Cons. Stato, sez. IV, ord., 15 luglio 2019, n. 4949

Vanno rimesse alla Corte di giustizia UE le seguenti questioni pregiudiziali:

“a) se, ai sensi dell’art. 267 TFUE, il Giudice nazionale, le cui decisioni non sono impugnabili

con un ricorso giurisdizionale, è tenuto, in linea di principio, a procedere al rinvio pregiudiziale di una questione di interpretazione del diritto dell’Unione, anche nei casi in cui tale questione gli venga proposta da una delle parti del processo dopo il suo primo atto di instaurazione del giudizio o di costituzione nel medesimo, ovvero dopo che la causa sia stata trattenuta per la prima volta in decisione, ovvero anche dopo che vi sia già stato un primo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia

dell’Unione Europea;

b) se – in ragione di quanto innanzi esposto - siano conformi al diritto dell’Unione Europea (in particolare agli articoli 4, co. 2, 9, 101, co. 1, lett. e), 106, 151 – ed alla Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 ed alla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 da esso richiamate – 152, 153, 156 TFUE; articoli 2 e 3 TUE; nonché art. 28 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) gli articoli 115, 206 e 217 d. lgs. 163/2006, come interpretati dalla giurisprudenza amministrativa, nel senso di escludere la revisione dei prezzi nei contratti afferenti ai cd. settori speciali, con particolare riguardo a quelli con oggetto diverso da quelli cui si riferisce la Direttiva 17/2004, ma legati a questi ultimi da un nesso di strumentalità;

c) se – in ragione di quanto innanzi esposto - siano conformi al diritto dell’Unione Europea (in particolare all’articolo 28 della Carta dei diritti dell’UE, al principio di parità di trattamento sancito dagli articoli 26 e 34 TFUE, nonché al principio di libertà di impresa riconosciuto anche dall’art. 16 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) gli articoli 115, 206 e 217 d. lgs. 163/2006, come interpretati dalla giurisprudenza amministrativa, nel senso di escludere la revisione dei prezzi nei contratti afferenti ai cd. settori speciali, con particolare riguardo a quelli con oggetto diverso da quelli cui si riferisce la Direttiva 17/2004, ma legati a questi ultimi da un nesso di strumentalità”.

 

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 8998 del 2014, proposto da:

Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi S.p.A, ciascuno in persona del legale rappresentante p.t., il primo anche quale capogruppo della a.t.i., costituita tra i medesimi due soggetti, rappresentati e difesi dagli avvocati Edoardo Giardino e Agatino Cariola, con domicilio eletto presso lo studio Edoardo Giardino in Roma, via Angelo Emo, n.136;

contro

Rete Ferroviaria Italiana s.p.a - R.F.I. s.p.a, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Umberto Cossu e Giovanni Cossu, domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso il Consiglio di Stato, Segreteria in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13; 

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Sardegna -Sezione I - n. 433 dell’11 giugno 2014, resa tra le parti, concernente adeguamento revisionale del corrispettivo d'appalto.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Rete Ferroviaria Italiana S.p.A - R.F.I. S.p.A;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 novembre 2018 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Edoardo Giardino e Umberto Cossu;

1. L’OGGETTO DELL’APPELLO

1. Il Consorzio Italian Management e la società Catania Multiservizi s.p.a., in proprio ed il primo anche quale capogruppo dell’a.t.i. costituita tra i medesimi due soggetti, impugnano la sentenza 11 giugno 2014 n. 433, con la quale il TAR per la Sardegna, sez. I, ha respinto il ricorso proposto avverso la nota 22 febbraio 2012 della Rete ferroviaria italiana s.p.a..

Con tale nota, quest’ultima società ha ritenuto ingiustificata ed inaccoglibile la richiesta volta all’adeguamento revisionale del corrispettivo d’appalto, in dipendenza del riferito incremento dei costi contrattuali dovuto all’aumento del costo del personale.

L’appalto in esame concerne l’affidamento, da parte della R.F.I. - Rete ferroviaria italiana s.p.a., dei “servizi di pulizia, di mantenimento del decoro dei locali ed altre aree aperte al pubblico e servizi accessori ubicati in stazioni, impianti, uffici ed officine variamente dislocati nell’ambito della giurisdizione della Direzione compartimentale movimento di Cagliari”.

2. LA SENTENZA DI I GRADO

2.1. La sentenza impugnata ha, in particolare, affermato:

- nel caso di specie, non è applicabile l’art. 115 d. lgs. n. 163/2006 (e le analoghe, precedenti disposizioni: art. 6, co. 4, l. n. 537/1993, come novellato dall’art. 44 l. n. 724/1994), “dovendosi ritenere che l’attività oggetto dell’appalto in questione rientri tra i “settori speciali” di cui alla parte III del codice degli appalti, sussistendo sia il presupposto soggettivo che quello oggettivo al fine di ritenere che il contratto di servizio di pulizia delle stazioni ferroviarie rientri all’interno dell’ambito stabilito dall’art. 217 del codice, secondo cui la disciplina in materia di settori speciali non può trovare applicazione negli appalti aggiudicati per scopi diversi dall’esercizio dell’attività di cui agli articoli da 208 a 213”;

- ciò in quanto “la pulizia rientra nella normativa dei settori speciali quando è funzionale a detta attività, il che si verifica qualora si tratti di proprietà immobiliare di edifici che costituiscono parte integrante della rete di produzione, distribuzione e trasporto, indicate negli artt. 208 ss. d. lgs n. 163 del 2006”; ciò è quanto ricorre nel caso del “servizio di pulizia delle stazioni, impianti, uffici ed officine . . . quali impianti di esercizio e come tali elementi necessari facenti parte della rete di trasporto ferroviario”;

- né la revisione prezzi è dovuta in forza dell’art. 1664 c.c., posto che “la norma in questione è comunque derogabile dalla volontà delle parti che inseriscano nel contratto una clausola contrattuale limitativa della revisione prezzi, come avvenuto nel caso di specie attraverso le previsioni di cui all’art. 6 del contratto n. 01/2006, stipulato tra le parti in data 23 febbraio 2006”.

La sentenza impugnata ha altresì dichiarato che la dedotta questione di legittimità costituzionale dell’art. 115 d. lgs. n. 163/2006, in relazione all’art. 3 Cost., è sia non rilevante, poiché “l’art. 115 non trova applicazione nel caso in esame”, sia manifestamente infondata, “in considerazione della peculiarità e specialità degli appalti rientranti nei settori speciali”.

3. I MOTIVI DI APPELLO

3.1. Avverso tale decisione, l’appellante ha proposto i seguenti motivi di impugnazione (come sintetizzati da quanto esposto alle pagg. 7 – 31 del ricorso):

a) erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 d. lgs. n. 163/2006 e dell’art. 6, co. 4, l. n. 537/1993, come novellato dall’art. 44 l. n. 724/1994; violazione e falsa applicazione artt. 206, 210 e 217 d. lgs. n. 163/2006; ciò in quanto “l’appalto in questione: a) non rientra nell’ambito di applicazione della parte III del Codice degli appalti; b) è soggetto, invece, alla disciplina di cui alla parte II del Codice degli appalti, con conseguente applicabilità dell’at. 115 d. lgs. n. 163/2006”. Difatti, affinché l’affidamento di un servizio sia assoggettabile alla disciplina dei servizi speciali, occorre che oltre ad un parametro di tipo soggettivo, ve ne sia anche uno di tipo oggettivo, consistente nella strumentalità del servizio, cioè nel suo porsi come “mezzo a fine”, rispetto all’attività certamente rientrante nei settori speciali. Tuttavia, il servizio di pulizia “è per definizione neutro, nel senso che è sempre omogeneo a se stesso, sia che lo si svolga presso uffici comunali oppure presso ospedali o presso gli uffici di RFI”. In definitiva, l’appalto in questione, affidato da un organismo di diritto pubblico quale RFI, è assoggettato alla parte II del codice degli appalti, con conseguente applicazione dell’art. 115, norma imperativa che si sostituisce ad eventuali pattuizioni contrarie”;

