T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 28 settembre 2023, n. 2809

Deve considerarsi legittima la condotta della S.A. che decida di non prevedere la partecipazione alla gara di operatori economici le cui forniture sono prodotte in un Paese con il quale non vige un accordo di reciprocità; essa, infatti, fa propria una facoltà che la norma gli attribuisce in forma “espressa” nella fase di valutazione delle offerte, ma che non può ritenersi esclusa, anche per esigenze di economicità procedimentale ed efficienza della procedura, già nel momento di predisposizione e di successiva pubblicazione della lex specialis di gara.

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1125 del 2023, proposto da

Jindal Saw Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 97787152E6, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Di Lascio e Saul Monzani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Sidra S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Claudio Milazzo ed Enrico Canzonieri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

e con l'intervento di

ad opponendum:

Saint-Gobain Pam Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Maria Carla Minieri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

- del bando, del disciplinare e del capitolato della procedura CIG 97787152E6, avente ad oggetto “Risanamento e completamento della rete di trasporto primaria e interventi sui serbatoi esistenti forniture di tubazioni in ghisa sferoidale e pezzi speciali per la realizzazione del II e III stralcio funzionale”, nella parte in cui dispongono l'esclusione automatica delle offerte contenenti una parte dei prodotti originari di paesi terzi superiore al 50 % del valore totale dei prodotti che compongono l'offerta;

- di ogni atto connesso, presupposto o consequenziale, anche non conosciuto.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Sidra S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 settembre 2023 il dott. Francesco Fichera e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Jindal Saw Italia S.p.a., odierna ricorrente, è un’azienda italiana collegata alla società indiana Jindal Saw Ltd., società produttrice di tubazioni, tra le quali anche quelle in ghisa per gli acquedotti.

La produzione di questa tipologia di tubi è concentrata principalmente in India e Jindal Saw Italia ne cura la commercializzazione in tutta l’Unione Europea, partecipando alle gare indette negli Stati membri.

Con bando di gara pubblicato in data 12.05.2023, Sidra S.p.A. – società interamente partecipata dal Comune di Catania che ne gestisce il servizio idrico integrato – ha indetto procedura aperta ex art. 60 d.lgs. n. 50/2016, codice CIG: 97787152E6, codici CUP:H67H15001630004-H27H15002000006, nei settori speciali, da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa in base al miglior rapporto qualità/prezzo, per l’affidamento dell’appalto di forniture avente ad oggetto “Risanamento e completamento della rete di trasporto primaria e interventi sui serbatoi esistenti. Forniture di tubazioni in ghisa sferoidale e pezzi speciali per la realizzazione del II e III stralcio funzionale” del valore di € 11.587.723,60 (IVA esclusa), di cui € 7.532,80 per oneri per la sicurezza non soggetti a ribasso.

La fornitura oggetto dell’appalto è funzionale alla realizzazione dei lavori di “Risanamento e completamento della rete di trasporto primaria e interventi sui serbatoi esistenti”, secondo e terzo stralcio funzionale, finanziati a valere sul Fondo Sviluppo e Coesione 2021-2027 con Delibere CIPESS n. 1/2022 e 35/2022 a condizione che la stipula del contratto di appalto avvenga entro e non oltre il 31.12.2023.

Jindal Saw Italia non ha partecipato alla suddetta gara ritenendo che la correlata lex specialis non ne consentisse la partecipazione nella parte in cui richiede di fornire una quota di almeno il 50% delle tubazioni provenienti da Paesi dell’Unione Europea. La società ricorrente rileva, in particolare, che tale sbarramento risulti evidente alla luce delle seguenti clausole:

- art. 1 del capitolato, ove si prevede che “La fornitura dovrà essere effettuata nel rispetto all’indicazione dell’art. 137 comma 2 del D.Lgs. n. 50/2016, per cui la parte dei prodotti originari di paesi terzi, ai sensi del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento Europeo deve essere inferiore al cinquanta per cento del valore totale dei prodotti che compongono l’offerta”;

- art. 4 (“Specifiche tecniche”) del capitolato, paragrafo “Parte 1-Tubi in ghisa”, ove si legge: “Tubazioni in ghisa sferoidale prodotte in stabilimento certificato a norma EN ISO 9001 e conformi alla norma EN 545:2010 con certificato di prodotto emesso da organismo terzo accreditato da organismo firmatario il protocollo europeo per l'accreditamento secondo la norma UNI CEI EN ISO/IEC 17065, comprovante lo stabilimento di produzione e quindi l’origine in rispetto all’indicazione dell’art. 137 comma 2 del D.Lgs. n. 50/2016, per cui la parte dei prodotti originari di paesi terzi, ai sensi del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento Europeo deve essere inferiore al cinquanta per cento del valore totale dei prodotti che compongono l’offerta”;

- art. 13, punto 1 del capitolato (riproposto a pag. 19 del disciplinare), nella parte in cui non menziona - ai fini dell’attribuzione del correlato punteggio - le imprese le cui tubature siano state prodotte in Paesi terzi con i quali non vigono accordi di reciprocità ai sensi del Reg. UE n. 952/2013.

2. Con ricorso ritualmente notificato in data 12.06.2023 e depositato il successivo 16.06.2023, Jindal Saw Italia ha impugnato, chiedendone l’annullamento previa sospensione cautelare, il bando, il disciplinare e il capitolato della procedura in oggetto, nonché ogni atto connesso, presupposto o consequenziale, anche non conosciuto.

2.1. Gli atti impugnati sono stati censurati per i seguenti motivi: 1) Annullabilità degli atti gravati per violazione di legge (art. 85, comma 2, direttiva ue 25/2014; art. 137, comma 2, d.lgs. 50/2016), eccesso di potere (illogicità ed irragionevolezza manifeste), carenza assoluta di motivazione; 2) Annullabilità degli atti gravati per eccesso di potere (contraddittorietà esterna, illogicità manifesta).

2.1.1. Con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente rileva, preliminarmente, che la disciplina in tema di offerte contenenti prodotti originari di Paesi terzi nei c.d. settori speciali è contenuta, a livello eurounitario, nell’art. 85 della Direttiva 2014/25/UE, nonché, a livello nazionale, nell’art. 137 del d.lgs. 50/2016.

Il paragrafo 2 del predetto art. 85, in particolare, prevede che “Qualsiasi offerta presentata per l’aggiudicazione di un appalto di forniture può essere respinta se la parte dei prodotti originari di paesi terzi, ai sensi del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, supera il 50 % del valore totale dei prodotti che compongono l’offerta...”. L’art. 137, comma 2, del d.lgs. 50/2016, che ne recepisce il contenuto, a sua volta stabilisce che “Qualsiasi offerta presentata per l'aggiudicazione di un appalto di forniture può essere respinta se la parte dei prodotti originari di Paesi terzi, ai sensi del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, supera il 50 per cento del valore totale dei prodotti che compongono l'offerta. In caso di mancato respingimento dell'offerta a norma del presente comma, la stazione appaltante motiva debitamente le ragioni della scelta e trasmette all'Autorità la relativa documentazione…”.

La disciplina unionale di riferimento, pertanto, mostra un certo sfavore nei confronti dei prodotti provenienti da Paesi terzi, elemento, questo, non negato dalla ricorrente; il legislatore italiano, afferma Jindal Saw Italia, avrebbe reso ancora più netta la “corsia preferenziale” per i prodotti comunitari ponendo in capo alla stazione appaltante un preciso obbligo di motivazione laddove quest’ultima si determini a non escludere un’offerta presentata da un operatore che non soddisfi il requisito legato all’origine della propria produzione.

Ciò rilevato, per la società che ricorre in giudizio “entrambe le norme (eurounitaria e nazionale) non possono essere interpretate nel senso di esentare la stazione appaltante dall’onere di motivare la scelta di escludere le offerte contenenti la maggioranza di prodotti extracomunitari”. A supporto di tale precipitato interpretativo, vengono richiamati, nell’ordine: i) il canone dell’art. 12 delle Preleggi, secondo cui “Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”; ii) l’onere di motivazione di tutti i provvedimenti amministrativi; iii) la natura eccezionale delle disposizioni che limitano la possibilità di offrire prodotti extracomunitari (sia rispetto al principio di massima partecipazione alle gare, sia rispetto al principio per cui, in generale, i prodotti extracomunitari, se correttamente importati, possono essere commercializzati nell’UE). Per Jindal Saw Italia la lex specialis della procedura bandita da Sidra non consentirebbe già “a monte” la presentazione di offerte contenenti più del 50% di prodotti extracomunitari, risultando pertanto illegittima in quanto priva di motivazione ed espressione di un esercizio distorto dei margini di discrezionalità di cui la stazione appaltante gode, in astratto, nella scelta tra offerte di produttori extracomunitari e comunitari; sarebbe altresì elisa del tutto la logica di comparazione tra offerte (anche contenenti prodotti extracomunitari) che emerge al comma 3 dell’art. 137 del d.lgs. 50/2016, secondo cui “Salvo il disposto del presente comma, terzo periodo, se due o più offerte si equivalgono in base ai criteri di aggiudicazione di cui all’articolo 95, viene preferita l’offerta che non può essere respinta a norma del comma 2 del presente articolo. Il valore delle offerte è considerato equivalente, ai fini del presente articolo, se la differenza di prezzo non supera il 3 per cento. Tuttavia, un’offerta non è preferita ad un’altra in virtù del presente comma, se l’ente aggiudicatore, accettandola, è tenuto ad acquistare materiale con caratteristiche tecniche diverse da quelle del materiale già esistente, con conseguente incompatibilità o difficoltà tecniche di uso o di manutenzione o costi sproporzionati”. La scelta operata dalla stazione appaltante in sede di bando di gara avrebbe avvantaggiato, secondo la prospettazione della ricorrente, l’unica impresa europea produttrice di tubazioni in ghisa, Saint-Gobain Pam Italia S.p.A., unico operatore economico che ha presentato la propria offerta nella gara in oggetto.

