Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 29 marzo 2023, n. 12

L’inidoneità attitudinale sopravvenuta non rientra nelle previsioni di cui all’art. 1 d.P.R. n. 339 del 1982 e di conseguenza non dà luogo al passaggio del dipendente della Forza di Polizia ad altrui ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza o di altre amministrazioni dello Stato, ma è causa di cessazione del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 129 T.u. impiegati civili dello Stato

L’Adunanza Plenaria dà risposta negativa che al quesito posto dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato se, nel caso di accertamento della perdita del requisito attitudinale da parte dell’appartenente alla Polizia di Stato, il rapporto di lavoro possa continuare presso altri ruoli della stessa amministrazione di pubblica sicurezza o presso altre amministrazioni.

Afferma l’Alto Consesso, per gli appartenenti alla Polizia di Stato, il cui rapporto di impiego è costituito solo se sussistono i requisiti attitudinali richiesti dalla specifica normativa, il venir meno di questi non può comportare la prosecuzione del rapporto di lavoro con la sola modificazione oggettiva della prestazione, poiché per quell’ordinamento settoriale il possesso dei requisiti attitudinali è richiesto per tutti i ruoli nei quali si articola la struttura.

L’unica modalità di continuazione del rapporto di lavoro sarebbe, dunque, quella della novazione soggettiva, vale a dire presso ruoli di altre amministrazioni che non richiedano per l’accesso l’accertamento di (peculiari) requisiti attitudinali.

Tale possibilità, però, non è prevista dalla legge.

La perdita del requisito attitudinale, necessario per la costituzione del rapporto di pubblico impiego, non è e non può essere senza effetti, pena la palese violazione del canone costituzionale di buon andamento dell’azione amministrativa: tale perdita produce effetti sul rapporto di lavoro e – per i principi di legalità e di tipicità degli atti amministrativi - non consente l’assegnazione al dipendente di altra qualifica all’interno dei ruoli dell’amministrazione di pubblica sicurezza oppure il transito in altri ruoli della pubblica amministrazione, perché tali possibilità non sono previste dalla legge.

La perdita del requisito attitudinale comporta la cessazione del rapporto di impiego, in considerazione dell’art. 58 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 335, per il quale le cause di cessazione dal servizio sono quelle previste dal Testo unico sugli impiegati civili dello Stato, e dell’art. 129 del predetto Testo unico, per il quale comporta la cessazione dal servizio la sopravvenuta incapacità allo svolgimento della prestazione lavorativa.

     

 

   

 

 

Pubblicato il 29/03/2023

N. 00012/2023REG.PROV.COLL.

N. 00016/2022 REG.RIC.A.P.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale n. 16 del 2022 del ruolo dell’Adunanza Plenaria (n. 2221 del 2018 del ruolo della Seconda Sezione), proposto dal Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

1.1. Il ricorrente è stato sospeso in via cautelare dal servizio ai sensi dell’art. 9, primo comma, d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, poiché sottoposto a misura di custodia cautelare in carcere, e poi è stato condannato dal Tribunale di Bologna, con sentenza del -OMISSIS-, alla pena di -OMISSIS-, in quanto ritenuto colpevole dei reati di rapina, lesioni aggravate e sequestro di persona.

La medesima sentenza ha disposto la sua interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.

1.2. Decorso il periodo quinquennale di sospensione cautelare dal servizio, egli è stato riammesso in servizio ai sensi dell’art. 9, comma 2, l. 7 febbraio 1990, n. 19, a decorrere dal -OMISSIS-; con nota del -OMISSIS-, la Questura di Bologna, presso i cui uffici il ricorrente prestava servizio, ha avviato il procedimento per la verifica dei requisiti psicofisici e attitudinali di cui all’art. 2 del d.m. 30 giugno 2003, n. 198.

Con verbale del -OMISSIS-, la commissione per l’accertamento delle qualità attitudinali esprimeva la sua valutazione definitiva nel senso che, “visto i risultati conseguiti nelle prove attitudinali e le risultanze del colloquio cui il sopracitato è stato sottoposto dal -OMISSIS-- […], si notifica allo stesso che è stato riconosciuto “NON IDONEO” per motivi meglio specificati nell’allegata copia della “Scheda di Profilo Individuale””.

Nella scheda, l’esaminato ha riportato valutazioni inferiori alla media nei vari indici del “livello evolutivo”, del “controllo emotivo”, della “capacità intellettiva” e della “socialità”.

