Il punto della situazione

Il RUP cambia volto nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici, diventando “Responsabile Unico di Progetto” o, in altri termini, responsabile unico dell’intervento pubblico complessivamente inteso: nel Decreto Legislativo 31 marzo 2023, n. 36 viene in rilievo un soggetto responsabile non di un singolo procedimento, bensì di una pluralità di procedimenti preordinati alla realizzazione dell’intervento pubblico.

In tale contesto, il nuovo articolo 15 del D.lgs. n. 36/2023, tenendo conto della complessità delle singole fasi sottese all’affidamento del contratto, conferisce alle Stazione Appaltante la possibilità di nominare singoli Responsabili di Fase, così evitando un’eccessiva concentrazione in capo al RUP di compiti e responsabilità direttamente operative, spesso di difficile gestione pratica.

Il Codice rimanda, poi, a uno specifico Allegato la definizione delle funzioni del RUP, nonché dei requisiti di professionalità richiesti in capo a quest’ultimo per l’espletamento dell’incarico, recependo sostanzialmente il contenuto delle Linee Guida n. 3 dell’ANAC. Allo stesso modo, nell’ottica di valorizzare le professionalità interne alle pubbliche amministrazioni, il nuovo testo normativo ridefinisce l’intera disciplina degli incentivi per funzioni tecniche e, allo stesso tempo, introduce un meccanismo di tutela dei pubblici funzionari tramite la delimitazione del perimetro normativo della colpa grave e la parallela introduzione di specifici obblighi assicurativi in capo alle stazioni appaltanti, anche al fine di superare i noti fenomeni di burocrazia difensiva

INDICE

Premessa

  1. La nuova figura del RUP: competenze, funzioni e responsabilità connesse al “Progetto”
  2. L’ambito di applicazione della disciplina sul RUP: tra settori ordinari, settori speciali e stazioni appaltanti che “non sono pubbliche amministrazioni o enti pubblici”
  3. Le modalità di nomina del RUP e dei singoli Responsabili di Fase
  4. L’Allegato I.2 e le norme di dettaglio
    1. Le modalità di individuazione del RUP
    2. I requisiti di professionalità del RUP negli appalti, concessioni di lavori e contratti di servizi attinenti all’ingegneria e all’architettura
    3. I requisiti di professionalità del RUP nei contratti di servizi e forniture
    4. I compiti del RUP comuni a tutti i contratti e le fasi
    5. I compiti specifici del RUP per la fase dell’affidamento
    6. I compiti specifici del RUP per la fase di esecuzione e del Direttore dei Lavori/Direttore dell’Esecuzione nell’attuazione delle prestazioni contrattuali
    7.  I compiti specifici del RUP negli acquisti aggregati, negli acquisti centralizzati e in caso di accordi tra amministrazioni
  5. Il rispetto dei termini di conclusione del procedimento
    1. Il conflitto di interesse e i profili di incompatibilità del RUP
  6. L’attività di supporto al RUP per appalti complessi: tra strutture interne e possibile esternalizzazione
  7. La possibilità per il RUP di essere nominato membro/Presidente della Commissione Giudicatrice
  8. Gli obblighi di formazione continua del RUP
  9. Gli incentivi per funzioni tecniche e per lo svolgimento dell’incarico di RUP
    1. Le attività incentivabili di cui all’Allegato I.10
    2. La destinazione di parte delle risorse alla formazione del personale e all’erogazione delle coperture assicurative
    3. Le modalità per la liquidazione degli incentivi tecnici: tra regolamenti interni e altri strumenti ad essi alternativi
  10. Conclusioni

 

PREMESSA*

 

Il nuovo Codice dei Contratti Pubblici (D.lgs. n. 36/2023) è stato fortemente voluto quale fondamentale riforma nell’ambito del PNRR[1], nella consapevolezza che gli appalti pubblici costituiscono una leva strategica per l’economica del Paese, ad oggi fortemente provata dall’emergenza pandemica da Covid-19, nonché dal conflitto bellico russo-ucraino.

Da qui l’avvertita esigenza di un assetto normativo in grado di garantire una più rapida ed efficace realizzazione di investimenti pubblici, attraverso l’introduzione, da un lato, di meccanismi atti a snellire le procedure di affidamento di pubbliche commesse e, dall’altro, di un efficiente sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti chiamate a gestire le procedure stesse.

In tale ottica, non sorprende che il nuovo Codice ponga, come obiettivo primario rispetto al quale tutti gli altri risultano funzionali e preordinati, il c.d. “principio del risultato”, cristallizzato nell’art. 1 del D.lgs. n. 36/2023 e inteso come concreta e tempestiva realizzazione dell’opera, del servizio o della fornitura. Nel contesto in esame, la concorrenza cessa di essere l’obiettivo da perseguire a tutti i costi, ma diviene lo strumento per il raggiungimento del miglior risultato possibile nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti pubblici in funzione del preminente interesse della committenza e della collettività genericamente intesa[2].

Allo stesso tempo, la previsione finale dell’art. 1, comma 4, alla lettera a) del Codice valorizza il raggiungimento del risultato come elemento da valutare, in sede di responsabilità (amministrativa e disciplinare) a favore del personale impiegato nelle complesse fasi dell’affidamento e dell’esecuzione dei contratti pubblici, mentre, alla lettera b), specifica, nella stessa ottica, che il risultato rappresenta il criterio per l’attribuzione e la ripartizione degli incentivi economici, rimandando alla naturale sede della contrattazione collettiva per la concreta individuazione delle modalità operative[3].

In tale contesto, il nuovo Codice dei Contratti Pubblici innova profondamente la figura del RUP, il quale, da “Responsabile Unico del Procedimento”, diviene “Responsabile Unico di Progetto” o, in altri termini, responsabile unico dell’intero ciclo dell’intervento pubblico complessivamente inteso. La transizione dalla responsabilità del “procedimento” alla responsabilità del “progetto” è anzitutto coerente e in linea con il nuovo contesto delineato dal Codice in relazione al principio del risultato nei termini innanzi descritti.

Invero, come si evince dalla Relazione Illustrativa al Codice, l’art. 15 – pur conservandone la centralità e la trasversalità del ruolo – ridisegna i confini e la portata della figura del RUP, che, in questo scenario, è responsabile di “progetto” e non di “procedimento”, definizione ultima che appare viziata dalla sovrapposizione con la figura del Responsabile del Procedimento Amministrativo (RPA) delineata dagli artt. 4, 5 e 6 della Legge n. 241/1990, la quale non appare pienamente conferente.

Appare, infatti, evidente la diversa portata del principio di “unicità del responsabile” nell’ambito del procedimento amministrativo genericamente inteso e nell’ambito, specifico, del procedimento amministrativo volto all’affidamento dei contratti pubblici: in particolare, nella Legge n. 241/1990 il principio dell’unicità viene riferito al singolo procedimento[4], in relazione al quale viene previsto l’obbligo dell’amministrazione di individuare un unico responsabile, inteso sia come funzionario-persona fisica titolare delle funzioni propriamente connesse all’incarico in parola, sia come unità organizzativa responsabile. Nel D.lgs. n. 36/2023 viene, invece, in rilievo un soggetto responsabile non di un singolo procedimento, bensì di una pluralità di procedimenti preordinati alla realizzazione dell’intervento pubblico: trattasi, in particolare, di tutti i procedimenti relativi alla fase di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione degli interventi da realizzarsi mediante contratti pubblici. Ne deriva che, nel caso di specie, non si tratta di un procedimento unitario articolato in più sub-procedimenti, eventualmente di competenza di diversi uffici, bensì di procedimenti distinti tra loro, ciascuno dei quali destinato a sfociare nell’adozione di un provvedimento finale del tutto autonomo.

Per tutte le ragioni che precedono, l’art. 15 del D.lgs. n. 36/2023, tenendo conto della complessità delle singole fasi sottese alla realizzazione dell’intervento pubblico considerato nel suo complesso, al comma 4, prevede la possibilità per le Stazioni Appaltanti di nominare un responsabile per le fasi di programmazione, progettazione ed esecuzione e un responsabile per la fase di affidamento. Tale opzione presenta il vantaggio di evitare un’eccessiva concentrazione in capo al RUP di compiti e responsabilità direttamente operative, spesso di difficile gestione pratica[5].

In caso di nomina di diversi responsabili di fase, permangono in capo al RUP gli obblighi – e le connesse responsabilità – di supervisione, coordinamento, indirizzo e controllo, mentre sono ripartiti in capo ai primi i compiti e le responsabilità della gestione delle singole fasi cui sono preposti (c.d. responsabilità per fasi).

Nella Relazione illustrativa è stato chiarito che, nell’elaborazione di tale previsione, utili spunti sono stati tratti dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 166 del 2019[6], con la quale è stata vagliata la legittimità delle previsioni dell’art. 34 della legge della Regione Sardegna 13 marzo 2018, n. 8 (Nuove norme in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture), proprio con riferimento alla prevista facoltà di nomina di un responsabile per le fasi di programmazione, progettazione ed esecuzione e un altro responsabile per la fase di affidamento. La Corte, nel richiamare un proprio precedente (sentenza n. 43 del 2011), ha escluso la configurabilità di un contrasto con il principio di responsabilità unica posto dall’art. 31, comma 1, del D.lgs. n. 50 del 2016, evidenziando come l’unicità del centro di responsabilità procedimentale fosse garantita dalla funzione di coordinamento e supervisione del “Responsabile di Progetto” sull’azione dei singoli responsabili per fasi.

Per quanto attiene, infine, le funzioni del RUP quale figura cruciale per il raggiungimento del risultato, la specificazione (non tassativa) delle competenze di quest’ultimo è demandata ad un Allegato (Allegato I.2) al Codice di natura regolamentare, che assorbe le Linee Guida n. 3 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione[7].

 

  1. La nuova figura del RUP: competenze, funzioni e responsabilità connesse al “Progetto”

 

La figura del nuovo RUP nell’ambito della contrattualistica pubblica è attualmente disciplinata dall’art. 15 del D.lgs. n. 36/2023, il quale, al comma 1, sancisce che “Nel primo atto di avvio dell’intervento pubblico da realizzare mediante un contratto le stazioni appaltanti e gli enti concedenti nominano nell’interesse proprio o di altre amministrazioni un responsabile unico del progetto (RUP) per le fasi di programmazione, progettazione, affidamento e per l’esecuzione di ciascuna procedura soggetta al codice.”.

Come anticipato in premessa, si parte dal presupposto della peculiarità della disciplina dei contratti di appalto in cui è parte un soggetto pubblico, rispetto a quella generale sul procedimento amministrativo. Il soggetto responsabile del Codice dei Contratti Pubblici non rappresenta una sovrapposizione rispetto al responsabile del procedimento delineato all’interno della Legge n. 241/1990, presentando, al contrario, un perimetro più ampio e una portata maggiormente complessa. Invero, viene in rilievo un soggetto responsabile non di un singolo procedimento, ma di una pluralità di procedimenti: tutti quelli, appunto, relativi alle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione degli interventi da realizzarsi mediante contratti pubblici.[8]

Inoltre, il Codice dei Contratti Pubblici fa riferimento al RUP come persona fisica e non come ufficio, ulteriore elemento di differenziazione rispetto alla Legge sul procedimento amministrativo, la quale tratteggia la figura del responsabile del procedimento nella duplice accezione di unità organizzativa (disciplinata dall’art. 4)[9] e di persona fisica operante nell’ambito dell’unità organizzativa responsabile (disciplinata dall’art. 5)[10].

È opportuno, inoltre, evidenziare come l’art. 31 del previgente D.lgs. n. 50/2016 esprimesse la necessità di individuare il RUP già nella fase della programmazione degli acquisti, che, come noto, costituisce lato sensu più “politico” delle attività legate alla contrattualistica pubblica[11].

Con l’individuazione di un responsabile unico del procedimento per tutte le fasi procedimentali, risultava recuperata, sul piano funzionale, quella “capacità di visione e di gestione unitaria della complessiva operazione economica che funge da trama sostanziale di collegamento trasversale delle distinte fasi in cui si articola il processo negoziale con l’attuazione della prestazione concordata[12].

Nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici, invece, il legislatore tiene conto dell’eventualità che emergano esigenze non considerate nella programmazione, prevedendosi, in tal caso, che alla nomina del RUP si provveda nel primo atto relativo all’intervento. In ogni caso, il nominativo del RUP deve anche essere indicato nel bando o nell’avviso di indizione della gara o, in mancanza, nell’invito a presentare un’offerta o nel provvedimento di affidamento diretto.

Inoltre, ferma restando l’unicità del RUP, nella consapevolezza della complessità dei numerosi procedimenti sottesi all’affidamento di un appalto, il nuovo Codice dei Contratti Pubblici conferisce alle stazioni appaltanti la possibilità di individuare modelli organizzativi, i quali prevedano la nomina di un responsabile di procedimento per le fasi di programmazione, progettazione ed esecuzione e un responsabile di procedimento per la fase di affidamento; in tal caso, tuttavia, restano in capo al RUP le funzioni di supervisione, indirizzo e coordinamento, affinché il completamento dell’intervento pubblico avvenga nei termini e nel rispetto degli obiettivi connessi al suo incarico, attraverso l’espletamento di tutte le attività all’uopo necessarie.

Come anticipato in premessa, nell’elaborazione di tale previsione, utili spunti sono stato tratti dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 166 del 2019, nella quale è stata vagliata la legittimità delle previsioni dell’art. 34 della legge della Regione Sardegna 13 marzo 2018, n. 8 (Nuove norme in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture), proprio con riferimento alla prevista facoltà di nomina di un responsabile per le fasi di programmazione, progettazione ed esecuzione e un altro responsabile per la fase di affidamento. La Corte, nel richiamare un proprio precedente (sentenza n. 43 del 2011), in cui è stato osservato che “la legge regionale […] ha previsto, al comma 2, la regola del responsabile unico del procedimento, limitandosi a stabilire che le amministrazioni aggiudicatrici, ‘nell’ambito dell’unitario procedimento di attuazione dell’intervento’, possono individuare sub-procedimenti senza che ciò incida sulla unicità del centro di responsabilità. Avendo riguardo allo specifico contenuto precettivo delle disposizioni impugnate, deve, pertanto, rilevarsi come la disciplina delle modalità organizzative dell’attività del responsabile unico del procedimento rientri nella materia della organizzazione amministrativa, riservata alle Regioni ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost.”, ha escluso la configurabilità di un contrasto con il principio di responsabilità unica, posto dall’art. 31, c. 1 del D.lgs. n. 50 del 2016[13].

 

  1. L’ambito di applicazione della disciplina sul RUP: tra settori ordinari, settori speciali e stazioni appaltanti che “non sono pubbliche amministrazioni o enti pubblici”

 

Prima di fornire un’analisi di dettaglio circa la disciplina contenuta nella normativa di recente introduzione, risulta indispensabile circoscrivere l’ambito di applicazione della disciplina sul RUP, con particolare riguardo ai c.d. settori speciali e alle stazioni appaltanti che non sono pubbliche amministrazioni o enti pubblici.

In particolare, con riferimento ai c.d. settori speciali, una puntuale regolamentazione è attualmente contenuta nel Libro III, parte I, del D.lgs. n. 36/2023 ed è rivolta alle stazioni appaltanti o agli enti concedenti che svolgono una delle attività previste dagli articoli da 146 a 152 del medesimo testo normativo: trattasi, in particolare, dei settori del gas e dell’energia termica, dell’elettricità, dell’acqua, dei servizi di trasporto, dei porti e degli aeroporti, dei servizi postali e dell’estrazione di gas e prospezione o estrazione di carbone o altri combustibili fossili.

La disciplina dettata dal Libro III, parte I, riprende – sia pur con significative differenze – quella dettagliata negli articoli da 114 a 121 del D.lgs. n. 50/2016, con l’obiettivo di unificare in un unico Libro del Codice tutta la normativa dei c.d. settori speciali, in tal modo conferendo al Libro in parola carattere di organicità, piena autonomia e completezza[14].

La nuova normativa cerca, da un lato, di confermare il carattere “chiuso” dell’erogazione di tali servizi, in quanto d’interesse nazionale (e, dunque, essenzialmente sottratti alla concorrenza), dall’altro, tenta di coniugare la presenza in tali settori anche di soggetti che erogano i servizi speciali mediante moduli prettamente privatistici e non solo secondo logiche di “pubblica amministrazione”[15].

In quest’ottica, l’art. 141 del nuovo Codice:

  1. ribadisce la perimetrazione dell’ambito soggettivo relativo ai settori speciali, in conformità alla Direttiva 2014/25/UE;
  2. semplifica, rispetto al passato, il riferimento alle modalità di attribuzione dei diritti speciali esclusivi;
  3. stabilisce che le imprese pubbliche e i privati titolari di diritti speciali o esclusivi applicano le disposizioni del Libro III con il limite della strumentalità, da intendersi in senso strettamente funzionale rispetto alle finalità istituzionali dell’impresa;
  4. opera un’analitica individuazione delle disposizioni dei Libri I e II che trovano applicazione nell’ambito dei settori speciali, al fine di scongiurare difficoltà interpretative;
  5. introduce un elenco di poteri di autorganizzazione riconosciuti alle imprese pubbliche e ai privati titolari di diritti speciali o esclusivi, tra cui, per l’appunto, rientra la succitata possibilità di adottare una disciplina specifica e sostanzialmente difforme rispetto a quella ordinaria sulle funzioni del RUP;
  6. recepisce puntualmente l’art. 65, par. 1, della Direttiva 2014/25/UE, superando uno dei casi di c.d. gold plating registratosi nella vigenza del D.lgs. n. 50/2016, nella parte in cui esclude per i settori speciali l’obbligo di motivazione aggiuntiva in caso di mancata suddivisione in lotti, scelta volta evidentemente a lasciare maggiore autonomia decisionale alle stazioni appaltanti e agli enti concedenti, avuto riguardo alla peculiarità del mercato in cui operano.

Orbene, per quel che attiene la materia oggetto della presente trattazione, l’art. 141, comma 3, del nuovo Codice, prevede che “l’articolo 15 si applica solo alle stazioni appaltanti e agli enti concedenti che sono amministrazioni aggiudicatrici”, con la conseguenza per cui, nei c.d. settori speciali, la disciplina codicistica (art. 15) del RUP trova applicazione esclusivamente con riguardo agli organismi di diritto pubblico e non anche alle imprese pubbliche o ai soggetti privati titolari di diritti speciali ed esclusivi, i quali, al contrario, possono prevedere una disciplina di adattamento delle funzioni del RUP alla propria organizzazione interna, secondo le peculiarità del mercato di riferimento.