2.1.2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente adduce che la stazione appaltante sarebbe incorsa anche nel vizio di eccesso di potere, nelle forme dell’illogicità manifesta e della contraddittorietà estrinseca, in quanto la restrizione applicata in sede di bando nei confronti delle imprese i cui beni sono prodotti al di fuori dell’UE non è stata invece applicata dalla stessa in altre procedure di gara. Tala diversità di scelte paleserebbe, secondo la ricorrente, profili di illogicità e contraddittorietà.

2.2. La parte ricorrente ha inoltre presentato istanza di rimessione di questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 TFUE.

Osserva Jindal Saw Italia che, ove l’articolo 137 del d.lgs. 50/2016 venisse interpretato da questo Collegio nel senso di consentire alla stazione appaltante di escludere senza motivazione tutte le offerte contenenti più del 50% di prodotti extracomunitari, sussisterebbe allora un contrasto tra la citata disposizione nazionale e l’art. 85 della Direttiva 2014/25/UE. A fronte di una norma europea “totalmente neutra”, continua la ricorrente, la scelta del legislatore italiano di prevedere un onore di debita motivazione solo nell’ipotesi di mancato respingimento sarebbe indice di un “travisamento” e di un “erroneo recepimento della corrispondente disposizione eurounitaria la quale, nel non prevedere nulla in punto di motivazione, non può che interpretarsi nel senso di esigere una qualche motivazione – in applicazione dei principi generali – sia nel caso di respingimento sia nel caso di mancato respingimento”. La norma nazionale censurata avrebbe pertanto introdotto una penalizzazione ex ante, definita dal ricorrente “ottusa e scriteriata”, di qualsivoglia potenziale offerta dei produttori extracomunitari.

3. Al fine di ricevere immediata tutela cautelare, in data 16.06.2023 Jindal Saw Italia ha presentato istanza di misure cautelari monocratiche ai sensi dell’art. 56 c.p.a. al fine di ottenere una tempestiva sospensione delle operazioni di gara, il cui inizio veniva fissato per il 19.06.2023.

4. Con decreto cautelare n. 280 del 19.06.2023 questo Tribunale, rilevata la presenza del dedotto requisito di estrema gravità e urgenza previsto dall’art. 56 c.p.a., ha accolto l’istanza della ricorrente ai soli e limitati fini della sospensione di tutte le operazioni di gara.

5. Con memoria del 02.07.2023, l’Amministrazione resistente Sidra S.p.A., regolarmente costituitasi in giudizio il 19.06.2023, ha eccepito in via pregiudiziale l’inammissibilità dell’impugnazione immediata della lex specialis di gara per carenza di interesse e carenza di legittimazione - non avendo la concorrente preso parte alla gara mediante la presentazione di regolare domanda - e ha controdedotto sui motivi di ricorso.

5.1. Con riguardo all’eccezione di inammissibilità, Sidra osserva che le disposizioni del capitolato speciale di gara non abbiano precluso la partecipazione nei confronti di aziende produttrici di beni originari di Paesi terzi, né tantomeno ne hanno vietato la partecipazione in forma aggregata. L’impugnazione proposta, pertanto, si porrebbe al di fuori del perimetro disegnato negli anni dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato in materia di clausole immediatamente escludenti. Jindal Saw Italia, quale operatore del settore rimasto estraneo alla procedura di affidamento, non vanterebbe quindi alcuna legittimazione a ricorrere in quanto portatore di un interesse di mero fatto, come tale non qualificato e non differenziato, alla caducazione dell'intera selezione.

5.2. L’amministrazione resistente rileva altresì l’infondatezza dei motivi di ricorso.

5.2.1. Per quanto concerne la prima doglianza, con riguardo alla ratio sottesa all’art. 137 del d.lgs. 50/2016, viene evidenziato che tale norma “assume, infatti, una funzione di tutela della produzione comunitaria e, in primo luogo a tutela dell’occupazione nell’UE, che può subire compromissioni per effetto dei meccanismi della cd. globalizzazione dell’economia; essa è, dunque, posta a protezione di valori fondamentali, quali la tutela dei lavoratori europei e dei loro standard di occupazione, sicurezza e retribuzione che, se violati, con conseguente maggiore convenienza dei prodotti aventi costi di produzione inferiore, costituiscono forme di concorrenza sleale compromettenti valori fondamentali della persona, inammissibili nel nostro sistema europeo” (Cons. Stato, Sez. V, 8 giugno 2015, n. 2800). Tale impostazione, peraltro, troverebbe conferma nel documento “Linee guida sulla partecipazione di offerenti e beni di paesi terzi al mercato degli appalti dell’UE” redatto dalla Commissione Europea nel 2019, ove si legge che al fine di salvaguardare gli interessi dell’Unione Europea “alla luce delle pratiche sleali di paesi terzi, utilizzando appieno gli strumenti di difesa commerciale e le nostre norme in materia di appalti pubblici, nonché garantendo l’effettiva reciprocità in materia di appalti pubblici con i paesi terzi…gli operatori economici di paesi terzi che non hanno alcun accordo che prevede l’apertura del mercato degli appalti dell’UE o i cui beni, servizi e lavori non sono contemplati in un tale accordo, non hanno un accesso garantito alle procedure di appalto nell’UE e possono essere esclusi”. Tale logica implica, conseguentemente, che “I committenti pubblici che operano nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali possono respingere le offerte per contratti di fornitura se la parte dei prodotti originari di un paese terzo supera il 50% del valore totale dei prodotti che compongono l’offerta. Tale regime si applica unicamente ai prodotti originari di paesi terzi non contemplati da un accordo che garantisce un accesso comparabile ed effettivo delle imprese dell’Unione ai mercati di tali paesi terzi. Qualora, invece di respingere tale offerta, un committente pubblico permetta la sua partecipazione alla procedura di appalto, esso sarà tenuto a privilegiare le offerte equivalenti contenenti meno del 50% di prodotti originari di paesi terzi” (cfr. Comunicazione della Commissione C(2019) 5494 final).

Sidra dà altresì conto della giurisprudenza nazionale sviluppatasi sull’applicazione dell’art. 137 del d.lgs. 50/2016 – secondo cui “la stazione appaltante deve motivare esclusivamente la scelta di ammettere l’offerta che abbia ad oggetto prodotti originari di Paesi terzi in misura superiore al 50%, non la scelta di escluderle. Tali offerte possono essere respinte senza necessità di motivazione” (T.A.R. Veneto, Sez. I, 8 febbraio 2021, n. 174) – nonché riporta un estratto della Delibera ANAC n. 696 del 03.07.2019, ove, con specifico riguardo all’applicazione della predetta norma settoriale di derivazione unionale, viene rilevato che “la stazione appaltante può prevedere nel disciplinare di avvalersi della facoltà di legge, disponendo l’esclusione a suo insindacabile giudizio al verificarsi di un dato meramente quantitativo e cioè quando la parte dei prodotti originari di Paesi terzi superi il 50% del valore totale dei prodotti che compongono l’offerta, laddove in caso di ammissione del concorrente, la stazione appaltante deve invece motivare debitamente le ragioni della scelta trasmettendo all’Autorità la relativa documentazione…”.

L’amministrazione che resiste nel presente giudizio rileva, inoltre, che l’asserita situazione di favor scaturita dal bando di gara a favore di Saint-Gobain Pam Italia S.p.A. sia in realtà da escludere per la pacifica esistenza di altri produttori europei di tubazioni in ghisa, nonché dalla possibilità, anche per produttori di Paesi terzi quali Jindal Saw Italia, di partecipare in forma aggregata ovvero con subappalto alle procedure indette in conformità alla Direttiva 2014/25/UE.

