SOMMARIO

1. La legittimazione a ricorrere, l’interesse a ricorrere e l’interesse strumentale.

2. L’evidenza pubblica e la tutela della concorrenza.

3. Partecipazione alla gara e cessione di azienda: obblighi informativi durante la gara e dopo la cessione del contratto.

4. Ricorso incidentale ed ordine di esame.

5. Conclusioni

 

 

La legittimazione a ricorrere coincide con la titolarità di una situazione giuridica tutelabile in base all’ordinamento, generalmente corrispondente ad un interesse legittimo; nelle controversie riguardanti l’affidamento dei contratti pubblici, sono legittimati a ricorrere, salvo alcune tassative eccezioni, esclusivamente i soggetti partecipanti alla gara.

 

Il D. Lgs. 163/2006, all’art. 51, riconosce  l’ammissibilità di vicende societarie del partecipante alla gara; in tali circostanze rimane comunque doveroso l’accertamento, da parte della stazione appaltante, delle qualità soggettive dell’impresa subentrante, con particolare riferimento ai requisiti di partecipazione. La mancata comunicazione, da parte del cessionario, dei requisiti previsti dall’art. 38 del Codice determina l’irrilevanza della cessione di azienda nei confronti della procedura di gara, con conseguente mancanza di legittimazione a ricorrere avverso l’aggiudicazione definitiva in capo al cessionario.

 

La tutela dell’aggiudicatario è assicurata attraverso l’esperimento del ricorso incidentale. In giurisprudenza è sorto il dibattito circa l’ordine di esame da parte del giudice dei ricorsi, principale ed incidentale: per la Corte di Giustizia (sentenza 4 luglio 2013, C-100/12) è da escludersi l’esame prioritario del ricorso incidentale escludente, senza l’esame di quanto addotto dal ricorrente in via principale.

1. La legittimazione a ricorrere, l’interesse a ricorrere e l’interesse strumentale

 

Oggetto dell’odierna trattazione è la legittimazione del partecipante alla gara pretermesso ad impugnare l’aggiudicazione ad altro concorrente, nel caso di cessione di azienda durante il tempo necessario per lo svolgimento della gara, anteriormente alla stipulazione del contratto.

Occorre, pertanto, muovere dall’esame in generale dell’istituto della legittimazione.

Chiunque voglia proporre un ricorso davanti al giudice amministrativo deve esserne legittimato[1]. La legittimazione a ricorrere coincide con la titolarità di una situazione giuridica tutelabile in base all’ordinamento, generalmente corrispondente ad un interesse legittimo. La legittimazione a ricorrere è, quindi, da ricondurre alla titolarità di una posizione di interesse qualificato, in mancanza della quale il giudice dichiara il ricorso inammissibile[2].

Stabilisce l’art. 100 c.p.c., applicabile anche al processo amministrativo ai sensi dell’art 39 c.p.a., che la condizione per l’ammissibilità dell’azione, oltre alla titolarità di una situazione giuridica sostanziale di diritto soggettivo o di interesse legittimo, si sostanzia nell’interesse a ricorrere, inteso come interesse proprio del ricorrente a perseguire un vantaggio, (che solitamente consiste in un vantaggio materiale, ma la giurisprudenza ritiene che possa essere anche solo un vantaggio morale) mediante il processo amministrativo, nell’ottica di un processo di stampo impugnatorio, originato dall’emanazione di una determinazione asseritamente lesiva di interessi legittimi.

Pertanto, esula dalla nozione di interesse a ricorrere la semplice idoneità astratta dell’azione a realizzare il risultato perseguito: in sostanza, l’interesse al ricorso presuppone da un lato la sussistenza di una lesione che il provvedimento arreca alla sfera patrimoniale del ricorrente, dall’altro il vantaggio, anche solo potenziale, derivante dall’annullamento del provvedimento impugnato.

Precise caratteristiche delineano la figura dell’interesse a ricorrere; quest’ultimo, infatti, caratterizzato dai requisiti della personalità, in quanto il risultato deve riguardare direttamente il ricorrente, dell’attualità, in quanto tale interesse deve sussistere al momento del ricorso e per tutta la durata dello stesso, e della concretezza, in quanto il vantaggio va valutato sulla base di un pregiudizio effettivamente e concretamente subito dal ricorrente.

Nel caso, opposto a quello fin qui esaminato,  in cui l’ordinamento resti del tutto indifferente rispetto ad un interesse del soggetto, quest’ultimo assume la consistenza di un mero interesse di fatto.

L’interesse di fatto, quindi, può essere definito come una situazione giuridica non protetta, cui l’ordinamento non accorda tutela[3].

Tipici interessi di fatto sono quelli da tutti vantati all’osservanza da parte dell’amministrazione di doveri pubblici posti a vantaggio della collettività indifferenziata. Si tratta, quindi, di interessi indifferenziati, in quanto tali non tutelabili in sede giurisdizionale.

Un’importante eccezione, tuttavia, alla mancanza di tutela in giudizio degli interessi di fatto, è data dall’esperibilità delle azioni popolari[4]. Mediante l’istituto dell’azione popolare, infatti, il privato è legittimato a promuovere un giudizio finalizzato alla difesa di un interesse pubblico proprio di una collettività indifferenziata.

Le tipologie di azioni popolari che il nostro ordinamento conosce sono due: l’azione “suppletiva”, in cui l’attore,  sostituendosi all’ente esponenziale rimasto inerte nel far valere le proprie pretese nei confronti di un terzo, realizza una forma di sostituzione processuale, e l’azione “correttiva”, posta in essere per reagire all’illegittimo operato della P.A. e salvaguardare l’interesse collettivo al buon andamento dell’amministrazione. Occorre specificare che in entrambe le fattispecie sopra menzionate la tutela non è totalmente oggettiva: nell’azione popolare, infatti, solo chi è in possesso di un determinato status (ad esempio, quello di soggetto appartenente ad una determinata comunità territoriale) è legittimato ad agire in giudizio.

Seguando le linee di un consolidato orientamento giurisprudenziale, anche la sussistenza di un interesse meramente strumentale, quale interesse ad ottenere la caducazione del provvedimento amministrativo al solo fine di rimettere in discussione il rapporto controverso e di provocare una riedizione dell’esercizio del potere amministrativo, è sufficiente a radicare l’interesse al ricorso.

Circa la legittimazione a ricorrere avverso i provvedimenti conclusivi di una procedura ad evidenza pubblica, il Consiglio di Stato[5] ha rilevato come la partecipazione ad una procedura selettiva costituisca la condizione necessaria perché si radichi l’interesse a ricorrere contro i provvedimenti conclusivi della relativa procedura, in quanto esclusivamente dalla partecipazione alla gara emerge un interesse specifico e differenziato a contestare le modalità di svolgimento della procedura.

Tuttavia, la Quinta sezione ha anche riconosciuto la rilevanza di casi eccezionali in cui la partecipazione alla gara non costituisce requisito di legittimazione.

Si tratta innanzitutto del caso in cui venga contestata la violazione delle regole di pubblicità del bando, da cui discende l’impossibilità, per il ricorrente, di partecipare alla procedura; in secondo luogo, del caso in cui l’interessato contesti la decisione dell’amministrazione di indire la gara; infine, nel caso in cui oggetto della contestazione sia una clausola che impedisce la partecipazione di determinate categorie di soggetti.

È di fondamentale importanza rimarcare il fatto che, nei tre casi succitati, il ricorso deve essere tempestivamente proposto contro il bando di gara o di concorso e non contro l’atto conclusivo della procedura selettiva.

Dunque, la legittimazione al ricorso postula la dimostrazione di un interesse differenziato; la carenza di legittimazione al ricorso giammai può essere colmata mediante il riferimento al mero interesse materiale all’annullamento della procedura ed al suo eventuale rinnovo. Verrebbe confuso, in tal caso, il requisito della legittimazione al ricorso con quello dell’interesse al ricorso.