Una similare elasticità nell’attribuzione dei compiti di RUP è ammessa dall’art. 15, comma 2, del D.lgs. n. 36/2023 per le stazioni appaltanti e per gli enti concedenti che non sono pubbliche amministrazioni o enti pubblici, i quali possono individuare, secondo i propri ordinamenti interni, uno o più soggetti cui affidare i compiti di RUP, limitatamente al rispetto delle norme del codice alla cui osservanza sono tenute, disposizione normativa che sostanzialmente riproduce la regolamentazione prevista dal comma 10 dell’art. 31 del D.lgs. n. 50/2016.

 

  1. Le modalità di nomina del RUP e dei singoli Responsabili di Fase

 

L’art. 15 del D.lgs. n. 36/2023, al comma 2, disciplina le modalità di nomina del RUP, disponendo che “le stazioni appaltati e gli enti concedenti nominano il RUP tra i dipendenti assunti anche a tempo determinato della stazione appaltante o dell’ente concedente, preferibilmente in servizio presso l’unità organizzativa titolare del potere di spesa, in possesso dei requisiti di cui all’all’Allegato I.2 e di competenze professionali adeguate in relazione ai compiti al medesimo affidati, nel rispetto dell’inquadramento contrattuale e delle relative mansioni. (…) L’ufficio di RUP è obbligatorio e non può essere rifiutato. In caso di mancata nomina del RUP nell’atto di avvio dell’intervento pubblico, l’incarico è svolto dal responsabile dell’unità organizzativa competente per l’intervento.

Viene immediatamente in rilievo come il legislatore abbia inteso valorizzare la possibilità per le stazioni appaltanti e per gli enti concedenti di individuare il RUP anche tra i dipendenti non aventi qualifica dirigenziale e anche tra i dipendenti assunti con contratto a tempo determinato, purché in possesso degli specifici requisiti richiesti dalle norme, così valorizzando le competenze specialistiche di recente acquisite per la gestione degli appalti PNRR-PNC.

Resta ferma la previsione per cui l’ufficio di RUP è obbligatorio e non può essere rifiutato.

Quest’ultima previsione intende significare che il ruolo di responsabile unico del progetto deve ritenersi ricompreso nell’ambito delle attività proprie del personale addetto alle unità organizzative, senza costituire una mansione “aggiuntiva” rispetto ai compiti ordinari e, pertanto, senza far sorgere il diritto a retribuzioni aggiuntive, fatti salvi gli eventuali “incentivi per funzioni tecniche” che possono essere previsti dalle stazioni appaltanti ai sensi dell’art. 45 del Codice.

La scelta del legislatore di apporre il crisma dell’incontestabilità sulla nomina del RUP è probabilmente dovuta alla presa d’atto della “poca appetibilità” delle relative funzioni da parte del personale delle pubbliche amministrazioni, in considerazione delle significative responsabilità che esse comportano e in ragione del fatto che molte stazioni appaltanti non sono ancora dotate di un Regolamento per la corresponsione degli incentivi per funzioni tecniche[16].

La norma contempla, inoltre, un “meccanismo di chiusura” che assicura sempre l’individuazione del RUP, attraverso la previsione secondo cui, in caso di mancata nomina del RUP nell’atto di avvio dell’intervento pubblico, l’incarico è svolto dal medesimo responsabile dell’unità organizzativa titolare del potere di spesa.

Nella formulazione originaria dell’articolo, approvata in via preliminare, si prevedeva – per i casi di mancata nomina – che l’incarico di RUP dovesse essere svolto dal responsabile dell’unità organizzativa titolare del potere di spesa, ossia dal soggetto a cui sarebbe spettato il potere (dovere) di nomina: ciò, evidentemente, al fine di incentivarlo a rispettare il suo obbligo di nominare il RUP, in quanto, in caso di mancata osservanza, il Responsabile unico del progetto sarebbe stato egli stesso.

In sede di approvazione definitiva, la formulazione della norma è stata modificata ed è stato previsto che, in caso di mancata nomina del RUP, il relativo incarico debba essere svolto (non già dal responsabile dell’unità organizzativa titolare del potere di spesa, bensì) dal “responsabile dell’unità organizzativa competente per l’intervento”; in tale contesto, non è ben chiaro se, con tale ultimo inciso, il legislatore abbia inteso riferirsi sempre e comunque al responsabile dell’unità organizzativa titolare del potere di spesa, ossia non è ben chiaro se con la modifica in questione il legislatore abbia inteso operare solo una modifica formale della disposizione oppure se abbia inteso mutarne anche il contenuto precettivo[17].

Ciò posto, fermo restando che la nomina del RUP deve essere effettuata nel primo atto di avvio dell’intervento, il comma 3 dell’art. 15 del D.lgs. n. 36/2023, riproducendo la sostanziale previsione contenuta nel comma 2 dell’art. 31 del D.lgs. n. 50/2016, dispone che “Il nominativo del RUP è indicato nel bando o avviso con cui si indice la gara per l’affidamento del contratto di lavori, servizi e forniture, ovvero, nelle procedure in cui non vi sia un bando o avviso con cui si indice la gara, nell’invito a presentare un’offerta[18].

Tale disposizione è tesa a rafforzare i principi di trasparenza che permeano l’intero settore.

Una novità di grande rilievo è, poi, da rinvenirsi nel comma 4 dell’art. 15, in cui, per la prima volta, viene conferita alle Stazioni Appaltanti la facoltà di nominare un responsabile per le fasi di programmazione, progettazione ed esecuzione e un responsabile per la fase di affidamento; ciò al fine di evitare un’eccessiva concentrazione in capo al RUP di compiti prettamente operativi e di competenze spiccatamente tecniche, le quali, oggi, potranno essere ripartire all’interno dell’ente, secondo le specifiche professionalità di ciascun dipendente.

Analogamente, il legislatore ha introdotto sul punto un principio di “responsabilità per fasi”, alla stregua del quale, in caso di nomina di più responsabili, permangono in capo al RUP gli obblighi e le responsabilità connesse di supervisione, coordinamento, indirizzo e controllo, mentre sono ripartiti in capo ai primi i compiti e le responsabilità delle singole fasi a cui sono preposti.

Orbene, appare evidente come la figura del RUP risulti sempre maggiormente sovrapponibile a quella del Project Manager, responsabile della supervisione delle varie fasi del progetto e del completamento dello stesso secondo le modalità e i termini programmati.

Invero, nella vigenza del D.lgs. n. 50/2016, l’Autorità Nazionale Anticorruzione, nelle Linee Guida n. 3[19], aveva già segnalato come il RUP dovesse possedere adeguata formazione e competenza in materia di Project Management, essendo necessario enfatizzare le competenze di pianificazione e gestione dello sviluppo di specifici progetti, anche attraverso il coordinamento di tutte le risorse messe a disposizione, e le attività finalizzate ad assicurare l’unitarietà dell’intervento, il raggiungimento degli obiettivi nei tempi e nei costi previsti, la qualità della prestazione e il controllo dei rischi[20].

Tale necessità risulta, oggi, confermata dal legislatore del nuovo Codice dei Contratti Pubblici, il quale, tuttavia, consapevole della difficoltà di reperire all’interno delle varie amministrazioni un adeguato numero di figure in grado di coniugare le competenze richieste per svolgere il ruolo di RUP con quelle di Project Manager, ha circoscritto il possesso di tali competenze ai casi di “lavori particolarmente complessi”, disponendo, all’art. 4 dell’Allegato I.2[21] al D.lgs. n. 36/2023, che “nelle procedura di affidamento di lavori particolarmente complessi, il RUP possiede, oltre a un’esperienza professionale di almeno cinque anni nell’ambito delle attività di programmazione, progettazione, affidamento o esecuzione di appalti e concessioni di lavori, una laurea magistrale o specialistica nelle materie oggetto dell’intervento da affidare, nonché adeguata competenza quale Project Manager, acquisita anche mediante la frequenza, con profitto, di corsi di formazione in materia di Project Management.”.

In via generale, il comma 5 dell’art. 15 del Codice fornisce una formulazione non tassativa delle competenze del RUP (provvedimentali, nonché di iniziativa, istruttorie, di coordinamento, di controllo, di certificazione ecc.), demandandone il dettaglio all’Allegato I.2 al Codice, di natura regolamentare, il quale assorbe le suddette Linee Guida ANAC n. 3[22].

In particolare, l’allegato I.2 al Codice contiene la disciplina di dettaglio con riguardo:

  • alle modalità di individuazione del funzionario cui affidare l’incarico di RUP;
  • ai compiti del RUP in rapporto all’esigenza di conseguire gli obiettivi connessi alla realizzazione dell’intervento pubblico nel rispetto dei tempi e dei costi programmati, della qualità richiesta, della sicurezza e della salute dei lavoratori, e quelli specifici del Direttore dei Lavori e del Direttore dell’Esecuzione nell’attuazione delle prestazioni contrattuali;
  • ai requisiti di professionalità e competenza richiesti al funzionario affinché possa essere nominato responsabile unico del progetto;
  • ai compiti di coordinamento e di impulso svolti dal RUP, in quanto persona fisica dotata di adeguati titoli di studio e competenze professionali;
  • ai poteri decisionali del RUP nelle diverse fasi della realizzazione dell’intervento pubblico;
  • alle ipotesi di incompatibilità tra le funzioni di RUP e le ulteriori funzioni tecniche e, in particolare, all’importo massimo e alla tipologia dei lavori, servizi e forniture per i quali il RUP può coincidere con il progettista o con il direttore dell’esecuzione;
  • alle coperture assicurative da prevedere con oneri a carico dell’amministrazione;
  • agli obblighi formativi delle amministrazioni nei confronti del RUP;
  • alle ipotesi e le modalità di affidamento degli incarichi di supporto al RUP e delle possibilità per quest’ultimo di affidarli direttamente, sotto la propria responsabilità di risultato.

 

  1. L’Allegato I.2 e le norme di dettaglio

 

Il Codice, così come il suo Allegato, prende le mosse dalla peculiarità della disciplina dei contratti di appalto, in cui è parte un soggetto pubblico, rispetto a quella generale sul procedimento amministrativo.

Invero, l’individuazione dei compiti del RUP è effettuata con il metodo delle elencazioni esemplificative: ogni disposizione contiene una norma di chiusura in quanto va tenuto in debito conto che il RUP svolge tutti i compiti che siano necessari alla realizzazione dell’intervento pubblico, ove non specificatamente attribuiti ad altri soggetti.

È questa la ragione primaria, stante anche la delicatezza dei compiti e delle responsabilità connessi alla funzione di RUP, per cui è stata concessa la facoltà di nominare più responsabili di fase, ciascuno in possesso delle necessarie e specifiche competenze relative all’intervento da realizzare, i quali possono essere di grande ausilio nella gestione delle molteplici attività sottese alla realizzazione dell’intervento pubblico.

 

4.1 Le modalità di individuazione del RUP

 

Con riguardo alle modalità di individuazione del RUP, l’art. 2 dell’Allegato I.2 al Codice, dopo aver ribadito che il RUP può essere nominato anche tra i dipendenti di ruolo non aventi qualifica dirigenziale, specifica che quest’ultimo svolge i propri compiti con il supporto dei dipendenti della Stazione Appaltante.

Tale assunto si pone in linea di continuità con il processo di qualificazione delle Stazioni Appaltanti, concretamente reso operativo con il nuovo Codice, ma già in precedenza disciplinato dalle Linee Guida ANAC del 28 settembre 2022[23], idoneo ad attestare la capacità delle stesse di gestire direttamente, secondo criteri di qualità, efficienza e professionalizzazione e nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, le attività che caratterizzano il processo di acquisizione di un bene, di un servizio o di un lavoro.

In tale contesto, particolare rilevanza assumono i processi interni di formazione e aggiornamento continuo del personale dipendente delle Stazioni Appaltanti, ai fini dell’acquisizione di specifica competenza nella materia della contrattualistica pubblica.

Il comma secondo dell’art. 2 enuncia che le funzioni di RUP non possono essere svolte dai soggetti che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati contro la Pubblica Amministrazione, previsti nel Capo I del Titolo II del Libro II del Codice Penale[24], ai sensi dell’art. 35bis del D.lgs. n. 165/2001.

Il RUP deve essere, inoltre, dotato di competenze professionali adeguate all’incarico da svolgere.

Invero, per i servizi attinenti all’ingegneria e all’architettura, l’Allegato I.2 richiede che il RUP debba essere un tecnico e, nell’ipotesi di assenza di tale figura professionale nell’organico della Stazione Appaltante, le competenze devono essere attribuite al dirigente o al responsabile del servizio nel cui ambito di competenza rientra l’intervento da realizzare.

Negli altri casi, la Stazione Appaltante può individuare come RUP anche un dipendente non in possesso dei requisiti richiesti: in tale ipotesi, dovrà essere affidata l’attività di supporto al RUP ad altri dipendenti della Stazione Appaltante in possesso dei requisiti carenti in capo al RUP o, in mancanza, a soggetti esterni individuati sulla base delle specifiche competenze richieste dal Codice e dall’allegato in parola.

Gli affidatari delle attività di supporto devono essere muniti di assicurazione di responsabilità civile professionale per i rischi derivanti dallo svolgimento delle attività di propria competenza.

A tal proposito, ai sensi dell’art. 15, comma 6, del Codice, la Stazione Appaltante può istituire una struttura stabile a supporto del RUP e può conferire, su proposta di quest’ultimo, incarichi per la migliore realizzazione dell’intervento pubblico, nel caso di appalti di particolare complessità che richiedano valutazioni e competenze altamente specialistiche. La struttura di supporto al RUP può essere costituita anche in comune tra più Stazioni Appaltanti, previa sottoscrizione di accordi ex art. 15 della Legge n. 241/1990.

 

 

 

4.2 I requisiti di professionalità del RUP negli appalti, concessioni di lavori e contratti di servizi attinenti all’ingegneria e all’architettura

 

L’art. 4 dell’Allegato I.2 al Codice stabilisce che, con riferimento agli appalti e/o alle concessioni di lavori e servizi attinenti all’ingegneria e all’architettura, il RUP deve essere necessariamente un tecnico abilitato all’esercizio della professione o, quando l’abilitazione non sia richiesta dalle norme vigenti, un tecnico, anche di qualifica non dirigenziale, in possesso di titoli di studio e di esperienza e formazione professionale specifiche rispetto alla procedura da svolgere e all’oggetto dell’appalto/concessione.

Il RUP deve aver maturato un’adeguata esperienza nello svolgimento di attività analoghe a quelle da realizzare, in termini di natura, importo e complessità e, in particolare:

  1. di almeno un anno per i contratti di importo inferiore a € 1.000.000;
  2. di almeno tre anni per i contratti di importo pari o superiore a € 1.000.000 e inferiore alla soglia di cui all’art. 14 del Codice[25];
  3. di almeno cinque anni per i contratti di importo pari o superiore alla soglia di cui all’art. 14 del Codice.

Il RUP può, inoltre, svolgere, per uno o più interventi e nei limiti delle proprie competenze professionali, anche le funzioni di progettista o di direttore dei lavori. Le funzioni di RUP, progettista e direttore dei lavori non possono coincidere nel caso di lavori complessi o di particolare rilevanza sotto il profilo architettonico, ambientale, storico-artistico e conservativo, oltre che tecnologico, nonché nel caso di progetti integrali ovvero di interventi di importo pari o superiore alla soglia di cui all’art. 14 del Codice. Nelle procedure di affidamento di lavori particolarmente complessi, il RUP possiede, oltre a un’esperienza professionale di almeno cinque anni nell’ambito delle attività di programmazione, progettazione, affidamento o esecuzione di appalti e concessioni di lavori, una laurea magistrale o specialistica nelle materie oggetto dell’intervento da affidare, nonché adeguata competenza quale Project Manager, acquisita anche mediante la frequenza, con profitto, di corsi di formazione in materia di Project Management.

 

4.3 I requisiti di professionalità del RUP nei contratti di servizi e forniture

 

L’art. 5 dell’Allegato I.2 al Codice disciplina i requisiti di professionalità del RUP nell’ambito dell’affidamento di contratti aventi ad oggetto servizi e forniture.

Anche in questo caso, dovrà essere individuato un soggetto in possesso di titolo di studio di livello adeguato e di esperienza professionale soggetta a costante aggiornamento ai sensi dell’art. 15, comma 7, del Codice[26], maturata nello svolgimento di attività analoghe a quelle da realizzare in termine di natura, complessità e importo dell’intervento, in relazione alla tipologia e all’entità dei servizi e delle forniture da affidare.

Nello specifico, il RUP deve essere in possesso di esperienza nel settore dei contratti di servizi e forniture, attestata anche dall’anzianità di servizio maturata:

  1. di almeno un anno per gli affidamenti di importo inferiori alla soglia di cui all’art. 14 del Codice;
  2. di almeno tre anni per gli affidamenti di importo pari o superiori alla soglia di cui all’art. 14 del Codice.

Con riferimento, poi, alle forniture o ai servizi connotati da particolari caratteristiche tecniche (quali, a titolo esemplificativo, dispositivi medici, dispositivi antincendio, sistemi informatici e telematici), la stazione appaltante può richiedere, oltre ai requisiti di esperienza succitati, anche il possesso della laurea magistrale, nonché di specifiche e comprovate esperienze.

 

4.4 I compiti del RUP comuni a tutti i contratti e le fasi

 

Indipendentemente dalla materia oggetto di affidamento, l’art. 6 dell’Allegato I.2 al Codice disciplina le attribuzioni del RUP comuni a tutti i contratti e a tutte le fasi, prevedendo che quest’ultimo, anche avvalendosi dei responsabili di fase nominati ai sensi dell’art. 15, comma 4, del Codice, coordini il processo realizzativo dell’intervento pubblico nel rispetto dei tempi, dei costi e della qualità preventivati e, con riferimento alla fase di esecuzione, vigili sul rispetto delle norme poste a presidio della sicurezza e della salute dei lavoratori[27].