La presunta valenza escludente che la società ricorrente attribuisce all’art. 13 del capitolato di gara - la quale attribuisce un massimo di quattro punti alle offerte con prodotti provenienti integralmente da paesi UE e non prevede l’attribuzione di punti a favore di produttori extra UE - secondo Sidra non avrebbe rappresentato, tra l’altro, un ostacolo all’eventuale aggiudicazione dell’appalto in favore di Jindal Saw Italia, tenuto conto della possibilità per quest’ultima di incrementare il proprio punteggio sulla base di altre componenti dell’offerta (es. caratteristiche del servizio di consegna).

5.2.2. Per la stazione appaltante anche il secondo motivo di gravame sarebbe infondato, posto che la decisione di escludere le offerte contenenti una rilevante quota di prodotti provenienti da Paesi terzi avrebbe integrato una libera scelta coerente con il dettato normativo e, quindi, priva di illogicità e contraddittorietà. Viene a tal fine riportata quella giurisprudenza amministrativa secondo cui “Del tutto irrilevante (…) è il fatto che in precedenti affidamenti la stazione appaltante abbia deciso di non escludere sin dagli atti di indizione della gara le offerte di prodotti di Paesi terzi” (T.A.R. Veneto, Sez. I, 8 febbraio 2021, n. 174).

5.3. In merito all’istanza di rimessione della questione pregiudiziale alla CGUE presentata dalla ricorrente, Sidra rileva che non vi sarebbe alcuna traccia né nella direttiva, né nella trasfusa normativa nazionale, di un obbligo motivazionale relativo al prevedere la limitazione del 50% nell’offerta di prodotti extra UE. Viene altresì evidenziata l’erroneità dell’interpretazione della ricorrente secondo cui la regola escludente prevista dalla norma unionale di riferimento, così come recepita dal legislatore italiano, avrebbe una matrice anticoncorrenziale. Secondo Sidra le citate previsioni sono volte a garantire condizioni minime di tutela della par condicio tra le imprese che partecipano alle gare sul mercato degli appalti comunitari, con specifico riferimento ai casi in cui le forniture abbiano ad oggetto prodotti originari di Paesi terzi. In particolare, si tratterebbe di una forma specifica di tutela che rileva quando la par condicio venga messa a rischio di lesione ove vengono offerti beni prodotti in Paesi terzi con costi di produzione molto bassi e regole di mercato ben più competitive di quelle europei. La facoltà di esclusione sancita dall’art. 137 del d.lgs. n. 50/2016, lungi dall’integrare una misura limitativa della concorrenza, sarebbe quindi dettata proprio dal fine di garantire la concorrenza sostanziale tra gli operatori economici. L’UE si è infatti impegnata - per il tramite di diversi accordi internazionali - a concedere accesso al proprio mercato degli appalti pubblici per alcuni lavori, forniture, servizi ad operatori economici di diversi Paesi terzi. Conseguentemente, le direttive sugli appalti pubblici prevedono che i committenti pubblici dell’UE accordino ai lavori, alle forniture, ai servizi e agli operatori economici dei firmatari di tali accordi un trattamento non meno favorevole di quello concesso ai lavori, alle forniture, ai servizi e agli operatori economici dell’Unione, nella misura in cui questi siano contemplati da tali accordi (cfr. art. 43 della Direttiva 2014/25/UE).

L’art. 85 della Direttiva 2014/25/UE, come previsto al paragrafo 1 della stessa norma, si applica alle “offerte contenenti prodotti originari di paesi terzi con cui l’Unione non ha concluso, in un contesto multilaterale o bilaterale, un accordo che garantisca un accesso comparabile ed effettivo delle imprese dell’Unione ai mercati di tali paesi terzi. L’India, Paese ove è collocata la produzione delle tubature oggetto della procedura di gara, non ha realizzato tali tipologie di accordi con l’Unione Europea.

In definitiva, per la stazione appaltante la questione pregiudiziale proposta si risolverebbe nella censura della direttiva stessa e non della sua applicazione in Italia.

6. A seguito della camera di consiglio del 5.07.2023, con ordinanza n. 326 del 6.07.2023, il Tribunale ha rigettato l’istanza cautelare presentata dalla ricorrente, considerato preminente, nel bilanciamento degli interessi contrapposti, “quello dell’amministrazione resistente a proseguire con la procedura di gara, al fine di non incorrere nel rischio di perdere il finanziamento per la realizzazione dell’opera di cui trattasi”.

7. In data 19.07.2023 è intervenuta ad opponendum in giudizio Saint-Gobain Pam Italia S.p.A., la quale con successiva memoria del 28.07.2023 ha preliminarmente osservato di non essere l’unica società europea produttrice di tubazioni in ghisa sferoidale, oggetto dell’appalto in oggetto, come invece sostenuto da parte ricorrente (sarebbero attive nel mercato e nelle correlate procedure di gara almeno la tedesca Vonroll Hydro Duktus e l’austriaca Tiroler Rohre GmbH).

Quanto ai motivi di ricorso, Saint-Gobain ne ha rilevato l’infondatezza, adducendo, inoltre, che l’art. 137, la cui formulazione è stata sindacata da parte ricorrente tramite questione pregiudiziale europea, non si riferisce genericamente a tutti i “Paesi terzi” ma solo a quei Paesi terzi che non hanno concluso con l’U.E. un accordo “che garantisca un accesso comparabile ed effettivo delle imprese dell'Unione ai mercati di tali paesi”. Per la società interveniente ricadrebbero pertanto nella previsione della norma solo i prodotti provenienti dai Paesi che non hanno sottoscritto il GPA-Agreement on Government Procurement, accordo multilaterale nato nel 2012 nell’ambito del WTO, unico a garantire reciprocità nel settore degli appalti pubblici, al quale non ha aderito l’India.

Il rinvio pregiudiziale chiesto da Jindal Saw Italia, pertanto, non sarebbe rilevante in quanto privo di utilità ai fini del presente giudizio, poiché la corretta applicazione del diritto comunitario si pone con chiarezza, univocità ed evidenza tale da non dare adito a nessun ragionevole dubbio interpretativo.

8. Con memoria dello stesso 28.07.2023, parte ricorrente ha replicato alle controdeduzioni dell’amministrazione che resiste in giudizio, insistendo per l’accoglimento dei propri motivi di ricorso. Jindal Saw Italia ha altresì eccepito l’inammissibilità dell’atto di intervento ad opponendum di Saint-Gobain, rilevando il vizio di inesistenza o quantomeno di nullità della relativa procura alle liti. Viene in particolare evidenziato che, sebbene l’atto di procura abbia la forma di un documento PDF c.d. nativo, le firme apposte in calce al documento siano “mere rappresentazioni grafiche sprovviste di qualsiasi collegamento fisico o digitale con il presunto firmatario”. La procura alle liti sarebbe pertanto inesistente o nulla in quanto sprovvista di qualsivoglia firma, digitale o analogica, del legale rappresentante di Saint-Gobain.

9. Nella stessa giornata del 28.07.2023 Saint-Gobain ha provveduto a rinotificare e depositare in via prudenziale il proprio atto di intervento in giudizio nonchè a depositare nuovamente la propria memoria scritta ex art. 73 c.p.a..

10. Con memoria di replica del 1.09.2023 parte ricorrente ha insistito sull’inammissibilità del primo atto di intervento ad opponendum di Saint-Gobain e ha eccepito l’irricevibilità del successivo intervento in giudizio. Viene in particolare rilevato che il deposito dello stesso (munito di nuova procura) avvenuto alle ore 18:45 del 28.07.2023 sia fuori termine, dovendosi ritenere che il disposto di cui all’articolo 50, comma 3, c.p.a. – ai sensi del quale “Il deposito dell’atto di intervento di cui all’art. 28, comma 2, è ammesso fino a trenta giorni prima dell’udienza” (15 giorni nel rito appalti) – debba essere interpretato nel senso di considerare i trenta giorni (15 nel rito appalti) utili per l’intervento in giudizio quali “giorni liberi”, sebbene la norma non contenga tale precisazione. Tale approccio ermeneutico, continua la ricorrente, sarebbe coerente con la disciplina prevista dall’art. 73 c.p.a. con riguardo al deposito delle memorie in vista dell’udienza pubblica, ove i giorni utili ai fini del deposito sono espressamente considerati come “giorni liberi”. Il secondo atto di intervento sarebbe conseguentemente irricevibile perché depositato oltre le ore 12:00 del quindicesimo giorno libero antecedente alla data dell’udienza.

Jindal Saw Italia ha comunque replicato nel merito rispetto a quanto dedotto dall’interveniente Saint-Gobain con la succitata memoria e ha insistito per l’accoglimento del proprio ricorso.

11. Con memoria di replica del 2.09.2023 Saint-Gobain ha controdedotto rispetto all’eccezione di nullità della prima procura alle liti sollevata dalla ricorrente e ha altresì evidenziato che in ogni caso il secondo atto di intervento in giudizio è avvenuto entro i termini previsti dall’art. 50 c.p.a.; la società interveniente ha inoltre insistito per il respingimento del ricorso.