Sullo stesso tema è definitivamente tornata l’Adunanza plenaria del consiglio di Stato, n. 4 del 7 aprile 2011, la quale, oltre a porre principi saldi, di cui più avanti nella trattazione si parlerà, in materia di rapporti tra ricorso principale e ricorso  incidentale, ha ribadito che, al di fuori delle ipotesi tassativamente enucleate dalla giurisprudenza (legittimazione del soggetto che contrasta, in radice, la scelta della stazione appaltante di indire la procedura; dell’operatore economico di settore, che intende contestare un affidamento “diretto” o senza gara; dell’operatore che manifesta l’intenzione di impugnare una clausola del bando “escludente”, in relazione all’illegittima previsione di determinati requisiti di qualificazione), deve restare fermo il principio secondo il quale la legittimazione al ricorso, nelle controversie riguardanti l’affidamento dei contratti pubblici, spetta esclusivamente ai soggetti partecipanti alla gara, poiché solo tale qualità si connette all’attribuzione di una posizione sostanziale differenziata e meritevole di tutela.

 

 

         2. L’evidenza pubblica e la tutela della concorrenza.

 

Prima di passare all’analisi della legittimazione ad impugnare l’aggiudicazione definitiva dell’appalto alla luce di modifiche soggettive del candidato in sede di partecipazione alla gara, è opportuno un accenno circa l’influenza che il Diritto europeo ha avuto, all’interno del nostro ordinamento, sulle procedure di evidenza pubblica.

La scelta del contraente di una pubblica amministrazione ha costituito oggetto di una compiuta disciplina, distinta da quella applicabile all’azione  amministrativa ordinaria, fin dalle leggi di unificazione nazionale, in particolare dalla legge n. 2248 del 1865, all.F sui lavori pubblici , il cui Titolo VI era dedicato alla gestione amministrativa ed economica dei lavori pubblici.

Essa è stata per un lungo periodo, dalle leggi di unificazione nazionale fino all’adozione del “Codice dei contratti pubblici” di cui al d.lgs. n.163/2006, contraddistinta da una rigida formalità, improntata al principio di imparzialità della p.a..

La stessa nozione di concorrenza, agli albori della sua elaborazione, aveva nella tutela economico-finanziaria della p.a il proprio fine: l’obiettivo dell’intera disciplina era la minore e migliore spendita di denaro pubblico, che si realizzava attraverso un’ampia possibilità di scelta da parte dell’amministrazione di una pluralità di offerte. Che l’interesse preminente preso in considerazione dal legislatore dell’inizio del secolo scorso fosse quello della tutela economica delle amministrazione è reso più chiaro dal fatto che l’intera disciplina dei contratti pubblici fosse contenuta nelle norme sulla contabilità; infatti, il r.d. 2440/1923 -c.d. legge di contabilità- stabiliva l’instaurazione di procedure complesse antecedenti la stipula di qualunque contratto che comportasse entrate o spese per lo Stato.[6]

La prospettiva dell’evidenza pubblica muta considerevolmente con l’emanazione della disciplina comunitaria dei contratti pubblici, particolarmente degli appalti, a partire dagli anni Settanta fino al recepimento da parte del nostro legislatore delle direttive n. 17 e n. 18 del 2004 nel codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163).

La materia dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture viene governata dal principio della concorrenza , secondo cui “L’affidamento e l’esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice” (art. 2, comma 1).

Lo stesso diritto comunitario, dagli anni Settanta fino all’emanazione delle direttive n. 17 e 18, ed il diritto interno che ne è derivato, si sono mano a mano evoluti sulla strada del rafforzamento delle garanzie a tutela della concorrenza, quali le garanzie di pubblicità e trasparenza e l’ampliamento della partecipazione alle gare mediante meccanismi atti a superare le barriere all’ingresso costituite dal possesso di requisiti basati sull’esperienza già acquisita o prescrizioni tecniche escludenti e, per questo, discriminatorie.

La libertà di mercato diviene allora il pilastro intorno al quale ruota tutta la disciplina in materia di appalti pubblici,  finendo con l’assumere , da garanzia per l’interesse dei partecipanti alla gara, la funzione di  garanzia dell’interesse pubblico, finanziario ed amministrativo, data l’accertata e stretta correlazione tra tutela della concorrenza e contenimento dei prezzi ed elevazione della qualità delle prestazioni nei contratti.

La tutela  della concorrenza  è materia affidata dalla Costituzione , dopo la modifica del Titolo V[7],alla legislazione esclusiva statale, così che le Regioni non possono prevedere una disciplina diversa da quella contenuta nel codice in materia di qualificazione e selezione dei concorrenti, procedure di affidamento, criteri di aggiudicazione, subappalto, poteri di vigilanza sul mercato affidati all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, attività di progettazione e piani di sicurezza, stipulazione ed esecuzione dei contratti, direzione lavori, contenzioso (art. 4, comma3).

La Corte costituzionale ha chiarito, in proposito, che il nuovo contesto è basato sull’ “esigenza di assicurare la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici del settore in ossequio ai principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi” così determinando “il definitivo superamento della cosiddetta concezione contabilistica, cha qualificava la normativa interna come posta esclusivamente nell’interesse dell’amministrazione, anche ai fini della corretta formazione della sua volontà negoziale” (Corte costituzionale, sent. 401/2007).

L’omogeneità e l’uniformità delle procedure a livello europea impone l’adozione di una normativa unitaria ed egualmente valida su tutto il territorio nazionale , superando l’ambito oggettivo o territoriale del contratto o della stazione appaltante, nel rispetto dei canoni dell’adeguatezza e della proporzionalità.

L’affermazione della libera concorrenza quale principio cardine della materia degli appalti pubblici gioca un ruolo fondamentale anche sotto il profilo della tutela delle posizioni soggettive.

Essa tende , infatti, a creare il superamento dell’idea – dominante all’inizio del XX secolo[8] - secondo cui le imprese private non potessero far valere i difetti delle procedure di formazione dei contratti pubblici, poiché tali procedure erano unicamente finalizzate alla tutela degli interessi dell’amministrazione.

Il riconoscimento dell’interesse degli aspiranti contraenti contenuto nel principio della libera concorrenza va, quindi, di pari passo con il riconoscimento degli strumenti di tutela dei privati per ottenere l’annullamento dei provvedimenti amministrativi illegittimi intervenuti nella procedura ad evidenza pubblica.

Esso è presente, a partire dagli anni Settanta, nelle direttive comunitarie in materia di appalti e nella legge nazionale sulla concorrenza del 1990 e culminerà, come visto, nell’adozione del codice dei contratti pubblici.

Alla sua affermazione contribuisce anche l’attribuzione di poteri di vigilanza all’autorità indipendente di settore che, da autorità competente nel solo ambito dei lavori pubblici, diviene Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, così coprendo l’intero ambito del settore degli appalti pubblici.

I suoi poteri di vigilanza si esplicano nella garanzia di osservanza dei principi di correttezza e di trasparenza delle procedure di scelta del contraente e di economica ed efficiente esecuzione dei contratti e di rispetto delle regole della concorrenza nelle singole procedure di gara (art. 6)[9].

L’opera svolta dall’Autorità di vigilanza, affiancata da quella dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e da una giurisprudenza del giudice amministrativo volta a potenziare l’apertura dei mercati nazionali degli appalti ed a garantire la massima partecipazione delle imprese degli Stati membri dell’Unione Europea alle procedure di selezione a parità di condizioni conducono al rafforzamento degli strumenti di tutela per le imprese dalle discriminazioni anticoncorrenziali.