In particolare, il RUP ha i seguenti compiti specifici:

  1. formula proposte e fornisce dati e informazioni al fine della predisposizione del programma triennale dei lavori pubblici e del programma triennale degli acquisti di beni e servizi da adottare ai sensi dell’art. 37, comma 1, lettera a) del Codice, nonché predispone l’elenco annuale da approvare ai sensi dell’art. 37, comma 1, lettera b) del Codice;
  2. accerta la libera disponibilità di aree e di immobili necessari e, in caso di lavori, la regolarità urbanistica dell’intervento pubblico o promuove l’avvio delle procedure di variante urbanistica;
  3. propone alla stazione appaltante la conclusione di un accordo di programma quando si rende necessaria l’azione integrata e coordinata di diverse amministrazioni;
  4. propone l’indizione o, ove competente, indice la conferenza di servizi, quando sia necessaria o utile per l’acquisizione di intese, pareri, concessioni, autorizzazioni, permessi, licenze, nulla osta, assensi, comunque denominati;
  5. svolge l’attività di verifica dei progetti per lavori di importo inferiore a un milione di euro e assicura il rispetto del procedimento di verifica della progettazione ai sensi dell’art. 42 del Codice; sottoscrive la validazione del progetto posto a base di gara unitamente al responsabile della fase della progettazione, ove nominato, facendo riferimento al rapporto conclusivo redatto dal soggetto preposto alla verifica, e alle eventuali controdeduzioni del progettista. In caso di dissenso sugli esiti della verifica, il RUP fornisce adeguata motivazione;
  6. accerta e attesta le condizioni che richiedono di non suddividere l’appalto in lotti ai sensi dell’art. 58, comma 2, del Codice – salvo che nei settori speciali, in cui è escluso l’obbligo di motivazione aggiuntiva in caso di mancata suddivisione dell’appalto in lotti;
  7. decide i sistemi di affidamento dei lavori, servizi e forniture, la tipologia di contratto da stipulare, il criterio di aggiudicazione da adottare;
  8. richiede alla Stazione Appaltante la nomina della Commissione Giudicatrice nel caso di affidamento dell’appalto mediante il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa ai sensi dell’art. 93 del Codice;
  9. promuove l’istituzione dell’ufficio di direzione dei lavori;
  10. provvede all’acquisizione del CIG nel caso in cui non sia nominato un responsabile per la fase di affidamento;
  11. è responsabile degli adempimenti prescritti dall’art. 1, comma 32, della Legge n. 190/2012.

L’elencazione che precede è formulata a titolo meramente esemplificativo, posto che l’articolo in parola contiene una “clausola di chiusura”, disponendo che il RUP esercita, in ogni caso, tutti i compiti a quest’ultimo attribuiti da specifiche disposizioni del Codice e svolge tutte le attività relative alla realizzazione dell’intervento pubblico considerato nel suo complesso, che non siano specificatamente attribuiti ad altri organi o soggetti.

 

4.5 I compiti specifici del RUP per la fase dell’affidamento

 

Con riferimento alla specifica fase dell’affidamento, l’art. 7 dell’Allegato I.2 al Codice dispone che il RUP[28]:

  1. effettua la verifica della documentazione amministrativa qualora non sia nominato un responsabile di fase ai sensi dell’art. 15, comma 4, del Codice o non sia costituito un apposito ufficio o servizio a ciò deputato, sulla base delle disposizioni organizzative proprie della Stazione Appaltante; esercita, in ogni caso, funzioni di coordinamento e verifica, finalizzate ad assicurare il corretto svolgimento delle procedure e adotta le decisioni conseguenti alle valutazioni effettuate;
  2. svolge la verifica di congruità delle offerte in caso di aggiudicazione con il criterio del minor prezzo; in caso di particolare complessità delle valutazioni o della specificità delle competenze richieste, può avvalersi della struttura di supporto istituita ai sensi dell’art. 15, comma 6, del Codice o di una commissione appositamente nominata;
  3. svolge la verifica sulle offerte anormalmente basse con l’eventuale supporto della Commissione nominata ai sensi dell’art. 93 del Codice;
  4. dispone le esclusioni dalle gare;
  5. in caso di procedura che prevede l’affidamento con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, può svolgere tutte le attività che non implicano l’esercizio di poteri valutativi, che spettano alla Commissione Giudicatrice;
  6. quando il criterio di aggiudicazione è quello del minor prezzo, il RUP può procedere direttamente alla valutazione delle offerte economiche;
  7. adotta il provvedimento finale della procedura quando, in base all’ordinamento della Stazione Appaltante, ha il potere di manifestare all’esterno la volontà della stessa.

Trattasi, in quest’ultimo caso, di una rilevante novità introdotta dal Legislatore, il quale ha inteso dirimere un frequente dibattito diffusosi nella vigenza del precedente Codice dei Contratti Pubblici in merito al soggetto investito del potere di adottare il provvedimento finale di aggiudicazione.

Il nuovo Codice dei Contratti Pubblici, con la disposizione in parola, intende chiarire come il provvedimento finale di aggiudicazione dell’appalto costituisca prerogativa unica del dirigente/responsabile del servizio, come tale investito del potere di manifestare la volontà dell’Amministrazione aggiudicatrice all’esterno, e il RUP, qualora non coincida con queste figure, dovrà limitarsi a predisporre i contenuti del provvedimento da sottoporre all’organo competente alla sua approvazione.

Anche in questo caso, l’elencazione che precede è formulata a titolo meramente esemplificativo, posto che l’articolo in parola contiene una “clausola di chiusura”, disponendo che il RUP esercita, in ogni caso, tutti i compiti a quest’ultimo attribuiti da specifiche disposizioni del Codice e svolge tutte le attività relative alla realizzazione dell’intervento pubblico considerato nel suo complesso, che non siano specificatamente attribuiti ad altri organi o soggetti.

 

4.6 I compiti specifici del RUP per la fase di esecuzione e del Direttore dei Lavori/Direttore dell’Esecuzione nell’attuazione delle prestazioni contrattuali

 

Relativamente alla fase di esecuzione, l’art. 8 dell’Allegato I.2 al Codice prevede che il RUP[29]:

  1. impartisce al direttore dei lavori, con disposizioni di servizio, le istruzioni occorrenti a garantire la regolarità degli stessi;
  2. autorizza il direttore dei lavori alla consegna degli stessi;
  3. vigila, insieme al direttore dei lavori e al coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, sul rispetto degli oneri della sicurezza relativi alle prestazioni affidate in subappalto;
  4. adotta gli atti di competenza a seguito delle iniziative e delle segnalazioni del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, sentito il direttore dei lavori, laddove tali figure non coincidano;
  5. svolge, su delega del soggetto di cui all’art. 26, comma 3, del D.lgs. n. 81/2008, i compiti ivi previsti, qualora non sia prevista la predisposizione del piano di sicurezza e di coordinamento;
  6. assume il ruolo di responsabile dei lavori, ai fini del rispetto delle norme sulla sicurezza e salute dei lavoratori sui luoghi di lavoro. Il RUP, nello svolgimento dell’incarico di responsabile dei lavori, salvo diversa indicazione e fermi restando i compiti e le responsabilità di cui agli articoli 90, 93 comma 2, 99 comma 1, e 101 comma 1, del D.lgs. n. 81/2008, richiede la nomina del coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione dei lavori;
  7. prima della consegna dei lavori, tiene conto delle eventuali proposte integrative del piano di sicurezza e di coordinamento formulate dagli operatori economici, quando tale piano sia previsto ai sensi del D.lgs. n. 81/2008;
  8. trasmette al dirigente o ad altro organo competente della stazione appaltante, sentito il direttore dei lavori, la proposta del coordinatore per l’esecuzione dei lavori relativa alla sospensione, all’allontanamento dell’esecutore o dei subappaltatori o dei lavoratori autonomi del cantiere o alla risoluzione del contratto;
  9. accerta, insieme al direttore dei lavori, che le prestazioni oggetto di contratto di avvalimento siano svolte direttamente dalle risorse umane e strumentali dell’impresa ausiliaria che il titolare del contratto utilizza in adempimento degli obblighi derivanti dal contratto di avvalimento;
  10. autorizza le modifiche dei contratti di appalto in corso di esecuzione anche su proposta del direttore dei lavori;
  11. approva i prezzi relativi a nuove lavorazioni originariamente non previste, determinati in contraddittorio tra il direttore dei lavori e l’impresa affidataria, rimettendo alla valutazione della stazione appaltante le variazioni di prezzo che comportino maggiori spese rispetto alle somme previste nel quadro economico;
  12. irroga le penali per il ritardato adempimento degli obblighi contrattuali in contraddittorio con l’appaltatore, anche sulla base delle indicazioni fornite dal direttore dei lavori;
  13. ordina la sospensione dei lavori per ragioni di pubblico interesse o necessità, nei limiti e con gli effetti previsti dall’articolo 121 del codice;
  14. dispone la ripresa dei lavori e dell’esecuzione del contratto non appena siano venute a cessare le cause della sospensione e indica il nuovo termine di conclusione del contratto, calcolato tenendo in considerazione la durata della sospensione e gli effetti da questa prodotti;
  15. attiva la definizione con accordo bonario, ai sensi dell’art. 210 del codice, delle controversie che insorgono in ogni fase di realizzazione dell’intervento ed è sentito sulla proposta di transazione ai sensi dell’art. 212, comma 3, del codice;
  16. propone la risoluzione del contratto ogni qualvolta se ne realizzino i presupposti;
  17. rilascia il certificato di pagamento, previa verifica della regolarità contributiva dell’affidatario e dei subappaltatori, e lo invia alla stazione appaltante ai fini dell’emissione del mandato di pagamento;
  18. all’esito positivo del collaudo o della verifica di conformità rilascia il certificato di pagamento;
  19. rilascia all’impresa affidataria copia conforme del certificato di ultimazione dei lavori e il certificato di esecuzione dei lavori;
  20. vigila sul rispetto delle prescrizioni contrattuali nelle concessioni.

Il disposto normativo in esame dispone, altresì, che il RUP possa svolgere, nei limiti delle proprie competenze professionali, anche l’incarico di direttore dell’esecuzione del contratto, salvo nei seguenti casi:

  1. prestazioni di importo superiore alle soglie di cui all’art. 14 del codice;
  2. interventi particolarmente complessi sotto il profilo tecnologico;
  3. prestazioni che richiedono l’apporto di una pluralità di competenze;
  4. interventi caratterizzati dall’utilizzo di componenti o di processi produttivi innovativi o dalla necessità di elevate prestazioni per quanto riguarda la loro funzionalità;
  5. per ragioni concernenti l’organizzazione interna alla stazione appaltante che impongono il coinvolgimento di unità organizzativa diversa da quella cui afferiscono i soggetti che hanno curato l’affidamento.

Anche in questo caso, l’elencazione che precede è formulata a titolo meramente esemplificativo, posto che l’articolo in parola contiene una “clausola di chiusura”, disponendo che il RUP esercita, in ogni caso, tutti i compiti a quest’ultimo attribuiti da specifiche disposizioni del Codice e svolge tutte le attività relative alla realizzazione dell’intervento pubblico considerato nel suo complesso, che non siano specificatamente attribuiti ad altri organi o soggetti.

 

4.7 I compiti specifici del RUP negli acquisti aggregati, negli acquisti centralizzati e in caso di accordi tra amministrazioni

 

Le stazioni appaltanti che ricorrono ai sistemi di acquisto o di negoziazione delle centrali di committenza nominano, per ciascuno di detti acquisti, un Responsabile di Progetto che, di intesa con il Direttore dell’Esecuzione, ove nominato, assume i compiti di cura, controllo e vigilanza del processo di acquisizione, con particolare riguardo alle attività di[30]:

  1. programmazione dei fabbisogni;
  2. progettazione, relativamente all’individuazione delle caratteristiche essenziali del fabbisogno o degli elementi tecnici per la redazione del capitolato;
  3. esecuzione contrattuale;
  4. verifica della conformità delle prestazioni.

Orbene, i requisiti di professionalità richiesti in capo al RUP in caso di acquisti aggregati sono fissate dall’art. 5 dell’Allegato in esame, fermo restando che, in tale ipotesi, la stazione appaltante può prevedere deroghe a tale disposizione, in considerazione delle minori attività assegnate al RUP, fermo restando l’obbligo di garantire l’individuazione di un soggetto dotato di adeguata professionalità e competenza rispetto alle specifiche mansioni affidate.

Il RUP del modulo aggregativo svolge, in particolare, le attività di:

  1. programmazione, relativamente alla raccolta e all’aggregazione dei fabbisogni e alla calendarizzazione delle gare da svolgere;
  2. progettazione degli interventi con riferimento alla procedura da svolgere;
  3. affidamento;
  4. esecuzione per quanto di competenza.

Laddove due o più stazioni appaltanti si avvalgano della facoltà di sottoscrivere tra loro accordi ai sensi della Legge n. 241/1990, si applica quanto disposto dall’art. 62, comma 14, del Codice, il quale prevede che, in caso di svolgimento congiunto di una o più fasi della procedura di affidamento o di esecuzione di un appalto o di un accordo quadro, almeno una di esse deve essere qualificata allo svolgimento delle fasi stesse in rapporto al valore del contratto. In tale ipotesi, le stazioni appaltanti sono responsabili solidalmente dell’adempimento degli obblighi derivanti dal Codice, ma individualmente per quanto riguarda le parti della procedura dalle stesse svolte a proprio nome e per proprio conto.

Da ultimo, le stazioni appaltanti nominano un unico RUP in comune tra le stesse in capo alla stazione appaltante delegata.

 

  1. Il rispetto dei termini di conclusione del procedimento

 

Sulla scia di quanto disposto dal D.L. n. 76/2020 (c.d. Decreto Semplificazioni), recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”, convertito in Legge n. 120/2020, la cui finalità era quella di far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale del COVID-19, intervenendo in materia di appalti pubblici, sul presupposto che da una riduzione dei tempi relativi alle procedure di gara potesse derivare direttamente la velocizzazione della realizzazione delle opere e dell’esecuzione dei servizi e delle forniture, così incentivando gli investimenti pubblici, il D.lgs. n. 36/2023, all’art. 17, comma 3, attualmente dispone che “le stazioni appaltanti e gli enti concedenti concludono le procedure di selezione nei termini indicati nell’Allegato I.3. Il superamento dei termini costituisce silenzio inadempimento e rileva anche al fine della verifica del rispetto del dovere di buona fede, anche in pendenza di contenzioso.[31].

La certezza dei tempi di svolgimento delle procedure di appalto favorisce la maggiore partecipazione delle imprese e, pertanto, la maggiore concorrenza sul mercato. Pertanto, conseguenza del superamento del termine di conclusione del procedimento ad evidenza pubblica è la formazione di un silenzio inadempimento da parte della stazione appaltante che legittima gli operatori economici a incardinare in sede giudiziaria la relativa azione.

Viene, inoltre, stabilito che tale comportamento della stazione appaltante costituisce violazione del dovere di buona fede, con le relative ripercussioni in tema di responsabilità per lesione dell’affidamento, entrambi principi cardine enucleati nell’art. 5 del Codice: invero, come specificato nella norma in parola, nell’ambito del procedimento di gara, anche prima dell’aggiudicazione, sussiste un affidamento dell’operatore economico sul legittimo esercizio del potere e sulla conformità del comportamento amministrativo al principio di buona fede.

Per tale ragione, è evidente che una condotta negligente del RUP nell’ambito della procedura ad evidenza pubblica che comporti un colpevole superamento dei termini di conclusione della stessa, determinerebbe un evidente danno da lesione dell’affidamento in capo al concorrente.

Analogamente, proprio a tutela dell’affidamento del privato, l’art. 83 del Codice dispone che nei bandi o negli avvisi devono essere indicati, oltre al CIG (Codice Identificativo di Gara), acquisito attraverso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici, anche le informazioni indicate nell’Allegato II.6 e la durata del procedimento di gara, nel rispetto dei termini massimi di cui all’art. 17, comma 3, nonché i CAM (Criteri Ambientali Minimi).

Tanto premesso, l’Allegato I.3 al nuovo Codice indica i termini massimi entro i quali devono concludersi le gare di appalto e di concessione, diversi a seconda che sia utilizzato il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa basata sul miglior rapporto qualità-prezzo o sul costo del ciclo di vita, oppure il criterio del minor prezzo.

I termini di conclusione da rispettare nell’ambito delle procedure di affidamento da aggiudicare sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sono:

  1. procedura aperta: nove mesi;
  2. procedura ristretta: dieci mesi;
  3. procedura competitiva con negoziazione: sette mesi;
  4. procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara: quattro mesi;
  5. dialogo competitivo: sette mesi;
  6. partenariato per l’innovazione: nove mesi.

Per quanto attiene, invece, le tempistiche di conclusione delle gare condotte secondo il criterio del minor prezzo, l’Allegato in questione introduce i seguenti termini:

  1. procedura aperta: cinque mesi;
  2. procedura ristretta: sei mesi;
  3. procedura competitiva con negoziazione: quattro mesi;
  4. procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara: tre mesi.

Per espressa previsione dell’Allegato I.3, i suddetti termini decorrono dalla pubblicazione del bando di gara o della trasmissione degli inviti a presentare offerta, fino all’aggiudicazione alla miglior offerta, e non possono essere sospesi neanche in pendenza di contenzioso sulla procedura, se non a seguito di provvedimento cautelare del giudice amministrativo.

Sul tema, occorre segnalare il riscontro fornito dal Servizio Supporto Giuridico del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) al quesito n. 2090/2023[32] proposto da una stazione appaltante, in cui è stato specificatamente richiesto:

  1. da quando deve essere conteggiato il termine per la conclusione della procedura di appalto nelle procedure negoziate sotto-soglia;
  2. in quale momento si considera conclusa la procedura;
  3. nel caso in cui la stazione appaltante superi i termini previsti, fatte salve le possibili deroghe temporali, qualora attuabili, in cosa si concretizzerebbe il silenzio inadempimento e la verifica del rispetto del dovere di buona fede.

Il Servizio Supporto Giuridico, partendo dalla considerazione secondo cui, per espressa disposizione di legge, il termine di conclusione delle procedure di selezione inizia a decorrere dalla data di pubblicazione del bando o dalla data di trasmissione dell’invito a presentare offerta, ha precisato che l’atto conclusivo della procedura deve intendersi riferito al provvedimento di aggiudicazione e che il superamento dei termini costituisce silenzio inadempimento, con conseguente possibilità per il privato di promuovere un’azione giudiziale ai sensi degli artt. 31 e 117 del D.lgs. 104/2010 (Codice del processo amministrativo) per la richiesta di accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere.

Quanto alla verifica del rispetto del dovere di buona fede, regola di esercizio del potere pubblicistico ai sensi degli artt. 2, 5 e 209 del D.lgs. n. 36/2023, è stato, altresì, chiarito che, stante la sussistenza, nell’ambito del procedimento di gara, anche prima dell’aggiudicazione, di un affidamento dell’operatore economico circa il legittimo esercizio del potere e la conformità del comportamento amministrativo al principio di buona fede, l’inosservanza dei termini di conclusione delle procedure può dar luogo alla responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione[33].