Con decreto del -OMISSIS--, il Ministero dell’Interno, preso atto della valutazione di non idoneità espressa dalla commissione, ha disposto la cessazione dell’interessato dal servizio nell’amministrazione della pubblica sicurezza, a decorrere dalla data di notifica del provvedimento – avvenuta il -OMISSIS- – in quanto non idoneo in attitudine ai servizi di polizia e carente, quindi, di uno dei requisiti previsti dall’art. 25, secondo comma, della legge 1° aprile 1981, n. 121.

1.3. Con nota del -OMISSIS- n. -OMISSIS-, il Ministero dell’Interno ha comunicato l’interruzione del procedimento di trasferimento autoritativo di cui all’art. 55, commi quarto e quinto, del d.P.R. 14 aprile 1982, n. 335, per cessazione dal servizio del dipendente, con riserva di eventuale riattivazione in caso di reviviscenza del rapporto d’impiego.

2. Col ricorso di primo grado, il ricorrente ha contestato tali provvedimenti, tutti congiuntamente impugnati, per illegittimità ed eccesso di potere sotto vari profili.

2.1. In sintesi, egli ha lamentato di essere stato sottoposto a rivalutazione dell’idoneità al servizio per il solo fatto di essere stato “assente” per lungo periodo, e, comunque, illegittimamente (ri)valutato anche in relazione al profilo attitudinale, non solo per quello psicofisico, e per giunta sulla base di test utilizzati per la valutazione dei candidati all’accesso ai ruoli della Polizia.

2.2. Tra le censure formulate, l’interessato in particolare ha proposto il quinto motivo, nel quale il egli ha dedotto che l’esito negativo di un giudizio di sopravvenuta inidoneità al servizio per carenza dei requisiti attitudinali non potrebbe condurre alla cessazione del rapporto di impiego, poiché un tale caso non sarebbe stato espressamente previsto tra le cause di cessazione dal servizio di cui all’art. 58 del d.P.R. n. 335 del 1982 (che rinvia a quelle previste dal T.u. impiegati civili dello Stato e al T.u. 29 dicembre 1973, n. 1092), dovendo, invece, disporsi il passaggio ad altri ruoli dell’Amministrazione di pubblica sicurezza o di altre amministrazioni dello Stato.

2.3. Il Tar per l’Emilia Romagna, con la sentenza del -OMISSIS-, ha accolto il quinto motivo del ricorso, rilevando che l’Amministrazione - pur potendo sottoporre a rivalutazione di idoneità attitudinale al servizio il dipendente assente per un periodo non limitato - non potrebbe, però, disporne la cessazione dal servizio nel caso in cui l’accertamento dia esito negativo, dovendo, invece, essa rimettere alla commissione medica la valutazione di impiegabilità nei ruoli civili, per consentire al dipendente di poter proseguire il rapporto di pubblico impiego negli altri ruoli (della medesima Polizia di Stato o di altre amministrazioni statali) che non richiedono la sussistenza dei suddetti specifici requisiti psichici, fisici e attitudinali.

2.4. Con l’appello in esame, la sentenza è stata impugnata dal Ministero dell’Interno, secondo il quale le disposizioni relative al transito del personale della Polizia di Stato ai ruoli civili dell’amministrazione di pubblica sicurezza o di altre amministrazioni dello Stato – artt. 1 e ss. d.P.R. del 1982 n. 339 – sono applicabili al solo personale che (espleta funzioni di polizia e che) sia stato considerato inidoneo per motivi di salute (sempre che l’infermità accertata ne consenta l’ulteriore impiego) e non anche per carenza di idoneità attitudinale: mancherebbe, in sostanza, un’espressa previsione normativa al transito per inidoneità attitudinale sopravvenuta, per cui, in caso di esito negativo dell’accertamento, l’amministrazione non avrebbe altra alternativa che la cessazione dal servizio.

2.5. Si è costituito in giudizio l’appellato, che ha proposto un appello incidentale volto a contestare i capi di sentenza con i quali erano stati respinti gli altri motivi di ricorso proposti.

