Cass. civ., Sez. I, ord., 30 dicembre 2024, n. 35053
Nell’appalto di opere pubbliche, qualora l’impresa appaltatrice sia stata autorizzata dalla stazione appaltante ad affidare ad altra impresa l’esecuzione di parte delle opere, il contratto di subappalto è valido anche se le opere eseguite dal subappaltatore risultino eccedenti la misura prevista nella citata autorizzazione, perché in tal caso non è violato il precetto contenuto (e penalmente sanzionato) nell’art. 21 della legge n. 646 del 1982; ciò in quanto la funzione del precetto penale è (solo) quella di assicurare la qualità soggettiva del subappaltatore, evitando che si tratti di impresa direttamente o indirettamente collegata ad organizzazioni criminali.
Guida alla lettura
Nel caso deciso dall’ordinanza della Cassazione in commento, il subappaltatore otteneva dal Tribunale di Catania un decreto ingiuntivo per il pagamento del saldo del corrispettivo maturato nei confronti dell’appaltatore pubblico-subappaltante, importo che era notevolmente superiore a quello previsto nel contratto di subappalto, dal momento che in corso d’opera veniva approvata una variante al progetto originario che aveva comportato l’esecuzione di lavori aggiuntivi.
Nel giudizio d’opposizione, introdotto dal subappaltante, il Tribunale di prime cure disattendeva l’eccezione da questo proposta di nullità del subappalto ex art. 21 della l. n. 646/1982 per la parte eccedente i lavori per i quali la committente pubblica aveva rilasciato l’autorizzazione e confermava il provvedimento monitorio.
In seguito, però, nel giudizio di gravame, la Corte d’Appello di Catania, accogliendo quella stessa eccezione, revocava il decreto ingiuntivo e condannava il subappaltatore a restituire all’appaltatore-subappaltante quanto già ricevuto in eccedenza rispetto all’importo dei lavori per cui era stato autorizzato il subappalto.
Dunque, mentre il Tribunale, in primo grado, valorizzava l’autorizzazione della committenza pubblica della variante al progetto iniziale, che aveva determinato la necessità di eseguire lavori aggiuntivi, originariamente non previsti, la Corte territoriale, di contro, rilevava che l’approvazione della variante non implicava anche l’autorizzazione al maggiore subappalto, la quale, «attesa la sua finalità, non può che essere espressa e specifica».
Avverso tale decisione d’appello proponeva ricorso in Cassazione il subappaltatore, il quale – in diritto – si doleva, tra l’altro, che ai fini della validità del subappalto sarebbe irrilevante l’eventuale mancanza di autorizzazione per i lavori eseguiti in eccedenza, dal momento che lo scopo dell’autorizzazione preventiva è quello di verificare l’idoneità soggettiva del subappaltatore, la quale rimane inalterata a prescindere dall’entità dei lavori poi effettivamente eseguiti; deducendo, così, nel giudizio di legittimità, la questione della rilevanza (solamente) “soggettiva” dell’autorizzazione al subappalto e, quindi, della piena validità del contratto di subappalto in eccedenza, anche senza una nuova specifica autorizzazione.
Siffatta prospettazione è stata condivisa dalla Suprema Corte nell’ordinanza de qua, la quale ha valorizzato il fatto che i maggiori lavori fossero comunque ricompresi nell’autorizzazione preventiva, in quanto afferenti sempre alla realizzazione della medesima opera pubblica.
In premessa, la Corte ribadisce che, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, si ravvisa la nullità “virtuale” civilistica del contratto di subappalto di opera pubblica stipulato in violazione dell’art. 21 della l. n. 646/1982 ex art. 1418, comma 1, c.c. (cfr. Cass. nn. 11450/1997; 11131/2003; 713/2014; 22841/2016; 8481/2018), il quale art. 21 della l. n. 646/1982, come è noto, prevede una sanzione penale per «Chiunque, avendo in appalto opere riguardanti la pubblica amministrazione, concede anche di fatto, in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte, le opere stesse, senza l’autorizzazione dell’autorità competente».
Da ciò ne consegue che, in tanto si può affermare la nullità civilistica “virtuale” del contratto di subappalto, in quanto sia realizzata la fattispecie di reato prevista dal citato art. 21: se così è, in mancanza di reato, non c’è violazione della norma imperativa e non può esserci nullità del contratto.