12. Con memoria di replica del 11.09.2023 l’amministrazione appaltante, odierna resistente, ha insistito nelle proprie difese chiedendo in via pregiudiziale la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e il suo rigetto nel merito.

13. Nell’udienza pubblica del 13.09.2023 la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

14. Attenendo all’integrità del contraddittorio tra le parti, il Collegio esamina preliminarmente l’eccezione di inammissibilità dell’intervento ad opponendum di Saint-Gobain Pam Italia S.p.a. sollevata dalla parte ricorrente per la rilevata nullità della procura speciale.

L’eccezione di inammissibilità è infondata e va respinta.

14.1. Secondo quanto statuito dalla giurisprudenza civile espressasi in materia, “(…) l'atto nativo digitale notificato deve essere ritualmente sottoscritto con firma digitale, potendo la mancata sottoscrizione determinare la nullità dell'atto stesso, fatta salva la possibilità di ascriverne comunque la paternità certa, in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo” (Cassazione civile, sez. III, 11/02/2021, n. 3571).

Il difensore ha attestato l’autenticità della firma autografa rilasciata dalla parte e dal tenore della procura è desumibile che lo stesso abbia identificato il sottoscrittore quale legale rappresentante di Saint-Gobain Pam Italia S.p.A, circostanza che presuppone non solo la verifica della certificazione relativa alla carica ricoperta all'interno della società, ma anche l'accertamento della sua identità fisica.

Tale autenticità, tra l’altro, sembra emergere ictu oculi anche dal confronto con la firma riportata nella seconda procura alle liti depositata cautelativamente in data successiva con il secondo atto di intervento. La paternità della firma apposta alla procura alle liti qui censurata risulta quindi comprovata dalla comparazione tra i due mandati difensivi.

L’asserito vizio della procura come eccepito da parte ricorrente, in assenza di una specifica disposizione che vi correli una sanzione espressa in termini di inesistenza o nullità, secondo il Collegio scema nel caso di specie in un’ipotesi di mera irregolarità, in applicazione del principio di tassatività delle nullità previsto dall’art. 156 c.p.c., co. 1, la cui ratio è esportabile al processo amministrativo in virtù della clausola generale di rinvio esterno prevista dall’art. 39 c.p.a..

Per costante orientamento anche della giurisprudenza amministrativa, invero, una procura alle liti è nulla quando in essa non sono indicati l’oggetto del ricorso, le parti contendenti né l'autorità davanti alla quale il ricorso è pendente (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 12/05/2022, n. 1107). Il vizio censurato da parte ricorrente non rientra in tale ristretto perimetro e, pertanto, degrada a vizio di irregolarità tale da non invalidare il primo atto di procura depositato in giudizio dal difensore dell’interveniente Saint-Gobain.

15. Anche ove la predetta eccezione di inammissibilità risultasse fondata, comunque priva di pregio sarebbe in ogni caso la successiva e correlata eccezione di tardività sollevata dalla ricorrente in ordine al secondo atto di intervento ad opponendum depositato cautelativamente da Saint-Gobain in data 28.07.2023.

15.1. Per costante giurisprudenza “Ai sensi dell'art. 50, comma 2, c.p.a., nel processo amministrativo il deposito dell'atto di intervento ex art. 28, comma 2, c.p.a. è ammesso fino a trenta giorni prima dell'udienza, giorni che non possono essere considerati «liberi» ex art. 73 c.p.a., potendo essere qualificati come giorni liberi solo quelli espressamente considerati tali dalla legge” (ex multis, T.A.R. Piemonte, Torino, sez. I, 08/09/2017, n. 1041).

Tenuto conto della peculiarità e della dimidiazione dei termini processuali del rito in materia di appalti, il nuovo deposito dell’atto di intervento operato da Saint-Gobain cautelativamente in data 28.07.2023 è invero avvenuto entro i termini processuali utili per esplicare i suoi effetti, risultando d’altra parte inutilizzabile la correlata memoria difensiva depositata dall’interveniente oltre le ore 12:00 dello stesso 28.07.2023.

Secondo quanto disposto dal primo comma dell’art. 73 c.p.a., invero, “Le parti possono produrre documenti fino a quaranta giorni liberi prima dell'udienza, memorie fino a trenta giorni liberi e presentare repliche, ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista dell’udienza, fino a venti giorni liberi”. Va infatti rammentato che per costante orientamento pretorio “Il termine delle ore 24.00 per il deposito degli atti di parte, previsto dell'art. 4, comma 4, primo periodo, disp. att. c.p.a ., vale solo per quegli atti processuali che non siano depositati in vista di una camera di consiglio o di un'udienza di cui sia (in quel momento) già fissata o già nota la data; invece, in presenza di una camera di consiglio o di un'udienza già fissata, il deposito effettuato oltre il termine delle ore 12.00 (previsto dal terzo periodo dello stesso comma 4 dell' art. 4 disp. att. c.p.a.) dell'ultimo giorno utile è inammissibile” (Consiglio di Stato, sez. III, 28/03/2022, n. 2247).

Rilevata la natura perentoria dei termini di cui all’art. 73 c.p.a. “in quanto espressione di un precetto di ordine pubblico sostanziale posto a presidio del contraddittorio e dell'ordinato lavoro del giudice”, la loro violazione conduce alla inutilizzabilità processuale delle memorie e dei documenti presentati tardivamente, da considerarsi tamquam non essent (ex multis, Consiglio di Stato sez. V, 21/06/2022, n. 5114; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 27/03/2017, n. 526).

16. Definito il perimetro delle parti legittimamente costituitesi nel presente giudizio, il Collegio esamina l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse e difetto di legittimazione sollevata dall’Amministrazione resistente.

L’eccezione è infondata.

16.1. Dal combinato disposto degli artt. 1, 4 e 13 del capitolato speciale di gara emerge che “la parte dei prodotti originari di paesi terzi, ai sensi del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento Europeo deve essere inferiore al cinquanta per cento del valore totale dei prodotti che compongono l’offerta”. Tale requisito, ad avviso del Collegio, preclude la partecipazione alla gara alle imprese che non ne siano in possesso, le quali devono essere considerate legittimate a impugnare la lex specialis di gara anche ove non abbiano presentato valida domanda di partecipazione.

Secondo la giurisprudenza espressasi in materia, invero, devono essere considerate immediatamente escludenti, tra le altre, le clausole che rendano la partecipazione alla gara incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile, o che per ragioni oggettive e non di normale alea contrattuale ne precludano un'utile partecipazione (Adunanza plenaria n. 4 del 2018; Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1474/2022).

Il Collegio non ignora l’orientamento pretorio secondo cui la presentazione di una domanda di partecipazione alla gara non sembrerebbe imporre all’operatore del settore alcun sproporzionato sacrificio. Secondo tale impostazione, in alcun modo la detta domanda di partecipazione può pregiudicare sul piano processuale l’operatore, poiché “nelle gare pubbliche l’accettazione delle regole di partecipazione non comporta l’inoppugnabilità di clausole del bando regolanti la procedura che fossero, in ipotesi, ritenute illegittime, in quanto una stazione appaltante non può mai opporre ad una concorrente un’acquiescenza implicita alle clausole del procedimento, che si tradurrebbe in una palese ed inammissibile violazione dei principi fissati dagli artt. 24, comma 1, e 113 comma 1, Cost., ovvero nella esclusione della possibilità di tutela giurisdizionale” (Consiglio di Stato, Sez. V, 17 marzo 2021 n. 2276; Consiglio di Stato, sez. III, 10 giugno 2016, n. 2507; Id., sez. V, 22 novembre 2017, n. 5438).

Tuttavia, a fronte di prescrizioni di gara che precludono, con certezza, ad un dato operatore di parteciparvi, l’onere della loro immediata impugnazione costituisce per altro verso un rimedio quanto mai efficace per evitare forme di partecipazione alle gare “esplorative”, se non addirittura “opportunistiche”, ossia con la riserva di impugnarne successivamente gli esiti, laddove sfavorevoli (Cons. Stato, Sez. V, 26 ottobre 2022 n. 9138).

Orbene, nel caso di specie la clausola impugnata è riconducibile a quelle qualificate dalla giurisprudenza come escludenti in quanto, accogliendo la prospettazione della società ricorrente, ne ha impedito la partecipazione uti singuli. La circostanza, quindi, che la stessa non abbia presentato la domanda di partecipazione non riveste nessun rilievo ai fini della sussistenza dell'interesse concreto ed attuale al ricorso, atteso che, come visto, in presenza di clausole immediatamente escludenti "la presentazione della domanda di partecipazione costituirebbe un inutile adempimento formale, privo della benché minima utilità in funzione giustiziale" (Cons. Stato n. 8014/2019).