In ultimo, il MIT ha evidenziato che, ai sensi di quanto previsto dall’art. 2, comma 3, del D.lgs. n. 36/2023, nell’ambito delle attività svolte nella fase di affidamento dei contratti, ai fini della responsabilità amministrativa, costituisce colpa grave la violazione di norme di diritto.

Tanto premesso, la normativa in parola consente, qualora la stazione appaltante o l’ente concedente debba effettuare la procedura di verifica dell’anomalia, di prorogare i termini sopraindicati per il periodo massimo di un mese.

Inoltre, esclusivamente in presenza di circostanze eccezionali, adeguatamente motivate, i termini suddetti possono essere ulteriormente prorogati per un massimo di tre mesi; analogamente, in presenza di situazioni imprevedibili di oggettiva difficoltà che rendano insostenibili i tempi procedimentali sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, nonché nelle ipotesi di particolare complessità della procedura di gara, tutte circostanze certificate e adeguatamente motivate dal RUP, i termini suddetti possono essere prorogati per ulteriori tre mesi.

Sul punto, nella Relazione Illustrativa al D.lgs. n. 36/2023[34] è specificato che “il concetto di ‘gara’ cui applicare i termini indicati nell’Allegato, comprende tutti gli adempimenti compresi tra la pubblicazione del bando e l’invio dell’invito ad offrire e l’individuazione della migliore offerta; i tempi necessari all’espletamento dell’eventuale verifica di anomalia e all’effettuazione della (necessaria) verifica sul possesso dei requisiti dichiarati dal concorrente aggiudicatario per partecipare alla procedura si aggiungono a quelli previsti per lo svolgimento delle gare”.

Non può sfuggire l’assenza di indicazioni relativamente ai termini di conclusione delle procedure di affidamento diretto, rispetto alle quali deve, dunque, ritenersi che il rispetto del principio di buona fede e di affidamento debba essere rimesso alla discrezionalità – e al buon senso – delle singole Stazioni Appaltanti, stante anche l’assenza di rigidi obblighi procedimentali e adempimenti formali che connotano, al contrario, le procedure di gara.

 

5.1 Il conflitto di interesse e i profili di incompatibilità del RUP

 

In tema di conflitto di interessi, il nuovo Codice dei Contratti Pubblici recepisce integralmente la definizione eurounitaria, eliminando riferimenti presenti in altre parti dell’ordinamento (ad esempio, nel piano anticorruzione o nel codice di comportamento dei dipendenti pubblici – D.P.R. n. 62/2013), così da evitare confusioni e sovrapposizioni[35].

In quest’ottica, la norma in esame specifica che il conflitto di interessi può riguardare qualsiasi soggetto, anche non formalmente lavoratore dipendente della stazione appaltante o dell’ente concedente, che interviene nella procedura di aggiudicazione e di esecuzione dell’appalto con compiti funzionali (che implichino esercizio di funzione amministrativa, con esclusione delle mansioni meramente materiali o d’ordine) che, come tale, sia in grado di influenzarne il risultato, gli esiti e la gestione, avendone direttamente o indirettamente un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di aggiudicazione o nella fase di esecuzione.

Tale norma trova la sua ratio nell’esigenza di disciplinare il conflitto di interesse nel particolare contesto della contrattualistica pubblica, com’è noto, particolarmente esposto al rischio di interferenze, a tutela del principio di concorrenza e del prestigio della pubblica amministrazione, fermo restando il rispetto della normativa generale in materia, oggetto delle disposizioni contenute nell’articolo 6-bis della Legge n. 241/1990, nella Legge n. 190/2012, nel D.lgs. n. 39/2013, negli articoli 3, 6, 7, 13, 14 e 16 del D.P.R. n. 62/2013, nell’articolo 53, comma 14, del D.lgs. n. 165/2001, nell’articolo 78 del D.lgs. n. 267/2000.

L’intenzione del legislatore è quella di arginare il fenomeno all’interno delle amministrazioni attraverso un’azione preventiva della corruzione, consistente in una politica di astensione in caso di conflitto di interessi nonché di segnalazione di un conflitto, anche solo potenziale.

Come si evince dalla Relazione illustrativa al Codice, il legislatore parte del presupposto che, stante le gravi conseguenze giuridiche derivanti dalla omissione delle cautele necessarie per non incorrere in un’ipotesi di conflitto di interessi, non si possa accettare una definizione generica e indeterminata che non renda possibile inquadrare precisamente l’oggetto dell’omissione, considerando anche le ripercussioni disciplinari e penali della violazione dell’obbligo suddetto.

Per questo motivo, riprendendo alcuni spunti contenuti nel parere del Consiglio di Stato n. 667 del 5 marzo 2019 (reso sulle Linee Guida ANAC in materia di conflitto di interessi)[36], il comma 2 dell’art. 16 del D.lgs. n. 36/2023 precisa che un conflitto di interessi si determina tutte le volte in cui a un soggetto sia affidata la funzione di cura di un interesse altrui (c.d. interesse funzionalizzato) ed egli si trovi, al contempo, ad essere titolare di un diverso interesse la cui soddisfazione avviene aumentando i costi o diminuendo i benefici dell’interesse funzionalizzato: il conflitto di interessi, dunque, non consiste in comportamenti dannosi per l’interesse funzionalizzato, ma in una condizione giuridica o di fatto dalla quale scaturisce un rischio di danno.

In coerenza con il principio della fiducia e al fine di preservare la funzionalità dell’azione amministrativa, la norma precisa, inoltre, che la minaccia all’imparzialità e all’indipendenza deve essere provata da chi invoca il conflitto, sulla base di presupposti specifici e documentati e deve riferirsi ad interessi effettivi, la cui soddisfazione sia conseguibile solo subordinando un interesse all’altro.

Da ultimo, il medesimo articolo, da un lato, prevede i doveri del soggetto che versa in un’ipotesi di conflitto di interessi, il quale è tenuto a darne immediata comunicazione alla stazione appaltante o all’ente concedente e ad astenersi dal partecipare alla procedura di aggiudicazione e all’esecuzione e, dall’altro, impone alle stazioni appaltanti e agli enti concedenti l’adozione di misure adeguate a individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse, vigilando sulle dichiarazioni e sui meccanismi di astensione adottati dal personale.

Con riferimento ai profili di incompatibilità del RUP, è opportuno evidenziare che il nuovo Codice dei Contratti Pubblici ha sancito il definitivo superamento dell’asserita incompatibilità assoluta tra i ruoli di RUP e di componente della commissione giudicatrice che, in realtà, era stata già in parte superata dal decreto legislativo n. 56 del 2017, il quale aveva introdotto un secondo periodo al comma 4 dell’art. 77 del D.lgs. n. 50/2016, secondo cui “la nomina di RUP a membro della Commissione di gara è valutata con riferimento alla singola procedura”, norma, tuttavia, di non univoca interpretazione.

Invero, l’art. 93 del nuovo Codice contempla la possibilità che il RUP possa far parte della commissione giudicatrice, estendendo a quest’ultimo le cause di incompatibilità genericamente applicate ai commissari di gara ed elencate al comma 5 del medesimo articolo, mentre, nella disciplina del sotto-soglia, l’art. 51 prevede anche che il RUP possa assumere anche il ruolo di Presidente della medesima commissione.

In base all’attuale normativa, il RUP, nei contratti aventi ad oggetto servizi e forniture, svolge, di norma, anche le funzioni e i compiti del direttore dell’esecuzione che provvede, anche con l’ausilio di uno o più direttori operativi individuati dalla stazione appaltante in relazione alla complessità dell’appalto, al coordinamento, alla direzione e al controllo tecnico contabile e amministrativo dell’esecuzione del contratto anche, qualora previsto, mediante metodi e strumenti di gestione informativa digitale.

Tuttavia, l’allegato II.14 individua le ipotesi in cui, in base alla qualità o all’importo delle prestazioni, il direttore dell’esecuzione deve essere diverso dal RUP[37], fermo restando che sono considerate forniture di particolare importanza le prestazioni di importo superiore a 500.000 euro.

L’allegato assume come base il D.M. 7 marzo 2018, n. 49, a suo tempo adottato in attuazione dell’art 111 del D.lgs. n. 50/2016, ma il contenuto di tale provvedimento è ampliato con ulteriori disposizioni tese a colmare le lacune di disciplina evidenti nella precedente regolamentazione, a proposito di istituti fondamentali della fase di esecuzione dell’appalto, quali la consegna dei lavori, le varianti in corso d’opera, la sospensione dei lavori, le riserve, il recesso e la risoluzione dei contratti di appalto, il collaudo; la disciplina è stata, inoltre, elaborata tenendo conto dei regolamenti previdenti e, in particolare, del D.P.R. n. 207/2010.

 

6. L’attività di supporto al RUP per appalti complessi: tra strutture interne e possibile esternalizzazione

 

In considerazione delle difficoltà connesse al ruolo di RUP e per porre rimedio alle difficoltà operative in cui incorrono le stazioni appaltanti nei casi in cui esse non siano in grado di individuare al proprio interno un responsabile unico del progetto avente una qualifica adeguata alla complessità dei compiti da svolgere, il legislatore, all’art. 15, comma 6, del Codice, chiarisce le modalità con cui la P.A. può istituire una struttura di supporto al RUP, potendo destinare a tal fine risorse finanziarie non superiori all’1 per centro dell’importo a base di gara per l’affidamento diretto da parte del RUP di incarichi di assistenza al medesimo.

Tale previsione rappresenta l’evoluzione di quella contenuta nel comma 7 dell’art. 31 del previgente Codice, laddove si disciplinava il possibile conferimento di incarichi a supporto della procedura[38].

Sul punto, è inoltre opportuno rilevare che il contenuto dell’art. 31, comma 9, del previgente D.lgs. n. 50/2016 è oggi confluito nell’art. 4 dell’Allegato I.2 al Codice, il quale distingue due differenti situazioni:

  • l’ipotesi in cui sia individuato un RUP carente dei requisiti richiesti dalle norme: in tal caso, la Stazione Appaltante può affidare lo svolgimento delle attività di supporto al RUP ad altri dipendenti in possesso dei requisiti carenti in capo a quest’ultimo o, in mancanza, a soggetti esterni aventi le specifiche competenze richieste dal Codice e dall’Allegato. Gli affidatari delle attività di supporto devono essere muniti di assicurazione di responsabilità civile professionale per i rischi derivanti dallo svolgimento delle attività di propria competenza;
  • l’ipotesi in cui si tratti di appalti di particolare complessità, i quali richiedano valutazioni e competenze altamente specialistiche: in tal caso, la stazione appaltante può istituire una struttura stabile di supporto al RUP e può conferire incarichi, su proposta di quest’ultimo, per la migliore realizzazione dell’intervento pubblico. La struttura di supporto al RUP può essere istituita anche in comune tra più Stazioni Appaltanti, previa sottoscrizione di accordi ai sensi dell’art. 15 della Legge n. 241/1990.

Ai fini indicati, pertanto, la Stazione Appaltante dovrà prima operare una ricognizione interna del personale dell’ente e, successivamente, in caso di esito negativo, potrà affidare tali servizi all’esterno, secondo le procedure previste dal Codice dei Contratti Pubblici[39], con la possibilità, inoltre, di istituire una struttura stabile di supporto al RUP nelle ipotesi in cui si tratti di servizi particolarmente complessi dal punto di vista tecnico e rispetto ai quali sia opportuno acquisire competenze altamente specialistiche.

Come precisato dall’Autorità Nazionale Anticorruzione nel parere di funzione consultiva n. 11/2023, tale incarico di supporto è qualificabile come “appalto di servizi” e consiste “in un’obbligazione nei confronti del committente avente ad oggetto il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro, con organizzazione dei mezzi necessari (di tipo imprenditoriale) e con assunzione in proprio del rischio di esecuzione della prestazione (art. 1655 c.c.)”.

In quest’ottica, l’attività di supporto al RUP, anche se prevista al fine di sopperire alla carenza di personale dotato di competenze specifiche all’interno dell’amministrazione, deve essere qualificata come attività professionale in proprio, richiedendo non solo che il soggetto affidatario sia dotato di specifiche competenze professionali relative al settore di riferimento oggetto dell’incarico, ma anche che appresti una specifica organizzazione, con assunzione del rischio, diretta a soddisfare le esigenze dell’ente[40].

Per tale ragione, il nuovo Codice prevede, oggi, l’obbligo per gli affidatari degli incarichi di supporto di dotarsi di assicurazione di responsabilità civile professionale per i rischi derivanti dalle attività di propria competenza.

Devono ritenersi salve, in forza del principio di specialità e della disposizione transitoria e di coordinamento di cui all’art. 225, comma 8, del D.lgs. n. 36/2023[41], le modalità di supporto al RUP in relazione agli interventi PNRR-PNC di cui agli artt. 9, 10 e 11 del D.L. n. 77/2021 e all’art. 10 del D.L. n. 36/2022[42].

L’art. 10 del D.L. n. 36/2022, conv. in L. n. 79/2022, prevede in particolare: “1. Fino al 31 dicembre 2026, le amministrazioni titolari di interventi previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, ivi incluse le regioni e gli enti locali, in deroga al divieto di attribuire incarichi retribuiti a lavoratori collocati in quiescenza ai sensi dell’articolo 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, possono conferire ai soggetti collocati in quiescenza incarichi ai sensi dell’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nei limiti delle risorse finanziarie già destinate per tale finalità nei propri bilanci, sulla base della legislazione vigente, fuori dalle ipotesi di cui all’articolo 1, commi 4, 5 e 15 del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113. La facoltà di cui al primo periodo è consentita anche per gli interventi previsti nel Piano nazionale per gli investimenti complementari, nei programmi di utilizzo di Fondi per lo sviluppo e la coesione e negli altri piani di investimento finanziati con fondi nazionali o regionali. (…) 2. Al personale di cui al comma 1 possono essere conferiti gli incarichi di cui all’articolo 31, comma 8, del Codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nonché, in presenza di particolari esigenze alle quali non è possibile far fronte con personale in servizio e per il tempo strettamente necessario all’espletamento delle procedure di reclutamento del personale dipendente, l’incarico di responsabile unico del procedimento di cui al comma 1 del medesimo articolo 31.”.

 

  1. La possibilità per il RUP di essere nominato membro/Presidente della Commissione Giudicatrice

 

Una rilevante novità introdotta dal nuovo Codice dei Contratti Pubblici attiene una delle questioni più controverse e dibattute in dottrina, in giurisprudenza e nella prassi applicativa: la possibilità per il RUP di essere membro della Commissione Giudicatrice[43].

Invero, il nuovo art. 93, inserito nel Titolo IV del Libro II, stabilisce, al comma 3, che “la Commissione è presieduta da un dipendente della Stazione Appaltante ed è composta da suoi funzionari, in possesso del necessario inquadramento giuridico e di adeguate competenze professionali. Della commissione giudicatrice può far parte il RUP”.

Orbene, come si evince dalla Relazione illustrativa, “l’incompatibilità assoluta tra i ruoli di RUP e di componente della commissione giudicatrice era stata già superata dal decreto legislativo n. 56 del 2017, che aveva introdotto un secondo periodo al comma 4 dell’art. 77 del decreto legislativo n. 50 del 2016, secondo cui ‘la nomina del RUP a membro della commissione di gara è valutato con riferimento alla singola procedura’, norma, tuttavia, di non univoca interpretazione”. [44]

Invero, l’art. 77, comma 4, del D.lgs. n. 50/2016 presentava la medesima portata dell’art. 84, comma 4, del D.lgs. n. 163/2006, in relazione al quale la giurisprudenza aveva posto in evidenza come la norma rispondesse all’esigenza di una rigida separazione tra la fase di preparazione della documentazione di gara e quella di valutazione delle offerte in essa presentate, a garanzia del diritto delle parti ad una decisione adottata da un organo terzo ed imparziale, mediante valutazioni il più possibile oggettive, e cioè non influenzate dalle scelte che l’hanno preceduta (Cons. Stato, Sez. V, 27 febbraio 2019, n. 1387; Consiglio di Stato, sez. V, 17 aprile 2020, n. 2471).

A seguito, tuttavia, del correttivo apportato dal D.lgs. n. 56/2017, l’orientamento maggioritario della giurisprudenza amministrativa ha propeso per l’insussistenza di un’incompatibilità automatica fra il ruolo di RUP e quello di commissario, in aderenza alla ratio della norma in parola, secondo la quale, appunto, tale nomina è valutata con riferimento alla singola procedura e la cui valutazione oggettiva e imparziale è rimessa alla singola Stazione Appaltante[45]. Dunque, in generale, non si può stabilire a priori una netta linea di separazione fra i soggetti che possono partecipare alla predisposizione delle regole di gara e coloro i quali siano chiamati all’applicazione concreta delle stesse, bensì “l’eventuale incompatibilità deve essere comprovata, sul piano concreto e di volta in volta, sotto il profilo dell’interferenza sulle rispettive funzioni assegnate al dirigente e alla Commissione” (Cons. Stato, sez. V, 11 settembre 2019, n. 6135).

In linea con l’orientamento maggioritario sopra richiamato e come, peraltro, si dà conto nella Relazione illustrativa, il legislatore del nuovo Codice dei Contratti Pubblici ha definitivamente superato la presunzione di condizionamento circa la scelta dell’aggiudicataria, preferendo l’idea che i soggetti coinvolti nella predisposizione della documentazione di gara, conoscendo in maniera più approfondita l’oggetto dell’appalto, possano più agevolmente individuare l’offerta migliore.

Il nuovo art. 93, tuttavia, non prevede esplicitamente che il RUP possa anche presiedere la commissione di gara, facoltà che risulta, invece, contemplata dall’art. 51 in materia di procedure sottosoglia: la norma in parola, muovendo dal presupposto che l’art. 93 già contempla la possibilità per il RUP di far parte della Commissione giudicatrice, si limita a consentire che quest’ultimo possa anche presiederla.