 Tale rafforzamento vale, a maggior ragione, nei confronti delle imprese “nuove entranti”, che incontrano barriere all’ingresso nel mercato, principalmente costituite dall’imposizione di requisiti tecnici ed economici che favoriscono le “incumbents”. Istituti come l’avvalimento – che consente all’impresa sfornita dei requisiti di partecipazione di prendere parte alla gara avvalendosi dei requisiti di un’altra impresa alla quale è legata dal contratto di avvalimento (art. 49 codice dei contratti pubblici) – o il raggruppamento temporaneo tra imprese – RTI, che dà luogo ad un’associazione in chiave pro-concorrenziale di imprese da sole non in grado di soddisfare i requisiti richiesti dalla legge di gara (art. 37) – o il dialogo competitivo – che si basa sul dialogo tra stazione appaltante ed imprese al fine di elaborare le soluzioni più adatte alle sue necessità ed è una procedura alla quale tutte le imprese possono partecipare (art.39)-  si configurano come strumenti pro-competitivi, atti ad abolire o a sensibilmente diminuire le barriere normative all’ingresso di concorrenti[10].

L’apertura delle frontiere della concorrenza nelle procedure ad evidenza pubblica va, in definitiva, nella duplice direzione di rafforzare la tutela dell’interesse pubblico, sotto il profilo dell’ottenimento della prestazione più economica e di più elevata qualità, e la tutela dell’interesse delle imprese private a partecipare alle gare in condizioni di parità , di trasparenza e di non discriminazione e di poter tutelare le proprie posizioni giuridiche da provvedimenti illegittimi, compiuti in violazione delle regole della concorrenza[11].

 

 

 

3. Partecipazione alla gara e cessione di azienda: obblighi informativi durante la gara e dopo la cessione del contratto

 

Sono sorte diverse questioni circa la possibilità che operazioni societarie o negoziali abbiano come effetto il trasferimento della posizione di partecipante a procedure di evidenza pubblica; la più importante si riferisce alla necessità di trovare un contemperamento tra diversi interessi, quali la tutela della libera iniziativa economica, il rispetto del principio di massima partecipazione alle gare, la garanzia della par condicio tra i concorrenti e l’esigenza delle stazioni appaltanti di procedere in modo efficace ai controlli previsti dalle pertinenti norme, nonché dalla lex specialis di gara[12].

In tale scenario, infatti, insieme alle problematiche usuali delle vicende modificative dell’impresa esecutrice di una commessa pubblica, ossia le modificazioni in corso di gara, vengono in considerazione agli occhi del legislatore anche le tematiche attinenti alla speditezza ed all’efficacia delle procedure per la scelta del contraente.

Fondamentali, ai fini della trattazione, sono due elementi: il primo è l’elemento temporale, avuto riguardo alla data di aggiudicazione definitiva e della successiva stipula del contratto; il secondo è l’elemento procedurale, che concerne gli adempimenti che la società acquirente deve assolvere nei confronti della stazione appaltante.

L’ambito delle modificazioni soggettive nell’esecuzione di contratti pubblici di appalto - e più specificamente in corso di gara -  è rimasto per lungo tempo orfano di un’organica disciplina. Secondo taluni orientamenti[13], tali evenienze confluivano nella generale disciplina della cessione del contratto, con conseguente applicazione del divieto di cui all’art. 339 L. 2248/1865, all. F. Ai sensi di tale articolo, era vietato all’appaltatore, senza l’approvazione dell’autorità competente, cedere o subappaltare in tutto o in parte l’opera assunta (la disposizione in esame, dapprima sostituita dall’art. 22 D.L. 152/1991, è stata abrogata dall’art. 231 del D.P.R. 554/1999).

Un rafforzamento del divieto di cessione del contratto, nel settore dei lavori pubblici, era dato dal disposto dell’art. 18,2 della Legge 55/1990, alla cui stregua è “espressamente vietata la concessione del contratto concernente le commesse in parola”. Si giungeva, dunque, a ritenere in generale non opponibili alla stazione appaltante le modificazioni soggettive dell’appaltatore[14].

In tale circostanza, le disposizioni del Codice civile recanti le modificazioni soggettive non sarebbero state applicabili ai contratti riguardanti gli appalti pubblici[15].

Occorre evidenziare, tuttavia, come una diversa opinione, in dottrina, riteneva invece che a disciplinare la fattispecie delle modificazioni soggettive in corso di gara soccorresse l’art. 10-sexies della Legge 575/1965, secondo cui l’impresa aggiudicataria era semplicemente tenuta a comunicare tempestivamente alla stazione appaltante ogni modificazione avvenuta “nella struttura dell’impresa”: l’Amministrazione, a quel punto, non avrebbe avuto un potere diverso da quello di un qualsiasi committente privato[16].

Gli art. 35 e 36 della Legge 109/1994 intervenivano sul quadro normativo fin qui esplicato, ribadendo il divieto di cessione del contratto, ma stabilendo in linea di massima l’ammissibilità delle modificazioni riguardanti l’organizzazione aziendale dell’appaltatore; la riferita novella normativa, tuttavia, non interessava espressamente gli appalti di servizi e forniture e, soprattutto, non si occupava delle variazioni intervenute nel corso della gara[17]. Tale specifico profilo veniva dunque affrontato da dottrina e giurisprudenza facendo prevalere gli argomenti di volta in volta a favore della tesi permissiva, ovvero quelli a suffragio della tesi restrittiva, che negava l’ammissibilità delle modificazioni.

Quest’ultima, poi, in relazione alle modificazioni in corso di gara, prendeva in considerazione anche la necessità di speditezza della procedura e l’esigenza di garantire l’imparzialità e la par condicio, a rischio in caso di modificazioni soggettive di uno dei concorrenti.

La tesi permissiva, che, al contrario, sosteneva la necessità di garantire la libertà contrattuale delle imprese, evidenziava il principio di cui all’art. 41 Cost. ed i canoni di concorrenza e di massima partecipazione alle gare sanciti dalle norme europee, ammettendo la possibilità, per le imprese, di riorganizzare la loro struttura in corso di gara.

La stazione appaltante, dal canto suo, avrebbe poi dovuto verificare il possesso, in capo all’impresa subentrante, dei requisiti per la partecipazione alla gara e per l’aggiudicazione dell’appalto[18].

Sul tema, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato (n. 1873/2005), “le cautele di cui il legislatore nazionale ha circondato l’istituto della fusione, con l’adeguamento alla normativa comunitaria delle norme contenute nel codice civile, e la disciplina stabilita in tema di pubblici appalti (anch’essa coerente con la disciplina comunitaria) non contraddicono, ma evidenziano, al contrario, il generale favore che l’ordinamento interno, non meno di quello comunitario, riservano all’istituto, che non può essere, surrettiziamente, ostacolato da una interpretazione che riconduce il fenomeno nell’alveo dell’immutabilità del soggetto ammesso alla partecipazione alla gara”.

Il D. Lgs. 163/2006, all’art. 51, riconosce adesso esplicitamente l’ammissibilità di vicende societarie del partecipante alla gara, in coerenza con la disciplina della modificazione soggettiva dell’appaltatore di cui all’art. 116 dello stesso codice, pur ribadendo, all’art. 118, il divieto di cessione del contratto d’appalto[19].

Il subentro nella posizione di partecipante/contraente non riguarda soltanto la posizione in sé, ma è strettamente legato al trasferimento dell’organizzazione aziendale che, per il tramite di un’impresa, formula la candidatura alla gara e può risultare aggiudicataria.

La disposizione di cui si discute recita : “Qualora i candidati o i concorrenti, singoli, associati o consorziati, cedano, affittino l’azienda o un ramo d’azienda, ovvero procedano alla trasformazione, fusione o scissione della società, il cessionario, l'affittuario, ovvero il soggetto risultante dall'avvenuta trasformazione, fusione o scissione, sono ammessi alla gara, all'aggiudicazione, alla stipulazione, previo accertamento sia dei requisiti di ordine generale, sia di ordine speciale, nonché dei requisiti necessari in base agli eventuali criteri selettivi utilizzati dalla stazione appaltante ai sensi dell'articolo 62, anche in ragione della cessione, della locazione, della fusione, della scissione e della trasformazione previsti dal presente codice”.