Ebbene, in punto di integrazione della fattispecie di reato prevista dall’art. 21 della l. n. 646/1982, la stessa Cassazione penale ha statuito che: «L’interpretazione letterale di tale disposizione induce fondatamente a ritenere che il reato sia configurabile laddove manchi del tutto l’autorizzazione al subappalto delle opere riguardanti la pubblica amministrazione, dovendo la formula “in tutto o in parte” essere riferita alla eventuale ripartizione in lotti delle opere medesime: talché solo con una esegesi estensiva ed in malam partem sarebbe possibile affermare che la norma sia applicabile anche in una situazione, come quella in esame, nella quale l’autorizzazione sia stata regolarmente rilasciata dall’autorità amministrativa competente, ma il subappalto abbia poi concretamente riguardato la realizzazione delle opere in misura superiore alla percentuale stabilita nell’atto autorizzativo»; siffatta lettura è coerente con il rilievo che con tale divieto, penalmente sanzionato, «il legislatore ha inteso tutelare non l’interesse della pubblica amministrazione alla mera regolarità nell’esecuzione dell’appalto, bensì l’interesse ad evitare che, attraverso il meccanismo del subappalto o del cottimo non autorizzato, le attività esecutive vengano materialmente curate da imprese che, per i collegamenti diretti o indiretti con organizzazioni criminali, non avrebbero potuto beneficiare dell’aggiudicazione dell’appalto medesimo» (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 11 marzo 2013, n. 12821, pag. 21).
Pertanto, in base a tale ordine di idee, l’approvazione del soggetto subappaltatore insita nell’autorizzazione al subappalto da parte dell’amministrazione pubblica committente svolge la funzione di prevenzione antimafia, penalmente tutelata, a prescindere dall’oggetto del subappalto; sicché la funzione svolta dall’autorizzazione rimane ferma anche se l’oggetto del subappalto si estende oltre i limiti originariamente autorizzati.
Per cui, una volta esclusa la rilevanza penale dell’estensione dell’oggetto del subappalto già autorizzato, viene meno anche la nullità del contratto di subappalto, posto che tale nullità virtuale rappresenta il portato in ambito civile della violazione della norma imperativa penale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1418, comma 1, c.c..
Da ultimo, la decisione in commento valorizza, opportunamente, anche la circostanza che, di fronte a un subappalto adempiuto correttamente e con piena soddisfazione della committente pubblica, la nullità del contratto deve essere pronunciata solo nei limiti strettamente necessari per tutelare gli interessi superiori presidiati dalle norme imperative, onde evitare che l’interpretazione estensiva di queste ultime legittimi un ingiustificato profitto per l’appaltatore e, soprattutto, un ingiusto pregiudizio per il subappaltatore che, rispettando la forza di legge del contratto (art. 1372 c.c.), abbia regolarmente adempiuto la sua obbligazione ed eseguito una prestazione non più ripetibile; con ciò, dunque, valorizzando anche la logica del – e il divieto di – venire contra factum proprium.
Conclusivamente, l’ordinanza afferma anche che non è conferente con il caso di specie il riferimento – fatto dai controricorrenti nell’ottica di sostenere la nullità del subcontratto eccedente quello originariamente autorizzato – alla precedente decisione di Cass. n. 713/2014, che anzi ha statuito principi pienamente coincidenti con quelli appena visti, ritenendo necessaria l’autorizzazione – e nullo il subcontratto stipulato in mancanza della stessa – nel caso in cui l’impresa subappaltatrice subappalti, a sua volta, parte dei lavori ad altre imprese.
Anche in tale ultima ipotesi, infatti, sorge la necessità di controllare le qualità soggettive del subappaltatore di secondo livello, se si vuole evitare il pericolo che imprese aventi collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata partecipino all’esecuzione dei contratti d’appalto per l’esecuzione di opere pubbliche (e la Cassazione precisa, altresì, «che, solo in questo caso, la nullità virtuale può anche prescindere dalla configurabilità del reato, perché la catena di ulteriori subappalti dopo il primo autorizzato incide proprio sull’interesse tutelato dalla sanzione penale e rappresenta, quindi, un «mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa» (art. 1344 c.c.)»).