Non dirimenti appaiono, ad avviso di questo organo giudicante, le controdeduzioni dell’amministrazione resistente secondo le quali Jindal Saw Italia avrebbe potuto partecipare alla gara “in forma aggregata” ovvero in sede di “subappalto”. Quanto alla prima eventualità, il Collegio osserva che la considerazione che un’impresa sfornita dei requisiti di partecipazione possa concorrere in forma aggregata, ricorrendo per esempio ad un Raggruppamento Temporaneo di Imprese o all’avvalimento, non soddisfa l’esigenza della più ampia partecipazione possibile, in quanto entrambe le opzioni costituiscono scelte discrezionali di tutte le imprese coinvolte, risultando quindi non sufficiente la volontà dell’impresa che intende partecipare alla gara senza una coincidente volontà degli altri operatori chiamati ad “aggregarsi”. Ne consegue, pertanto, che l’astratta possibilità di costituire un RTI o di ricorrere all’avvalimento non esclude che una preclusione alla possibile partecipazione individuale dell’impresa si concreti in un vulnus al principio del favor partecipationis e, quindi, in una lesione alla sfera giuridica dell’impresa che non può partecipare individualmente. Per quanto concerne la considerazione di parte resistente secondo cui la partecipazione non sarebbe stata comunque impedita in sede di subappalto, non può non essere rilevato che tale eventualità fosse esclusa in radice dalla stessa stazione appaltante, tenuto conto del testo dell’articolo 3 del capitolato di gara, secondo cui “L’affidamento della fornitura non potrà essere subappaltato. La Ditta Aggiudicataria potrà avvalersi delle prestazioni di terzi esclusivamente per le attività di trasporto e scarico”.

Per tutto quanto sopra esposto, la censura di inammissibilità del ricorso deve pertanto essere respinta.

17. Ai fini dello scrutinio del merito del ricorso, il Collegio esamina preliminarmente la questione pregiudiziale sollevata ai sensi dell’art. 267 TFUE dalla ricorrente, secondo cui l’art. 85 della Direttiva 2014/25/UE, l’art. 120 TFUE , il principio di massima partecipazione alle procedure di evidenza pubblica e, in ultimo, il principio di proporzionalità, osterebbero ad una norma nazionale quale l’art. 137, commi 2 e 3 del d.lgs. 50/2016 nella parte in cui dispone l’onere di motivazione soltanto per il caso di mancato respingimento dell’offerta contenente più del 50% di prodotti originari di Paesi terzi, e non anche per il caso di respingimento dell’offerta con tali caratteristiche.

17.1. Il Collegio ritiene che la prospettata questione difetti del requisito di “necessità” richiesto dall’art. 267, para. 2, TFUE al fine di disporre il rinvio pregiudiziale a favore della Corte di Giustizia.

La norma italiana che recepisce l’art. 85 della suddetta Direttiva 2014/25/UE, invero, non si pone in contrasto con la formulazione e la ratio della disposizione unionale, la quale non pone in capo alla stazione appaltante l’obbligo di motivare la scelta di escludere un’offerta ove la parte dei prodotti originari di Paesi terzi, ai sensi del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio, superi il 50 per cento del valore totale dei prodotti che la compongono. La previsione normativa di cui all’art. 137 del d.lgs. 50/2016, lungi dal porsi in contrasto con il testo letterale del predetto art. 85 della Direttiva 2014/25/UE, ponendo in capo alla stazione appaltante l’obbligo di motivare la scelta del mancato respingimento di un’offerta ove i prodotti originari da Paesi terzi superino il 50%, mostra al contrario di comprenderne e attuarne in pieno la ratio.

Come si legge, e comprende maggiormente, nella Relazione illustrativa del d.lgs. n. 36/2023, il cui art. 170 si sostituisce alla previsione dell’art. 137 del d.lgs. 50/2016 mantenendone invariato il contenuto, l’aggiunta di tale onere motivazionale in caso di mancato respingimento dell’offerta costituisce infatti attuazione del c.d. principio di derivazione comunitaria del c.d. ”comply or explain” (cfr. Relazione Illustrativa d.lgs. n. 36/2023, pag. 201), cosicché la scelta di non escludere un produttore di un Paese terzo che non soddisfi i requisiti previsti dalla norma, fungendo da eccezione rispetto alla suddetta esclusione, viene accompagnata da una motivazione espressa. Che la logica “escludente” dell’art. 85 della Direttiva 2014/25/UE possa costituire la regola mentre l’opposta ammissione dell’operatore straniero costituisca l’eccezione è, del resto, ulteriormente confermato dal disposto del terzo paragrafo dello stesso articolo 85, ove si legge che, in caso di equivalenza tra due offerte, se una “può” essere respinta ai sensi della disposizione in oggetto l’altra “viene preferita”.

Da tale analisi emerge, pertanto, che le due opzioni di “escludere” o “ammettere” un’offerta concernente prodotti originari di Paesi terzi che non soddisfano i requisiti richiesti dalla norma non sono poste dal legislatore europeo sullo stesso piano; conseguentemente, il testo dell’art. 137 del d.lgs. 50/2016 non costituisce un “travisamento” o “un erroneo recepimento della disposizione eurounitaria”, come sostenuto dall’odierna ricorrente, ma anzi ne esalta maggiormente la matrice ispiratrice, la quale risulta ancorata alla ferma tutela della concorrenza e della par condicio tra gli operatori del mercato.

Tale ratio, già inequivocabilmente evincibile dal testo della direttiva unionale, viene del resto confermata anche dalla lettura delle “Linee guida sulla partecipazione di offerenti e beni di paesi terzi al mercato degli appalti dell’UE”, pubblicate dalla Commissione Europea nel 2019, ove si legge che “L’articolo 43 della direttiva 2014/25/UE non concede a tutti gli operatori dei paesi terzi un accesso sicuro al mercato degli appalti dell’UE” e che, secondo quanto previsto dall’articolo 85 della medesima Direttiva 2014/25/UE, “I committenti pubblici che operano nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali possono respingere le offerte per contratti di fornitura se la parte dei prodotti originari di un paese terzo supera il 50% del valore totale dei prodotti che compongono l’offerta. Tale regime si applica unicamente ai prodotti originari di paesi terzi non contemplati da un accordo che garantisce un accesso comparabile ed effettivo delle imprese dell’Unione ai mercati di tali paesi terzi” (cfr. Comunicazione della Commissione C(2019) 5494 final).

Ferma la funzione delle suddette Linee guida, le quali, ponendosi come misure di terzo livello dell’articolato sistema delle fonti europee, svolgono un ruolo di supporto al fine di favorire la convergenza nell’interpretazione e nell’uniforme applicazione della disposizione, il Collegio ritiene che – alla luce di quanto previsto dall’esposto impianto normativo unionale di riferimento – l’evidenza della corretta interpretazione e della conseguente applicazione del diritto dell’Unione da parte del legislatore italiano si presenti in modo talmente chiaro da non lasciare àdito a ragionevoli dubbi, dovendosi ritenere, pertanto, di rigettare l’istanza di rimessione della questione pregiudiziale proposta alla Corte di Giustizia per assenza del requisito della “necessità” così come previsto dall’art. 267, para. 2, TFUE.

18. Superate le questioni preliminari sopra trattate, il Collegio esamina le due doglianze di merito, le quali sono da ritenersi infondate.

18.1. Con la prima censura, parte ricorrente asserisce che la lex specialis della procedura bandita da Sidra, nella parte in cui prevede l’esclusione “automatica” delle offerte contenenti più del 50 % di prodotti extracomunitari, risulterebbe illegittima in quanto priva di motivazione nonché in quanto rappresentazione di un esercizio distorto dei margini di discrezionalità di cui la stazione appaltante gode, in astratto, nella scelta tra offerte di produttori extracomunitari e comunitari. La scelta compiuta dalla stazione appaltante avrebbe conseguentemente eliso del tutto la logica di comparazione tra offerte (ivi incluse quelle contenenti prodotti extracomunitari) di cui all’art. 137, comma 3, d.lgs. 50/2016.

Come sopra evidenziato, la possibilità di escludere dalla gara operatori economici i cui prodotti provengono nella misura superiore al cinquanta per cento da un Paese terzo con il quale non vige un accordo di reciprocità (tale da garantire un accesso comparabile ed effettivo delle imprese dell’Unione Europea al mercato di tale Paese) è espressamente prevista dalla normativa europea di riferimento e viene replicata, in sede di recepimento della Direttiva 2014/25/UE, dal legislatore nazionale nell’art. 137 del d.lgs. 50/2016. L’art. 85 della Direttiva 2014/25/UE facoltizza la stazione appaltante a escludere un’offerta che presenti le seguenti caratteristiche e non pone alcun obbligo motivazionale in capo alla stessa ove questa si determini a esercitare una discrezionalità espressamente riconosciutale per via normativa.