Nella Relazione illustrativa è chiarito che s’intende, in tal modo, introdurre una forte semplificazione nelle procedure sottosoglia, prevedendo, in generale, la legittimità della partecipazione del RUP alla Commissione, anche in qualità di Presidente della stessa.[46]

Si segnala, inoltre, che, nelle disposizioni finali e, precisamente, nell’art. 224, comma 3, del D.lgs. n. 36/2023, è contenuta la norma volta a coordinare l’innovazione introdotta con la disciplina dell’art. 107, comma 3, del D.lgs. n. 267/2000 (TUEL) che prevede, in via generale, l’attribuzione ai dirigenti della “presidenza delle commissioni di gara”. Invero, la disposizione in parola aggiunge al comma 3 dell’art. 107 del D.lgs. n. 267/2000 un ulteriore periodo secondo cui “La commissione giudicatrice, nel caso di aggiudicazione dei contratti di importo inferiore alle soglie europee con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, può essere presieduta dal responsabile unico del procedimento”.

Tale ultima previsione, emanata in coerenza con quanto disposto dall’art. 1, comma 4, del D.lgs. n. 267/2000 – il quale prevede che “ai sensi dell’articolo 128 della Costituzione le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al presente testo unico se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni” – risolve il problema del coordinamento tra le disposizioni del codice degli appalti e il D.lgs. n. 267/2000, prevedendo, in particolare, che negli enti locali il responsabile unico del procedimento possa presiedere le commissioni di gara anche se privo di qualifica dirigenziale.[47]

Con riguardo, infine, alle cause di incompatibilità dei commissari, la disciplina di cui all’art. 93, comma 5, del D.lgs. n. 36/2023 appare fortemente innovativa, poiché elimina l’ipotesi della incompatibilità endoprocedimentale che aveva comportato disagi alle stazioni appaltanti (specie di dimensioni ridotte) impedendo loro di nominare commissari dipendenti che, nelle fasi precedenti della procedura, si fossero occupati dell’appalto. È stata mantenuta, invece, l’incompatibilità derivante dall’aver assunto in precedenza cariche politiche nella medesima stazione appaltante, e quelle derivanti da precedenti penali, dal conflitto di interesse e dalle ragioni che giustificano l’astensione ai sensi dell’art. 51 del codice di procedura civile.

A tal fine, i commissari sono tenuti, al momento dell’accettazione della nomina, a dichiarare di non trovarsi in alcuna delle situazioni che determinano l’obbligo di astensione o la sua opportunità[48].

 

  1. Gli obblighi di formazione continua del RUP

 

Obiettivo principale del nuovo Codice dei Contratti Pubblici, in linea con quanto previsto nella Legge delega di riferimento, è la formazione continua del personale operante presso le Stazioni Appaltanti, anche nell’ambito del progetto di digitalizzazione dell’intero ciclo di vita dei contratti pubblici, di cui alla Parte II del D.lgs. n. 36/2023, nonché nell’ambito del progetto di qualificazione delle Stazioni Appaltanti, già previsto dall’art. 38 del D.lgs. n. 50/2016, ma concretamente avviato da ANAC solo con Delibera n. 441 del 28.09.2022 mediante l’approvazione delle Linee Guida recanti “attuazione – anche a fasi progressive – del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza da porre alla base del nuovo sistema di qualificazione che sarà reso operativo al momento dell’entrata in vigore della riforma della disciplina dei contratti pubblici[49].

Orbene, occorre, in primo luogo, evidenziare come, nell’ottica del nuovo Codice, la predisposizione di piani di formazione del personale divenga strumento per promuovere l’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, assieme alla copertura assicurativa dei rischi per il personale, al fine di riqualificare le stazioni appaltanti e rafforzare le capacità professionali dei dipendenti[50].

In particolare, l’art. 15, comma 7, del D.lgs. n. 36/2023, espressamente richiede che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti, in coerenza con il programma degli acquisti di beni e servizi e del programma dei lavori pubblici di cui all’art. 37 del medesimo testo di legge[51], adottino un piano di formazione per il personale che svolge funzioni relative alle procedure in materia di acquisti di lavori, servizi e forniture, partendo dalla consapevolezza della delicatezza dei compiti e delle mansioni allo stesso assegnati.

Come accennato in premessa, l’attività di formazione riveste una rilevanza centrale anche in tema di digitalizzazione della pubblica amministrazione, non a caso tra gli obiettivi più rilevanti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: invero, il PNRR delinea l’obiettivo di realizzare un Sistema Nazionale di e-procurement volto a raccogliere le spinte di efficienza che giungono dallo sviluppo tecnologico e che rinnovino i rapporti tra amministrazioni pubbliche e operatori economici; in quest’ottica, il sistema di e-procurement deve concorrere a realizzare la digitalizzazione completa del ciclo di vita delle procedura di acquisto fino all’esecuzione del contratto e deve garantire l’interoperabilità con i sistemi gestionali delle pubbliche amministrazioni, nonché l’abilitazione digitale di tutti gli operatori[52].

Come si evince dalla Relazione illustrativa al nuovo Codice dei Contratti Pubblici, va considerato che l’introduzione della digitalizzazione per ogni tipologia di contratto pubblico indica un traguardo ambizioso che potrà realizzarsi compiutamente solo laddove le stazioni appaltanti si dotino degli strumenti tecnologici necessari e acquisiscano dimestichezza e padronanza con i nuovi servizi informatici. Uno sforzo utile in tal senso è stato sicuramente compiuto in occasione della pandemia Covid-19 che ha spinto le pubbliche amministrazioni a innovare profondamente i processi interni aziendali e a stimolare un approccio emotivo differente nei confronti delle strumentazioni informatiche, grazie alle quali è stato possibile garantire, in quel determinato momento storico, la prosecuzione delle ordinarie attività di lavoro.

Sulla scorta di tale esperienza, lo sforzo che viene oggi richiesto alle stazioni appaltanti, soprattutto nella fase iniziale di attuazione delle norme sulla digitalizzazione dei contratti pubblici, è soprattutto quello di riorganizzare le strutture interne, in termini di dotazione tecnologica, di formazione del personale e di reingegnerizzazione dei processi, assieme all’adozione di misure volte a presidiare la sicurezza informatica e la protezione dei dati personali.

Sul tema, l’art. 19, comma 5, del D.lgs. n. 36/2023[53] impone alle stazioni appaltanti l’adozione di adeguate misure di formazione del personale addetto all’utilizzo della strumentazione suddetta, garantendone altresì il costante aggiornamento: la sfida della digitalizzazione richiede, infatti, non solo l’acquisto di dispositivi e di software, ma anche e soprattutto la formazione e l’aggiornamento del personale addetto che dovrà gestire le nuove procedure digitali. Da ciò scaturisce l’esigenza che a tale qualificazione si provveda non attraverso sporadiche iniziative, bensì garantendo un’azione mirata, soprattutto attraverso corsi di formazione e di costante aggiornamento, adeguati alla rapidità dell’evoluzione digitale, che l’amministrazione dovrà considerare anche in sede di contrattazione.

Per le medesime ragioni, l’attuale articolo 45 del Codice, in materia di incentivi per funzioni tecniche, impone alle stazioni appaltanti e agli enti concedenti di destinare parte delle risorse finanziarie stanziate per le funzioni tecniche svolte dai dipendenti: a) all’attività di formazione per l’incremento delle competenze digitali dei dipendenti nella realizzazione degli interventi; b) alla specializzazione del personale che svolge funzioni tecniche; c) alla copertura degli oneri di assicurazione obbligatoria del personale.

 

  1. Gli incentivi per funzioni tecniche e per lo svolgimento dell’incarico di RUP

 

Tema da sempre dibattuto in giurisprudenza, soprattutto contabile, e rispetto al quale sono sorte numerose criticità operative all’interno delle amministrazioni è quello concernente l’erogazione di incentivi tecnici per l’espletamento di funzioni connesse alle procedure ad evidenza pubblica.

Il nuovo Codice dei Contratti Pubblici disciplina il sistema di incentivazione all’art. 45, applicabile, dunque, con riferimento alle gare indette dopo il 1° luglio 2023, ai sensi di quanto disposto dall’art. 229 del D.lgs. n. 36/2023, e rinvia all’Allegato I.10 per l’elenco tassativo delle attività incentivabili.

Come descritto nella Relazione illustrativa, l’attuale norma non si limita a fornire profili di carattere generale, bensì reca la disciplina di dettaglio, allo scopo di prevenire e risolvere le difficoltà e le incertezze interpretative in cui incorrono quotidianamente le amministrazioni pubbliche in fase applicativa, soprattutto con riguardo al timore delle responsabilità connesse all’erogazione di incentivi non dovuti.

La finalità è evidentemente quella di stimolare l’incremento delle professionalità interne, obiettivo strettamente connesso al rafforzamento delle attività di formazione del personale operante all’interno delle stazioni appaltanti, e di ottenere un risparmio di spesa per mancato ricorso a professionisti esterni[54].

A tal fine, si ritiene opportuno ripercorrere brevemente la storia normativa dell’istituto.

L’istituto in parola trova origine nella c.d. Legge Merloni (art. 18 della L. n. 109/1994)[55], la quale limitava l’erogazione dell’incentivo alle funzioni progettuali, in base al principio di c.d. autosufficienza amministrativa secondo cui alla predisposizione del progetto, di regola, avrebbero dovuto provvedere gli uffici tecnici interni alle stazioni appaltanti, nella convinzione che l’affidamento esterno rappresentasse un’eccezione.

Tale disposizione è stata, successivamente, assorbita nel c.d. Codice De Lise (D.lgs. n. 163/2006), il quale, all’art. 92, comma 5, prevedeva che una somma non superiore al due per cento dell’importo posto a base di gara di un’opera o di un lavoro, comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’amministrazione, dovesse essere ripartita esclusivamente tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori[56].

Tale ripartizione doveva avvenire attraverso la creazione di un apposito Fondo con vincolo di destinazione individuato sulla base di un apposito Regolamento interno, restando escluso dal novero dei soggetti destinatari il personale con qualifica dirigenziale, per cui gli incentivi dovevano ritenersi inclusi nel complessivo trattamento economico dagli stessi percepito, sulla base del principio di onnicomprensività della retribuzione – attualmente sancito dall’art. 24 del D.lgs. n. 165/2001[57].

In seguito, il D.lgs. n. 50/2016 ha radicalmente stravolto l’istituto degli incentivi, escludendone la corresponsione per l’espletamento di funzioni meramente progettuali da parte dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni.

Invero, l’art. 113, comma 2, del summenzionato disposto normativo – ancora vigente e applicabile relativamente alle procedure indette anteriormente alla data del 1° luglio 2023  – prevede la destinazione di una somma non superiore al 2 per cento dell’importo dei lavori, servizi e forniture posti a base di gara al personale dipendente “esclusivamente per le attività di programmazione della spesa per investimenti, di valutazione preventiva dei progetti, di predisposizione e di controllo delle procedure di gara e di esecuzione dei contratti pubblici, di RUP, di direzione dei lavori ovvero direzione dell’esecuzione e di collaudo tecnico amministrativo ovvero di verifica di conformità, di collaudatore statico ove necessario per consentire l’esecuzione del contratto nel rispetto dei documenti a base di gara, del progetto, dei tempi e costi stabiliti”. A ciò si aggiunga che il successivo comma 3 fissa un tetto limite alla corresponsione di tali emolumenti accessori, precisando che gli incentivi complessivamente corrisposti nel corso dell’anno al singolo dipendente, anche da diverse amministrazioni, non possono superare l’importo del 50 per cento del trattamento economico complessivo annuo lordo.

In materia, la Corte dei Conti (sezione delle autonomie, delibera n. 6/SEZAUT/2018/QMIG) ha evidenziato come i due limiti finanziari anzidetti siano volti ad impedire l’incontrollata espansione della spesa in questione: uno di carattere generale (il tetto massimo al 2% dell’importo a base di gara) e l’altro di carattere individuale (il tetto annuo al 50% del trattamento economico complessivo per gli incentivi spettante al singolo dipendente).

In tale quadro, si è inserito il c.d. Decreto Sblocca Cantieri (D.L. n. 32/2019) che, in sede di conversione, ha definitivamente escluso la possibilità per le amministrazioni di remunerare, sotto forma di incentivi, le attività di progettazione svolte da dipendenti interni.

Venendo, adesso, all’attuale e innovativa disciplina contenuta nell’art. 45 del D.lgs. n. 36/2023, è opportuno, in primo luogo, evidenziare che la Relazione Illustrativa precisa che le risorse per remunerare le attività tecniche gravano sugli stanziamenti relativi alle procedure di affidamento, estendendo la previsione alle attività tecniche relative a tutte le procedure e non solo a quelle strettamente connesse all’appalto[58] inteso come gara, in tal modo superando le difficoltà discendenti dalla precedente formulazione che, a parità di funzioni tecniche svolte, consentiva l’erogazione dell’incentivo ai dipendenti solo in caso di procedure comparative di gara, e non anche nel caso di procedure di affidamento diretto e concessioni.

Tuttavia, permangono ancora oggi alcune perplessità in merito alla riconoscibilità dell’incentivo agli affidamenti diretti, posto che l’Allegato I.1 al Codice, nel richiamare l’affidamento diretto del contratto come modalità di affidamento senza procedura di gara, specifica che, anche nel caso di previo interpello di più operatori economici, la scelta è operata discrezionalmente dalla stazione appaltante o dall’ente concedente, nel rispetto dei criteri qualitativi e quantitativi di cui all’art. 50, comma 1, lett. a) e b), del Codice e dei requisiti generali previsti dallo stesso disposto di legge[59]. Inoltre, nella Relazione Illustrativa al Codice, in tema di decisione a contrarre semplificata per gli affidamenti diretti di cui all’art. 17, comma 2, si osserva che “in caso di affidamento diretto detto provvedimento sia direttamente costitutivo dell’affidamento e ne indica il contenuto minimo. L’esistenza di una norma specifica per l’affidamento diretto, contrapposta a quella di cui al comma 1 che riguarda le procedure, evidenzia che il primo non costituisce ‘procedura’”.

Pertanto, se l’affidamento diretto non è qualificabile come procedura, se ne potrebbe dedurre che allo stesso non debba applicarsi la disciplina sugli incentivi tecnici.

Parrebbe, in ogni caso, preferibile propendere per la condivisione di una tesi interpretativa più ampia, secondo cui sarebbe irragionevole escludere aprioristicamente l’incentivazione delle funzioni tecniche connesse all’esperimento di affidamenti diretti, anche in quelle ipotesi in cui gli stessi siano preceduti da una comparazione di preventivi e, dunque, da una previa comparazione tra più operatori economici; e ciò anche in linea con la giurisprudenza contabile maggioritaria medio tempore formatasi sull’argomento[60].

Infatti, la tesi restrittiva che nega la riconoscibilità dell’incentivo per ogni forma di affidamento diretto rischia di trascurare la distinzione (dottrinale) tra affidamento diretto “puro” e affidamento diretto “previa consultazione di più operatori economici”[61]. Sebbene non si tratti di procedura di gara in senso tecnico, la Corte dei Conti ha ritenuto suscettibile di incentivazione l’affidamento diretto preceduto da un confronto concorrenziale informale: “la gara e/o la procedura comparativa che nell’art. 113 costituisce il presupposto necessario, invalicabile ed inderogabile per il riconoscimento degli incentivi tecnici, evoca ontologicamente lo svolgimento preliminare delle indagini di mercato per la predisposizione dello schema di contratto e la comparazione concorrenziale tra più soluzioni negoziali le quali vincolano il soggetto committente alla valutazione comparativa tra le diverse offerte da confrontare secondo i canoni della economicità, dell’efficacia, dell’efficienza contrattuale, recepiti in parametri trasposti preventivamente in un capitolato tecnico, a contenuto più o meno complesso, secondo la diversa tipologia ed il diverso oggetto del contratto da affidare; (…) l’affidamento diretto ex art. 36, comma 2, lett. a), consentito in regime derogatorio a temporalità limitata dal d.l. n. 76/2020 (…) continua a rimanere escluso dalla disciplina degli incentivi tecnici ex art. 113, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016, salve le ipotesi nelle quali per la complessità della fattispecie contrattuale l’amministrazione, nonostante la forma semplificata dell’affidamento diretto, proceda allo svolgimento di una procedura sostanzialmente comparativa, la quale dovrà comunque emergere nella motivazione della determinazione a contrarre, in conformità al principio di prevalenza della sostanza sulla forma, di matrice comunitaria[62].

Tanto premesso, la norma in parola, da un lato, conferma la precedente impostazione, imponendo alle stazioni appaltanti di destinare risorse finanziarie per le funzioni tecniche svolte dai dipendenti specificate nell’Allegato I.10, in misura non superiore al 2 per cento dell’importo dei lavori, servizi e forniture posto a base delle procedure di affidamento, e specificando che la presente disposizione trova applicazione nell’ambito degli appalti di servizi e forniture solo nel caso in cui sia nominato un direttore dell’esecuzione; dall’altro introduce due elementi di significativa novità, nella parte in cui innalza il tetto massimo dell’incentivo, stabilendo che l’importo erogato al singolo dipendente nel corso dell’anno di competenza non può superare il trattamento economico complessivo annuo lordo percepito da quest’ultimo (e, dunque, non più solo il 50%) e nella parte in cui sancisce che l’incentivo è erogato – previo accertamento e attestazione del responsabile del servizio della struttura competente o da altro dirigente incaricato – direttamente al RUP e al personale dipendente che svolge funzioni tecniche, senza previa confluenza nel Fondo per l’incentivazione, come previsto dal vigente articolo 113 del D.lgs. n. 50/2016, così attuando una notevole semplificazione sul piano finanziario, burocratico e contabile.

Con riferimento al limite del trattamento economico complessivo, la norma specifica, altresì, che lo stesso è innalzato per le amministrazioni che adottano i metodi e gli strumenti digitali per la gestione informativa dell’appalto.

Si rimanda, inoltre, al regolamento della singola amministrazione per la determinazione dei criteri di riparto delle somme, ivi compresa, eventualmente, la riduzione delle risorse a fronte di eventuali incrementi di tempi o costi rispetto a quanto originariamente previsto nel progetto esecutivo.

È, in ogni caso, fatta salva la possibilità per le stazioni appaltanti e gli enti concedenti di prevedere una modalità diversa di remunerazione delle funzioni tecniche del proprio personale, nel qual caso non può trovare applicazione la disciplina sugli incentivi, escludendo qualsiasi forma di sovraincentivazione.

Da ultimo, anche la nuova formulazione della norma esclude dal novero dei soggetti destinatari dei predetti incentivi il personale con qualifica dirigenziale.

