabile) di 45 giorni (30+15); b) il secondo (sposato da Cons. Stato, Sez. V, 29 novembre 2022, cit.) ritiene, invece, indifferente il periodo di tempo impiegato per presentare l’istanza di accesso, dovendosi, in sostanza, concedere in ogni caso, il termine ordinario di trenta giorni per impugnare gli atti di gara, con decorso dalla evasione dell’istanza ostensiva, purché tempestiva: sicché, in definitiva, il termine massimo finisce per essere spostato al 60° giorno (15+15+30); c) un terzo orientamento (ispirato alla tesi della cd. “sottrazione dei giorni”: in tal senso si veda TAR Lazio, Roma, Sez. III-quater, 15 dicembre 2020, n. 13550: TAR Umbria, Sez. I, 19 ottobre 2021, n. 736) ritiene, invece, che - fermo restando che il rifiuto o il differimento dell’accesso da parte della stazione appaltante non determina la “consumazione” del potere di impugnare - ogni eventuale giorno di ritardo del concorrente non aggiudicatario che intenda accedere agli atti deve essere computato, a suo carico, sul termine complessivamente utile per proporre gravame; sicché, in sostanza, al termine ordinario di 30 giorni occorrerebbe: c1) sia sottrarre i giorni che ha impiegato la stazione appaltante per consentire l’accesso agli atti (che non potrebbe essere posto a carico del privato); c2) sia addizionare i giorni “a carico” del ricorrente, pari al tempo impiegato tra  la partecipazione dell’aggiudicazione la domanda di accesso.

Alla luce della più recente (e multipla) ricostruzione, il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dall’orientamento che, in conformità alla soluzione sub a) e in pedissequa adesione alle direttive nomofilattiche della Plenaria, individua come ultimativo dies ad quem il 45° giorno dalla pubblicazione o comunicazione della intervenuta aggiudicazione.

 

 

 

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