L’art. 137 è volto a garantire condizioni minime di tutela della par condicio tra le imprese che partecipano alle gare sul mercato degli appalti comunitari, con specifico riferimento ai casi in cui le forniture abbiano ad oggetto prodotti originari di Paesi terzi. Si tratta pertanto di una “forma specifica di tutela del generale e fondamentale principio della par condicio, che viene messo a rischio di lesione quando vengono offerti beni prodotti in paesi terzi con costi di produzione molto bassi e regole di mercato ben più competitive." Pertanto "I beni prodotti nei paesi terzi devono presentare caratteristiche tecniche e qualitative in linea rispetto a quelle dei prodotti offerti da tutti i concorrenti alla gara. Inoltre, ai fini della verifica del rispetto delle condizioni di reciprocità, appaiono rilevanti anche i profili attinenti ai processi di produzione e di organizzazione delle imprese coinvolte, poiché questi certamente influiscono sul costo finale dei prodotti e, conseguentemente, sulla dinamica concorrenziale del mercato e sui rapporti tra gli operatori economici. Gli elementi relativi ai processi organizzativi e produttivi, forniscono quindi un utile riscontro circa il rispetto di standard minimi simili tra le imprese produttrici europee e quelle di paesi terzi, che inevitabilmente incidono sulla par condicio tra gli operatori del mercato. Svolte tali verifiche, l'offerta stessa può essere poi analizzata anche sotto il profilo più strettamente economico. A tal fine, la Stazione appaltante può avvalersi di indici e parametri di vario genere, che consentano di mettere in luce, in particolare, eventuali processi anomali nella formazione dei prezzi finali dei prodotti” (T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 20/07/2020, n. 552; TAR Veneto, sez. I, 2 agosto 2018, n. 844).

Se questa è la ratio sottesa alla disciplina di derivazione comunitaria di cui all’art. 137, è di tutta evidenza che non risulti contraria a tale disposizione la condotta di una stazione appaltante che decida di non prevedere la partecipazione alla gara di operatori economici le cui forniture sono prodotte in un Paese con il quale non vige un accordo di reciprocità; essa, infatti, fa propria una facoltà che la norma gli attribuisce in forma “espressa” nella fase di valutazione delle offerte, ma che non può ritenersi esclusa, anche per esigenze di economicità procedimentale ed efficienza della procedura, già nel momento di predisposizione e di successiva pubblicazione della lex specialis di gara. A rafforzare tale esito interpretativo è anche la lettura delle sopra menzionate “Linee guida sulla partecipazione di offerenti e beni di paesi terzi al mercato degli appalti dell’UE” pubblicate dalla Commissione Europea nel 2019, le quali dal combinato disposto dei paragrafi 1 e 2 dell’art. 85 della Direttiva 2014/25/UE espressamente ricavano il principio secondo cui “Qualora, invece di respingere tale offerta, un committente pubblico permetta la sua partecipazione alla procedura di appalto, esso sarà tenuto a privilegiare le offerte equivalenti contenenti meno del 50% di prodotti originari di paesi terzi” (cfr. pag. 10 della Comunicazione della Commissione C(2019) 5494 final). Non potrà sfuggire che nel prendere in considerazione la possibilità che il committente pubblico “permetta la partecipazione alla procedura di gara” ad un operatore i cui prodotti provengano per più del 50% da un Paese terzo, la Commissione UE dà per presupposta e pacifica anche l’eventualità opposta che tale partecipazione “non sia permessa” già in origine.

È di tutta evidenza, allora, che la scelta discrezionale operata da Sidra sia stata operata in modo legittimo e si ponga nel solco di una disciplina che mira a far sì che i prodotti dei Paesi terzi, per poter essere ammessi ad una procedura competitiva, presentino determinate “caratteristiche tecniche e qualitative in linea rispetto a quelle dei prodotti offerti da tutti i concorrenti alla gara”.

Non sorprende, quindi, che al fine di assicurarsi una determinata qualità della forniture e contenere i tempi della procedura, Sidra si sia determinata ad avvalersi già in sede di bando di gara di tale facoltà normativa, tenuto conto del particolare valore dell’appalto (€ 11.587.723,60, IVA esclusa) e che lo stesso sia finanziato con le coperture economiche del Fondo Sviluppo e Coesione 2021-2027 in coerenza con quanto previsto dalle Delibere CIPESS n. 1/2022 e n. 35/2022, che ne hanno condizionato il finanziamento alla stipula del contratto non oltre il 31.12.2023.

Va invero rammentato che, come già sostenuto dalla giurisprudenza espressasi in materia, “la scelta se ammettere o meno l’offerta di prodotti originari di Paesi terzi in misura superiore alla soglia del 50% deve essere orientata alla tutela dell’interesse della stessa stazione appaltante ad approvvigionarsi dei prodotti corrispondenti alle proprie esigenze e alla tutela del corretto funzionamento del mercato dell’Unione, non alla soddisfazione dell’interesse degli operatori economici che hanno deciso di delocalizzare la produzione in Paesi terzi” (TAR Veneto, Sez. I, 8 febbraio 2021, n. 174).

Non è quindi censurabile una condotta, come quella tenuta dalla stazione appaltante, con la quale quest’ultima si sia “limitata” a esercitare la propria discrezionalità amministrativa senza motivarne i presupposti. Come emerge chiaramente dal dato testuale dell’art. 137, comma 2, del d.lgs. 50/2016, invero, la stazione appaltante deve motivare esclusivamente la scelta di ammettere l’offerta che abbia ad oggetto prodotti originari di Paesi terzi in misura superiore al 50%, non la scelta di escluderle. Tali offerte possono essere respinte senza necessità di motivazione (TAR Veneto, Sez. I, 8 febbraio 2021, n. 174; TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 20 luglio 2020, n. 552).

Sul punto si è altresì espressa in modo conforme l’ANAC, la quale con delibera n. 829 del 18 settembre 2019 ha espressamente affermato che “l’interpretazione sistematica dell’art. 137, d.lgs. 50/2016 (relativa alle offerte contenenti prodotti originari di Paesi terzi con cui l'Unione europea non ha concluso, in un contesto multilaterale o bilaterale, un accordo che garantisca un accesso comparabile ed effettivo delle imprese dell'Unione ai mercati di tali paesi terzi) legittima la stazione appaltante a respingere le offerte di prodotti originari dei predetti Paesi terzi a suo insindacabile giudizio laddove il valore degli stessi superi il 50 per cento del valore totale dei prodotti che compongono l'offerta, dovendo motivare esclusivamente la scelta di ammetterle eventualmente alla procedura trasmettendo all’Autorità la relativa documentazione”.

Né dalla ratio né dal dato testuale dell’artt. 137 emergono, tra l’altro, elementi preclusivi della possibilità delle stazioni appaltanti di arretrare tale scelta già al momento della pubblicazione degli atti di gara, come ribadito dalla stessa ANAC, secondo cui “la stazione appaltante può prevedere nel disciplinare di avvalersi della facoltà di legge, disponendo l’esclusione a suo insindacabile giudizio al verificarsi di un dato meramente quantitativo e cioè quando la parte dei prodotti originari di Paesi terzi superi il 50% del valore totale dei prodotti che compongono l’offerta, laddove in caso di ammissione del concorrente, la stazione appaltante deve invece motivare debitamente le ragioni della scelta trasmettendo all’Autorità la relativa documentazione. Pertanto, la scelta compiuta dalla stazione appaltante di riportare la previsione concernente l’esclusione nel disciplinare di gara e nel capitolato speciale d’appalto appare, quindi, conforme alla disciplina dettata dall’art. 137, comma 2, d.lgs. 50/2016 e ai principi generali regolanti la procedura di gara” (ANAC, Delibera n. 696 del 3 luglio 2019).

Orbene, l’aver previsto tale esclusione estromettendo, di fatto già in sede di capitolato (v. sopracitati artt. 1, 4 e 13 del capitolato speciale di gara), un operatore come Jindal Saw Italia – le cui forniture sono prodotte in un Paese, l’India, che non opera in condizioni di reciprocità con i Paesi UE e i cui standard organizzativi e produttivi sono notoriamente diversi da quelli applicati dalle imprese produttrici europee – non costituisce “esercizio distorto” della discrezionalità amministrativa e risulta del tutto conforme al dato normativo nazionale e comunitario, non potendosi ritenere irragionevole che un soggetto pubblico decida di acquistare prodotti che per almeno il 50% siano originari di Paesi dell’Unione. In assenza di un qualsivoglia obbligo motivazionale a supporto dell’esercizio di tale facoltà – il quale non figura né nell’art. 85 della Direttiva 2014/25/UE né nell’art. 137 del d.lgs. 50/2016 – non può quindi ritenersi, come invece asserito dalla ricorrente, che un più generale onere di motivazione possa desumersi dall’art. 12 delle Preleggi o dai principi generali in materia di provvedimento amministrativo.

Il motivo è quindi infondato.

18.2. Non meritevole di pregio è anche la seconda doglianza, con la quale Jindal Saw Italia sostiene che la scelta operata dall’amministrazione resistente in sede di lex specialis sarebbe viziata da contraddittorietà esterna e illogicità manifesta, per aver deciso in altre procedure di gara di non applicare tale restrizione.