L’art. 51, aderendo alla tesi permissiva sorta in dottrina ed in giurisprudenza antecedentemente alla emanazione del Codice, ha quindi riconosciuto l’ammissibilità delle modificazioni soggettive in corso di gara, qualora si versi in ipotesi di cessione o di affitto d’azienda, nonché di trasformazione, fusione o scissione della società. È necessaria tuttavia una precisazione: in tali circostanze rimane comunque doveroso l’accertamento, da parte della stazione appaltante, delle qualità soggettive dell’impresa subentrante, con particolare riferimento ai requisiti di partecipazione.

Questo è un punto saliente ai fini della trattazione, in quanto l’eventuale mancata produzione della documentazione necessaria, da parte del soggetto cessionario, alla stazione appaltante, ai fini della verifica delle qualità soggettive dell’impresa subentrante, determinerebbe la mancanza di legittimazione processuale in capo al cessionario, dal momento che la modificazione soggettiva non si sarebbe in concreto perfezionata.

Proseguendo con l’analisi dell’art. 51, il suo spettro d’azione si estende agli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, nonché ai settori speciali ed alle procedure per l’affidamento delle concessioni di lavori pubblici (art. 142 comma 2).

Inoltre, le vicende modificative possono riguardare i soggetti “singoli, associati o consorziati”, sicchè risultano opponibili alla stazione appaltante sia le modificazioni di taluno dei componenti di un raggruppamento temporaneo, sia quelle delle imprese consorziate o dei consorzi stessi[20].

La rubrica dell’art. 51 menziona le vicende soggettive “del candidato, dell’offerente e dell’aggiudicatario”, mentre la disposizione si riferisce soltanto ai “candidati” ed ai “concorrenti”,  senza contemplare gli “aggiudicatari”. Essa, tuttavia, prevede comunque la possibilità di cedere la posizione di partecipante fino alla stipulazione del contratto. Pertanto anche le trasformazioni che intervengono tra l’aggiudicazione definitiva (fase pubblicistica) e la stipulazione del contratto (fase privatistica) dovrebbero rientrare nel campo di applicazione della norma in esame.

L’art. 11 del Codice, a riprova di quanto detto, disciplinando le fasi della procedura di affidamento, fa decorrere la formazione del vincolo negoziale dalla stipulazione del contratto, visto che l’aggiudicazione definitiva “non equivale ad accettazione dell’offerta”(art. 11 comma 7). Le modificazioni soggettive avvenute dopo l’aggiudicazione, ma prima della stipula, rientrano, quindi, ancora in una fase di evidenza pubblica e sono regolate dall’art. 51 e non dall’art. 116, che attiene invece al momento esecutivo del contratto.

Qualora, invece, l’esecuzione dell’appalto abbia inizio prima della stipula del contratto, così come consentito dal comma 12 dell’art. 11 del Codice, in tal caso si applicherà l’art. 116, poiché, dal momento dell’inizio dell’esecuzione, deve ritenersi conclusa la fase dell’evenienza pubblica ed iniziata la fase privatistica.

Proseguendo nell’analisi, è necessario sottolineare come l’art. 51 del Codice preveda che la stazione appaltante accerti che il soggetto cessionario, affittuario ovvero risultante dall’avvenuta trasformazione, scissione o fusione, sia in possesso dei requisiti tanto di ordine generale, quanto di ordine speciale; inoltre, egli deve possedere quei requisiti  necessari “in base agli eventuali criteri selettivi utilizzati dalla stazione appaltante ai sensi dell’art. 62, anche in ragione della cessione, della locazione, della fusione, della scissione o della trasformazione”.

La norma si riferisce evidentemente ai requisiti di ordine generale elencati dall’art. 38 del Codice, ovvero di ordine speciale relativi alla capacità professionale di cui all’art. 39, al possesso di adeguata qualificazione previsto dall’art. 40 alla capacità economica e finanziaria richiamata all’art. 41 ed a quella tecnica di cui all’art. 42[21]. Il Codice evoca, dunque, l’analisi dei profili negoziali del titolo vantato dal cessionario al fine di appurare l’effettivo   trasferimento del complesso aziendale.

L’art. 51 non disciplina esplicitamente i caratteri e le modalità del sub-procedimento di verifica, sicchè sono sorti in dottrina una pluralità di orientamenti.

Secondo un primo orientamento[22], il sub-procedimento dovrebbe essere avviato su istanza di parte, dal momento che spetta all’impresa subentrante rappresentare alla stazione appaltante l’intervenuta vicenda modificativa ed il possesso dei requisiti per ammissione, partecipazione o aggiudicazione. Qualora l’impresa interessata ometta di far pervenire alla stazione appaltante la documentazione necessaria ai fini dell’accertamento dei pertinenti requisiti di partecipazione, la stessa, secondo questa corrente di pensiero, dovrebbe essere esclusa dal procedimento.

Secondo altri orientamenti, dovrebbe essere applicabile per analogia quanto previsto sotto il profilo procedimentale dall’art. 116 del Codice (che riguarda le modificazioni soggettive avvenute durante l’esecuzione del contratto), che  prevede una iniziativa della parte interessata ed il potere di intervento risolutorio della stazione appaltante quando non venga dimostrata la permanenza dei requisiti per l’ammissione o partecipazione alla gara; naturalmente, si sottolinea che i requisiti debbano sussistere dal momento dell’inizio della partecipazione alla gara dell’impresa sino al suo termine.

La modificazione soggettiva, pertanto, deve essere certamente portata a conoscenza della stazione appaltante che ne prende atto e procede ad una verifica estrinseca della documentazione, riservandosi, in caso di esito positivo di detta verifica, il controllo intrinseco ex art. 48.

Quanto alla tesi per cui sarebbe applicabile, mutatis mutandis, un procedimento disegnato su quello previsto dall’art. 116, vale notare che tale idea non sembra attagliarsi perfettamente alla situazione, giacchè il procedimento del 116 può terminare con una decisione implicita, mentre la ricorrenza dei requisiti di gara deve essere specificatamente appurata, se rilevante per l’esito della gara.

L’art. 116 nulla dice sul punto, pertanto non sembra che possa riconoscersi alla stazione appaltante un margine di discrezionalità nella valutazione della domanda dell’impresa subentrante, sicché quest’ultima pare debba comunque acquisire lo status di impresa partecipante tutte le volte che dimostri il possesso dei requisiti richiesti dall’inizio della procedura in avanti sino all’aggiudicazione[23].

Ai fini di un ulteriore approfondimento della questione, dopo aver analizzato i precipitati dell’art. 51 del Codice, è utile porre norma in correlazione con quanto disposto dall’art. 116 del Codice.

Quest’ultimo disciplina il trasferimento della posizione di contraente della P.A. a seguito della cessione dell’azienda, ovvero della fusione, scissione o trasformazione della società. La disposizione ha portata generale e riguarda anche gli appalti di forniture e di servizi. Essa recita:

 “Le cessioni di azienda e gli atti di trasformazione, fusione e scissione relativi ai soggetti esecutori di contratti pubblici non hanno singolarmente effetto nei confronti di ciascuna stazione appaltante fino a che il cessionario, ovvero il soggetto risultante dall'avvenuta trasformazione, fusione o scissione, non abbia proceduto nei confronti di essa alle comunicazioni previste dall'articolo 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 maggio 1991, n. 187, e non abbia documentato il possesso dei requisiti di qualificazione previsti dal presente codice.

1.                      Nei sessanta giorni successivi la stazione appaltante può opporsi al subentro del nuovo soggetto nella titolarità del contratto, con effetti risolutivi sulla situazione in essere, laddove, in relazione alle comunicazioni di cui al comma 1, non risultino sussistere i requisiti di cui all'articolo 10-sexies della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni.

2.                      Ferme restando le ulteriori previsioni legislative vigenti in tema di prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale, decorsi i sessanta giorni di cui al comma 2 senza che sia intervenuta opposizione, gli atti di cui al comma 1 producono, nei confronti delle stazioni appaltanti, tutti gli effetti loro attribuiti dalla legge.