Numero registro generale 10010/2019
Numero sezionale 4752/2024
Numero di raccolta generale 35053/2024
Data pubblicazione 30/12/2024
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE CIVILE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
ALBERTO GIUSTI Presidente
GUIDO MERCOLINO Consigliere
ANDREA ZULIANI Consigliere Rel.
LUCIANO VAROTTI Consigliere
LUIGI D’ORAZIO Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10010/2019 R.G. proposto da
Solar Energy Impianti S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata all’indicato indirizzo PEC dell’avv. Vincenzo Taranto, che la rappresenta e difende
- ricorrente -
contro
Presti S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata all’indicato indirizzo PEC dell’avv. Benedetto Calpona, che la rappresenta e difende
- controricorrente -
e contro
R.C. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata all’indicato indirizzo PEC dell’avv. Gioacchino Spadaro, che la rappresenta e difende
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 163/2019 della Corte d’Appello di Catania, depositata il 24.1.2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18.12.2024 dal Consigliere Andrea Zuliani.
FATTI DI CAUSA
Con contratto di appalto di opera pubblica la Provincia regionale di Catania conferì a R.C. S.r.l. e Presti S.r.l., riunite in Raggruppamento Temporaneo di Imprese (RTI), l’incarico di eseguire i lavori di completamento del riscaldamento e di sistemazione esterna di un fabbricato scolastico. Parte dei lavori venne subappaltata a Solar Energy Impianti S.r.l., previa autorizzazione della Provincia committente.
Eseguiti i lavori, Solar Energy Impianti S.r.l. chiese ed ottenne dal Tribunale di Catania un decreto ingiuntivo per il pagamento del saldo del corrispettivo maturato, notevolmente superiore a quello previsto nel contratto di subappalto, essendo stata approvata una variante in corso d’opera al progetto originario che aveva comportato l’esecuzione di lavori aggiuntivi.
R.C. S.r.l. e Presti S.r.l. proposero opposizione al decreto ingiuntivo, che venne però respinta dal Tribunale di Catania, previo esperimento di c.t.u., disattendendo l’eccezione di nullità del subappalto per la parte eccedente i lavori per i quali la Provincia l’aveva autorizzato.
La sentenza di primo grado venne impugnata da entrambe le appaltatrici subcommittenti e la Corte d’Appello di Catania, in accoglimento dei gravami, per quanto qui interessa, revocò il decreto ingiuntivo e condannò Solar Energy Impianti S.r.l. a restituire a Presti S.r.l. quanto già ricevuto in eccedenza rispetto all’importo dei lavori per cui era stato autorizzato il subappalto.
Contro la sentenza d’appello Solar Energy Impianti S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi.
R.C. S.r.l. e Presti S.r.l. si sono difese ciascuna con un proprio controricorso.
Presti S.r.l. ha altresì depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia: «error in procedendo – nullità della sentenza per motivazione meramente apparente in violazione di legge costituzionalmente rilevante (art. 36 d.lgs. n. 546/1992, art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 112 c.p.c.), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.».
La ricorrente censura, nella sentenza impugnata, la mancanza di motivazione sulla sua tempestiva allegazione in fatto che, in realtà, tutti i lavori eseguiti in subappalto erano stati autorizzati dall’ente committente. Inoltre, si lamenta l’assenza di motivazione sulla difesa, in diritto, secondo cui sarebbe irrilevante l’eventuale mancanza di autorizzazione per gli ulteriori lavori eseguiti, dal momento che lo scopo dell’autorizzazione preventiva è quello di verificare l’idoneità soggettiva del subappaltatore, la quale rimane comunque inalterata, a prescindere dall’entità dei lavori eseguiti.
2. Il secondo motivo di ricorso, che riprende il precedente, è rubricato «error in iudicando – violazione e/o falsa applicazione di norme di legge: art. 21 l. n. 646/1982 ratione temporis applicabile, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.».
Si ripropone – questa volta sottoponendola direttamente all’esame della Corte di Cassazione e non più sotto il profilo dell’omessa motivazione sul punto – la questione della rilevanza «soggettiva» dell’autorizzazione al subappalto e, quindi, della validità del contratto di subappalto in eccedenza, anche senza una nuova specifica autorizzazione.