b) erroneità per violazione e falsa applicazione dell’art. 1664 c.c.; poiché “il contratto d’appalto non prevede espressamente alcuna rinuncia all’adeguamento prezzi in virtù dei maggiori oneri relativi all’aumento del costo del lavoro”, poiché le sole clausole presenti (comunque impugnate chiedendosene la declaratoria di nullità, ove “fossero intese quali preclusive alla revisione”), “nella parte in cui fanno riferimento alla omnicomprensività del compenso, si riferiscono evidentemente alle condizioni esistenti al momento della stipula del contratto . . . ma non regolano l’ipotesi di mutamenti sopravvenuti”. In ogni caso le stesse, ai sensi dell’art. 1369 c.c., devono essere interpretate nel senso più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto, e nel caso di specie, trattandosi di contratto ad esecuzione continuata e periodica, “la revisione del prezzo in caso di avvenuti squilibri sinallagmatici costituisce la regola”. In via subordinata, le clausole sono da considerare nulle, ai sensi dell’art. 1341, comma 2, c.c.., perché non specificamente approvate per iscritto;

c) erroneità della sentenza per avere ritenuto irrilevante e comunque infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 115, 206, 210 e 217 d. lgs. n. 163/2006, ovvero dell’art. 6, co. 4, l. n. 537/1993, per violazione degli artt. 3 e 41 Cost., dell’art. 3, co. 3 TUE, degli artt. 26 e 101 ss. TFUE, oltre che dell’art. 117, co. 1, Cost..

3.2. Parte appellante, oltre a riproporre la questione di legittimità costituzionale della normativa innanzi indicata, ha proposto, inoltre (v. pagg. 29 – 31 app.), la “questione di legittimità comunitaria” degli artt. 115, 206, 210 e 217 d. lgs. n. 163/2006, ovvero dell’art. 6, co. 4, l. n. 537/1993, per violazione degli artt. 3 e 41 Cost., dell’art. 3, co. 3 TUE, degli artt. 26 e 101 ss. TFUE.

Secondo l’appellante, la disciplina nazionale, nella parte in cui porta ad escludere la revisione dei prezzi nel settore dei trasporti e, segnatamente, anche nei relativi contratti di pulizia, viola la direttiva 31 marzo 2004 n. 17. Essa “risulta una disciplina ultronea e ingiustificata rispetto a quella comunitaria, ingiustamente sproporzionata e tale da porre l’impresa “ausiliaria” (aggiudicataria di un’attività quale quella di pulizia) in posizione di soggezione e di debolezza nei confronti dell’impresa (essa sì) esercente il servizio pubblico”, producendosi in tal modo “un ingiusto e sproporzionato disequilibrio contrattuale”, per effetto della disciplina legislativa italiana che “finisce per alterare le regole di funzionamento del mercato”.

Si chiede, pertanto, di investire della questione la Corte di giustizia, ai sensi dell’art. 267 TFUE, “per chiedere se sia conforme al diritto europeo primario ed alla Direttiva n. 17/2004 l’interpretazione del diritto interno che escluda la revisione dei prezzi nei contratti afferenti ai cd. settori speciali, specie in quelli con oggetto diverso da quelli cui si riferisce la stessa Direttiva”.

Inoltre, si chiede di verificare anche la validità della stessa Direttiva n. 17/2004 (ove si ritenga che l’esclusione della revisione dei prezzi in tutti i contratti stipulati ed applicati nell’ambito dei cd. settori speciali discenda direttamente da essa), “per l’ingiustizia, la sproporzionatezza, l’alterazione dell’equilibrio contrattuale e, pertanto, delle regole di un mercato efficiente”.

3.3.. La appellata Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. (RFI s.p.a.), costituitasi in giudizio, ha concluso per l’infondatezza dell’appello e, in particolare, per il rigetto delle questioni di legittimità costituzionale e di compatibilità con l’ordinamento comunitario della disciplina nazionale applicabile al caso di specie.

4. LA PRECEDENTE ORDINANZA

Questo Consiglio di Stato ha pronunciato l’ordinanza 22 marzo 2017 n. 1297, con la quale ha disposto – anche in accoglimento della domanda formulata dalla parte appellante - il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sia di interpretazione che di validità, ai sensi dell’art. 267 del Trattato FUE, rimettendo le seguenti questioni pregiudiziali, ordinate logicamente, e formulando i corrispondenti quesiti:

a) se sia conforme al diritto dell’Unione Europea (in particolare con gli articoli 3, co.3, TUE, artt. 26, 56/58 e 101 TFUE, art. 16 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) ed alla Direttiva n. 17/2004 l’interpretazione del diritto interno che escluda la revisione dei prezzi nei contratti afferenti ai cd. settori speciali, con particolare riguardo a quelli con oggetto diverso da quelli cui si riferisce la stessa Direttiva, ma legati a questi ultimi da un nesso di strumentalità;

b) se la Direttiva n. 17/2004 (ove si ritenga che l’esclusione della revisione dei prezzi in tutti i contratti stipulati ed applicati nell’ambito dei cd. settori speciali discenda direttamente da essa), sia conforme ai principi dell’Unione Europea (in particolare, agli articoli 3,co. 1 TUE, 26, 56/58 e 101 TFUE, art. 16 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), atteso (come sostenuto dall’appellante) “per l’ingiustizia, la sproporzionatezza, l’alterazione dell’equilibrio contrattuale e, pertanto, delle regole di un mercato efficiente”.

5. L’INFONDATEZZA DEI MOTIVI DI APPELLO

Prima di pervenire alla disposta rimessione, l’ordinanza ha esaminato i motivi di appello proposti, rilevando quanto di seguito riportato.

5.1. L’appello proposto – nel contestare la inapplicabilità (dichiarata dalla sentenza impugnata) dell’adeguamento revisionale del corrispettivo dell’appalto del servizio pulizia, eseguito nel settore dei trasporti - si fonda, sostanzialmente, su due distinte considerazioni:

- in primo luogo, si assume che il servizio di pulizia “è per definizione neutro, nel senso che è sempre omogeneo a se stesso”, ovunque esso venga svolto, e, pertanto, in assenza di una sua riconosciuta strumentalità con il servizio “principale” cui afferisce (nel caso di specie, il servizio trasporti), non ne può seguire il regime di “settore speciale” (o “escluso”, come da precedente definizione), con conseguente inapplicabilità dell’art. 115 d. lgs. n. 163/2006 (articolo che, invece, prevede in via generale che “tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo”);

- in secondo luogo, sarebbe comunque applicabile l’art. 1664 c.c., che prevede la possibilità di richiedere (ed ottenere) la revisione del “prezzo complessivo convenuto” (da accordarsi per “quella differenza che eccede il decimo”), nelle ipotesi in cui “per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni del costo dei materiali o della mano d’opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto”.

5.2. Orbene, quanto alla prima delle due considerazioni (sulla quale è fondato il primo dei motivi di appello, riportato sub lett. a) dell’esposizione in fatto), l’ordinanza non ritiene di doversi discostare da quanto già affermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato.