3. Con l’ordinanza -OMISSIS-, la Sezione seconda ha rimesso all’Adunanza plenaria i seguenti quesiti:

a) se la inidoneità attitudinale sopravvenuta, in quanto modo di atteggiarsi della inidoneità psicologica, seppure soggetta ad autonomo accertamento, rientri nelle previsioni dell’art. 1 del d.P.R. n. 339 del 1982, che consente al lavoratore cui si riferisca l’accertamento di chiedere il transito nei ruoli civili dell’amministrazione di appartenenza o di altra;

b) in caso negativo, ovvero se a ciò venga ritenuta ostativa la formulazione letterale della norma, se il regime giuridico di favore riconosciuto alla più grave ipotesi di inidoneità psicologica, sfociata in una malattia, non si ponga in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione, interpretato alla luce dell’obbligo di non discriminazione in ambito lavorativo

di cui alla Direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000, nonché se il non ottemperare al c.d. obbligo di repechage contrasti con i principi a tutela del lavoro, configurando nei fatti un’ipotesi di recesso per giustificato motivo oggettivo non previsto espressamente dal legislatore;

c) in caso affermativo, se la richiesta di transito sia espressione di un diritto soggettivo del dipendente, ovvero l’adesione alla stessa costituisca valutazione del tutto discrezionale dell’Amministrazione di appartenenza.

3.1. I dubbi della Sezione rimettente sono i seguenti:

- l’idoneità attitudinale altro non è che un particolare modo di atteggiarsi della personalità dell’individuo, afferente alla sfera psicologica, la cui presenza è aggiuntivamente richiesta per precisati ambiti lavorativi, ove non è sufficiente la mera “normalità”, intesa quale assenza di malattie;

- non si può escludere che l’attitudine venga meno nel protrarsi dell’esperienza lavorativa (capace di incidere in negativo sull’entusiasmo e sulla spinta motivazionale originaria);

- la perdita dell’attitudine, intesa come incapacità di continuare a svolgere bene un lavoro connotato da innegabili peculiarità, non rifluisce in una limitazione della capacità lavorativa del soggetto;

- se questo è vero, non c’è necessità di una normativa di dettaglio che preveda la possibilità di riutilizzo del lavoratore, il quale potrebbe essere sempre indirizzato verso un diverso impiego nella stessa amministrazione di pubblica sicurezza o in un’altra amministrazione;

- se, invece, si dovesse ritenere che il silenzio della legge equivalga all’introduzione di una legittima causa di recesso dal rapporto di lavoro per il dipendente che abbia perduto idoneità attitudinale al servizio, si porrebbero seri dubbi di ragionevolezza della scelta legislativa che, da un lato, impone, o quanto meno consente, il repêchage di un dipendente che abbia perduto parte della sua idoneità psicofisica al servizio e, dall’altro, lo impedisce o non lo consente per chi sia perfettamente abile a qualsivoglia mansione alternativa.

3.2. In vista dell’udienza pubblica dinanzi a questa Adunanza plenaria, l’appellato ha depositato una memoria con la quale ha ulteriormente argomentato a favore della soluzione in senso positivo della prima questione posta dalla Sezione, nonché per l’eventuale fondatezza della questione di costituzionalità prospettata.

All’udienza del 16 novembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

4. Rileva l’Adunanza Plenaria che la perdita della idoneità psicofisica incide sul rapporto di impiego del dipendente pubblico.

4.1. L’art. 129 (Dispensa) del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico impiegati civili dello Stato) – inserito all’interno del Titolo VIII – Cessazione del rapporto di impiego – prevede che sia dispensato dal servizio “l'impiegato divenuto inabile per motivi di salute, salvo che non sia diversamente utilizzato ai sensi dell'art. 71, nonché quello che abbia dato prova di incapacità o di persistente insufficiente rendimento”.

4.2. La perdita dell’idoneità psicofisica è ora disciplinata dall’art. 55-octies (Permanente inidoneità psico-fisica), comma primo, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (introdotto dall'art. 69, comma 1, D.L.vo 27 ottobre 2009, n. 150), per il quale “l’accertata permanente inidoneità psicofisica al servizio” comporta risoluzione del rapporto di lavoro.

Nel regolamento (emanato con d.P.R. 27 luglio 2011, n. 171) attuativo della disposizione, l’inidoneità psicofisica permanente è distinta in ‘assoluta’ e ‘relativa’; entrambe non sono regredibili col tempo, ma la prima si verifica nel caso in cui il dipendente “si trovi nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa”, la seconda se “si trovi nell’impossibilità permanente allo svolgimento di alcune o di tutte le mansioni dell’area, categoria o qualifica di inquadramento” (articolo 2).

Sono diverse le conseguenze (dell’accertamento) dell’una o dell’altra.