Sul punto, occorre, tuttavia, coordinare tale disposizione con l’art. 8, comma 5, del D.L. n. 13/2023, convertito in L. n. 41/2023, il quale prevede che “per gli anni dal 2023 al 2026, gli enti locali, gli enti e le aziende del Servizio Sanitario nazionale prevedono nei propri regolamenti e previa definizione dei criteri in sede di contrattazione decentrata, la possibilità di erogare, relativamente ai progetti del PNRR, l’incentivo di cui all’articolo 113 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, anche al personale di qualifica dirigenziale coinvolgono nei predetti progetti, in deroga al limite di cui all’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75[63].

Trattasi, in particolare, di una delle disposizioni urgenti introdotte ai fini dell’attuazione degli interventi PNRR, volte al rafforzamento della capacità amministrativa dei soggetti pubblici coinvolti nell’erogazione delle misure.

Tale norma, di carattere speciale e apertamente derogatorio, mantiene la sua validità e, dunque, risulta applicabile anche a fronte dell’introduzione del nuovo articolo 45 del Codice, in forza delle disposizioni transitorie e di coordinamento previsti dall’art. 225 del D.lgs. n. 36/2023 che, al comma 8, dispongono: “In relazione alle procedure di affidamento e ai contratti riguardanti investimenti pubblici, anche suddivisi in lotti, finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR e dal PNC, nonché dai programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell’Unione Europea, ivi comprese le infrastrutture di supporto ad essi connesse, anche se non finanziate con dette risorse, si applicano, anche dopo il 1° luglio 2023, le disposizioni di cui al decreto-legge n. 77/2021, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 108 del 2021, al decreto-legge 24 febbraio 2023, n. 13, nonché le specifiche disposizioni legislative finalizzate a semplificare e agevolare la realizzazione degli obiettivi stabiliti dal PNRR, dal PNC, nonché dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima 2030 di cui al regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018”; a ciò si aggiunga che l’art. 8 del D.L. n. 215/2023, entrato in vigore il 31 dicembre 2023, rubricato “Proroga di termini in materie di competenza del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti”, al comma 5, prevede una proroga del termine previsto dall’articolo 14, comma 4, del decreto-legge 24 febbraio 2023, n. 13, convertito con modificazioni dalla Legge 21 aprile 2023, n. 41 (in origine fissato al 31 dicembre 2023),  alla data del 30 giugno 2024, data fino alla quale possono ancora essere utilizzate le misure semplificatorie e acceleratorie dedicate agli appalti finanziati con le risorse del PNRR e PNC.

Tale conclusione risulta, altresì, confortata dal parere n. 2059/2023 del Servizio Supporto Giuridico del MIT, il quale, interpellato circa la possibilità di corrispondere gli emolumenti tecnici anche al personale dirigenziale nell’ambito di procedure di gara finanziate, in tutto o in parte, con fondi PNRR e PNC, ha evidenziato come ciò sia possibile, in virtù del combinato disposto delle norme summenzionate, limitatamente, tuttavia, al periodo 2023-2026 e purché i criteri di riparto siano regolamentati in sede di contrattazione decentrata e poi trasfusi in apposito regolamento[64].

 

  1. Le attività incentivabili di cui all’Allegato I.10

 

La Relazione Illustrativa al Codice specifica che l’Allegato I.10 riproduce, in modo più analitico e preciso, il contenuto del comma 1 dell’art. 113 del D.lgs. n. 50/2016, nella parte in cui lo stesso indica genericamente le “funzioni tecniche” a cui favore devono essere stanziati gli incentivi disciplinati dallo stesso articolo.

Le attività che possono essere remunerate, alla stregua dell’enucleazione tassativa riportata nel suddetto Allegato, sono le seguenti:

  • programmazione della spesa per investimenti;
  • responsabile unico di progetto;
  • collaborazione all’attività del responsabile unico del progetto (responsabili e addetti alla gestione tecnico-amministrativa dell’intervento);
  • redazione del documento di fattibilità delle alternative progettuali;
  • redazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica;
  • redazione del progetto esecutivo;
  • coordinamento per la sicurezza in fase di progettazione;
  • verifica del progetto ai fini della sua validazione;
  • predisposizione dei documenti di gara;
  • direzione dei lavori;
  • ufficio di direzione dei lavori (direttore/i operativo/i, ispettore/i di cantiere);
  • coordinamento per la sicurezza in fase di esecuzione;
  • direzione dell’esecuzione;
  • collaboratori del direttore dell’esecuzione;
  • collaudo tecnico-amministrativo;
  • regolare esecuzione;
  • verifica di conformità;
  • collaudo statico (ove necessario).

Si assiste, dunque, ad un ampliamento delle attività tecniche incentivabili, introducendo le attività di redazione del documento di fattibilità delle alternative progettuali, redazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica e la redazione de progetto esecutivo, fattispecie in precedenza escluse dal novero delle attività incentivabili.[65]

 

  1. La destinazione di parte delle risorse alla formazione del personale e all’erogazione delle coperture assicurative

 

Ulteriore elemento di novità introdotto dall’art. 45 del nuovo Codice concerne la destinazione delle somme incentivanti.

Invero, alla stregua del disposto normativo in parola, il 20 per cento delle risorse finanziarie per le funzioni tecniche svolte dai dipendenti, accantonate a valere sugli stanziamenti previsti per le singole procedure di affidamento, incrementato delle quote parti dell’incentivo corrispondenti a prestazioni non svolte, prive dell’attestazione del dirigente oppure non corrisposte a causa del raggiungimento del tetto massimo stabilito dalla norma in argomento (trattamento economico complessivo annuo), è destinato[66]:

  1. all’acquisto di beni e tecnologie funzionali a progetto di innovazione;
  2. alle attività di formazione per l’incremento delle competenze digitali dei dipendenti nella realizzazione degli interventi;
  3. alla specializzazione del personale che svolge funzioni tecniche;
  4. alla copertura degli oneri di assicurazione obbligatoria del personale.

Orbene, a fronte della portata innovativa della norma in commento, vi è da chiedersi se la stipula di polizze assicurative per la responsabilità civile a favore del personale operante nell’ambito delle funzioni tecniche descritte, tra cui l’espletamento dell’incarico di Responsabile Unico del Progetto, costituisca un obbligo per le stazioni appaltanti.

In primo luogo, occorre segnalare che la Legge Delega n. 78 del 21 giugno 2022, all’art. 1, comma 2, lett. p), contempla la generica previsione della sottoscrizione di adeguate polizze assicurative per la copertura dei rischi di natura professionale, con oneri a carico delle medesime amministrazioni, esclusivamente con riferimento all’affidamento degli incarichi di progettazione a personale interno alle amministrazioni aggiudicatrici.

Sul punto, il nuovo Codice, in attuazione della suddetta delega, contiene una rilevante enunciazione di principio all’articolo 2, laddove stabilisce che le stazioni appaltanti “adottano” azioni per la copertura assicurativa dei rischi per il personale, in quanto ciò rappresenta lo strumento per promuovere la fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione stessa.

L’Autorità Nazionale Anticorruzione si è espressa sull’argomento con parere di funzione consultiva n. 64/2023, ai sensi del Regolamento sulla funzione consultiva del 7 dicembre 2018, come modificato con delibera n. 654 del 22 settembre 2021[67].

Il quesito posto all’Autorità riguardava i requisiti professionali dei progettisti interni all’amministrazione, con particolare riguardo alla necessità per gli stessi di essere iscritti all’Albo professionale e alla sussistenza dell’obbligo di copertura assicurativa per i progetti interni, non previsto in maniera espressa nel D.lgs. n. 36/2023, così come invece contemplato nell’art. 24, comma 4, del D.lgs. n. 50/2016.

Con riguardo al secondo quesito, l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha precisato che, per quanto non sia ravvisabile un obbligo espresso di copertura assicurativa dei progettisti interni nel D.lgs. n. 36/2023, un’interpretazione sistematica del combinato disposto degli artt. 2, comma 4[68] e 45 del Codice[69], nonché dell’art. 5 dell’Allegato I.7[70], porta a confermare l’obbligatorietà della stipula di polizze assicurative per i progetti interni, con spese a carico delle risorse indicate dal suddetto art. 45 del Codice.

In tal senso, si è espresso anche il Servizio Supporto Giuridico del MIT[71], in riscontro ad un quesito circa l’esatta individuazione delle figure interne cui l’assicurazione si rivolge, nonché l’eventuale obbligatorietà della stipula di tali polizze ad opera della Stazione Appaltante.

Il Ministero, riscontrando i quesiti posti, ha puntualizzato che le figure destinatarie della copertura assicurativa sono quelle indicate al comma 2 dell’art. 45 per le sole attività elencate nell’Allegato I.10, se presenti all’interno della stazione appaltante; sul secondo punto, il Ministero ha precisato che l’assicurazione è a carico esclusivamente delle somme previste nel quadro economico dell’intervento.

Quanto sopra trova conforto nell’avviso espresso dalla Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per il Piemonte[72], che, seppure afferente alle polizze professionali per la verifica della progettazione, costituisce un orientamento di carattere generale sull’argomento.

Sul punto, il giudice contabile ha preliminarmente osservato che le polizze assicurative in questione non riguardano la copertura di rischi di danno connessi alla responsabilità amministrativo-contabile del personale pubblico, rispetto alla cui fattispecie vige il divieto posto dall’art. 3, comma 59, della Legge n. 244/2007 (Legge Finanziaria 2008) che, oltre a sancire la nullità “del contratto di assicurazione con il quale un ente pubblico assicuri propri amministratori per i rischi derivanti dall’espletamento dei compiti istituzionali connessi con la carica e riguardanti la responsabilità per danni cagionati allo Stato o ad enti pubblici e la responsabilità contabile”, introduce una sanzione pecuniaria in caso di violazione della predetta norma, stabilendo che “l’amministratore che pone in essere o proroga il contratto di assicurazione e il beneficiario della copertura assicurativa, sono tenuti al rimborso a titolo di danno erariale di una somma pari a 10 volte l’ammontare dei premi complessivamente stabiliti nel contratto medesimo”. Ciò al precipuo scopo di scongiurare la cosiddetta deresponsabilizzazione del personale pubblico e della classe politica dell’ente, tutelata nelle proprie illegittime o irragionevoli scelte gestionali dalla copertura delle polizze assicurative.

La questione riguarda, invece, la tematica delle polizze assicurative, previste dalla legge, stipulate dalla Stazione Appaltante per la responsabilità civile verso terzi a copertura dei danni arrecati da propri dipendenti e, nel caso sottoposto al vaglio giurisdizionale, dai soggetti tenuti a verificare la rispondenza del progetto dei lavori alle specifiche tecniche previste nel documento di indirizzo e la sua conformità al diritto vigente.

Ciò premesso, la Corte, dopo aver precisato che vige il principio generale della responsabilità diretta del dipendente per il danno ingiusto cagionato a terzi con dolo o colpa grave, a cui si affianca la responsabilità solidale dell’amministrazione di appartenenza, rispetto alla quale, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, vale il più ampio parametro della culpa levis[73], ha precisato che “un ente pubblico può assicurare esclusivamente i rischi che rientrino nella sfera della propria responsabilità patrimoniale e che trasferiscono all’assicuratore la responsabilità patrimoniale stessa, ove si verifichi l’evento temuto, mentre sarebbe priva di giustificazione e, come tale, causativa di danno erariale, l’assicurazione di eventi per i quali l’ente non deve rispondere e che non rappresentano un rischio per l’ente medesimo. Tuttavia, il legislatore ha in taluni casi previsto fattispecie normative che impongono a carico dell’ente l’obbligo di stipulare polizze assicurative a tutela dei propri interessi finanziari”. 

Nel caso di specie, in tema di polizze assicurative, secondo il giudice contabile sarebbero stati reintrodotti dal legislatore diversi riferimenti normativi a favore dell’obbligatorietà della stipula: il primo, di carattere generale, previsto dall’art. 2, comma 4, del D.lgs. n. 36/2023, altri di carattere puntuale, desumibili dagli artt. 42 e 45, in combinato disposto con la regolamentazione di dettaglio di cui agli Allegati I.7 e I.10, del medesimo testo di legge; ne consegue che, sebbene l’inciso normativo di cui all’art. 2 del Codice non appaia particolarmente specifico nell’espressione “adottano azioni”, sarebbe, tuttavia, ragionevole ricondurre l’obbligatorietà della prescrizione a tutte quelle fattispecie normative successive che impongono la sottoscrizione di polizze assicurative con oneri a carico della stazione appaltante. Inoltre, “l’art. 45 del D.lgs. n. 36/2023, disponendo che una parte degli incentivi debba essere utilizzata ‘per la copertura degli oneri di assicurazione obbligatoria del personale’ (cfr. art. 45, c. 5 e 7 lett. c) del nuovo Codice), ha confermato l’assunzione degli impegni di spesa a carico dell’Amministrazione”.

Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte ha ritenuto che “non permangono ragioni ostative all’applicazione della regola speciale della copertura assicurativa a carico dell’Amministrazione per la responsabilità civile professionale del personale”.

 

  1. Le modalità per la liquidazione degli incentivi tecnici: tra regolamenti interni e altri strumenti ad essi alternativi

Da ultimo, sul tema degli incentivi per funzioni tecniche, merita particolare attenzione l’innovazione apportata dal nuovo Codice dei Contratti Pubblici con riguardo alla modalità di liquidazione degli incentivi e, in particolare, circa la necessità di adottare regolamenti interni atti a disciplinarne i criteri di riparto.

Per giurisprudenza contabile ormai consolidata[74], formatasi sulla base del previgente testo normativo e, in particolare, dell’art. 113 del D.lgs. n. 50/2016, le condizioni generali da accertare al fine del riconoscimento degli incentivi sono le seguenti:

  1. che l’amministrazione sia dotata di apposito regolamento interno, essendo questa la condizione essenziale ai fini del legittimo riparto tra gli aventi diritto delle risorse accantonate nel fondo e sede idonea a circoscrivere dettagliatamente le condizioni alle quali gli incentivi possono essere erogati; peraltro, la propedeuticità del regolamento ai fini del perfezionamento del diritto non impedisce che quest’ultimo possa disporre anche la ripartizione degli incentivi per funzioni tecniche espletate prima dell’adozione del regolamento stesso, utilizzando le somme già accantonate allo scopo nel quadro economico riguardante la singola opera (v. da ultimo Sez. Autonomie n. 16/2021/QMIG);
  2. che il relativo impegno di spesa sia assunto a valere sulle risorse stanziate nel quadro economico dell’appalto, attraverso la costituzione di un apposito fondo;
  3. che le risorse finanziarie del suddetto fondo, costituito ai sensi del richiamato articolo 113, siano ripartire, per ciascuna opera, lavoro, servizio o fornitura, con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata integrativa del personale;
  4. che l’incentivo spettante al singolo dipendente non ecceda il tetto annuo massimo (nella vigenza del precedente Codice, fissato al 50% del trattamento economico complessivo.

Il nuovo articolo 45 del D.lgs. n. 36/2023 non solo non ripropone la necessaria adozione di un regolamento interno da parte delle singole stazioni appaltanti come condizione propedeutica all’erogazione degli incentivi tecnici, ma si caratterizza anche per la soppressione del Fondo nel quale, ai sensi del comma 2 dell’art. 113 del D.lgs. n. 50/2016, le somme destinate all’incentivazione dovevano in passato confluire al fine di essere successivamente ripartite.

La conseguenza di tale innovazione è che gli incentivi per funzioni tecniche sono corrisposti – previa verifica ad opera dei soggetti competenti circa l’effettivo svolgimento delle funzioni tecniche previste dall’Allegato I.10 – direttamente al dipendente, in tal modo ottenendo una rilevante semplificazione sul piano finanziario, burocratico e contabile.

Tuttavia, la norma in parola sancisce che i criteri del relativo riparto, nonché quelli di corrispondente riduzione delle risorse finanziarie connesse alla singola opera o lavoro, a fronte di eventuali incrementi ingiustificati dei tempi o dei costi previsti dal quadro economico del progetto esecutivo, sono stabili dalle stazioni appaltanti e dagli enti concedenti, secondo i rispettivi ordinamenti, da adottare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del Codice.

Sul punto, l’Autorità Nazionale Anticorruzione, con Atto del Presidente 11 ottobre 2023 (Fasc. n. 3360/2023) ha fornito riscontro ad alcuni quesiti sugli incentivi alle funzioni tecniche, allo scopo di fare chiarezza in merito agli aspetti sopra evidenziati.

In particolare, è stato richiesto all’ANAC:

  1. se il codice demanda all’Ente l’adozione di un apposito regolamento per la determinazione dei criteri di riparto degli incentivi e di riduzione delle risorse a fronte di eventuali incrementi ingiustificati dei tempi o costi;
  2. se l’espressione “senza la confluenza nel fondo per l’incentivazione” (contenuta nella relazione al codice, nella parte che commenta l’art. 45, comma 3) si riferisca allo specifico fondo per gli incentivi delle funzioni tecniche di cui alla precedente formulazione dell’art. 113 del D.lgs. n. 50/2016 e, di conseguenza, al Fondo risorse decentrate destinate al personale dipendente;
  3. se debba essere sottratta alla contrattazione integrativa la definizione dei criteri di riparto, posto che non è più previsto dall’art. 45 D.lgs. n. 36/2023 il rinvio alla contrattazione integrativa.

Orbene, l’Autorità ha preliminarmente osservato che l’art. 45 del nuovo Codice reca una disciplina degli incentivi alle funzioni tecniche che appare semplificata, negli aspetti procedurali, rispetto alle previsioni dell’art. 113 del D.lgs. n. 50/2016, nell’ottica di garantire maggiore speditezza nell’ambito di una corretta ed effettiva erogazione degli incentivi.

Invero, l’Autorità, condividendo il ragionamento di parte istante, ha ribadito come il testo del nuovo brocardo normativo non richieda più la destinazione di risorse per gli incentivi ad un “apposito fondo”, né la ripartizione delle stesse “con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata integrativa del personale, sulla base di apposito regolamento adottato dalle amministrazioni secondo i rispettivi ordinamenti”; invero, la Relazione Illustrativa al Codice, nel commentare il comma 3 dell’art. 45, precisa che gli incentivi “sono erogati direttamente al personale dipendente, senza la confluenza nel fondo per l’incentivazione”.