Giova, innanzi tutto ricordare, che l’Adunanza Plenaria, con sentenza 1 agosto 2011 n. 16, dopo avere sottolineato:

- che “la direttiva 2004/17/CE, di cui il d.lgs. n. 163/2006 costituisce attuazione, come già la direttiva sui settori speciali che la ha preceduta (e recepita in Italia con il d.lgs. n. 158/1995), è stata varata al precipuo fine di garantire la tutela della concorrenza in relazione a procedure di affidamento di appalti da parte di enti operanti in settori sottratti, per il passato, alla concorrenza e al diritto comunitario dei pubblici appalti, i c.d. settori esclusi, che, dopo l’intervento comunitario, sono divenuti i settori speciali (ex esclusi)”

- che “l’intervento del normatore comunitario, finalizzato ad attrarre alla disciplina di evidenza pubblica settori in precedenza ritenuti regolati dal diritto privato, ha però ritenuto di mantenere i connotati di specialità di detti settori, rispetto a quelli ordinari, mediante una disciplina più flessibile, che lascia maggiore libertà alle stazioni appaltanti, e soprattutto restrittiva quanto all’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione”;

- che “conseguentemente, il diritto comunitario ha delimitato in modo rigoroso non solo l’ambito soggettivo dei settori speciali (art. 207, d.lgs. n. 163/2006; artt. 2 e 8, direttiva 2004/17/CE), ma anche quello oggettivo, descrivendo in dettaglio l’ambito di ciascun settore speciale” e che anche “la stessa giurisprudenza comunitaria afferma che le previsioni della direttiva 2004/17/CE devono essere applicate restrittivamente, con conseguente inapplicabilità della c.d. teoria del contagio di cui alla giurisprudenza Mannesman (C. giust. CE 15 gennaio 1998 C44/96)”;

tanto premesso, l’Adunanza Plenaria ha affermato che

“l’assoggettabilità dell’affidamento di un servizio alla disciplina dettata per i settori speciali non può essere desunta sulla base di un criterio solo soggettivo, relativo cioè al fatto che ad affidare l’appalto sia un ente operante nei settori speciali, ma anche in applicazione di un parametro di tipo oggettivo, attento alla riferibilità del servizio all’attività speciale”; e ciò per effetto dell’art. 217, d.lgs. n. 163/2006 (che riproduce fedelmente l’art. 20, direttiva 2004/17/CE), “a tenore del quale la disciplina dei settori speciali non si applica agli appalti che gli enti aggiudicatori aggiudicano per scopi diversi dall’esercizio delle loro attività di cui agli articoli da 208 a 213 o per l’esercizio di tali attività in un Paese terzo, in circostanze che non comportino lo sfruttamento materiale di una rete o di un’area geografica all’interno della Comunità”.

Più specificamente, l’ordinanza rileva che il Consiglio di Stato (sez. VI, 13 maggio 2011 n. 2919, espressamente condivisa da Ad. Plen. n. 16/2011 cit.), ha affermato che:

“posta la previsione dei servizi di pulizia degli edifici e di gestione delle proprietà immobiliari negli allegati di entrambe le direttive europee (n. 17/2004, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, e n. 18/2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi), l’assoggettabilità dell’affidamento del servizio di pulizia alla disciplina dettata per i settori speciali non può essere desunta sulla base di un criterio solo soggettivo, relativo cioè al fatto che ad affidare l’appalto sia un ente operante nei settori speciali, ma anche in applicazione di un parametro di tipo oggettivo, attento alla riferibilità della pulizia all’attività speciale.

Detto altrimenti, la pulizia rientra nella normativa dei settori speciali quando è funzionale a detta attività, il che si verifica qualora si tratti di proprietà immobiliari ed edifici che costituiscano parte integrante delle reti di produzione, distribuzione e trasporto indicate negli articoli 208 e ss. del d. lgs. n. 163 del 2006”.

5.3.. Nel caso sottoposto al suo esame, l’ordinanza afferma:

- per un verso, non vi è alcun dubbio sulla sussistenza dell’elemento soggettivo, rappresentato dalla pacifica riconducibilità del soggetto appaltante RFI al novero degli enti aggiudicatori di cui all’art. 210 d. lgs. n. 163/2006 (né tale circostanza è contestata dall’appellante);

- per altro verso, la sentenza impugnata afferma che “il servizio di pulizia delle stazioni, impianti, uffici ed officine dislocati nell’ambito della giurisdizione della direzione compartimentale di Cagliari, quali “impianti di esercizio” e come tali elementi necessari facenti parte della rete di trasporto ferroviario, deve ritenersi rientrare nella normativa dei settori speciali in quanto strettamente funzionale a detta attività di trasporto ferroviario”.

L’ordinanza condivide tali conclusioni, ritenendole non superate dalle diverse considerazioni dell’appellante (v. in particolare, pagg. 8 – 17 appello), secondo il quale nel “mero servizio di pulizia dei locali aperti al pubblico, delle stazioni e degli uffici dislocati nell’ambito della Direzione compartimentale movimento di Cagliari” non può “in alcun modo ravvisarsi la finalizzazione del servizio allo scopo proprio perseguito da RFI”.

Ed infatti – premesso che oggetto dell’appalto era “l’affidamento dei servizi di pulizia, di mantenimento del decoro dei locali ed aree aperti al pubblico e servizi accessori ubicati in stazioni, impianti, uffici ed officine variamente dislocati nell’ambito della giurisdizione della Direzione compartimentale movimento di Cagliari” – “appare evidente come il servizio di pulizia oggetto di appalto, lungi dal costituire un servizio antecedente, collaterale od aggiuntivo al servizio di trasporto, attiene proprio all’adeguato svolgimento di detto servizio, interessando esso proprietà immobiliari ed edifici che costituiscono elementi necessari della rete di trasporto ferroviario.

Non appare, infatti, ragionevolmente sostenibile che il servizio di trasporto (in particolare, di passeggeri), che è svolto con inizio nelle stazioni di accesso ai mezzi di trasporto (e che, dunque, si avvale di uffici, impianti ed officine a queste ed alla rete connessi) possa prescindere da un servizio di pulizia, che assicuri condizioni igienico-sanitarie adeguate, non solo a coloro che operano nel servizio trasporti medesimo, ma anche a tutti coloro (i passeggeri) che del servizio trasporti costituiscono gli utenti.

In altre parole, le condizioni igienico – sanitarie degli ambienti connessi all’espletamento del servizio di trasporto passeggeri e merci costituiscono una condizione imprescindibile del corretto espletamento del servizio medesimo, con la conseguenza che il servizio di pulizia, volto ad assicurare tali condizioni di “praticabilità” del servizio, risulta legato al servizio di trasporto da un imprescindibile nesso di strumentalità”.

In conclusione, secondo l’ordinanza n. 1297/2017, tali considerazioni comportano, che all’appalto del servizio di pulizia oggetto di esame – sussistendo i criteri soggettivo ed oggettivo perché lo stesso possa essere ricondotto alla disciplina dei settori speciali (secondo le indicazioni di cui alla citata Ad. Plen. n. 16/2011) – non risulta applicabile l’art. 115 del Codice dei contratti (non richiamato, per i settori speciali, dall’art. 206 del Codice). Di conseguenza, non risulta possibile, con riferimento al caso concreto, in virtù di una supposta “revisione periodica del prezzo”, un adeguamento del corrispettivo contrattualmente stabilito.

5.4. Inoltre, l’ordinanza non condivide anche la seconda delle considerazioni sviluppate nell’atto di appello (sulla quale si fonda il motivo sub b), punto 3.1.), concernente l’applicabilità dell’art. 1664 c.c. al caso di specie, non può essere condivisa.

E ciò in quanto l’istituto della “revisione periodica del prezzo”, nell’ambito dei contratti di appalto, trova la sua disciplina all’art. 115 d. lgs. n. 163/2006 e – per quanto riguarda l’esclusione della sua applicazione ai settori speciali – ai successivi artt. 206 e 217.