3.                      Le disposizioni di cui ai commi che precedono si applicano anche nei casi di trasferimento o di affitto di azienda da parte degli organi della procedura concorsuale, se compiuto a favore di cooperative costituite o da costituirsi secondo le disposizioni della legge 31 gennaio 1992, n. 59, e successive modificazioni, e con la partecipazione maggioritaria di almeno tre quarti di soci cooperatori, nei cui confronti risultino estinti, a seguito della procedura stessa, rapporti di lavoro subordinato oppure che si trovino in regime di cassa integrazione guadagni o in lista di mobilità di cui all'articolo 6 della legge 23 luglio 1991, n. 223”.

Affinchè il subentrante possa opporre  al committente le vicende modificative riguardanti i profili soggettivi dell’esecutore, egli è tenuto a procedere nei confronti della stazione appaltante “alle comunicazioni previste dall’art. 1 del D.P.C.M. 11 maggio 1991 n. 187” ed all’invio della comunicazione attestante “il possesso dei requisiti di partecipazione previsti dal presente codice”(art. 116 comma 1).

In base all’art. 1 del D.P.C.M. n. 187 “Regolamento per il controllo delle composizioni azionarie dei soggetti aggiudicatari di opere pubbliche e per il divieto delle intestazioni fiduciarie, previsto dall’art. 17 comma 3 della L. 19 marzo 1990 n. 55 sulla prevenzione della delinquenza di tipo mafioso”, l’impresa subentrante deve  comunicare “la propria composizione societaria, l’esistenza di diritti reali di godimento o di garanzia sulle azioni con diritto di voto sulla base delle risultanze del libro dei soci, delle comunicazioni ricevute e di qualsiasi altro dato a propria disposizione”, nonché ad indicare “i soggetti muniti di procura irrevocabile che abbiano esercitato il voto nelle assemblee societarie nell’ultimo anno o che ne abbiano comunque diritto”.

L’impresa subentrante, inoltre, sebbene l’art. 116 non lo menzioni espressamente, deve trasmettere alla stazione appaltante anche gli atti di cessione, trasformazione, fusione o scissione che fondano la variazione dell’assetto societario dell’esecutore del contratto, poiché la stazione appaltante deve avere la possibilità di valutare approfonditamente se la fattispecie riguardi l’effettiva traslazione di un complesso aziendale, ovvero riguardi il caso vietato di cessione del contratto.

Non sono previsti  termini perché il subentrante provveda agli adempimenti in parola, ma è chiaro che, finché egli non provveda, il contratto rimarrà senza effetti nei confronti della stazione appaltante, sicché il soggetto esecutore continuerà ad essere l’impresa dante causa. Infine, l’ultima parte dell’art. 116 comma 1 riguarda le certificazioni SOA, di cui all’art. 40 del Codice, e tutti gli altri requisiti richiesti ai fini dell’ammissione alla gara per l’aggiudicazione dell’appalto: sia quelli di ordine generale previsti dall’art. 38, che  quelli di ordine speciale come la capacità professionale, quella economica e finanziaria e la capacità tecnica (art. 39, 41, 42 del Codice) e gli altri eventualmente previsti dal bando[24].

Dall’analogia con il disposto dell’art. 116, dunque, si ribadisce la conclusione più sopra esposta: la mancata comunicazione dei requisiti previsti dall’art. 38 del Codice per la partecipazione alla gara, con la conseguente irrilevanza della cessione di azienda nei confronti della procedura di gara, determina la mancanza di legittimazione a ricorrere avverso l’aggiudicazione definitiva in capo alla ricorrente principale, venendosi a configurare in capo ad essa un semplice interesse di fatto, non tutelabile in sede giurisdizionale.

 

 

 

 4. Ricorso incidentale ed ordine di esame

 

 Occorre adesso prendere in considerazione il discorso circa la  tutela dell’aggiudicatario, interessato al mantenimento del  contratto, ed ai mezzi che egli ha a disposizione per far valere la propria posizione, quale controinteressato,  contro il  ricorrente, in particolare attraverso il ricorso incidentale.

Attraverso il ricorso incidentale, ed in particolare con il ricorso incidentale c.d. “paralizzante” o “escludente”, con cui l’aggiudicatario può far valere, indipendentemente dai vizi della gara sollevati con il ricorso principale,  l’illegittimità dell’ammissione alla gara del ricorrente principale, così tendendo a far dichiarare la sua partecipazione illegittima e, conseguentemente,  ad affermare la carenza della sua legittimazione al ricorso e la sua inammissibilità, con salvezza dell’aggiudicazione, ove pure – in ipotesi -  illegittima.

In tale quadro processuale, assume un importante rilievo l’ordine di esame da parte del giudice dei ricorsi, principale ed incidentale.

Ove infatti sia il ricorso principale ad essere esaminato per primo, se fondato esso condurrà all’annullamento dell’aggiudicazione, con inutilità del ricorso incidentale che dovrà essere dichiarato improcedibile.

Ove, al contrario, sia il ricorso incidentale ad essere esaminato per primo, la sua fondatezza determinerà, oltre al suo accoglimento, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso principale per carenza di legittimazione.

E’ chiaro quindi come la questione investa la stabilità degli esiti della gara.

In un notevole numero di sentenze risalenti a prima del 2008, i giudici amministrativi hanno ritenuto che, anche se in linea generale il ricorso incidentale va esaminato dopo quello principale e solo in caso di riconosciuta ed astratta fondatezza di quest’ultimo, in alcune ipotesi l’esame del ricorso incidentale deve precedere la valutazione del ricorso principale, come nel caso in cui sia stato proposto un ricorso incidentale finalizzato a paralizzare l’azione principale per ragioni di carattere processuale, ovvero nel quale si lamenti la mancata esclusione dalla gara del ricorrente principale: qui il giudice è tenuto a dare precedenza alle questioni sollevate dal ricorrente incidentale che abbiano priorità logica in quanto inferenti sulla legittimazione o sull’interesse a ricorrere, in quanto producono effetti sull’esistenza di una condizione dell’azione, e quindi di una questione di rito ( Cons. St., sez. V, n. 4407/2005; Cons St. sez V, n. 2356/2007).

Circoscrivendo l’esame ai tempi più recenti, la questione dell’ordine di esame di ricorso incidentale e principale in caso di gare di appalto e, segnatamente, in caso di gare di appalto con due soli concorrenti, è stata oggetto di due decisioni rese dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nel 2008 e nel 2011[25].

Secondo la decisione della Plenaria nel 2008, la questione dell’ordine di esame di ricorso principale e incidentale nella materia dei contratti pubblici andava risolta nel senso che, quando si sia in presenza di due sole imprese, va dapprima esaminato il ricorso incidentale contro l’atto di ammissione alla gara del ricorrente principale e poi, nel caso di sua fondatezza, vanno esaminate le censure di questi contro l’ammissione dell’aggiudicataria, concludendo nel senso che il giudice amministrativo può annullare entrambi gli atti di ammissione, con la conseguente indizione di una ulteriore gara.

La decisione della Plenaria nel 2008 faceva sostanzialmente leva sulla nozione di interesse strumentale al ricorso (di cui vedi amplius par. 1) e sul principio di imparzialità del giudice e parità delle parti, a cui veniva data prevalenza rispetto alle regole relative all’ordine di trattazione delle questioni.

È bene ricordare che la Plenaria del 2008 si fondava su un quadro normativo diverso rispetto a quello su cui si fonderà poi, come si vedrà, la Plenaria del 2011.

Infatti, prendeva le mosse dalla disamina delle norme sul ricorso incidentale, contenute nella L. TAR (L. n. 1034/1971), nel R.D. n. 1054/1924 e nel R.D. n. 642/1907.

Sulla base di tale quadro normativo, anteriore al codice del processo amministrativo, rilevava come non vi fossero disposizioni puntuali sull’ordine di esame del ricorso principale e incidentale, e che, di conseguenza, fosse possibile, per il giudice, ispirarsi liberamente, nell’esaminare detti ricorsi, ai principi di effettività della tutela e interesse ad agire.