Sulla scorta di tali argomentazioni, l’Autorità ha chiarito che “Il nuovo quadro normativo non impone più l’adozione di un apposito regolamento e la costituzione di un apposito fondo, quale condizione essenziale ai fini del riparto degli incentivi, ma dispone che le amministrazioni si regolino, in tale ambito, secondo i propri ordinamenti. Con ciò si è inteso eliminare alcune complessità relative agli aspetti procedurali che spesso sono state di ostacolo all’effettiva erogazione degli incentivi. La semplificazione procedurale introdotta è volta a consentire alle amministrazioni di organizzarsi nel modo più efficiente e, unita all’obbligo di definire i criteri nel termine (ordinatorio) di 30 giorni dalla data di entrata in vigore del codice, intende realizzare tutte le condizioni per rendere effettiva l’erogazione degli incentivi e dare concreta attuazione alla previsione normativa. Rimane, comunque, ferma la necessità che la definizione dei criteri sia fatta mediante un atto a valenza generale.

Con riferimento, invece, alle modalità di definizione dei criteri di riparto, l’Autorità ha sostenuto che la mancata riproposizione nell’art. 45 del Codice del richiamo alla contrattazione decentrata integrativa del personale è volta esclusivamente a rimuovere un obbligo procedurale specifico, ma non ad escludere il riferimento alla contrattazione collettiva nell’ambito della gestione degli incentivi. Ciò in quanto, la norma in esame va letta in combinato disposto con il principio del risultato, enunciato all’art. 1 del Codice, il quale prescrive che “Il principio del risultato costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto, nonché per: (…) b) attribuire gli incentivi secondo le modalità previste dalla contrattazione collettiva”, tesi, tra l’altro, preannunciata nella Relazione Illustrativa al Codice, la quale, nel commentare l’art. 1, comma 4, lett. b), specifica che “il risultato rappresenta anche criterio per l’attribuzione e la ripartizione degli incentivi economici, rimandando alla naturale sede della contrattazione collettiva per la concreta individuazione delle modalità operative”.

In conclusione, da una prima interpretazione dell’art. 45 del nuovo Codice, può rilevarsi come la nuova disciplina richiami prevalentemente le disposizioni dell’art. 113 del D.lgs. n. 50/2016, con alcuni aspetti innovativi volti a colmare alcuni vuoti normativi e a superare taluni limiti pratici riscontrati in fase di applicazione della previgente normativa.

Vengono, infatti, ampliate le tipologie di funzioni tecniche incentivabili, nonché esteso il novero delle procedure che possono dar luogo a meccanismi di premialità, in precedenza limitate alle procedure di appalto. Si superano, in tal modo, le difficoltà discendenti dalla vigente formulazione che, a parità di funzioni, consentiva l’erogazione degli emolumenti accessori tecnici ai dipendenti solo in caso di appalti ed escludeva tutte le altre procedure e gli affidamenti diretti.

 

  1. Conclusioni

A parere di chi scrive, il nuovo Codice dei Contratti Pubblici presenta l’evidente merito di aver segnato una profonda svolta nella disciplina del public procurement, considerato oggi più che mai un settore strategico ed essenziale per la ripresa economica del Paese, dopo la lunga e drammatica crisi indotta dalla pandemia ed acuita dal conflitto russo-ucraino.

Il Legislatore mostra la volontà di orientare il public procurement verso un’amministrazione del risultato, con l’emanazione di un assetto normativo che pone come prioritaria la più rapida ed efficace realizzazione di investimenti pubblici e la tempestiva iniezione di liquidità nel sistema economico, grazie a procedure di affidamento e di esecuzione di commesse pubbliche tempestive ed efficienti rimesse alla gestione di stazioni appaltanti qualificate, in grado di governarle mediante l’impiego di personale altamente specializzato e formato in materia di contrattualistica pubblica.

Ciò anche al dichiarato scopo di rinnovare la fiducia verso la pubblica amministrazione, ma anche di contrastare il fenomeno diffusosi negli ultimi anni della c.d. burocrazia difensiva e della c.d. paura della firma, fonti di inefficienza e immobilismo, restituendo ai funzionari pubblici una maggiore libertà di iniziativa e di auto-responsabilità, valorizzandone autonomia e discrezionalità in un settore in cui spesso la presenza di una disciplina rigida e dettagliata ha creato incertezze, ritardi e criticità operative.

In questa prospettiva, non sorprende il ridisegnato ruolo del RUP, rispetto al quale risulta mutata non solo la denominazione (ora Responsabile Unico del Progetto), ma anche e soprattutto la funzione sostanziale, oggi identificabile in un soggetto in possesso di competenze multidisciplinari, operante come Project Manager della procedura, investito di compiti di coordinamento e supervisione delle attività tecniche: da ciò deriva la possibilità per lo stesso RUP di nominare dei Responsabili di Fase, che operino, in ogni caso, sotto la propria diretta responsabilità, al fine di evitare l’eccessiva concentrazione di compiti e responsabilità direttamente operative, nella piena consapevolezza della complessità degli adempimenti sottesi all’espletamento dell’incarico.

Tuttavia, sotto questo profilo, non possono essere sottaciute le notevoli ripercussioni di tale suddivisione di mansioni in tema di responsabilità individuale: il Codice introduce, infatti, il principio di “responsabilità per fasi”, facendo gravare in capo al singolo Responsabile del Procedimento le responsabilità connesse alla singola fase della procedura, ma facendo parallelamente permanere in capo al RUP le responsabilità derivanti dagli obblighi di supervisione, indirizzo e controllo dell’intervento inteso nel suo complesso e, dunque, anche del rispetto delle tempistiche e degli standard qualitativi originariamente programmati.

È evidente come, nella pratica, risulti particolarmente arduo circoscrivere l’esatto perimetro delle funzioni e delle connesse responsabilità gravanti sul singolo funzionario, non riportando il nuovo testo normativo una precisa ripartizione dei compiti tra RUP e RP, lasciando alla discrezionalità di ciascun ente, nell’ambito del proprio modello organizzativo, il compito di delineare il confine delle competenze operative di tali soggetti, fermo restando che sarà sempre il RUP a dover espletare tutte le attività necessarie alla tempestiva e corretta conclusione del procedimento, ove non diversamente attribuite a organi diversi.

A ciò si aggiunga che lo sforzo, pur apprezzabile, del legislatore volto a semplificare e alleggerire l’eccessiva burocrazia ramificatasi all’interno delle Stazioni Appaltanti, rischia di tradursi in una scarsa operatività pratica, in quanto il meccanismo di riparto di competenze, da un lato, implica un allungamento di fatto dei flussi decisionali, dall’altro, mostra di trascurare la composizione della pianta organica della maggior parte delle Pubbliche Amministrazioni (soprattutto enti locali), che spesso registra un esiguo numero di personale e un’organizzazione poco strutturata.


* Il presente approfondimento rappresenta una rielaborazione della tesina presentata nell’ambito della III Edizione (a.a. 2022/2023) del Master Universitario di II° livello Teoria e Management degli Appalti Pubblici (TEMAP) presso la Libera Università Maria Ss. Assunta (LUMSA): Direttori Prof. Avv. Angelo Rinella e Avv. Domenico Galli; Coordinatore Scientifico Avv. Adriano Cavina.

[1] Decreto Legislativo 31 marzo 2023, n. 36 Codice dei Contratti Pubblici, in attuazione dell’articolo 1 della Legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici;

[2] L’art. 1 del D.lgs. n. 36/2023, nei primi tre commi, espressamente dispone “Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti perseguono il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza. La concorrenza tra gli operatori economici è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti. La trasparenza è funzionale alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione delle regole del presente decreto, di seguito denominato «codice» e ne assicura la piena verificabilità. Il principio del risultato costituisce attuazione, nel settore dei contratti pubblici, del principio del buon andamento e dei correlati principi di efficienza, efficacia ed economicità. Esso è perseguito nell’interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione europea.”;

[3] Come si evince dalla Relazione Illustrativa al Codice, “La previsione finale del comma 4, in coerenza con il principio della fiducia, declinato nell’art. 2, valorizza il raggiungimento del risultato come elemento da valutare, in sede di responsabilità (amministrativa e disciplinare), a favore del personale impiegato nei delicati compiti che vengono in rilievo nella “vita” del contratto pubblico, dalla programmazione fino alla sua completa esecuzione. Lo scopo è quello di contrastare, anche attraverso tale previsione, ogni forma di burocrazia difensiva: in quest’ottica si premia il funzionario che raggiunge il risultato attenuando il peso di eventuali errori potenzialmente forieri di responsabilità”;

[4] L’art. 5, comma 1, della Legge n. 241/1990 dispone che “Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all’unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell’adozione del provvedimento finale”, mentre il successivo art. 6 delinea i compiti attribuiti al responsabile del procedimento;

[5] M. Giustiniani, nel volume di F. Caringella (diretto da), Il nuovo Codice dei contratti Pubblici, Giuffrè …, Milano, 2023;

[6] v. Corte Costituzionale, Sent. 9 luglio 2019 n. 166, Rif. All’art. 34 Legge Regionale Sardegna n. 8 del 13 marzo 2018;

[7] L’individuazione dei compiti del RUP è effettuata con il metodo delle elencazioni esemplificative. Ogni disposizione contiene una norma di chiusura, poiché va tenuto in debito conto che il RUP svolge tutti i compiti relativi alla realizzazione dell’intervento pubblico che non siano specificatamente attribuiti ad altri organi o soggetti. È questa la ragione primaria per cui, stante la delicatezza dei compiti e delle pesanti responsabilità connesse, è stata concessa la facoltà di nominare responsabili di fase, che possono essere di grande ausilio nella gestione dei molteplici e delicati compiti connessi alla realizzazione dell’intervento pubblico;

[8] Cfr. A. Massari (a cura di), Gli appalti pubblici dopo il nuovo Codice: primo commento al D.lgs. n. 36/2023, Appalti e Contratti, Maggioli Editore;

[9] L’art. 4, comma 1, della Legge n. 241/1990 così dispone: “Ove non sia già direttamente stabilito per legge o per regolamento, le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza l’unità organizzativa responsabile della istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell’adozione del provvedimento finale.”;

[10] L’art. 5 della Legge n. 241/1990 così dispone: “1. Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all’unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell’adozione del provvedimento finale. 2. Fino a quando non sia effettuata l’assegnazione di cui al comma 1, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto alla unità organizzativa determinata a norma del comma 1 dell’articolo 4.

[11] M. Giustiniani, nel volume di F. Caringella (diretto da), Il nuovo Codice dei contratti Pubblici, Giuffrè …, Milano, 2023;

[12] Comporti, Il procedimento e il responsabile, in Clarich (a cura di), Commentario al Codice dei Contratti Pubblici, Torino, 2019;

[13] Secondo la Corte, dunque, l’unicità del centro di responsabilità procedimentale è garantita dal «responsabile di progetto», il quale «coordina l’azione dei responsabili per fasi, se nominati ai sensi del comma 2, dell’art. 34, anche con funzione di supervisione e controllo»;

[14] Benché si ponga prevalentemente in continuità con il regime finora vigente, la nuova disciplina dei settori speciali presenta talune novità rivolte verso una maggiore flessibilità per le stazioni appaltanti, come il riconoscimento di maggiori libertà nella suddivisione dei lotti e la possibilità di predeterminare i gravi illeciti professionali che comportano l’esclusione dalle gare.

[15] A. Colomban, Commento al nuovo codice appalti: i settori speciali, 29 settembre 2023, Studio Legale Stefanelli;

[16] M. Giustiniani, nel volume di F. Caringella (diretto da), Il nuovo Codice dei contratti Pubblici, Giuffrè …, Milano, 2023;

[17] M. Giustiniani, nel volume di F. Caringella (diretto da), Il nuovo Codice dei contratti Pubblici, Giuffrè …, Milano, 2023;

[18] Casadio, Randi, La responsabilità unica del procedimento e la struttura amministrativa dei contratti pubblici, in Caringella, Giustiniani, Mantini (a cura di), Trattato dei contratti pubblici, Roma, 2021;

[19] Linee Guida ANAC n. 3, di attuazione del D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, recanti “Nomina, ruolo e compiti del responsabile unico del procedimento per l’affidamento di appalti e concessioni”, approvate dal Consiglio dell’Autorità con deliberazione n. 1096 del 26 ottobre 2016 e aggiornate al D.lgs. n. 56 del 19.04.2017 con deliberazione del Consiglio n. 1007 dell’11 ottobre 2017;

[20] G. Nicosia, A. Latora, N. Trapani, “Il RUP: funzioni e responsabilità nei moderni processi decisionali delle PA. Con fondamenti di Project Management per il Responsabile Unico del Procedimento”, Roma, 2017;

[21] M. Giustiniani, nel volume di F. Caringella (diretto da), Il nuovo Codice dei contratti Pubblici, Giuffrè …, Milano, 2023: “Per quanto concerne la sorte delle Linee Guida ANAC n. 3 recanti “Nomina, ruolo e compiti del responsabile unico del procedimento per l’affidamento di appalti e concessioni”, esse risultano assorbite dall’Allegato I.2 del nuovo Codice. (…) L’Allegato I.2 sarà abrogato a decorrere dalla data di entrata in vigore di un corrispondente Regolamento adottato ai sensi dell’art. 17, comma 3, della L. n. 400/1988 con decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, che lo sostituirà integralmente anche in qualità di allegato codicistico”;

[22] Labbadia, Nomina, ruolo e compiti del responsabile unico del procedimento per l’affidamento di appalti e concessioni (Commento alle Linee Guida ANAC n. 3), in Italiaappalti.it, 11 novembre 2016;

[23] Linee Guida ANAC recanti “attuazione – anche a fasi progressive – del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza da porre alla base del nuovo sistema di qualificazione che sarà reso operativo al momento dell’entrata in vigore della riforma della disciplina dei contratti pubblici”, approvate con Delibera n. 441 del 28 settembre 2022;

[24] I reati contro la Pubblica Amministrazione commessi dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio sono disciplinati dal Libro II, Titolo II, Capo I del codice penale e sono i seguenti:

  • Peculato;
  • Peculato mediante profitto dell’errore altrui;
  • Concussione;
  • Corruzione per l’esercizio della funzione;
  • Corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio;
  • Corruzione in atti giudiziari;
  • Induzione indebita a dare o promettere utilità;
  • Abuso di ufficio;
  • Utilizzazione d’invenzioni o scoperte conosciute per ragioni di ufficio;
  • Rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio;
  • Rifiuto di atti d’ufficio;
  • Rifiuto o ritardo di obbedienza commesso da un militare o da un agente della forza pubblica;
  • Interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità;
  • Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa.

[25] Le soglie di rilevanza europea sono state modificate a partire dal 1° gennaio 2014, come di seguito indicato:

  1. euro 5.538.000 per gli appalti pubblici di lavori e per le concessioni;
  2. euro 143.000 per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati dalle stazioni appaltanti che sono autorità governative centrali indicate nell'allegato I alla direttiva 2014/24/UE; se gli appalti pubblici di forniture sono aggiudicati da stazioni appaltanti operanti nel settore della difesa, questa soglia si applica solo agli appalti concernenti i prodotti menzionati nell'allegato III alla direttiva 2014/24/UE;
  3. euro 221.000 per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati da stazioni appaltanti sub-centrali; questa soglia si applica anche agli appalti pubblici di forniture aggiudicati dalle autorità governative centrali che operano nel settore della difesa, quando gli appalti concernono prodotti non menzionati nell’’allegato III alla direttiva 2014/24/UE;
  4. euro 750.000 per gli appalti di servizi sociali e assimilati elencati all'allegato XIV alla direttiva 2014/24/UE.

Nei settori speciali le soglie di rilevanza europea sono:

  1. euro 5.538.000 per gli appalti di lavori;
  2. euro 443.000 per gli appalti di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione;
  3. euro 1.000.000 per i contratti di servizi, per i servizi sociali e assimilati elencati nell’allegato XIV alla direttiva 2014/24/UE.

[26] L’art. 15, comma 7, del D.lgs. n. 36/2023 dispone che “Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti, in coerenza con il programma degli acquisti di beni e servizi e del programma dei lavori pubblici di cui all’articolo 37, adottano un piano di formazione per il personale che svolge funzioni relative alle procedure in materia di acquisti di lavori, servizi e forniture”;

[27] A. Massari (a cura di), Gli appalti pubblici dopo il nuovo Codice: primo commento al D.lgs. n. 36/2023, Appalti e Contratti, Maggioli Editore;

[28] A. Massari (a cura di), Gli appalti pubblici dopo il nuovo Codice: primo commento al D.lgs. n. 36/2023, Appalti e Contratti, Maggioli Editore;

[29] A. Massari (a cura di), Gli appalti pubblici dopo il nuovo Codice: primo commento al D.lgs. n. 36/2023, Appalti e Contratti, Maggioli Editore;

[30] A. Massari (a cura di), Gli appalti pubblici dopo il nuovo Codice: primo commento al D.lgs. n. 36/2023, Appalti e Contratti, Maggioli Editore;

[31] Casadio, Randi, La responsabilità unica del procedimento e la struttura amministrativa dei contratti pubblici, in Caringella, Giustiniani, Mantini (a cura di), Trattato dei contratti pubblici, Roma, 2021;

[32] Il parere richiamato è consultabile sul sito del Servizio Supporto Giuridico del MIT, reperibile al link https://www.serviziocontrattipubblici.com/Home/QuestionDetail/2090;

[33] In tema di responsabilità precontrattuale, come si evince dalla Relazione Illustrativa al D.lgs. n. 36/2023, l’art. 5 del richiamato testo di legge, in linea con gli ultimi orientamenti sia dell’Adunanza Plenaria sia delle Sezioni Unite, e come in generale stabilito dalla Legge n. 241/1990 (art. 1, comma 2-bis), introduce una norma specifica sull’obbligo reciproco di correttezza (per PA e operatore economico) che, a maggior ragione, si giustifica nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica, le quali hanno una chiara valenza pre-contrattuale. Inoltre, pur non intervenendo sul riparto di giurisdizione, la norma in commento si basa comunque sul presupposto secondo cui la lesione dell’affidamento che viene in rilievo nell’ambito del procedimento di gara, anche quando realizzato mediante comportamenti, presenta un forte collegamento con l’esercizio del potere e, pertanto, anche quando il privato lamenta la lesione della propria libertà di autodeterminazione negoziale, la relativa controversia risarcitoria non può che rientrare nella giurisdizione amministrativa, specie in considerazione del fatto che, nella materia degli appalti pubblici, il giudice amministrativo gode di giurisdizione esclusiva (art. 133, comma 1, lett. E), n. 1, c.p.a.) che si estende, oltre che ai comportamenti amministrativi, anche alle controversie risarcitorie.