Nel caso di inidoneità relativa, l’amministrazione è tenuta al recupero al servizio del dipendente “nelle strutture organizzative di settore o anche in mansioni equivalenti o di altro profilo professionale riferito alla posizione di inquadramento” fino a giungere eventualmente ad adibire il lavoratore “a mansioni proprie di altro profilo appartenente a diversa area professionale o eventualmente a mansioni inferiori” in coerenza con l’esito dell’accertamento medico e con i titoli posseduti (art. 7, commi 1 e 2).

Nel caso di inidoneità assoluta, previa comunicazione all’interessato entro 30 giorni dal ricevimento del verbale di accertamento medico, è risolto il rapporto di lavoro (ed è corrisposta, se dovuta, l’indennità sostitutiva del preavviso, in applicazione dell’articolo 8).

4.3. In ogni caso, l’amministrazione dispone la risoluzione del rapporto di lavoro o adibisce il lavoratore ad altra mansione in seguito ad accertamento medico (svolto dagli organi medici competenti, ai sensi dell’art. 4 del citato regolamento).

4.4. In definitiva, vi è la regola generale per la quale la perdita totale dell’idoneità psicofisica comporta la cessazione del rapporto di lavoro, mentre la perdita parziale impone di adibire il lavoratore ad altre mansioni, compatibili con la sua (sopraggiunta) condizione di salute.

In quest’ultimo caso il rapporto di lavoro continua con una novazione oggettiva, in considerazione della modifica della prestazione richiesta al lavoratore.

5. Del tutto corrispondente è la disciplina del rapporto di lavoro privato.

La sopravvenuta inidoneità totale del lavoratore subordinato allo svolgimento della prestazione lavorativa comporta una vicenda risolutiva del rapporto per sopravvenuta impossibilità della prestazione (art. 1463 cod. civ.), non riconducibile ai casi di sospensione legale previsti dagli art. 2110 e 2111 cod. civ. (cfr. Cass. civ., sez. lav., 12 aprile 2021, n. 9556).

La sopravvenuta inidoneità parziale del lavoratore, invece, comporta un giustificato motivo oggettivo di recesso del datore di lavoro solo allorché debba escludersi ogni possibilità di adibire il lavoratore ad una diversa attività lavorativa riconducibile - alla stregua di un'interpretazione del contratto secondo buona fede - alle mansioni già assegnate, o ad altre equivalenti e, subordinatamente, a mansioni inferiori, purché tale diversa attività sia utilizzabile nell'impresa, secondo l'assetto organizzativo stabilito dall'imprenditore (cfr. Cass. civ., Sez. Unite, 7 agosto 1998, n. 7755, che ha enunciato principi poi ribaditi in altre pronunce, cfr. Cass. civ., sez. lav., 12 settembre 2018, n. 22186; 30 luglio 2018, n. 20080).

6. Occorre ora soffermarsi sulle disposizioni che regolano il rapporto di lavoro del personale della Forza di Polizia di Stato, sottratto alle regole dell’impiego pubblico privatizzato contenute nel d.lgs. n. 165 del 2001, poiché rientra nell’ambito del personale in regime di diritto pubblico ai sensi dell’art. 3, comma 1, che rinvia per la disciplina del rapporto di lavoro ai rispettivi ordinamenti (cfr. Cass. civ., Sez. Unite, ord. 12 aprile 2022, n. 11772).

6.1. L’art. 36 (Ordinamento del personale) della legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza), rimanda per l’ordinamento del personale ad una serie di decreti “aventi valore di legge ordinaria”, fissando principi e criteri direttivi.

Con il criterio di delega del punto XX), era rimesso al Governo la “determinazione delle modalità, in relazione a particolari infermità o al grado di idoneità all’assolvimento dei servizi di polizia, per il passaggio del personale, per esigenze di servizio o a domanda, ad equivalenti qualifiche di altri ruoli dell’amministrazione della pubblica sicurezza o di altre amministrazioni dello Stato, salvaguardando i diritti e le posizioni del personale appartenente a questi ultimi ruoli”.

6.2. La delega è stata attuata con il d.P.R. 24 aprile 1982, n. 339, che all’articolo 1 per il personale dei ruoli della Polizia di Stato, che espleta funzioni di polizia e che è stato valutato assolutamente inidoneo per motivi di salute all’assolvimento dei compiti di istituto, ha disposto il ‘transito a domanda’ in altri ruoli della Polizia di Stato o di altre amministrazioni dello Stato, “sempreché l'infermità accertata ne consenta lo ulteriore impiego”.