Rilevava la Plenaria n. 11/2008 che le disposizioni processuali rilevanti erano: l’art. 22, L. TAR che a sua volta richiamava l’art. 37, R.D. n. 1054/1924 e l’art. 44, R.D. n. 642/1907.

Tali disposizioni disciplinavano le modalità formali ed il termine per la proposizione del ricorso incidentale, mentre per la sua incidenza sul contenuto della sentenza il citato art. 37 si limitava a disporre che «il ricorso incidentale non è efficace se è prodotto dopo la rinuncia al ricorso principale o se questo è dichiarato inammissibile per essere stato proposto fuori termine».

Al di fuori di tale ipotesi normativa, proseguiva la Plenaria, vale a dire qualora il ricorso principale sia stato tempestivamente notificato e depositato, e non seguito dalla perenzione o dalla rinuncia, nell’assenza di indicazioni normative sul ricorso incidentale, sull’ordine di trattazione dei due ricorsi e sulle conseguenze processuali della loro fondatezza, spetta al giudice amministrativo fissare l’ordine di esame, sulla base dei principi di economia processuale e di logicità.

Nel caso specifico di ricorso principale e di ricorso incidentale delle due uniche imprese ammesse alla gara, ciascuno dei quali volto a far accertare che la controparte è stata illegittimamente ammessa alla gara, secondo la Plenaria, il giudice deve dare rilievo all’interesse alla ripetizione della gara, sicché non può essere applicato il principio dell’improcedibilità del ricorso principale, quando l’accoglimento del ricorso incidentale riguardi una gara con più di due offerte ammesse.

In siffatta evenienza il ricorrente principale, pur non potendo ottenere l’aggiudicazione della gara, in base al principio “il più contiene il meno” conserva l’interesse “minore” e “strumentale” a vedere esaminate le sue censure rivolte avverso l’atto di ammissione dell’aggiudicataria e in via consequenziale avverso l’aggiudicazione, affinché anche questi siano annullati, per ottenere l’indizione di una gara ulteriore.

La questione dell’ordine di esame di ricorso principale e incidentale nel contenzioso sugli appalti era stata nuovamente rimessa alla Plenaria, da un’ordinanza che contestava la ricostruzione dell’interesse strumentale come interesse legittimo concreto e attuale meritevole di tutela e stigmatizzava l’estrema litigiosità favorita se non incoraggiata dal precedente orientamento.

Osservava, in particolare, l’ordinanza di rimessione che il sistema elaborato dalla giurisprudenza in materia di contratti della p.a., oltre a favorire una litigiosità esasperata, da una parte, non garantirebbe la soddisfazione dell’interesse primario del concorrente (l’aggiudicazione dell’appalto) e, dall’altra, renderebbe estremamente difficoltosa e spesso impossibile (si pensi alla perdita di finanziamenti comunitari) l’esecuzione dell’opera pubblica.

L’Adunanza Plenaria pronunciatasi nel 2011 sulla questione dell’ordine di esame di ricorso principale e incidentale nel contenzioso sulle procedure di affidamento di contratti pubblici, si è discostata da quanto statuito nella precedente decisine n. 11/2008.

La decisione della Plenaria n. 4/2011 si fonda sui seguenti principi:

a) la parità delle parti e l’imparzialità del giudice non intaccano le regole sull’ordine di esame di questioni di rito e di merito, che anzi ne sono espressione ed applicazione; il c.p.a. ha fissato l’ordine di esame delle questioni, con portata ricognitiva della disciplina previgente, prima le questioni di rito, poi quelle di merito (art. 76 c.p.a. e art. 276 c.p.c.);

b) la questione della legittimazione al ricorso è prioritaria rispetto al merito: detta questione è rilevabile d’ufficio e va introdotta mediante ricorso incidentale se il difetto di legittimazione deriva dall’accertamento dell’illegittimità di un atto amministrativo, trattandosi di questione di rito che nell’ordine di esame delle questioni deve precedere l’esame di quelle di merito;

c) il ricorso incidentale nel c.p.a. (art. 42) serve ad introdurre non solo eccezioni, ma anche domande, e domande di accertamento pregiudiziale, perciò non necessariamente deve essere esaminato dopo il ricorso principale; va esaminato prima se introduce una questione di legittimazione del ricorrente principale ;

d) la legittimazione è un prius rispetto all’“interesse strumentale”(vedi paragrafo 1): il “vizio” della Plenaria n. 11/2008 è aver valorizzato l’interesse strumentale senza essersi prima interrogata sulla sussistenza della legittimazione al ricorso ;

e)  salvo puntuali eccezioni (la contestazione in radice della scelta di indire la procedura; legittimazione in capo al titolare di un rapporto incompatibile con il nuovo affidamento; la contestazione dell’affidamento diretto senza gara; la contestazione di una clausola del bando escludente), la legittimazione spetta a chi partecipa alla gara;

f) non può contestare la gara il concorrente definitivamente escluso nè il concorrente illegittimamente ammesso in gara, ancorché non escluso.

Il principio di diritto espresso dalla Plenaria è, dunque, il seguente: «In conclusione, quindi, deve essere affermato il principio di diritto secondo cui il ricorso incidentale, diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale, mediante la censura della sua ammissione alla procedura di gara, deve essere sempre esaminato prioritariamente, anche nel caso in cui il ricorrente principale alleghi l’interesse strumentale alla rinnovazione dell’intera procedura. Detta priorità logica sussiste indipendentemente dal numero dei partecipanti alla procedura selettiva, dal tipo di censura prospettata dal ricorrente incidentale e dalle richieste formulate dall’amministrazione resistente. L’esame prioritario del ricorso principale è ammesso, per ragioni di economia processuale, qualora sia evidente la sua infondatezza, inammissibilità, irricevibilità o improcedibilità».

La soluzione fornita dall’Adunanza Plenaria viene, tuttavia, messa in discussione dall’ordinanza del TAR Piemonte, 9 febbraio 2012 n. 208, resa in un caso di gara di appalto con due soli concorrenti, in cui il secondo classificato aveva proposto ricorso principale e l’aggiudicatario ricorso incidentale “paralizzante”.

Il TAR, dopo aver compiuto una verifica istruttoria, sulla base della quale conclude che entrambi i ricorsi sarebbero fondati, sicché l’esito dovrebbe essere l’annullamento dell’intera gara, osserva che, se dovesse applicare il principio di diritto enunciato dalla Plenaria n. 4/2011, dovrebbe accogliere il ricorso incidentale e dichiarare inammissibile quello principale.

Ad avviso del TAR, tale risultato non sarebbe tuttavia conforme ai principi di effettività della tutela, parità delle parti e libera concorrenza, perché brucerebbe la chance di vittoria del ricorrente principale in una futura gara.

Pertanto, il TAR ritiene rilevante e sottopone alla Corte di giustizia CE la seguente questione pregiudiziale: «Se i principi di parità delle parti, di non discriminazione e di tutela della concorrenza nei pubblici appalti, di cui alla direttiva n. 1989/665/CEE, quale da ultimo modificata con la direttiva n. 2007/66/CE, ostino al diritto vivente quale statuito nella decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 2011, secondo il quale l’esame del ricorso incidentale, diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale attraverso l’impugnazione della sua ammissione alla procedura di gara, deve necessariamente precedere quello del ricorso principale ed abbia portata pregiudiziale rispetto all’esame del ricorso principale, anche nel caso in cui il ricorrente principale abbia un interesse strumentale alla rinnovazione dell’intera procedura selettiva e indipendentemente dal numero dei concorrenti che vi hanno preso parte, con particolare riferimento all’ipotesi in cui i concorrenti rimasti in gara siano soltanto due (e coincidano con il ricorrente principale e con l’aggiudicatario-ricorrente incidentale), ciascuno mirante ad escludere l’altro per mancanza, nelle rispettive offerte presentate, dei requisiti minimi di idoneità dell’offerta».

