estratto da "Il codice dei contratti pubblici dopo il correttivo", a cura di F. Caringella e M. Protto, Dike Giuridica Editrice, 2017

pillole di dottrina

 I COSA CAMBIA: 1. Introduzione. II INDICAZIONI OPERATIVE: 1. Scompaiono l’obbligo di visita periodica in cantiere, quello di iscrizione delle contestazioni, e non solo - 2. La quantificazione dei danni - 3. Il “termine suppletivo” - 4. Le comunicazioni all’ANAC.
 

I COSA CAMBIA:

1. Introduzione.
La norma in commento ripropone il contenuto degli articoli 157, 158 e 159 del D.P.R. n. 207/2010. Tuttavia, nel passaggio dalla disciplina di rango regolamentare a quella legislativa, il divieto di gold plating ha fatto sì che alcune disposizioni contenute nel precedente regolamento non siano state riproposte. È probabile che ciò che si è perso per strada sarà recuperato attraverso gli strumenti di regolamentazione flessibile (linee guida dell’ANAC). Certo è che oggi, la disciplina normativa della “sospensione” è certamente molto più snella rispetto a abrogata. Circostanza, questa, che sebbene corrisponda, come detto, al divieto di gold plating, non è detto che agevoli la certezza del diritto e l’osservanza delle regole di buna amministrazione. Il decreto correttivo, ha accolto il suggerimento del Consiglio di Stato, di cui al parere reso sulla bozza del Decreto in questione ed, a proposito della possibilità di interrompere i finanziamenti per esigenze di finanza pubblica, al comma 2, ha specificato che l’interruzione dei finanziamenti può aver luogo “per esigenze sopravvenute di finanza pubblica, disposta con atto motivato delle Amministrazioni competenti.”.

II INDICAZIONI OPERATIVE:

1. Scompaiono l’obbligo di visita periodica in cantiere, quello di iscrizione delle contestazioni, e non solo. La norma in commento conferma che la “sospensione” dei lavori (ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 107, le disposizioni ivi contenute si applicano, in quanto compatibili, anche ai contratti di servizi e forniture) può essere disposta, dal direttore dei lavori, per motivi di ordine tecnico, e dal responsabile del procedimento, per ragioni di ordine pubblico. Nulla è detto sul contenuto necessario dei verbali di sospensione e ripresa dei lavori, né sulle modalità di redazione degli stessi. Tra le norme che non sono state riproposte, vi è quella che imponeva al direttore dei lavori visite periodiche in cantiere, durante la sospensione, ad intervalli non superiori a novanta giorni. Tali visite avevano lo scopo di accertare le condizioni delle opere, oltre che la presenza di macchinari ed attrezzature dell’appaltatore, eventualmente presenti in cantiere. La norma abrogata prevedeva, inoltre, che in occasioni di tali visite, il direttore dei lavori poteva dare le necessarie disposizioni al fine di contenere, all’interno del cantiere, macchinari e mezzi d’opera, nella misura strettamente necessaria per evitare danni alle opere già eseguite e per agevolare una pronta ripresa dei lavori (art. 158. Comma 5 del D.P.R. n. 207/2010). Trattavasi di una previsione che, se da un lato mirava a preservare lo stato di conservazione delle opere durante prolungate sospensioni dei lavori, dall’altra evitava l’inutile di presenza di macchinari e mano d’opera dell’appaltatore che, ove presente, poteva poi costituire oggetto di richiesta di maggiori costi dell’appaltatore, conseguenti al mancato ammortamento dei beni strumentali all’attività produttiva.
Scompare anche l’obbligo, dell’appaltatore, di iscrivere, a pena di decadenza, le proprie contestazioni nei verbali di sospensione e di ripresa dei lavori, salvo per le sospensioni inizialmente legittime per le quali era sufficiente l’iscrizione della riserva di ripresa dei lavori (art. 158, comma 8 del D.P.R. n. 207/2010). A proposito dell’obbligo di prevedere l’iscrizione delle contestazioni dell’appaltatore (cosiddetta “riserva”; termine risalente al R.D. n. 350/ 1895 - art. 85 - la cui disciplina si è profondamente evoluta negli anni successivi, tanto da privarlo del suo significato originario, ma ritroviamo ancora oggi, nel nuovo codice - art. 204 -) a pena dei decadenza, la giurisprudenza ha affermato che la logica di tale previsione risiede nella necessità che la stazione appaltante sia sempre, tempestivamente e costantemente informata di tutti i fattori che siano suscettibili di aggravare il costo dell’opera; l’onere della riserva, dunque, ha la sua ragione d’essere nella tutela della stazione appaltante che, nell’esercizio della sua attività discrezionale, deve essere posta in grado di esercitare prontamente ogni necessaria verifica e deve, inoltre, poter valutare, in ogni momento, l’opportunità del mantenimento ovvero del recesso dal rapporto di appalto, in relazione ai fini di interesse pubblico (ex pluribus Cass. 21 luglio 2004, n. 13500). Orbene, il venir meno dell’obbligo normativo di iscrizione delle contestazioni/riserve, pena la relativa decadenza, rischia di minare i principi affermati dalla summenzionata giurisprudenza.