[34] Relazione tecnica e illustrativa al D.lgs. n. 36/2023, pag. 36;

[35] L’art. 24 della Direttiva Europea 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici espressamente dispone che “Gli Stati membri provvedono affinché le amministrazioni aggiudicatrici adottino misure adeguate per prevenire, individuare e porre rimedio in modo efficace a conflitti di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di tutti gli operatori economici. Il concetto di conflitto di interesse copre almeno i casi in cui il personale di un’amministrazione aggiudicatrice o di un prestatore di servizi che per conto dell’amministrazione aggiudicatrice interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti o può influenzare il risultato di tale procedura ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto.”

[36] V. Parere Consiglio di Stato n. 667/2019 – Sezione Consultiva per gli Atti Normativi – Adunanza di Sezione del 31 gennaio 2019, avente ad oggetto “Schema di Linee Guida aventi ad oggetto ‘Individuazione e gestione dei conflitti di interesse nelle procedure di affidamento di contratti pubblici”, in attuazione dell’articolo 213, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50”;

[37] L’art. 32 dell’Allegato II.14 individua i contratti di servizi e forniture di particolare importanza, per qualità e importo delle prestazioni, nei quali è previsto, ai sensi dell’art. 114, comma 8, del Codice, che il direttore dell’esecuzione debba essere diverso dal RUP. Sono considerati servizi di particolare importanza, indipendentemente dall’importo, gli interventi particolarmente complessi sotto il profilo tecnologico, le prestazioni che richiedono l’apporto di una pluralità di competenze, gli interventi caratterizzati dall’utilizzo di componenti o di processi produttivi innovativi o dalla necessità di elevate prestazioni per quanto riguarda la loro funzionalità e i servizi che, per ragioni concernenti l’organizzazione interna alla stazione appaltante, impongano il coinvolgimento di unità organizzativa diversa da quella cui afferiscono i soggetti che hanno curato l’affidamento. In via di prima applicazione, sono individuati i seguenti servizi:

  1. Servizi di telecomunicazione;
  2. Servizi finanziari, distinti in servizi assicurativi e servizi bancari e finanziari;
  3. Servizi informatici e affini;
  4. Servizi di contabilità, revisione dei conti e tenuta dei libri contabili;
  5. Servizi di consulenza gestionale e affini;
  6. Servizi di pulizia degli edifici e di gestione delle proprietà immobiliari;
  7. Eliminazione di scarichi di fogna e di rifiuti, disinfestazione e servizi analoghi;
  8. Servizi alberghieri e di ristorazione;
  9. Servizi legali;
  10. Servizi di collocamento e reperimento di personale;
  11. Servizi sanitari e sociali;
  12. Servizi ricreativi, culturali e sportivi.

[38] M. Giustiniani, nel volume di F. Caringella (diretto da), Il nuovo Codice dei contratti Pubblici, Giuffrè …, Milano, 2023;

[39] v. ANAC Parere Funz. Cons. n. 11/2023, Affidamento servizi di supporto al RUP;

[40] Atto del Pres. dell’Autorità del 25.10.2022, fasc. 4264/2022; delibera ANAC n. 676/2021;

[41] L’art. 225, comma 8, del Codice espressamente dispone che “In relazione alle procedure di affidamento e ai contratti riguardanti investimenti pubblici, anche suddivisi in lotti, finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR e dal PNC, nonché dai programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell’Unione Europea, ivi comprese le infrastrutture di supporto ad essi connesse, anche se non finanziate con dette risorse, si applicano, anche dopo il 1° luglio 2023, le disposizioni di cui al decreto-legge n. 77 del 2021, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 108 del 2021, al decreto-legge 24 febbraio 2023, n. 13, nonché le specifiche disposizioni legislative finalizzate a semplificare e agevolare la realizzazione degli obiettivi stabiliti dal PNRR, dal PNC nonché dal Piano Nazionale integrato per l’energia e il clima 2030 di cui al regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018;

[42] Cfr. A. Massari (a cura di), Gli appalti pubblici dopo il nuovo Codice: primo commento al D.lgs. n. 36/2023, Appalti e Contratti, Maggioli Editore;

[43] La competenza del RUP e il supporto della Commissione aggiudicatrice (Commento a Cons. St. V, n. 1371/2020), in Italiappalti.it, 2 aprile 2020;

[44] cfr. Relazione Illustrativa e tecnica al D.lgs. n. 36/2023, pag. 79;

[45] L’incompatibilità del RUP da “interferenze” nelle funzioni della commissione di gara, in Italiappalti.it, 14 giugno 2018;

[46] cfr. Relazione Illustrativa e tecnica al D.lgs. n. 36/2023, pag. 79;

[47] Cfr. A. Massari (a cura di), Gli appalti pubblici dopo il nuovo Codice: primo commento al D.lgs. n. 36/2023, Appalti e Contratti, Maggioli Editore;

[48] Si precisa che l’art. 93, comma 7, estende l’obbligo di rendere le dichiarazione di assenza circa eventuali cause di incompatibilità anche nei confronti dei componenti del Seggio di Gara, disponendo a tal fine che “Nelle procedure di aggiudicazione di contratti di appalto con il criterio del minor prezzo o costo, la valutazione delle offerte è effettuata da un seggio di gara, anche monocratico, composto da personale della stazione appaltante, scelto secondo criteri di trasparenza e competenza, al quale si applicano le cause di incompatibilità di cui alle lettere b) e c) del comma 5.”;

[49] V. anche Protocollo d’intesa per l’attuazione del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza e ulteriori profili di collaborazione, sottoscritto il 17 dicembre 2021 tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’Autorità Nazionale Anticorruzione e la Delibera n. 141 del 30 marzo 2022, con la quale sono state approvate le Linee guida – Prima fase;

[50] V. Art. 2, comma 4, del D.lgs. n. 36/2023 (Principio della fiducia);

[51] L’art. 37 del D.lgs. n. 36/2023 prevede, attualmente, che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti adottino il programma triennale dei lavori pubblici e il programma triennale degli acquisti di beni e servizi, per acquisti di importo pari o superiore alla soglia di cui all’art. 50, comma 1, lett. a) del decreto (Euro 150.000) in materia di lavori e acquisti di importo pari o superiore alla soglia di cui all’art. 50, comma 1, lett. b) del decreto (Euro 140.000) in materia di servizi e forniture. Tali programmi e i relativi aggiornamenti sono pubblicati sul sito istituzionale e nella banca dati nazionale dei contratti pubblici.

[52] V. Relazione illustrativa al nuovo Codice dei Contratti Pubblici – Parte II – Digitalizzazione del ciclo di vita dei contratti;

[53] L’art. 19, comma 5, del D.lgs. n. 36/2023 dispone che “Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti, nonché gli operatori economici che partecipano alle attività e ai procedimenti di cui al comma 3, adottano misure tecniche e organizzative a presidio della sicurezza informatica e della protezione dei dati personali. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti assicurano la formazione del personale addetto, garantendone il costante aggiornamento”;

[54] v. Relazione Illustrativa al D.lgs. n. 36/2023, pag. 67;

[55] L’art. 18 della Legge n. 109/1994 così disponeva: “1. Una somma non superiore all'1,5 per cento dell'importo posto a base di gara di un'opera o un lavoro, a valere direttamente sugli stanziamenti di cui all'articolo 16, comma 7, è ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con le modalità ed i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata ed assunti in un regolamento adottato dall'amministrazione, tra il responsabile unico del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo nonché tra i loro collaboratori. La percentuale effettiva, nel limite massimo dell'1,5 per cento, è stabilita dal regolamento in rapporto all'entità e alla complessità dell'opera da realizzare. La ripartizione tiene conto delle responsabilità professionali connesse alle specifiche prestazioni da svolgere. Le quote parti della predetta somma corrispondenti a prestazioni che non sono svolte dai predetti dipendenti, in quanto affidate a personale esterno all'organico dell'amministrazione medesima, costituiscono economie. I commi quarto e quinto dell'articolo 62 del regio decreto 23 ottobre 1925, n. 2537, sono abrogati. I soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, lettera b), possono adottare con proprio provvedimento analoghi criteri.

2. Il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato è ripartito, con le modalità ed i criteri previsti nel regolamento di cui al comma 1, tra i dipendenti dell'amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto.

2-bis. A valere sugli stanziamenti iscritti nei capitoli delle categorie X e XI del bilancio dello Stato, le amministrazioni competenti destinano una quota complessiva non superiore al 10 per cento del totale degli stanziamenti stessi alle spese necessarie alla stesura dei progetti preliminari, nonché dei progetti definitivi ed esecutivi, incluse indagini geologiche e geognostiche, studi di impatto ambientale ed altre rilevazioni, alla stesura dei piani di sicurezza e di coordinamento e dei piani generali di sicurezza quando previsti ai sensi del decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494, e agli studi per il finanziamento dei progetti, nonché all'aggiornamento ed adeguamento alla normativa sopravvenuta dei progetti già esistenti d'intervento di cui sia riscontrato il perdurare dell'interesse pubblico alla realizzazione dell'opera. Analoghi criteri adottano per i propri bilanci le regioni e le province autonome, qualora non vi abbiano già provveduto, nonché i comuni e le province e i loro consorzi. Per le opere finanziate dai comuni, province e loro consorzi e dalle regioni attraverso il ricorso al credito, l'istituto mutuante è autorizzato a finanziare anche quote relative alle spese di cui al presente articolo, sia pure anticipate dall'ente mutuatario.

2-ter. I pubblici dipendenti che abbiano un rapporto di lavoro a tempo parziale non possono espletare, nell'ambito territoriale dell'ufficio di appartenenza, incarichi professionali per conto di pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, se non conseguenti ai rapporti d'impiego.

2-quater. É vietato l'affidamento di attività di progettazione, direzione lavori, collaudo, indagine e attività di supporto a mezzo di contratti a tempo determinato od altre procedure diverse da quelle previste dalla presente legge.”

[56] L’art. 92, comma 5, del D.lgs. n. 163/2006, nella sua versione originaria, così disponeva: “Una somma non superiore al due per cento dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un lavoro, comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell'amministrazione, a valere direttamente sugli stanziamenti di cui all'articolo 93, comma 7, è ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata e assunti in un regolamento adottato dall'amministrazione, tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori. La percentuale effettiva, nel limite massimo del due per cento, è stabilita dal regolamento in rapporto all'entità e alla complessità dell'opera da realizzare. La ripartizione tiene conto delle responsabilità professionali connesse alle specifiche prestazioni da svolgere. Le quote parti della predetta somma corrispondenti a prestazioni che non sono svolte dai predetti dipendenti, in quanto affidate a personale esterno all'organico dell'amministrazione medesima, costituiscono economie. I soggetti di cui all'articolo 32, comma 1, lettere b) e c), possono adottare con proprio provvedimento analoghi criteri.

[57] Art. 24, comma 3, D.lgs. n. 165/2001: “Il trattamento economico determinato ai sensi dei commi 1 e 2 remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti in base a quanto previsto dal presente decreto, nonché qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall'amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa; i compensi dovuti dai terzi sono corrisposti direttamente alla medesima amministrazione e confluiscono nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio della dirigenza.”;

[58] v. Relazione illustrativa al Nuovo Codice dei Contratti Pubblici, art. 45, pag. 67;

[59] v. I. Panzani, Gli incentivi alle funzioni tecniche nel nuovo Codice dei contratti pubblici, MediaAppalti, 13 giugno 2023;

[60] v. G. Vella, Gli incentivi tecnici nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici, in Rivista Corte dei Conti n. 3/2023, evidenzia che “se è vero che rileva, ai fini dell’erogazione degli incentivi, qualsiasi tipologia di affidamento, è pur vero che quest’ultimi sono compensi previsti in favore dei dipendenti delle amministrazioni aggiudicatrici, a fronte dello svolgimento di determinate attività finalizzate alla conclusione di affidamenti di lavori, servizi e forniture, che operano in deroga al principio di onnicomprensività della retribuzione, enunciato all’art. 24, comma 3, del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. Ciò impone, anche con la nuova formulazione della materia ad opera dell’art. 45 del nuovo Codice, un’attività ulteriore che legittimi il ricorso a tale istituto. Proprio in tale direzione, la disciplina degli incentivi per funzioni tecniche, come specificato dalla copiosa giurisprudenza sul tema, ha valorizzato sempre la complessità dell’attività posta in essere, quale presupposto che legittimi l’erogazione del contributo. Si, dunque, all’ammissibilità dell’incentivo di cui al comma 2 per qualsiasi affidamento di lavori, forniture e servizi, ma l’attività incentivabile deve essere connotata, non dall’ordinarietà dell’attività spettante ius offici, ma da una complessità che legittimi la deroga al principio dell’onnicomprensività della retribuzione”.

[61] v. A. Massari (a cura di), Gli appalti pubblici dopo il nuovo Codice, primo commento al D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, in Appalti&Contratti, Maggioli Editore;

[62] v. Sent. Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, deliberazione 21 settembre 2020, (121/2020/PAR);

[63] L’articolo 23, comma 2, del D.lgs. n. 75/2017 dispone “Nelle more di quanto previsto dal comma 1, al fine di assicurare la semplificazione amministrativa, la valorizzazione del merito, la qualità dei servizi e garantire adeguati livelli di efficienza ed economicità dell'azione amministrativa, assicurando al contempo l'invarianza della spesa, a decorrere dal 1° gennaio 2017, l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non può superare il corrispondente importo determinato per l'anno 2016”;

[64] Con parere n. 2059/2023, il MIT ha confermato la tesi dell’ente richiedente, disponendo che “la disposizione di cui all’art. 8, c. 5, DL 13/2023, convertito con la L. 41/2023, è disposizione speciale, la cui deroga rispetto alle regole ordinarie (d. lgs n. 36/2023) è valida solo per gli appalti PNRR-PNC. Pertanto dalla lettura coordinata delle disposizioni di cui all’art. 8, co. 5, d.l. 13/2023 e all’art. 225, co. 8, D.lgs. 36/2023 risulta che l’art. 8 del dl n.13/2023 consente di erogare anche ai dirigenti gli incentivi per funzioni tecniche per i progetti PNRR-PNC e limitatamente al periodo 2023-2026, purché i criteri di riparto siano oggetto di accordo in sede di contrattazione decentrata e poi trasfusi in un regolamento come previsto dall’art. 113 del D.lgs. 50/2016.”. Il parere è consultabile al link

https://www.serviziocontrattipubblici.com/Supportogiuridico/Home/QuestionDetail/2059

[65] V. Sent. Corte dei Conti, Sezione Regionale di Controllo per la Regione Toscana, deliberazione n. 3/2024/PAR, secondo cui: a) nulla vieta di erogare l’incentivo anche al personale dipendente non appartenente ai profili professionali “tecnici”. Il Collegio, sia alla luce di precedenti giurisprudenziali sia dal tenore letterale delle norme, ritiene che ai fini dell’attribuzione dell’incentivo tecnico non rilevi il profilo professionale “tecnico” (anche se di regola presente), bensì la concreta esplicazione di attività tecniche legate alla procedura contrattuale (anche se svolta da collaboratori amministrativi). Si veda Deliberazione n. 196/2923, stessa Sezione (…) “le disposizioni in parola prevedono che la corresponsione dell’incentivo venga effettuata a seguito dell’'accertamento delle specifiche attività, o delle specifiche funzioni tecniche svolte dai dipendenti”; b) considerando che l’elencazione delle attività incentivabili è da considerarsi tassativa e caratterizzata da una propria specificità (tecnica), tra le stesse non possono essere ricomprese “tutte quelle attività che non riguardano direttamente le procedure di affidamento ed esecuzione, come le attività finanziarie le quali, seppur necessarie al fine del buon esito della procedura, e comunque connotate da una certa tecnicità, hanno natura diversa” (Sez. di controllo Toscana deliberazione n. 196/2023/PAR). Pertanto, appare da escludere l’incentivazione di attività riferibili alla predisposizione del programma triennale dei lavori pubblici e del programma biennale (adesso triennale) degli acquisti di beni e servizi in considerazione della mancanza di una diretta connessione con la singola procedura contrattuale; c) in caso di PPP, il Collegio condivide l’orientamento che ammette la possibilità di estendere a tale fattispecie la possibilità di erogare incentivi, sempre che le attività svolte siano quelle previste dall’art. I.10 del D.lgs. n. 36/2023 e gli incentivi siano “a carico degli stanziamenti previsti per le singole procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture negli stati di previsione della spesa o nei bilanci delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti”, come prescritto dal comma 1 dell’art. 45 del D.lgs. n. 36/2023;

[66] V. C. Dell’Erba, L’applicazione delle nuove regole per l’incentivo alle funzioni tecniche, Appalti&Contratti, Maggioli Editore, 18 maggio 2023;

[67] V. S. Biancardi, Con il nuovo Codice è confermata la copertura assicurativa per i progetti interni, in Appalti e Contratti, 7 febbraio 2024;

[68] Art. 2, comma 4, del D.lgs. n. 36/2023: “per promuovere la fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti adottano azioni per la copertura assicurativa dei rischi per il personale, nonché per riqualificare le stazioni appaltanti e per rafforzare e dare valore alle capacità professionali dei dipendenti, compresi i piani di formazione di cui all’articolo 15, comma 7”;

[69] Art. 45, comma 7, del D.lgs. n. 36/2023: “una parte delle risorse di cui al comma 5 è in ogni caso utilizzata: […] c) per la copertura degli oneri di assicurazione obbligatoria del personale”;

[70] All’art. 5 dell’Allegato I.7 è previsto che nel quadro economico dell’intervento, tra le somme a disposizione della stazione appaltante, sono incluse (tra l’altro) le spese di cui al citato art. 45, commi 6 e 7;

[71] v. parere n. 2163/2023 del Servizio Supporto Giuridico, reperibile al link

https://www.serviziocontrattipubblici.com/Supportogiuridico/Home/QuestionDetail/2163;

[72] v. Sent. Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per il Piemonte, deliberazione 27 ottobre 2023, n. 89/2023/SRCPIE/PAR;

[73] Come osserva la Corte, il necessario referente normativo di tale forma di responsabilità è da rinvenirsi nell’art. 28 della Carta Fondamentale laddove, accanto alla regola della responsabilità diretta dell’agente pubblico (“i funzionari dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione dei diritti”), viene ad aggiungersi quella della responsabilità dell’Amministrazione basata sul meccanismo civilistico della responsabilità passiva (“la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”);

[74] v. tra le altre, Sent. Corte dei Conti, Sezione Regionale di Controllo per l’Emilia-Romagna, Deliberazione n. 182/2022/PAR del 1° dicembre 2022;