E’ appena il caso di ricordare  che in un’altra controversia le questioni di compatibilità comunitaria e costituzionale della soluzione accolta dalla Plenaria era stata oggetto della decisione del Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2011 n. 3655, che le aveva disattese sulla scorta delle seguenti considerazioni:

a) la direttiva 2007/66/CE dispone che: «2. Gli Stati membri garantiscono che non vi sia alcuna discriminazione tra le imprese suscettibili di far valere un pregiudizio nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto, a motivo della distinzione effettuata dalla presente direttiva tra le norme nazionali che recepiscono il diritto comunitario e le altre norme nazionali. 3. Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo modalità che gli Stati membri possono determinare, a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione»;

b) sono così posti, in sintesi, i due principi: b.1) di non discriminazione fra le imprese al fine della deduzione di un pregiudizio nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di appalto; b.2.) della paritaria accessibilità al ricorso per chiunque abbia interesse all’aggiudicazione di un appalto e abbia subito o rischi di subire una asserita illegittima lesione della sua posizione;

c) i principi enunciati dalla pronuncia dell’adunanza Plenaria n. 4/2011 non contrastano con quelli ora richiamati, essendo chiaro che un’impresa può risultare ingiustamente pregiudicata a favore di un’altra nell’ambito della procedura di gara, ovvero essere oggetto di una illegittima preclusione al ricorso, solo in quanto sia titolare di una posizione sostanziale che dà titolo a partecipare alla gara stessa, ed è perciò tutelabile in giustizia; soltanto in questo caso, infatti, si configura il presupposto della situazione di parità con un’altra impresa suscettibile di essere lesa, poiché solo chi ha una corretta posizione sostanziale che lo legittimi ad essere parte nella gara ha poi un titolo a lamentare un eventuale deficit di tutela giurisdizionale al riguardo. In ipotesi contraria verrebbe affermato che i suddetti principi impongono di assicurare il giudizio, sempre e fino alla pronuncia nel merito, a favore di qualsivoglia soggetto che – indipendentemente dalla sua giusta presenza in un rapporto amministrativo – si pretenda leso rispetto ad una gara alla quale, proprio a seguito di suo ricorso, è stato accertato che non ha titolo a partecipare, e della quale, pur data tale situazione, non sussistono gli eccezionali presupposti di impugnabilità richiamati più sopra;

d) ne consegue che non si riscontra l’asserita lesione del principio della libera concorrenza; la relativa garanzia, per il profilo processuale, è data infatti dalla non discriminazione all’azione in giudizio fra gli aventi titolo idoneo a ricorrervi, perché titolari di una posizione sostanziale similmente tutelabile, e non già dalla garanzia che chiunque possa impugnare una procedura di gara pur se privo di una tale titolo abilitante all’impugnazione. Questo titolo non sussiste, in particolare, se, nel corretto ordine logico della decisione, è accertata preliminarmente dal giudice la mancanza delle dichiarazioni dovute ai sensi dell’art. 38, D.Lgs. n. 163/2006, e tale inadempimento sia previsto come causa di esclusione dalla gara, con clausola che per la stazione appaltante assume valenza non soltanto formale, ma sostanziale, poiché le preclude la certezza che un soggetto suscettibile di divenire aggiudicatario sia in possesso di requisiti essenziali; la contestazione della mancanza delle medesime dichiarazioni in capo al ricorrente incidentale, dedotta con il ricorso dal ricorrente principale, non può essere considerata eccezione preliminare, a sua volta “paralizzante”, venendo a mancare in radice la legittimazione al ricorso del ricorrente principale e con ciò il titolo a dedurre avverso atti del procedimento di gara, perché si invertirebbe lo sviluppo logico del giudizio, che vuole sia anzitutto vagliata l’idoneità a domandare l’intervento del giudice in capo a chi per primo lo ha investito di una domanda su cui poggia l’intero contenzioso; non è in contrasto con ciò la previsione delle disposizioni specifiche sui giudizi in materia di appalti pubblici da ultimo normate con il c.p.a., volte di certo, come in generale, al sindacato pieno dell’esercizio del potere amministrativo, ma nell’ambito di un giudizio soggettivo e di parti e non già del controllo oggettivo della legittimità dell’azione amministrativa.

L’ordinanza del Tar Piemonte è stata oggetto di critiche, sia di ordine formale che sostanziale[26].

Sul piano formale, si è osservato che essa non ha riportato il contenuto delle disposizioni nazionali, limitandosi a menzionare il principio di diritto espresso dalla Plenaria n. 4/2011. Si potrebbe quindi dubitare della stessa ammissibilità di un rinvio pregiudiziale così formulato.

Sul piano sostanziale, poi, è stato osservato che l’esigenza di effettività della tutela non può essere portata ad estreme conseguenze tali da mettere in discussione regole processuali di diritto interno che, fermo il diritto all’accesso ai mezzi di tutela, appartengono alla cd. «autonomia processuale» dei diritti nazionali.

In altri termini, la necessità di riconoscere la legittimazione al ricorso ai fini della sua ammissibilità non contrasta certamente con le regole di effettività , efficacia e completezza di tutela sottese alla direttiva ricorsi.

Tuttavia, con sentenza 4 luglio 2013, C-100/12, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha accolto i dubbi espressi dal T.A.R. Piemonte e censurato le conclusione dell’Adunanza Plenaria n. 4/2011, ritenendo che “in un procedimento di ricorso in cui l’aggiudicatario che ha ottenuto l’appalto ed ha proposto ricorso incidentale solleva un’eccezione di inammissibilità fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dell’offerente che ha proposto il ricorso, con la motivazione che l’offerta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dall’autorità aggiudicatrice per non conformità alle specifiche tecniche indicate nel piano fabbisogni, il Diritto dell’Unione Europea osta al fatto che il suddetto ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza dell’esame preliminare di tale eccezione di inammissibilità senza pronunciarsi con la conformità con le suddette specifiche tecniche sia dell’offerta dell’aggiudicatario che ha ottenuto l’appalto, sia di quella dell’offerente che ha proposto il ricorso principale”.

Per la Corte di Giustizia, pertanto, è da escludersi l’esame prioritario del ricorso incidentale escludente, senza l’esame di quanto addotto dal ricorrente in via principale.

Infine, la questione è stata nuovamente rimessa in Adunanza Plenaria – stimolando così una sua rimeditazione complessiva – attraverso due ordinanze: Cons. Stato, Sez V, 15 aprile 2013, ord. n. 2059; e Cons. Stato, Sez VI, ord. 17 maggio 2013, n. 2681.

Giova qui solamente accennare che la Plenaria n. 1/2014 ha sostanzialmente rimandato ai principi precedentemente  affermati dal Consiglio di Stato con l’Adunanza n. 4/2011, in un dibattito, circa l’ordine di esame dei ricorsi, principale ed incidentale, che, lungi dall’essersi attenuato, sembra tuttavia aver preso la strada dell’obbligo, per il G.A., di esaminare sempre prioritariamente il ricorso incidentale diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale, mediante la censura della sua ammissione alla procedura di gara.

 

 

 

        5. Conclusioni

 

L’art. 51 del D.Lgs. n. 163 del 2006, nel disciplinare le vicende soggettive del candidato e dell'offerente, consente il subentro dei soggetti risultanti da operazioni di cessione, affitto di azienda, ovvero da trasformazione, fusione e scissione di società durante la gara (Consiglio Stato, Sez. V, 17.11.2012, n.5803; 15 novembre 2010, n. 8044), previo accertamento sia dei requisiti di ordine generale, sia di ordine speciale. La ratio della disposizione risiede nel riconoscimento del potere dell’imprenditore che abbia acquisito un ramo d'azienda di avvalersi, ai fini della qualificazione a gara di appalto, dei requisiti posseduti dall'impresa cedente, secondo la portata generale dell’istituto dell'avvalimento che a sua volta discende dai principi di diritto europeo riconducibili alla libertà dell’imprenditore di autoorganizzazione e di massima partecipazione alle gare.