3. Il terzo motivo censura «error in iudicando – violazione e/o falsa applicazione di norme di legge: art. 645 c.p.c. anche in combinato disposto all’art. 633 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.».
Oggetto specifico di impugnazione è, in questo caso, la parte della sentenza in cui la Corte d’Appello di Catania ha ritenuto inammissibile, perché tardiva, l’azione generale di arricchimento senza causa svolta da Solar Energy Impianti S.r.l. nelle comparse di risposta alle due citazioni in opposizione a decreto ingiuntivo proposte da Presti S.r.l. e R.C. S.r.l.
4. Il quarto motivo denuncia «error in iudicando – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.».
Si contesta alla Corte territoriale di non avere esaminato il fatto che il c.t.u. – le cui conclusioni non erano state in alcun modo contestate dal giudice – aveva individuato anche altri lavori «che non necessitavano di preventiva autorizzazione», oltre a quelli previsti nell’originario subappalto.
5. Infine, il quinto motivo (rubricato «sulle spese di lite: error in iudicando e violazione e/o falsa applicazione di norme di legge: artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.») censura la condanna alla rifusione delle spese di lite, di cui peraltro richiede la cassazione soltanto in conseguenza dell’auspicato accoglimento dei motivi precedenti.
6. I primi due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente – per la stretta connessione tra di loro – e sono fondati.
6.1. La Corte d’Appello ha ritenuto doveroso attenersi alla consolidata giurisprudenza di legittimità che ravvisa la nullità virtuale del contratto di subappalto di opera pubblica stipulato in violazione dell’art. 21 della legge n. 646 del 1982, il quale prevede una sanzione penale per «Chiunque, avendo in appalto opere riguardanti la pubblica amministrazione, concede anche di fatto, in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte, le opere stesse, senza l’autorizzazione dell’autorità competente» (Cass. nn. 11450/1997; 11131/2003; 713/2014; 22841/2016; 8481/2018).
Il Tribunale, in primo grado, aveva valorizzato, in senso contrario, l’autorizzazione, da parte della Provincia, della variante al progetto iniziale che determinò la necessità di eseguire lavori aggiuntivi, originariamente non previsti. Ma la Corte territoriale ha rilevato che l’approvazione della variante non implica l’autorizzazione del subappalto, la quale, «attesa la sua finalità, non può che essere espressa e specifica».
6.2. Peraltro, così facendo il giudice d’appello non ha adeguatamente valorizzato il fatto, pacifico, che la Provincia di Catania aveva in effetti autorizzato il subappalto a Solar Energy Impianti S.r.l., sia pure con un oggetto del subcontratto limitato a determinati lavori, mentre poi la subappaltatrice eseguì anche lavori ulteriori, sempre nell’ambito della realizzazione della medesima opera pubblica.
La norma imperativa dalla cui violazione si fa derivare la nullità virtuale del contratto di subappalto di opera pubblica è il precetto penale contenuto nell’art. 21 della legge n. 646 del 1982. Da ciò consegue che, in tanto si può affermare la nullità del contratto di subappalto, in quanto sia realizzata la fattispecie di reato prevista dal citato art. 21. Se così è, in mancanza di reato, non c’è violazione della norma imperativa e non può esserci nullità del contratto.
Ebbene, la Cassazione penale ha correttamente statuito che «L’interpretazione letterale di tale disposizione induce fondatamente a ritenere che il reato sia configurabile laddove manchi del tutto l’autorizzazione al subappalto delle opere riguardanti la pubblica amministrazione, dovendo la formula “in tutto o in parte” essere riferita alla eventuale ripartizione in lotti delle opere medesime: talché solo con una esegesi estensiva ed in malam partem sarebbe possibile affermare che la norma sia applicabile anche in una situazione, come quella in esame, nella quale l’autorizzazione sia stata regolarmente rilasciata dall’autorità amministrativa competente, ma il subappalto abbia poi concretamente riguardato la realizzazione delle opere in misura superiore alla percentuale stabilita nell’atto autorizzativo» (Cass. pen. 11.3.2013, n. 12821, pag. 21).