Il codice dei contratti, dunque, contiene una sua disciplina speciale in materia, avente carattere imperativo e che, come tale, per un verso si impone (in virtù dei principi generali in tema di interpretazione), alla disciplina generale; per altro verso rende inapplicabili le disposizioni del codice civile per effetto di espressa previsione normativa, posto che l’art. 2, co. 4. d. lgs. n. 163/2006, come è noto, rende applicabili le “disposizioni stabilite dal codice civile” solo “per quanto non espressamente previsto” (Cons. Stato, sez.. V, 22 ottobre 2012 n. 5395 e 9 giugno 2008 n. 2786)

E’ appena il caso di aggiungere alla dirimente considerazione ora esposta che:

- in primo luogo, l’applicabilità dell’art. 1664 c.c. risulta, nel caso di specie, altresì esclusa da esplicita ed ammissibile (Cass. civ. sez. un., 5 giugno 2008 n. 14824) pattuizione contrattuale (art. 6), che - contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante – nel disciplinare tempi e metodi della revisione del prezzo convenuto, detta una sua specifica disciplina, derogatoria della norma primaria;

- in secondo luogo, la revisione del “prezzo complessivo convenuto” presuppone che eventuali aumenti del costo dei materiali o della mano d’opera siano intervenuti “per effetto di circostanze imprevedibili” al momento di stipulazione del contratto (Cass. civ., sez. II, 21 gennaio 2011 n. 1494). e tali non possono essere considerate gli effetti di ordinari rinnovi dei contratti di lavoro del settore.

6. L’ISTANZA PREGIUDIZIALE DI RINVIO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE

6.1. L’ordinanza ha considerato, quindi, che parte appellante, come innanzi già esposto, oltre a riproporre la questione di legittimità costituzionale della normativa innanzi indicata, ha proposto, inoltre (v. pagg. 29 – 31 app.), la questione di legittimità comunitaria degli artt. 115, 206, 210 e 217 d. lgs. n. 163/2006, ovvero dell’art. 6, co. 4, l. n. 537/1993, per violazione dell’art. 3, co. 3 TUE, degli artt. 26 e 101 ss. TFUE.

Secondo l’appellante, la disciplina nazionale, nella parte in cui porta ad escludere la revisione dei prezzi nel settore dei trasporti e, segnatamente, anche nei relativi contratti di pulizia, viola la direttiva 31 marzo 2004 n. 17. Essa “risulta una disciplina ultronea e ingiustificata rispetto a quella comunitaria, ingiustamente sproporzionata e tale da porre l’impresa “ausiliaria” (aggiudicataria di un’attività quale quella di pulizia) in posizione di soggezione e di debolezza nei confronti dell’impresa (essa sì) esercente il servizio pubblico”, producendosi in tal modo “un ingiusto e sproporzionato disequilibrio contrattuale”, per effetto della disciplina legislativa italiana che “finisce per alterare le regole di funzionamento del mercato”.

6.2. Poiché, in virtù delle considerazioni svolte, l’appello proposto non meriterebbe accoglimento, alla luce degli artt. 115, 206 e 217 d. lgs. n. 163/2006 e dell’interpretazione di questi, fornita dal giudice nazionale ed alla quale questo Collegio ritiene di aderire, l’ordinanza ha quindi provveduto a rimettere alla Corte di giustizia dell’Unione Europea le questioni pregiudiziali come innanzi riportate (v. punto 4).

7. LA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA

7.1. Con sentenza 19 aprile 2018 nella causa C-152/17, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. IX – dichiarata la parziale irricevibilità della prima delle questioni ad essa rimesse, formulata in linea con quanto prospettato dalle parti appellanti – ha affermato, quanto alla prima questione sottopostale:

(29) “occorre rilevare che da nessuna disposizione di tale direttiva (direttiva 2004/17) emerge che quest’ultima debba essere interpretata nel senso che essa osta a norme di diritto nazionale, quale il combinato disposto degli articoli 115 e 206 del decreto legislativo n. 163/2006, che non prevedono la revisione periodica dei prezzi dopo l’aggiudicazione di appalti rientranti nei settori considerati dalla medesima direttiva, dal momento che quest’ultima non impone agli Stati membri alcun obbligo specifico di prevedere disposizioni che impongano all’ente aggiudicatore di concedere alla propria controparte contrattuale una revisione al rialzo del prezzo dopo l’aggiudicazione di un appalto”;

(30) “Parimenti, nemmeno i principi generali sottesi alla direttiva 2004/17, segnatamente il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne deriva, sanciti dall’articolo 10 di tale direttiva, ostano a siffatte norme. Al contrario, non si potrebbe escludere che una revisione del prezzo dopo l’aggiudicazione dell’appalto possa entrare in conflitto con tale principio e con tale obbligo (v., per analogia, sentenza del 7 settembre 2016, Finn Frogne, C 549/14, EU:C:2016:634, punto 40). Infatti, come rileva la Commissione nelle sue osservazioni scritte, il prezzo dell’appalto costituisce un elemento di grande rilievo nella valutazione delle offerte da parte di un ente aggiudicatore, così come nella decisione di quest’ultimo di attribuire l’appalto a un operatore. Tale importanza emerge peraltro dal riferimento al prezzo contenuto in entrambi i criteri relativi all’aggiudicazione degli appalti di cui all’articolo 55, paragrafo 1, della direttiva 2004/17. In tali circostanze, le norme di diritto nazionale che non prevedono la revisione periodica dei prezzi dopo l’aggiudicazione di appalti rientranti nei settori considerati da tale direttiva sono piuttosto idonee a favorire il rispetto dei suddetti principi”;

(31) “Da tali considerazioni risulta che la direttiva 2004/17 e i principi generali ad essa sottesi devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a norme di diritto nazionale, come quelle di cui al procedimento principale, che non prevedono la revisione periodica dei prezzi dopo l’aggiudicazione di appalti rientranti nei settori considerati da tale direttiva”;

(36) “ Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla prima questione dichiarando che la direttiva 2004/17 e i principi generali ad essa sottesi devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a norme di diritto nazionale, come quelle di cui al procedimento principale, che non prevedono la revisione periodica dei prezzi dopo l’aggiudicazione di appalti rientranti nei settori considerati da tale direttiva”.

7.2. In ordine alla seconda questione ad essa rimessa, la Corte di Giustizia ha statuito:

(39) “Orbene, dal momento che dall’esame della prima questione emerge che né la direttiva 2004/17 né i principi generali ad essa sottesi ostano a norme di diritto nazionale, come quelle di cui al procedimento principale, che non prevedono la revisione periodica dei prezzi dopo l’aggiudicazione di appalti rientranti nei settori considerati da tale direttiva, la presente questione ha carattere ipotetico.

(40) Di conseguenza, si deve constatare che la seconda questione è irricevibile”.

7.3. Tanto premesso, la sentenza della Corte di Giustizia così dispone:

“La direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, come modificata dal regolamento (UE) n. 1251/2011 della Commissione, del 30 novembre 2011, e i principi generali ad essa sottesi devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a norme di diritto nazionale, come quelle di cui al procedimento principale, che non prevedono la revisione periodica dei prezzi dopo l’aggiudicazione di appalti rientranti nei settori considerati da tale direttiva”.