Una volta evidenziato che la scelta operata dalla stazione appaltante nella procedura di gara de qua sia da ritenersi legittima, in quanto espressione di una scelta discrezionale pienamente ammessa dall’art. 137 del d.lgs. 50/2016 e correlata a esigenze di tutela della par condicio sostanziale tra gli operatori economici, le quali possono di volta in volta presentarsi o meno, non può ritenersi che l’esercizio di tale potere discrezionale sia avvenuto in modo illogico o contraddittorio solo in ragione di precedenti scelte difformi operate dalla stessa in altre procedure di gara.

Il Collegio condivide, pertanto, la posizione della giurisprudenza espressasi su tale specifico punto, secondo cui “Del tutto irrilevante…è il fatto che in precedenti affidamenti la stazione appaltante abbia deciso di non escludere sin dagli atti di indizione della gara le offerte di prodotti di Paesi terzi” (cfr. T.A.R. Veneto, Sez. I, 8 febbraio 2021, n. 174).

A corroborare, tra l’altro, la logicità della scelta compiuta da Sidra in sede di bando di gara è il fatto che – una volta appurato che le disposizioni di cui ai citati artt. 85 della Direttiva 2014/25/UE e 137 d.lgs. n. 50/2016 siano dettate a tutela degli interessi economici dell’Unione Europea e del corretto funzionamento del mercato degli appalti pubblici – risulti evidente che l’esigenza di escludere un’offerta avente ad oggetto prodotti provenienti da Paesi terzi che non hanno stipulato accordi di reciprocità con l’UE potesse essere tanto più avvertita quanto più elevato fosse il valore della commessa. A nulla può rilevare, quindi, che Sidra si sia determinata ad ammettere alla gara operatori di Paesi terzi in procedure che, per tipologia e valore dell’appalto, non appaiono comparabili con quella di specie.

Deve rammentarsi, tra l’altro, che secondo costante giurisprudenza amministrativa “la determinazione del contenuto del bando di gara costituisce espressione del potere discrezionale in base al quale l'Amministrazione può effettuare scelte riguardanti gli strumenti e le misure più adeguati, opportuni, congrui, efficienti ed efficaci ai fini del corretto ed effettivo perseguimento dell'interesse pubblico concreto, oggetto dell'appalto da affidare; le scelte così operate, ampiamente discrezionali, impingono nel merito dell'azione amministrativa e si sottraggono, pertanto, al sindacato del giudice amministrativo, salvo che non siano ictu oculi manifestamente irragionevoli, irrazionali, arbitrarie o sproporzionate” (ex multis, Consiglio di Stato sez. III, 01/02/2022, n. 707).

Anche tale seconda doglianza è pertanto infondata.

19. Per tutto quanto sopra esposto il ricorso è quindi infondato e viene respinto.

20. In considerazione delle peculiarità della questione di lite, della sua natura giuridica e della sua complessità devono ritenersi sussistenti eccezionali motivi per compensare le spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 13 settembre 2023.

 

 

 

GUIDA ALLA LETTURA

Il TAR Catania, nella sentenza in commento, ha anzitutto chiarito che deve considerarsi certamente conforme alla Direttiva 2014/25/UE l’art. 137, commi 2 e 3 del d.lgs. 50/2016, nella parte in cui dispone l’onere di motivazione soltanto per il caso di mancato respingimento dell’offerta contenente più del 50% di prodotti originari di Paesi terzi, e non anche per il caso di respingimento dell’offerta con tali caratteristiche.

Ed infatti, secondo i giudici amministrativi, la norma italiana che recepisce l’art. 85 della suddetta Direttiva 2014/25/UE, non si pone in contrasto con la formulazione e la ratio della disposizione unionale, la quale «non pone in capo alla stazione appaltante l’obbligo di motivare la scelta di escludere un’offerta ove la parte dei prodotti originari di Paesi terzi, ai sensi del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio, superi il 50 per cento del valore totale dei prodotti che la compongono». Ed infatti, la previsione normativa di cui all’art. 137 del d.lgs. 50/2016, lungi dal porsi in contrasto con il testo letterale del predetto art. 85 della Direttiva 2014/25/UE, ponendo in capo alla stazione appaltante l’obbligo di motivare la scelta del mancato respingimento di un’offerta ove i prodotti originari da Paesi terzi superino il 50%, mostrerebbe al contrario di comprenderne e attuarne in pieno la ratio.

Come si legge, e comprende maggiormente, nella Relazione illustrativa del d.lgs. n. 36/2023, il cui art. 170 si sostituisce alla previsione dell’art. 137 del d.lgs. 50/2016 mantenendone invariato il contenuto, l’aggiunta di tale onere motivazionale in caso di mancato respingimento dell’offerta costituisce infatti attuazione del c.d. principio di derivazione comunitaria del c.d. “comply or explain” (cfr. Relazione Illustrativa d.lgs. n. 36/2023, pag. 201), cosicché la scelta di non escludere un produttore di un Paese terzo che non soddisfi i requisiti previsti dalla norma, fungendo da eccezione rispetto alla suddetta esclusione, viene accompagnata da una motivazione espressa.

Secondo il TAR, infatti, «che la logica “escludente” dell’art. 85 della Direttiva 2014/25/UE possa costituire la regola mentre l’opposta ammissione dell’operatore straniero costituisca l’eccezione è, del resto, ulteriormente confermato dal disposto del terzo paragrafo dello stesso articolo 85, ove si legge che, in caso di equivalenza tra due offerte, se una “può” essere respinta ai sensi della disposizione in oggetto l’altra “viene preferita”».

Da tale analisi emerge, pertanto, che le due opzioni di “escludere” o “ammettere” un’offerta concernente prodotti originari di Paesi terzi che non soddisfano i requisiti richiesti dalla norma non sono poste dal legislatore europeo sullo stesso piano; conseguentemente, il testo dell’art. 137 del d.lgs. 50/2016 non costituisce un “travisamento” o “un erroneo recepimento della disposizione eurounitaria”, ma anzi ne esalterebbe maggiormente la matrice ispiratrice, la quale risulta ancorata alla ferma tutela della concorrenza e della par condicio tra gli operatori del mercato.

Tale ratio, già inequivocabilmente evincibile dal testo della direttiva unionale, viene del resto confermata anche dalla lettura delle “Linee guida sulla partecipazione di offerenti e beni di paesi terzi al mercato degli appalti dell’UE”, pubblicate dalla Commissione Europea nel 2019, ove si legge che “L’articolo 43 della direttiva 2014/25/UE non concede a tutti gli operatori dei paesi terzi un accesso sicuro al mercato degli appalti dell’UE” e che, secondo quanto previsto dall’articolo 85 della medesima Direttiva 2014/25/UE, “I committenti pubblici che operano nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali possono respingere le offerte per contratti di fornitura se la parte dei prodotti originari di un paese terzo supera il 50% del valore totale dei prodotti che compongono l’offerta. Tale regime si applica unicamente ai prodotti originari di paesi terzi non contemplati da un accordo che garantisce un accesso comparabile ed effettivo delle imprese dell’Unione ai mercati di tali paesi terzi” (cfr. Comunicazione della Commissione C(2019) 5494 final).

Ferma la funzione delle suddette Linee guida, le quali, ponendosi come misure di terzo livello dell’articolato sistema delle fonti europee, svolgono un ruolo di supporto al fine di favorire la convergenza nell’interpretazione e nell’uniforme applicazione della disposizione, il TAR ha rilevato che - alla luce di quanto previsto dall’esposto impianto normativo unionale di riferimento - «l’evidenza della corretta interpretazione e della conseguente applicazione del diritto dell’Unione da parte del legislatore italiano si presenti in modo talmente chiaro da non lasciare àdito a ragionevoli dubbi, dovendosi ritenere, pertanto, di rigettare l’istanza di rimessione della questione pregiudiziale proposta alla Corte di Giustizia per assenza del requisito della “necessità” così come previsto dall’art. 267, para. 2, TFUE».

Muovendo al merito, secondo il giudice di prime cure, la possibilità di escludere dalla gara operatori economici i cui prodotti provengono nella misura superiore al cinquanta per cento da un Paese terzo con il quale non vige un accordo di reciprocità (tale da garantire un accesso comparabile ed effettivo delle imprese dell’Unione Europea al mercato di tale Paese) «è espressamente prevista dalla normativa europea di riferimento e viene replicata, in sede di recepimento della Direttiva 2014/25/UE, dal legislatore nazionale nell’art. 137 del d.lgs. 50/2016. L’art. 85 della Direttiva 2014/25/UE facoltizza la stazione appaltante a escludere un’offerta che presenti le seguenti caratteristiche e non pone alcun obbligo motivazionale in capo alla stessa ove questa si determini a esercitare una discrezionalità espressamente riconosciutale per via normativa».