Ai fini della dimostrazione del possesso dei requisiti, tecnici e di onorabilità, di partecipazione, in caso di cessione, vale il principio per cui sono riconducibili al patrimonio di una società o di imprenditore cessionari di ramo d’azienda i requisiti posseduti dal soggetto cedente, giacché essi devono considerarsi compresi nella cessione in quanto strettamente connessi all'attività propria del ramo ceduto (Consiglio Stato, sez. V, 10 settembre 2010, n. 6550).

Tanto comporta che, in caso di modificazione soggettiva degli operatori economici che concorrono alla gara mediante cessione, anche se antecedente alla gara, sussiste comunque l'obbligo per la stazione appaltante di effettuare le puntuali verifiche dirette ad accertare il possesso dei requisiti previsti per l'ammissione, non solo nei riguardi dell'impresa subentrante, ma anche nei riguardi dell'impresa interessata dalla vicenda modificativa, in osservanza del principio della necessaria continuità e/o permanenza dei requisiti necessari per l'ammissione ad una procedura concorsuale.

Da ciò discende che la mancata comunicazione , nelle more della procedura di gara, da parte del cessionario dell’avvenuta cessione, nei termini di cui all’art. 51 del codice dei contratti, non permettendo da parte della stazione appaltante l’accertamento in capo ad esso dell’esistenza e della permanenza a seguito di cessione dei requisiti di partecipazione, costituisce inadempimento dell’obbligo di dichiarazione, al pari di quello previsto dall’art. 46 del codice dei contratti (riguardante  la richiesta di chiarimenti da parte della stazione appaltante in ordine al contenuto dei certificati), comportante esclusione dalla gara.

Si applicano, di conseguenza, i principi in materia di carenza di legittimazione all’impugnazione dell’aggiudicazione da parte di colui che non abbia partecipato alla gara o da essa sia stato escluso.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

- Alberti P., Le vicende soggettive del candidato, dell’offerente e dell’aggiudicatario, in Trattato sui contratti pubblici, diretto da M. A. Sandulli – R. De Nictolis – R. Garofoli, Milano, 2008;

- Ancora F., Commento agli art. 35 e 36, in La legge quadro in materia di lavori pubblici, a cura di A. Carullo – A. Clarizia, Padova, 2004;

- Bianca M. , Il contratto, Milano, 2005;

-  Cancrini, Piselli, Capuzza, La nuova legge degli appalti pubblici, Roma, 2010;

- Cancrini, Piselli, Capuzza, La nuova legge degli appalti pubblici: commentario al Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture (Decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163);

- Caringella F., Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2014;

- Corso G, La tutela della concorrenza come limite alla potestà legislativa (delle Regioni e dello Stato), in Dir. Pubbl., 3/2002, 981;

- D’Alberti M., Interesse pubblico e concorrenza nel codice dei contratti pubblici, Dir. Amm. 2008, 02, 297;

- Deodato C. , L’azione collettiva contro la Pubblica Amministrazione, Bari, 2010;

- Di Leo N., Cessione d’azienda e subentro nel contratto d’appalto di forniture e servizi, in Riv giur. Edilizia;

- Franchini C., I contratti di appalto pubblico, in Trattato dei contratti, Milano, 2010;

- Giampaolo C. , La cessione del ramo d’azienda nelle more della procedura di gara, in Urb. App., 2000;

- Perfetti L. R. , La cessione del contratto di appalto con la pubblica amministrazione, in Dir. Amm., 2002;

- Pettarin G: G. , Acquisizione, fusione e scissione di società, Milano, 1992

- Police A, Tutela della concorrenza e pubblici poteri: profili di diritto amministrativo nella disciplina antitrust; Torino, 2007;

- Protto M, Ordine di esame del ricorso principale ed incidentale,in materia di appalti pubblici: la parola al giudice comunitario, in www.giustizia-amministrativa.it;

- Romano S., Diritto amministrativo, Milano, 1901;

- Scoca F.G., a cura di, Diritto processuale amministrativo, Torino, 2010;

- Varlaro Sinisi A. , Cessione di ramo d’azienda; natura ed effetti nell’appalto di opere pubbliche, in Urb. App., 1998;

- Virga G. , Le modificazioni soggettive nell’appalto di opere pubbliche, Milano, 1990

 

 

 

[1] F.G. Scoca, Diritto processuale amministrativo, Torino, 2010, 468

[2] F. Caringella., Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2014, 1584

[3] C. Franchini, I contratti di appalto pubblico, in Trattato dei contratti, Milano, 2010

[4] C. Deodato, L’azione collettiva contro la Pubblica Amministrazione, Bari, 2010

[5] Cons. St., sez. V, 25 agosto 2008, n. 4059

[6] Art.325 l.2248/1865, poi abrogato dall’art.231 d.p.r. 554/1999

[7] Cfr. in argomento, G.Corso, “La tutela della concorrenza come limite della potestà legislativa (delle Regioni e dello Stato)”, in Dir.pubbl., 3/2002,981; e M.D’Alberti, “La tutela della concorrenza in un sistema a più livelli”, 4/2004,705.

[8] Santi Romano, Diritto Amministrativo, Milano, 1901, 533

[9] Si vedano sul punto: AGCM, Segnalazione 28 settembre 1999, AS 187, Bandi di gara in materia di appalti pubblici, in Boll., n.48/199; e AGCM, Segnalazione 30 gennaio 2003, AS 251, Bandi predisposti dalla Concessionaria servizi Informatici pubblici-Consip spa, in Boll., n.5/2003.

[10] Sui RTI si veda, ad esempio, Cons. Stato, sez.VI,, n.1267/2006, che richiama le segnalazioni dell’AGCM, pur concludendo una diversa impostazione; sui criteri di aggiudicazione, Cons. Stato, sez.V, n.1446/2006.

[11] A. Police, Tutela della concorrenza e pubblici poteri: profili di diritto amministrativo nella disciplina antitrust; Torino, 2007

[12]A. Cancrini, P. Piselli, V. Capuzza, La nuova legge degli appalti pubblici: commentario al Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture (Decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163)

[13] G. Virga, Le modificazioni soggettive nell’appalto di opere pubbliche, Milano, 1990

[14] N. Di Leo, Cessione d’azienda e subentro nel contratto d’appalto di forniture e servizi, in Riv giur. Edilizia, 200, 3, 462

[15] M. Bianca, Il contratto, Milano, 2005

[16] C. Giampaolo, La cessione del ramo d’azienda nelle more della procedura di gara, in Urb. App., 2000, 538

[17] F. Ancora, Commento agli art. 35 e 36, in La legge quadro in materia di lavori pubblici, a cura di A. Carullo – A. Clarizia, Padova, 2004, 1623

[18] L.R. Perfetti, La cessione del contratto di appalto con la pubblica amministrazione, in Dir. Amm., 2002, 491

[19] A. Cancrini, P. Piselli, V. Capuzza, La nuova legge degli appalti pubblici, Roma, 2010

[20] P. Alberti, Le vicende soggettive del candidato, dell’offerente e dell’aggiudicatario, in Trattato sui contratti pubblici, diretto da M. A. Sandulli – R. De Nictolis – R. Garofoli, Milano, 2008, vol. V, 3433 ss.

[21] A. Varlaro Sinisi, Cessione di ramo d’azienda; natura ed effetti nell’appalto di opere pubbliche, in Urb. App., 1998, 939

[22] P. Alberti, op cit.

[23] P. Alberti, op. cit.

[24] G. G. Pettarin, Acquisizione, fusione e scissione di società, Milano, 1992, 74.

[25] M. PROTTO,  Ordine di esame del ricorso principale ed incidentale, in materia di appalti pubblici: la parola al giudice comunitario, in www.giustizia-amministrativa.it.

[26] M. PROTTO, op. cit.