8. LE ULTERIORI QUESTIONI PROPOSTE DALL’APPELLANTE

8.1. Con memoria del 28 ottobre 2018, depositata per l’udienza pubblica del successivo 14 novembre, l’appellante – oltre a sottoporre a questo Collegio la questione di legittimità costituzionale degli artt. 115, 206, 210 e 217 d. lgs. n. 163/2006 e dell’art. 6, co. 4, l. n. 537/1993, per “contrasto con le prescrizioni costituzionali che tutelano il lavoro (artt. 4, 45, 35, 36 e 39) e l’efficienza nei servizi pubblici (art. 97), oltre che con il principio di eguaglianza/ragionevolezza” ed a richiedere, in via subordinata, la rimessione all’Adunanza Plenaria in ordine alla “portata dell’art. 106 d. lgs. n. 50/2016 che ammette la revisione prezzi in tutti i settori” – chiede che questo Giudice rimetta alla Corte di giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale in ordine alla compatibilità degli artt. 115, 206, 210 e 217 d. lgs. n. 163/2006 (e dell’art. 6, co. 4, l. n. 537/1993):

- con l’art. 28 della Carta di Nizza, con la Carta sociale Europea di Torino del 18 ottobre 1961, con la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori di Strasburgo del 9 dicembre 1989, alle quali attribuisce piena efficacia l’art. 151 TFUE, poiché detti articoli limitano l’efficacia da riconoscere alla contrattazione collettiva, allorché i suoi esiti incidono sullo svolgimento di un contratto di appalto in essere;

- con gli artt. 4, co. 2, lett. b) e c); 9 e 151-156 TFUE (oltre che con la nozione di “economia sociale di mercato”, sancita dall’art. 3 TUE); poiché “il blocco delle condizioni originarie nei confronti dell’impresa risultata aggiudicataria di un appalto ad esecuzione continuata nel tempo finisce per vanificare le istanze di politica sociale volte alla tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori”.

8.2. In sostanza, parte appellante ritiene che la sentenza della Corte di Giustizia “in realtà, non prende posizione sul carattere strumentale o meno del servizio di pulizia al servizio di trasporto qualificato come speciale ai sensi del diritto europeo e statale”, rilevando come “soprattutto la sentenza presuppone ed assume che il rapporto contrattuale si svolga nel tempo definito dal bando di gara, senza proroghe . . . ma questo non è il quadro fattuale che si è svolto nel nostro Paese, dove gli appalti di servizi sono stati prorogati dalla P.A. a tempo spesso di fatto indeterminato anche sotto il vigore del d. lgs. n. 163/2006. Ciò ha stravolto l’equilibrio contrattuale di moli appalti di servizi: la revisione prezzi è uno strumento volto a ricondurre ad equità il rapporto. Per questo la stessa sentenza rimane di fatto inutilizzabile per la definizione della vicenda”.

Tanto premesso, parte appellante rileva un “mutamento” del quadro normativo europeo e statale, nel senso di rendere possibile, se non auspicabile e/o doverosa, la revisione prezzi.

8.2.1.Sul piano del diritto europeo, vengono considerate dall’appellante:

- la direttiva 2004/17 (già presa in considerazione dalla precedente ordinanza di questa Sezione), la quale se pur “non contiene alcuna previsione esplicita sulla cd. revisione prezzi negli appalti di servizi”, tuttavia ai “considerato” nn. 9 e 10 valorizza “il principio della parità di trattamento tra imprese a prescindere dalla natura del soggetto aggiudicatore (e dunque) ciò riguarda anche i soggetti esecutori”; inoltre, l’art. 57 ed il “considerato” n. 45 della Direttiva, nel richiamare “il rispetto delle disposizioni relative alla protezione e alle condizioni di lavoro vigenti nel luogo in cui deve essere effettuata la prestazione” (art. 57), ovvero che “durante l’esecuzione di un appalto si applicano le leggi, le regolamentazioni e i contratti collettivi, sia nazionali che comunitari, in vigore in materia di condizioni di lavoro e sicurezza sul lavoro . . .” (considerato n. 45), “comportano il riconoscimento degli esiti della contrattazione collettiva in coerenza con l’art. 38 della Carta di Nizza-Strasburgo”;

- la Direttiva 2014/25/UE (considerato n. 117 ed art. 89); quest’ultimo è dedicato alla “modifica di contratti durante il periodo di validità”, mentre il “considerato” n. 117 afferma, in particolare, che “rispetto ai singoli contratti, gli enti aggiudicatori dovrebbero avere la possibilità di prevedere modifiche mediante clausole di revisione o di opzione . . . si dovrebbe pertanto precisare che clausole di revisione o di opzione formulate con sufficiente chiarezza potrebbero ad esempio prevedere indicizzazione dei prezzi . . .”.

8.3. Sul piano del diritto statale, l’appellante principalmente rileva che, attualmente, l’art. 106 d. lgs. n. 50/2016 (adottato in esecuzione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE) dispone “una complessa disciplina che non fa distinzione tra settori ordinari e speciali; consente le modificazioni delle condizioni contrattuali, se previste nel bando di gara; si preoccupa di assicurare il rispetto delle condizioni di par condicio e di concorrenza”.

L’appellante conclude affermando che oggi “anche nei settori speciali per l’art. 69 della direttiva 2014/25/UE e l’art. 106 d.lgs. n. 50/2016 è ora ammessa la revisione dei prezzi”, e poiché “l’aumento del costo del lavoro non è un dato rimesso alla discrezionalità delle parti, ma un elemento del tutto obiettivo”, ne consegue che “la revisione prezzi dovuta all’aumento del costo del lavoro non altera affatto l’equilibrio contrattuale, anzi lo riporta ad equità”.

8.4. Alla luce di tutto quanto esposto, l’appellante sottopone a questo Giudice le seguenti questioni pregiudiziali, da rimettere all’esame della Corte di giustizia dell’Unione Europea:

a) la legislazione nazionale “finisce per essere una misura (cfr. art. 106 TFUE) che impedisce, restringe e falsa la concorrenza, sino a subordinare la conclusione del contratto all’accettazione da parte del contraente di una prestazione supplementare che non ha alcun nesso con l’oggetto del medesimo contratto (art. 101, co. 1, lett. e) TFUE); viene in tal modo negato il riconoscimento dello stesso c.d. valore del mercato ad opera dell’art. 3, co. 3, TUE;

b) l’esclusione della revisione prezzi prevista dalla legislazione nazionale (come interpretata dalla giurisprudenza amministrativa) viola i principi desumibili dai “considerato” nn. 9 e 10 della Direttiva 2004/17/CE, nonché dai “considerato” nn. 19, 40, 44 e 45 della Direttiva, nonché l’art.57 della Direttiva;

c) l’esclusione della revisione prezzi prevista dalla legislazione nazionale (come interpretata dalla giurisprudenza amministrativa) viola, altresì, l’art. 28 della Carta dei diritti dell’UE; il principio di parità di trattamento sancito dagli artt. 26, 34 e 56 TFUE; tale esclusione viola anche il principio di libertà di impresa “riconosciuta anche dall’art. 16 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”, poiché “non vi è ragione di distinguere tra le imprese in ragione dei luoghi di prestazione del servizio” ed inoltre “è principio generale quello secondo il quale il contratto va riportato sempre a condizioni di equilibrio, per rispettare la logica del mercato ed evitare che l’impresa si ritrovi a sostenere costi non previsti né prevedibili all’atto della stipulazione del medesimo contratto”;

d) l’esclusione della revisione prezzi viola gli artt. 4, par. 2, lett. b) e c), 9, 151-156 TFUE; il principio di solidarietà sancito dall’art. 2 TUE e carattere sociale del sistema economico europeo sancito dall’art. 3 TUE; l’art. 28 Carta Europea dei diritti fondamentali, nonché la Carta sociale Europea e la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, cui attribuisce piena efficacia l’art. 151 TFUE; ciò in quanto “il diritto europeo comporta di considerare e valorizzare la contrattazione collettiva”, riconoscendo (art. 28 Trattato di Nizza) il diritto dei lavoratori e dei datori di lavoro “di negoziare e concludere contratti collettivi”; al contrario, “tale diritto sarebbe privo di significato se poi gli esiti della contrattazione collettiva – appunto gli aumenti contrattuali – dovessero rimanere senza applicazione nei rapporti che l’impresa datrice di lavoro intrattiene con terzi soggetti oppure se, per rispettare gli obblighi assunti in sede di relazioni sindacali – l’impresa dovesse mettere a rischio la propria esistenza”, non potendo, a causa del divieto di revisione prezzi, “ trasferire i maggiori costi del lavoro”;

e) l’esclusione della revisione prezzi viola l’art. 56 TFUE, secondo il quale il diritto europeo “osta all’applicazione di qualsiasi normativa nazionale che produca l’effetto di rendere la prestazione di servizi . . . più difficile (CGUE, Grande chambre, 4 ottobre 2011 n. C-403 e 429/08)”, occorrendo invece evitare un “effetto dissuasivo” indotto dalle predette disposizioni di esclusione, che in tal modo incidono sul principio di libera circolazione dei servizi.