2. La quantificazione dei danni.
Nella previsione originaria del Codice del 2016, scompare anche la previsione (art. 160 comma 2 del D.P.R. n. 207/2010) che stabiliva i criteri per la determinazione del danno derivante da sospensioni illegittime. Disposizione che consentiva alle stazioni appaltanti di poter quantificare gli stessi sulla base di parametri predeterminati, fatta salva, in ogni caso, la possibilità dell’appaltatore di dimostrare eventuali maggiori danni. Adesso occorrerà determinare i danni di cui trattasi, caso per caso. Il primo Decreto correttivo, ha posto parzialmente rimedio a quanto testé evidenziato, prevedendo ora che in caso di sospensioni totali o parziali dei lavori disposte dalla stazione appaltante per cause diverse da quelle di cui ai commi 1, 2 e 4 dell’art. 107, l’esecutore può chiedere il risarcimento dei danni subiti, quantificato sulla base di quanto previsto dall’art. 1382 del codice civile, secondo criteri individuati nel decreto di cui all’articolo 111, comma 1.

3. Il “termine suppletivo”.
La nuova norma conferma, invece, la previsione secondo la quale l’appaltatore che non sia in grado di completare i lavori nel termine programmato, per cause a lui non imputabili, può chiedere la “proroga”, con congruo anticipo rispetto alla scadenza del termine contrattuale (comma 5, primo alinea). Da notare che la “proroga” cui fa riferimento l’art. 107, non è la stessa “proroga” prevista e disciplinata all’art. 106 comma 11. Quest’ultima prevede, infatti, che la durata del contratto possa essere modificata esclusivamente per i contratti in corso di esecuzione, ma solo se è prevista nel bando e nei documenti di gara una opzione di proroga. Orbene, la “proroga” cui fa riferimento la previsione dell’articolo 106 è solo quella che si rende necessaria per espletare le procedure necessarie per l’individuazione di un nuovo contraente. Tale “proroga”, può essere concessa unicamente nell’ipotesi in cui sia stata prevista in specifiche clausole della legge di gara. Viceversa, la “proroga” cui fa riferimento l’articolo 107 nulla ha a che vedere con i tempi occorrenti per l’espletamento di un nuovo affidamento. Essa, infatti, è concessa (rectius è dovuta) all’appaltatore, al solo scopo di consentirgli di ultimare i lavori nel tempo contrattuale e, quindi, senza dover andare in “penale”, in tutti i casi in cui la ritardata progressione dei lavori non dipende da fatto dell’appaltatore.
La giurisprudenza, solitamente, distingue la “proroga” dovuta all’appaltatore, per recuperare ritardi non imputabili allo stesso, da quella occorrente per l’espletamento di una nuova gara. Generalmente, quella dovuta all’appaltatore viene denominata “termine suppletivo”, proprio per distinguerla dai casi in cui la sua concessione è a discrezione del committente (Cass. 18 febbraio 2008, n. 3932: “qualora si verifichino cause tecniche impreviste o imprevedibili, ovvero cause di forza maggiore o impedimenti obbiettivi non imputabili a nessuna delle parti, l’appaltatore ha diritto (solo) a un termine “suppletivo”; cfr. anche Cass. 7 dicembre 2007, n. 25623).
4. Le comunicazioni all’ANAC.
In ultimo, ma non da ultimo, la norma in commento prevede obblighi di comunicazione all’ANAC delle sospensioni. In caso di “mancata o tardiva” comunicazione delle sospensioni di durata superiore al quarto del tempo contrattuale complessivo, l’ANAC irroga una sanzione amministrativa alla stazione appaltante di importo compreso tra 50 e 200 euro per giorno di ritardo. La norma, tuttavia, a differenza di altre ipotesi previste dal Codice (in tal senso, si veda la previsione del comma 7 dell’art. 106) non prevede espressamente un termine entro il quale debba essere effettuata comunicazione di cui trattasi.