Quest’ultimo inciso evidenzia che il legislatore si è riferito alla inidoneità psicofisica che non abbia comportato la perdita totale della capacità lavorativa.

Tale considerazione trova un supporto anche nei successivi articoli del decreto, nei quali è previsto che la continuazione del rapporto di lavoro avvenga purché l’invalidità accertata “non comporti idoneità assoluta ai compiti di istituto”.

6.3. Per il caso di inidoneità assoluta alla prestazione lavorativa, è prevista, invece, la dispensa dal servizio ai sensi degli articoli 129 e 130 del testo unico approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (articolo 9).

Ancora una volta, l’esito dell’accertamento dell’inidoneità psicofisica assoluta è la cessazione del rapporto di lavoro.

7. Tutte le disposizioni sopra richiamate fanno esclusivo riferimento a vicende sopravvenute nel corso del rapporto di lavoro che abbiano inciso sullo stato di salute psicofisico del dipendente, rendendolo incapace in tutto o in parte di continuare a svolgere la prestazione lavorativa, in coerenza con le disposizioni sui requisiti generali richiesti al dipendente pubblico per l’instaurazione del rapporto di impiego.

L’idoneità fisica, infatti, come gli altri requisiti di accesso previsti dall’art. 2 del Testo unico degli impiegati civili dello Stato, è richiesta al momento dell’immissione in servizio e tale requisito deve permanere per tutta la durata del rapporto (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 febbraio 2008, n. 260).

7.1. Nel caso degli appartenenti alle Forze armate, tuttavia, i requisiti per l’instaurazione del rapporto di impiego non attengono solamente alla sfera psicofisica, poiché sono richiesti anche requisiti attitudinali.

L’accertamento dei requisiti attitudinali è effettuato ad una commissione composta da funzionari di polizia provenienti dal ruolo dei direttori tecnici psicologi e da funzionari di polizia, in possesso di una particolare qualifica.

7.2. I requisiti attitudinali sono ben diversi dai requisiti psichici e fisici.

L’attitudine è la propensione – per disposizione naturale o acquisita con metodo e istruzione – a svolgere una certa attività che richiede doti non comuni, cioè che non tutti posseggono per la sola ragione di essere capaci al lavoro: solo chi ne è in possesso può svolgerla in maniera corretta.

L’attività svolta dagli appartenenti alla Forza di Polizia (e, in generale, dalle Forze armate) è effettivamente una attività che richiede doti non comuni, per il particolare ruolo rivestito, quali dipendenti pubblici cui lo Stato affida l’uso della forza della quale ha il monopolio.

Gli appartenenti alle Forze armate, per questo, sono chiamati ad esercitare la loro attività con moderazione, senso di responsabilità, comprensione, giudizio, capacità di valutare nel modo migliore e rapidamente le circostanze, per dimostrare al cittadino che la forza è usata dallo Stato nei limiti del giusto, oltre che del lecito.

7.3. Al pari dei requisiti psicofisici, anche i requisiti attitudinali possono essere incisi da vicende sopravvenute nel corso del rapporto di impiego.

Il Consiglio di Stato, nel parere del 29 ottobre 2010, n. 4787, ha osservato che l’amministrazione ben può rivalutare in costanza di rapporto non solo la permanenza dell’idoneità psicofisica, ma anche l’idoneità attitudinale al servizio del personale appartenente alla Polizia di Stato.

Tale parere ha evidenziato che l’appartenente alla Polizia di Stato – di cui si dubiti per giusto motivo che sia ancora in possesso dei requisiti attitudinali – non potrebbe continuare a svolgere il servizio se non in violazione del principio costituzionale del buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost.

8. La ricostruzione svolta consente ora di procedere all’esame dei quesiti sottoposti dalla Sezione rimettente.

8.1. E’ chiesto a questa Adunanza Plenaria di chiarire se – nel caso di accertamento della perdita del requisito attitudinale - il rapporto di lavoro possa continuare presso altri ruoli della stessa amministrazione di pubblica sicurezza o presso altre amministrazioni.