9. IL NUOVO RINVIO PREGIUDIZIALE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA

9.1. Questa Sezione ritiene che alcune delle questioni pregiudiziali proposte dall’appellante nella sua memoria del 28 ottobre 2018 siano state già risolte dalla precedente sentenza della Corte di Giustizia del 19 aprile 2018.

Tale sentenza (v. al precedente punto 7) ha affermato che:

“La direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, come modificata dal regolamento (UE) n. 1251/2011 della Commissione, del 30 novembre 2011, e i principi generali ad essa sottesi devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a norme di diritto nazionale, come quelle di cui al procedimento principale, che non prevedono la revisione periodica dei prezzi dopo l’aggiudicazione di appalti rientranti nei settori considerati da tale direttiva”.

La sentenza ha espresso tale principio facendo riferimento in via generale e complessiva alla citata direttiva, che è stata, pertanto, presa in considerazione nella sua interezza e, quindi, avendosi riguardo anche a quanto previsto dai “considerati” introduttivi della direttiva stessa.

La sentenza ha altresì precisato (considerato n. 30) che:

“parimenti, nemmeno i principi generali sottesi alla direttiva 2004/17, segnatamente il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne deriva, sanciti dall’articolo 10 di tale direttiva, ostano a siffatte norme. Al contrario, non si potrebbe escludere che una revisione del prezzo dopo l’aggiudicazione dell’appalto possa entrare in conflitto con tale principio e con tale obbligo (v., per analogia, sentenza del 7 settembre 2016, Finn Frogne, C 549/14, EU:C:2016:634, punto 40). Infatti, come rileva la Commissione nelle sue osservazioni scritte, il prezzo dell’appalto costituisce un elemento di grande rilievo nella valutazione delle offerte da parte di un ente aggiudicatore, così come nella decisione di quest’ultimo di attribuire l’appalto a un operatore. Tale importanza emerge peraltro dal riferimento al prezzo contenuto in entrambi i criteri relativi all’aggiudicazione degli appalti di cui all’articolo 55, paragrafo 1, della direttiva 2004/17. In tali circostanze, le norme di diritto nazionale che non prevedono la revisione periodica dei prezzi dopo l’aggiudicazione di appalti rientranti nei settori considerati da tale direttiva sono piuttosto idonee a favorire il rispetto dei suddetti principi”.

La sentenza (n. 32) ha, poi, precisato che: “In secondo luogo, per quanto attiene all’interpretazione dell’articolo 56 TFUE, occorre rilevare che tale articolo sancisce, in materia di libera prestazione dei servizi, i principi di uguaglianza e non discriminazione nonché l’obbligo di trasparenza, rispetto ai quali la compatibilità di norme di diritto nazionale come quelle di cui al procedimento principale è già stata valutata al punto 30 della presente sentenza. Di conseguenza, non occorre procedere nuovamente all’interpretazione, sotto tale profilo, di detto articolo.”.

In definitiva, la citata sentenza della Corte di Giustizia ha escluso sia che le norme nazionali che impediscono la revisione prezzi nei settori qui considerati contrastino con la Direttiva 2004/17/CE, sia che le medesime incidano sui principi di libera prestazione dei servizi, di uguaglianza e non discriminazione e di trasparenza sanciti dall’art. 56 TFUE.

Da ciò consegue che le questioni di cui al precedente punto 8.4, sub lett. b) e e), nonché in parte la questione riassunta sub c), in particolare limitatamente alla censura di violazione del principio di parità di trattamento di cui all’art. 56 TFUE, devono intendersi come palesemente infondate, in quanto già risolte alla luce di quanto affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza 19 aprile 2018 n. C-152/17, resa nel presente giudizio.

In particolare, anche la questione sub lett. e) – proponendo una lettura delle norme che escludono la revisione prezzi solo in taluni settori come “dissuasive” e, quindi, in violazione dell’art. 56 TFUE, incidenti sulla libera circolazione dei servizi - in sostanza si presenta come questione che pone un problema di negativa incisione della predetta normativa sulla libera prestazione dei servizi e sui principi di “uguaglianza” e “non discriminazione”, profili questi già esaminati dalla citata sentenza al n. 32.

9.2. A differenti conclusioni questa Sezione deve, invece, pervenire con riferimento alle questioni riassunte alle lettere a) e d) del precedente punto 8.4.

In questo caso, l’appellante sottopone a questo Giudice questioni “nuove”, al fine della loro rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

In sostanza, l’appellante espone come la normativa che impedisce (solo per i settori speciali) l’applicazione della revisione prezzi - laddove quest’ultima è determinata dall’aumento del costo del lavoro a seguito di contrattazione collettiva intervenuta durante il rapporto contrattuale, in un settore quale quello delle pulizie, dove il costo del lavoro è la voce prevalente e determinante – si risolve in una violazione delle norme del diritto europeo che tutelano sia il diritto delle parti (imprese e associazioni dei lavoratori) alla libera contrattazione, sia i diritti stessi dei lavoratori.

In tale prospettazione, il divieto di revisione prezzi finirebbe per proporsi, per così dire, come un limite “esterno” alla contrattazione: esso sarebbe un limite determinato dalla “rigidità” imposta alle imprese (e di conseguenza alle associazioni dei lavoratori) conseguente alla immodificabilità delle pattuizioni che regolano la fornitura di servizi nell’ambito di rapporti contrattuali in essere.

Il che costituisce un “fattore” che incide “ab esterno” sulla libertà di contrattazione.

In definitiva, occorre verificare – sotto diverso profilo, secondo quanto ex novo richiesto dall’appellante e come risultante dal quesito come di seguito formulato – la conformità al diritto dell’Unione Europea degli artt. 206 e 217 d.lgs. 163/2006, nella parte in cui essi escludono l’applicazione del precedente art. 115 agli appalti dei settori speciali e anche agli appalti di servizi che, pur non rientrando nei settori speciali (nel caso di specie, appalto di servizi di pulizia), sono a questi legati da un nesso di strumentalità.

Allo stesso tempo (questione sub lett. a), l’esclusione della revisione prezzi, come esposto dall’appellante, “finisce per essere una misura (cfr. art. 106 TFUE) che impedisce, restringe e falsa la concorrenza, sino a subordinare la conclusione del contratto all’accettazione da parte del contraente di una prestazione supplementare che non ha alcun nesso con l’oggetto del medesimo contratto (art. 101, co. 1, lett. e) TFUE) negando altresì il valore del mercato (art. 3, co. 3, TUE).

9.3. Le considerazioni da ultimo espresse possono in buona misura estendersi anche alla questione di cui alla lettera c) del precedente punto 8.4, fatto salvo quanto detto con riguardo alla censura di violazione del principio di parità di trattamento sancito dall’art. 56 TFUE.

Con riguardo alla questione riassunta alla lettera c) del precedente punto 8.4., può, infatti, osservarsi, che – salvo quanto detto con riferimento al dedotto contrasto con l’art. 56 TFUE - l’appellante in parte deduce nuovi profili di contrasto con il diritto dell’Unione europea – deducendo per la prima volta la violazione delle previsioni di cui all’art. 34 TFUE e all’art. 28 della Carta dei diritti dell’UE – e in parte ribadisce profili di contrasto precedentemente dedotti – in particolare la asserita violazione dell’art. 26 TFUE nonché dell’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea -, ma oggetto di quesito già rimesso alla Corte e dichiarato irricevibile (v. nn. 23 e 24 sentenza), rispetto al quale l’appellante, con la memoria del 28 ottobre 2018, ha ulteriormente illustrato e argomentato la affermata rilevanza delle censure ai fini della decisione della causa.