In sostanza, l’art. 137 è volto a garantire condizioni minime di tutela della par condicio tra le imprese che partecipano alle gare sul mercato degli appalti comunitari, con specifico riferimento ai casi in cui le forniture abbiano ad oggetto prodotti originari di Paesi terzi. Si tratta pertanto di una forma specifica di tutela del generale e fondamentale principio della par condicio, che viene messo a rischio di lesione quando vengono offerti beni prodotti in paesi terzi con costi di produzione molto bassi e regole di mercato ben più competitive. Pertanto, «i beni prodotti nei paesi terzi devono presentare caratteristiche tecniche e qualitative in linea rispetto a quelle dei prodotti offerti da tutti i concorrenti alla gara. Inoltre, ai fini della verifica del rispetto delle condizioni di reciprocità, appaiono rilevanti anche i profili attinenti ai processi di produzione e di organizzazione delle imprese coinvolte, poiché questi certamente influiscono sul costo finale dei prodotti e, conseguentemente, sulla dinamica concorrenziale del mercato e sui rapporti tra gli operatori economici». A tal proposito, gli elementi relativi ai processi organizzativi e produttivi, forniscono un utile riscontro circa il rispetto di standard minimi simili tra le imprese produttrici europee e quelle di paesi terzi, che inevitabilmente incidono sulla par condicio tra gli operatori del mercato. Svolte tali verifiche, dunque, l’offerta stessa può essere poi analizzata anche sotto il profilo più strettamente economico. A tal fine, la S.A. «può avvalersi di indici e parametri di vario genere, che consentano di mettere in luce, in particolare, eventuali processi anomali nella formazione dei prezzi finali dei prodotti» (T.A.R. Brescia, sez. I, 20 luglio 2020, n. 552; TAR Veneto, sez. I, 02 agosto 2018, n. 844).

A detta del collegio giudicante, dunque, «se questa è la ratio sottesa alla disciplina di derivazione comunitaria di cui all’art. 137, è di tutta evidenza che non risulti contraria a tale disposizione la condotta di una stazione appaltante che decida di non prevedere la partecipazione alla gara di operatori economici le cui forniture sono prodotte in un Paese con il quale non vige un accordo di reciprocità; essa, infatti, fa propria una facoltà che la norma gli attribuisce in forma “espressa” nella fase di valutazione delle offerte, ma che non può ritenersi esclusa, anche per esigenze di economicità procedimentale ed efficienza della procedura, già nel momento di predisposizione e di successiva pubblicazione della lex specialis di gara».

A rafforzare tale esito interpretativo è anche la lettura delle sopra menzionate “Linee guida sulla partecipazione di offerenti e beni di paesi terzi al mercato degli appalti dell’UE” pubblicate dalla Commissione Europea nel 2019, le quali dal combinato disposto dei paragrafi 1 e 2 dell’art. 85 della Direttiva 2014/25/UE espressamente ricavano il principio secondo cui “qualora, invece di respingere tale offerta, un committente pubblico permetta la sua partecipazione alla procedura di appalto, esso sarà tenuto a privilegiare le offerte equivalenti contenenti meno del 50% di prodotti originari di paesi terzi” (pag. 10 della Comunicazione della Commissione C(2019) 5494 final). Non potrà sfuggire che nel prendere in considerazione la possibilità che il committente pubblico “permetta la partecipazione alla procedura di gara” ad un operatore i cui prodotti provengano per più del 50% da un Paese terzo, la Commissione UE dà per presupposta e pacifica anche l’eventualità opposta che tale partecipazione “non sia permessa” già in origine.

Alla luce di quanto sopra, quindi, «è di tutta evidenza, allora, che la scelta discrezionale operata sia stata operata in modo legittimo e si ponga nel solco di una disciplina che mira a far sì che i prodotti dei Paesi terzi, per poter essere ammessi ad una procedura competitiva, presentino determinate caratteristiche tecniche e qualitative in linea rispetto a quelle dei prodotti offerti da tutti i concorrenti alla gara».

Peraltro, va invero rammentato che, come già sostenuto dalla giurisprudenza espressasi in materia, la scelta se ammettere o meno l’offerta di prodotti originari di Paesi terzi in misura superiore alla soglia del 50% deve essere orientata alla tutela dell’interesse della stessa stazione appaltante ad approvvigionarsi dei prodotti corrispondenti alle proprie esigenze e alla tutela del corretto funzionamento del mercato dell’Unione, non alla soddisfazione dell’interesse degli operatori economici che hanno deciso di delocalizzare la produzione in Paesi terzi (TAR Veneto, sez. I, 08 febbraio 2021, n. 174).

Non sarebbe quindi censurabile una condotta, come quella tenuta dalla stazione appaltante, con la quale quest’ultima si sia “limitata” a esercitare la propria discrezionalità amministrativa senza motivarne i presupposti. Come emerge chiaramente dal dato testuale dell’art. 137, comma 2, del d.lgs. 50/2016, invero, la stazione appaltante «deve motivare esclusivamente la scelta di ammettere l’offerta che abbia ad oggetto prodotti originari di Paesi terzi in misura superiore al 50%, non la scelta di escluderle. Tali offerte possono essere respinte senza necessità di motivazione» (TAR Veneto, sez. I, 08 febbraio 2021, n. 174; TAR Brescia, sez. I, 20 luglio 2020, n. 552).

Sul punto si è altresì espressa in modo conforme l’ANAC, la quale con delibera n. 829 del 18 settembre 2019 ha espressamente affermato che “l’interpretazione sistematica dell’art. 137, d.lgs. 50/2016 (relativa alle offerte contenenti prodotti originari di Paesi terzi con cui l'Unione europea non ha concluso, in un contesto multilaterale o bilaterale, un accordo che garantisca un accesso comparabile ed effettivo delle imprese dell'Unione ai mercati di tali paesi terzi) legittima la stazione appaltante a respingere le offerte di prodotti originari dei predetti Paesi terzi a suo insindacabile giudizio laddove il valore degli stessi superi il 50 per cento del valore totale dei prodotti che compongono l'offerta, dovendo motivare esclusivamente la scelta di ammetterle eventualmente alla procedura trasmettendo all’Autorità la relativa documentazione”.

Né dalla ratio né dal dato testuale dell’artt. 137 emergerebbero, tra l’altro, elementi preclusivi della possibilità delle stazioni appaltanti di arretrare tale scelta già al momento della pubblicazione degli atti di gara, come ribadito dalla stessa ANAC, secondo cui “la stazione appaltante può prevedere nel disciplinare di avvalersi della facoltà di legge, disponendo l’esclusione a suo insindacabile giudizio al verificarsi di un dato meramente quantitativo e cioè quando la parte dei prodotti originari di Paesi terzi superi il 50% del valore totale dei prodotti che compongono l’offerta, laddove in caso di ammissione del concorrente, la stazione appaltante deve invece motivare debitamente le ragioni della scelta trasmettendo all’Autorità la relativa documentazione. Pertanto, la scelta compiuta dalla stazione appaltante di riportare la previsione concernente l’esclusione nel disciplinare di gara e nel capitolato speciale d’appalto appare, quindi, conforme alla disciplina dettata dall’art. 137, comma 2, d.lgs. 50/2016 e ai principi generali regolanti la procedura di gara” (ANAC, Delibera n. 696 del 3 luglio 2019).

Una volta evidenziato che la scelta operata dalla stazione appaltante nella procedura di gara de qua sia da ritenersi legittima, in quanto espressione di una scelta discrezionale pienamente ammessa dall’art. 137 del d.lgs. 50/2016 e correlata a esigenze di tutela della par condicio sostanziale tra gli operatori economici, le quali possono di volta in volta presentarsi o meno, non può ritenersi che l’esercizio di tale potere discrezionale sia avvenuto in modo illogico o contraddittorio solo in ragione di precedenti scelte difformi operate dalla stessa in altre procedure di gara.

Ed infatti, «del tutto irrilevante […] è il fatto che in precedenti affidamenti la stazione appaltante abbia deciso di non escludere sin dagli atti di indizione della gara le offerte di prodotti di Paesi terzi» (cfr. TAR Veneto, sez. I, 8 febbraio 2021, n. 174).

Deve rammentarsi, tra l’altro, che secondo costante giurisprudenza amministrativa la determinazione del contenuto del bando di gara costituisce espressione del potere discrezionale in base al quale l'Amministrazione può effettuare scelte riguardanti gli strumenti e le misure più adeguati, opportuni, congrui, efficienti ed efficaci ai fini del corretto ed effettivo perseguimento dell'interesse pubblico concreto, oggetto dell'appalto da affidare; «le scelte così operate, ampiamente discrezionali, impingono nel merito dell'azione amministrativa e si sottraggono, pertanto, al sindacato del giudice amministrativo, salvo che non siano ictu oculi manifestamente irragionevoli, irrazionali, arbitrarie o sproporzionate» (ex multis, Cons. Stato, sez. III, 01 febbraio 2022, n. 707).