Siffatta lettura è coerente con il rilievo che, con tale divieto penalmente sanzionato, «il legislatore ha inteso tutelare non l’interesse della pubblica amministrazione alla mera regolarità nell’esecuzione dell’appalto, bensì l’interesse ad evitare che, attraverso il meccanismo del subappalto o del cottimo non autorizzato, le attività esecutive vengano materialmente curate da imprese che, per i collegamenti diretti o indiretti con organizzazioni criminali, non avrebbero potuto beneficiare dell’aggiudicazione dell’appalto medesimo» (ivi).
In base a tale ordine di idee l’approvazione del soggetto subappaltatore insita nell’autorizzazione al subappalto da parte dell’amministrazione pubblica committente svolge la sua funzione di prevenzione antimafia – penalmente tutelata – a prescindere dall’oggetto del subappalto; sicché la funzione svolta dall’autorizzazione rimane ferma anche se l’oggetto del subappalto si estende oltre i limiti originariamente autorizzati.
Una volta esclusa la rilevanza penale dell’estensione dell’oggetto del subappalto autorizzato, viene meno anche la nullità del contratto di subappalto, posto che tale nullità virtuale rappresenta il portato in ambito civile della violazione della norma imperativa penale.
6.3. Non è affatto in contrasto, ma anzi è perfettamente coerente, con tale principio Cass. n. 713/2014, che giustamente ha ritenuto necessaria l’autorizzazione – e nullo il subcontratto – nel caso in cui l’impresa subappaltatrice subappalti a sua volta parte dei lavori ad altre imprese. In tal ipotesi, infatti, sorge la necessità di controllare anche le qualità soggettive del subappaltatore di secondo livello, se si vuole evitare il pericolo che imprese aventi collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata partecipino all’esecuzione dei contratti d’appalto per l’esecuzione di opere pubbliche.
È da notare che, solo in questo caso, la nullità virtuale può anche prescindere dalla configurabilità del reato, perché la catena di ulteriori subappalti dopo il primo autorizzato incide proprio sull’interesse tutelato dalla sanzione penale e rappresenta, quindi, un «mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa» (art. 1344 c.c.).
6.4. Si può aggiungere che – di fronte a un subappalto adempiuto correttamente e con piena soddisfazione della stazione appaltante – è particolarmente importante che la nullità del contratto sia pronunciata solo nei limiti strettamente necessari per tutelare gli interessi superiori presidiati dalle norme imperative, onde evitare che l’interpretazione estensiva di queste ultime legittimi un ingiustificato profitto per l’appaltatore e, soprattutto, un ingiusto pregiudizio per il subappaltatore che, rispettando la «forza di legge» del contratto, abbia regolarmente adempiuto la sua obbligazione ed eseguito una prestazione non più ripetibile.
7. Per effetto dell’accoglimento dei primi due motivi, con cui si esclude la nullità del contratto d’appalto, rimangono assorbiti i motivi terzo e quarto (da intendersi subordinati, in quanto volti a ottenere rimedi alternativi e parziali nel caso in cui fosse stata invece confermata la nullità) e naturalmente il quinto motivo (che censura soltanto la decisione accessoria sulle spese di lite, automaticamente travolta dalla cassazione della decisione principale).
8. In definitiva, la sentenza impugnata viene cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Catania, perché decida, in diversa composizione, anche sulle spese del presente giudizio di legittimità, attenendosi al seguente principio di diritto:
«Nell’appalto di opere pubbliche, qualora l’impresa appaltatrice sia stata autorizzata dalla stazione appaltante ad affidare ad altra impresa l’esecuzione di parte delle opere, il contratto di subappalto è valido – perché non è violato il precetto contenuto e penalmente sanzionato nell’art. 21 della legge n. 646 del 1982 – anche se le opere eseguite dal subappaltatore risultano eccedenti la misura prevista nella citata autorizzazione; ciò in quanto la funzione del precetto penale è quella di assicurare la qualità soggettiva del subappaltatore, evitando che si tratti di impresa direttamente o indirettamente collegata ad organizzazioni criminali».
9. Si dà atto che, in base all’esito del ricorso, non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbiti i rimanenti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Catania, perché decida, in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione della Corte Suprema di Cassazione, del 18.12.2024.
Il Presidente
Alberto GIUSTI