9.4.1. Il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea si rende, quindi, necessario, da parte di questo Consiglio di Stato quale giudice di ultima istanza, alla luce di quanto affermato dalla consolidata giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia (cfr. ex plurimis Sez. IV, 18 luglio 2013 C-136/12, laddove essa precisa, par. 25, che : “. . . qualora non esista alcun ricorso giurisdizionale avverso la decisione di un giudice nazionale, quest'ultimo è, in linea di principio, tenuto a rivolgersi alla Corte ai sensi dell'articolo 267, terzo comma, TFUE quando è chiamato a pronunciarsi su una questione di interpretazione del predetto Trattato”).

9.4.2. L’esigenza affermata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia – che determina questa Sezione a disporre un nuovo rinvio pregiudiziale, alla luce della questione ex novoproposta dall’appellante – rende, però, necessario sottoporre alla Corte di Giustizia, un primo e preliminare quesito, concernente:

- la sussistenza di obbligatorietà del predetto rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ogni qual volta una parte del processo, anche in tempi diversi, sottoponga al giudice nazionale di ultima istanza una questione pregiudiziale di compatibilità del diritto nazionale con il diritto europeo;

- ovvero se il rinvio pregiudiziale su istanza di parte debba ritenersi obbligatorio solo per quelle questioni che le parti propongano con il primo atto di costituzione in giudizio ovvero fino all’ultimo atto processuale consentito prima del passaggio in decisione della causa, e comunque giammai dopo che il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia sia intervenuto una prima volta.

Questa Sezione ritiene, infatti, che l’enunciata obbligatorietà di rinvio pregiudiziale da parte del Giudice di ultima istanza non possa essere disgiunta da un regime di “preclusioni processuali” (che è rimesso alla stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia di affermare corrispondentemente), tale da indurre le parti a sottoporre al giudice nazionale “una volta per tutte” gli aspetti del diritto interno applicabile al caso oggetto di giudizio che esse prospettano come contrastanti con il diritto europeo.

Diversamente, la proposizione “a catena” di questioni pregiudiziali – oltre che prestarsi a possibili usi distorti, tali da configurare, in casi estremi, un vero e proprio “abuso del processo” - finirebbe (stante la affermata doverosità di rimessione) per rendere evanescente il diritto alla tutela giurisdizionale ed il principio di celere definizione del giudizio con carattere di effettività.

A ciò aggiungasi che la proposizione di questioni pregiudiziali in momento successivo a quello “consolidato” dalla proposizione dell’impugnazione, si scontra con un sistema di preclusioni immanente al processo, secondo la disciplina nazionale del medesimo, poiché la proposizione del quesito successiva a tale momento viene ad alterare il thema decidendum che si consolida per il tramite dei motivi di impugnazione (soggetti a termine decadenziale) e di quanto eccepito ed opposto dalle parti evocate in giudizio.

9.5. Alla luce di tutto quanto sin qui esposto, il Collegio, in ciò parzialmente accogliendo anche la domanda formulata da parte appellante, ritiene di dover rimettere alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 del Trattato FUE, le seguenti questioni pregiudiziali, ordinate logicamente, formulando i corrispondenti quesiti:

a) se, ai sensi dell’art. 267 TFUE, il Giudice nazionale, le cui decisioni non sono impugnabili con un ricorso giurisdizionale, è tenuto, in linea di principio, a procedere al rinvio pregiudiziale di una questione di interpretazione del diritto dell’Unione, anche nei casi in cui tale questione gli venga proposta da una delle parti del processo dopo il suo primo atto di instaurazione del giudizio o di costituzione nel medesimo, ovvero dopo che la causa sia stata trattenuta per la prima volta in decisione, ovvero anche dopo che vi sia già stato un primo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea;

b) se – in ragione di quanto innanzi esposto - siano conformi al diritto dell’Unione Europea (in particolare agli articoli 4, co. 2, 9, 101, co. 1, lett. e), 106, 151 – ed alla Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 ed alla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 da esso richiamate – 152, 153, 156 TFUE; articoli 2 e 3 TUE; nonché art. 28 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) gli articoli 115, 206 e 217 d. lgs. 163/2006, come interpretati dalla giurisprudenza amministrativa, nel senso di escludere la revisione dei prezzi nei contratti afferenti ai cd. settori speciali, con particolare riguardo a quelli con oggetto diverso da quelli cui si riferisce la Direttiva 17/2004, ma legati a questi ultimi da un nesso di strumentalità;

c) se – in ragione di quanto innanzi esposto - siano conformi al diritto dell’Unione Europea (in particolare all’articolo 28 della Carta dei diritti dell’UE, al principio di parità di trattamento sancito dagli articoli 26 e 34 TFUE, nonché al principio di libertà di impresa riconosciuto anche dall’art. 16 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) gli articoli 115, 206 e 217 d. lgs. 163/2006, come interpretati dalla giurisprudenza amministrativa, nel senso di escludere la revisione dei prezzi nei contratti afferenti ai cd. settori speciali, con particolare riguardo a quelli con oggetto diverso da quelli cui si riferisce la Direttiva 17/2004, ma legati a questi ultimi da un nesso di strumentalità.

10. ADEMPIMENTI DI SEGRETERIA

Ai fini della più completa decisione della Corte di Giustizia - in ossequio alle Raccomandazioni della Corte medesima 2012/C 338/01, relative alla presentazione di domande pregiudiziali - alla stessa deve essere trasmessa, a cura della Segreteria della Sezione, oltre a copia conforme all’originale della presente ordinanza, altresì copia dell’intero fascicolo di causa.

11. SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO

Nelle more della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione Europea, si rende necessario disporre, ai sensi dell’art. 79, co. 1,c.p.a., la sospensione del presente processo, riservando alla sentenza definitiva ogni pronuncia in merito alle spese ed onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta),

pronunciando sull’appello proposto da Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi s.p.a. (n. 8998/2014 r.g.):

a) rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale indicata in motivazione;

b) ordina alla Segreteria della Sezione di trasmettere alla medesima Corte copia conforme all’originale della presente ordinanza, nonché copia integrale del fascicolo di causa;

c) dispone, nelle more della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la sospensione del presente giudizio;

d) riserva alla sentenza definitiva ogni pronuncia in ordine alle spese ed onorari del presente giudizio.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 novembre 2018.

 

Guida alla lettura

Con l’ordinanza in commento il Consiglio di Stato ha sollevato, per la seconda volta, nell’ambito della medesima controversia, sia pure in relazione a differenti parametri, la questione della conformità all’ordinamento europeo della mancata previsione, nel vecchio Codice dei contratti pubblici(approvato con D.lgs. n. 163 del 2006),dell’istituto della revisione prezzi per gli appalti strumentali a quelli appartenenti ai c.d. “settori speciali

Il Collegio ha, altresì, posto la questione se in presenza di dubbi interpretativi avanzati dalle parti dopo l’introduzione del giudizio, ovvero dopo che la causa sia passata una prima volta in decisione o, ancora, quando sia già intervenuto un primo rinvio pregiudiziale, il giudice sia obbligato o meno a disporre altro rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, seppur sulla base di diversi parametri.

Con ordinanza del 22 marzo 2017, n. 1297, il Consiglio di Stato ha effettuato un primo rinvio pregiudizievole alla Corte di Giustizia U.E. circa la conformità all’ordinamento sovranazionale dell’esclusione della revisione prezzi per gli appalti “con oggetto diverso da quelli cui siriferisce la stessa direttiva, ma legati a questi ultimi da un nesso di strumentalità”. Si dubitava, inoltre, della validità della direttiva n. 2004/17/CE (ove ritenuta fonte diretta dell’esclusione della revisione dei prezzi in tutti i contratti stipulati e applicati nell’ambito dei cd. settori speciali) per contrasto con i principi dell’Unione europea (in particolare, quelli espressi agli artt. 3, comma 1, TUE, 26, 56/58 e 101 TFUE).

Il giudice del rinvio ha, altresì, richiamato, in tal sede, la distinzione tra “rinvio di validità” e “rinvio pregiudizialed’interpretazione”, segnalando l’obbligatorietà assoluta del primo (cfr. Corte di giustizia UE, 6 dicembre 2005, in causa C-461/03) e la sussistenza, nel caso di specie, dei presupposti per farsi luogo al secondo.

La Corte di giustizia UE, con sentenza 19 aprile 2018, in causa C-152/17, previa declaratoria di irricevibilità di alcune delle questioni sollevate, ha risposto ai dubbi interpretativi sollevati, in specie affermando che: la direttiva n. 2004/17/CE trova applicazione, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza della stessa Corte, non solo agli appalti dei settori speciali, ma, altresì, agli appalti che, anche se di natura diversa, risultano comunque utili all’esercizio delle attività definite dalla medesima direttiva; sebbene non sia espressamente contemplato nella predetta direttiva, un appalto deve ritenersi assoggettato alle procedure ivi disciplinate quando: è affidato da un “ente aggiudicatore” e riveste un nesso con un’attività da questo esercitata nei settori disciplinati dagli artt. da 3 a 7 della direttivapoiché la stessa direttiva non stabilisce, a carico degli Stati membri, alcun obbligo specifico di prevedere la revisione al rialzo del prezzo dopo l’aggiudicazione di un appalto, la mancata previsione nel combinato disposto degli artt. 115 e 206 del d.lgs. n. 163 del 2006 – quanto agli appalti dei settori speciali – del compenso revisionale non è in contrasto con l’ordinamento UEnemmeno i principi di parità di trattamento e di trasparenza sanciti dall’articolo 10 di tale direttiva, ostano a siffatte norme;poiché il prezzo dell’appalto costituisce un elemento di grande rilievo nella valutazione delle offerte da parte di un ente aggiudicatore, così come nella scelta del privato contraente, è proprio attraverso la mancata previsione del compenso revisionale – e non già con la sua obbligatorietà – che le norme di diritto nazionale si pongono in linea con il rispetto dei suddetti principi(in termini, Corte di giustizia UE, 7 settembre 2016,in causa C-549/14); in relazione ai dubbi di validità della direttiva n. 2004/17/CE, sussiste la necessità di dichiarare le questioni irricevibili qualora non abbiano alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della controversia di cui al procedimento principale o qualora il problema sia di natura ipotetica(cfr. Corte di Giustizia UE, 28 marzo 2017, in causa C-72/15). Nel caso di specie, si è precisato che la parziale irricevibilità delle

questioni discende dalla circostanza secondo cui né la direttiva n. 2004/17/CE, né i principi generali ad essa sottesi, ostano alla mancata previsione del compenso revisionale, sicché la questione assume carattere ipotetico.

Con l’ordinanza in rassegna, il Consiglio di Stato ha ripercorso i dubbi ermeneutici sollevati dall’appellante e, previa declaratoria di infondatezza di quelli già proposti in precedenza e risolti dalla Corte nell’ambito dello stesso giudizio a quo, ha disposto un nuovo rinvio pregiudiziale. 

Nel dettaglio, la nuova ordinanza di rimessione ha evidenziato, quanto al piano processuale, che: in linea di principio, sussiste l’obbligo del giudice di ultima istanza di disporre il rinvio pregiudiziale quando esso sia chiamato a pronunciarsi su una questione di interpretazione del diritto UE, come peraltro affermato dalla stessa giurisprudenza sovranazionale (cfr. Corte di giustizia UE, 18 luglio 2013, in causa C-136/12); occorre, tuttavia, verificare se siffatto obbligo permanga qualora le questioni interpretative siano sottoposte dalle parti al giudice nazionale: in modo frazionato o “a catena” nel corso del processo, oltre il primo atto di costituzione in giudizio ovvero fino all’ultimo atto processuale consentito prima del passaggio in decisione della causa, oltre un primo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE laddove già disposto (ed anche definito) nella medesima vicenda processuale;l’obbligatorietà del rinvio pregiudiziale del giudice di ultima istanza non può essere disgiunta da un regime di “preclusioni processuali”(che èrimesso alla stessa giurisprudenza della Corte di giustizia di affermarecorrispondentemente),tale da indurre le parti a sottoporre al giudice nazionale “una volta per tutte” gli aspetti del diritto interno applicabile al caso oggetto di giudizio che esse prospettano come contrastanti con il diritto europeo;l’ammissibilità di una proposizione “a catena” di questioni pregiudiziali si presterebbe a possibili usi distorti, tali da configurare, in casi estremi, un vero e proprio “abuso del processo”, renderebbe (stante la affermatadoverosità di rimessione) evanescente il diritto alla tutela giurisdizionale ed il principio di celere definizione del giudizio con carattere di effettività, si scontrerebbe con un sistema di preclusioni immanente al processo, secondo la disciplina nazionale del medesimo, poiché la proposizione delquesito successiva a tale momento viene ad alterare il thema decidendum chesi consolida per il tramite dei motivi di impugnazione (soggetti a terminedecadenziale) e di quanto eccepito ed opposto dalle parti evocate ingiudizio.

Sotto il differente profilo sostanziale e, segnatamente, in relazione all’obbligatorietà o meno dell’istituto della revisione del prezzo per gli appalti caratterizzati da un nesso di strumentalità con quelli oggetto della direttiva n. 2004/17/CE, che, sulla base della richiamata sentenza della Corte di giustizia del 19 aprile 2018, la medesima Corte ha rilevato come la disciplina interna appare conforme ai princìpi di parità di trattamento e di trasparenza oltre che alla predetta direttiva.La normativa che impedisce (solo per i settori speciali) l’applicazione della revisione prezzi– laddove quest’ultima è determinata dall’aumento del costo dellavoro a seguito di contrattazione collettiva intervenuta durante il rapportocontrattuale, in un settore quale quello delle pulizie, dove il costo del lavoro è lavoce prevalente e determinante – inoltre, darebbe luogoad una violazione delle norme del diritto europeo che tutelano sia il diritto delle parti(imprese e associazioni dei lavoratori) alla libera contrattazione, sia i diritti stessi dei lavoratoriad un limite “esterno” alla contrattazione, poiché configurerebbe un limite determinato dalla “rigidità” imposta alle imprese (e di conseguenza alle associazioni dei lavoratori) conseguentealla immodificabilità delle pattuizioni che regolano la fornitura di servizinell’ambito di rapporti contrattuali in essere;ad un “fattore” che incide dall’esterno sulla libertà di contrattazione;ad una misura(cfr. art. 106 TFUE) che impedirebbe, restringerebbe e falserebbe la concorrenza, sino a subordinare la conclusione del contrattoall’accettazione, da parte del contraente, di una prestazione supplementareche non ha alcun nesso con l’oggetto del medesimo contratto (art. 101,comma 1, lett. e) TFUE) negando, altresì, il valore del mercato (art. 3,comma 3, TUE).

Da ultimo si fa presente come il nuovo Codice degli appalti prevede espressamente, a differenza del precedente codice del 2006, che la revisione prezzi, contenuta nel disposto di cui all’attuale art. 106 D.lgs. n. 50/2016, trovi applicazione anche con riguardo ai settori speciali.