9. L’Adunanza Plenaria ritiene che a tale quesito debba darsi risposta negativa.

9.1. Tale conclusione è imposta dal testo delle disposizioni in precedenza citate.

L’art. 36, punto XX), della legge n. 121 del 1981 ha delegato il Governo ad adottare disposizioni sul passaggio a qualifiche equivalenti di altri ruoli dell’amministrazione di pubblica sicurezza o di altre amministrazioni dello Stato, consentito solo in caso di particolare infermità e, comunque, in dipendenza del grado di idoneità all’assolvimento dei servizi di polizia accertato.

Le disposizioni regolamentari attuative hanno previsto il mutamento del rapporto di impiego in caso di “inidoneità per motivi di salute”, demandandone l’accertamento alle “commissioni mediche”.

Per il chiaro significato delle parole utilizzate, non può dubitarsi che tali disposizioni abbiano considerato le sole vicende di sopravvenuta menomazione dell’integrità psicofisica del lavoratore.

9.2. Dinanzi al chiaro significato delle parole utilizzate dal legislatore, che consentono di definire in modo chiaro ed univoco la portata precettiva della norma, è precluso all’interprete richiamare altri criteri di interpretazione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 6 maggio 2021, n. 3559; Cass. civ., Sez. Unite, 30 marzo 2021, n. 8776).

9.3. Va, dunque, condiviso l’orientamento espresso nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 8 giugno 2020, n. 3622, per la quale “il riferimento al concetto di “invalidità” […] richiama con tutta evidenza profili d’ordine fisico (o, al più, psico-fisico), ma non certo attitudinale: “invalido”, infatti, è concetto riferibile (e conseguente) al riscontro di una patologia che incide sulla capacità materiale di fare qualcosa, mentre l’attitudine attiene all’idoneità personale e soggettiva a svolgere bene, con profitto ed in sicurezza una certa attività o funzione, a prescindere dalla sussistenza di profili patologici” (v. anche Cons. Stato, sez. IV, 18 gennaio 2021, n. 519; Cons. Stato, sez. III, 6 giugno 2016, n. 2401).

9.4. Inoltre, anche l’interpretazione sistematica delle disposizioni in esame l’una a mezzo delle altre conduce alla medesima conclusione, di escludere la continuazione del rapporto in caso di sopravvenuta mancanza delle attitudini, avendo il legislatore demandato l’accertamento dell’idoneità al servizio ad un organo tecnico con competenze mediche (e non alle commissioni di verifica).

9.5. Nemmeno è possibile procedere ad un’applicazione analogica delle disposizioni, tale da estendere la disciplina della perdita dei requisiti psichici e fisici alla diversa fattispecie della perdita dei requisiti attitudinali.

Difetta qui il requisito della eadem ratio, rilevando la già descritta diversità tra i requisiti psicofisici e quelli attitudinali: ciò non consente di disciplinare identicamente le due situazioni di perdita sopravvenuta degli uni e degli altri nel corso del rapporto di impiego.

9.6. Le due situazioni sono differenti anche per un’altra ragione.

In caso di perdita dei requisiti attitudinali, non è possibile ipotizzare una graduazione della residuale capacità che consenta di distinguere tra perdita parziale e perdita totale, come accade, invece, per i requisiti psicofisici.

In linea di principio, il lavoratore o ha o non ha l’attitudine a svolgere una certa attività: non si può affermare che esso ne sia fornito ‘solo in parte’, perché ciò significherebbe non avere l’attitudine a compiere quell’attività.

Nel caso di accertamento dei requisiti attitudinali, allora, non si può ipotizzare, neppure in astratto, un esito di perdita parziale – naturalmente, giova ribadirlo, rispetto alla prestazione lavorativa in relazione alla quale l’attitudine è valutata – che possa far dire ancora presenti quei requisiti richiesti per l’accesso al rapporto di lavoro (che, in quanto richiesti, devono permanere per l’intera sua durata).

Per gli appartenenti alla Polizia di Stato, il cui rapporto di impiego è costituito solo se sussistono i requisiti attitudinali richiesti dalla normativa sopra richiamata, il venir meno di questi non può comportare la prosecuzione del rapporto di lavoro con la sola modificazione oggettiva della prestazione, poiché per quell’ordinamento settoriale il possesso dei requisiti attitudinali è richiesto per tutti i ruoli nei quali si articola la struttura.

L’unica modalità di continuazione del rapporto di lavoro sarebbe, dunque, quella della novazione soggettiva, vale a dire presso ruoli di altre amministrazioni che non richiedano per l’accesso l’accertamento di (peculiari) requisiti attitudinali.

Tale possibilità, però, non è prevista dalla legge.

9.7. Quanto detto induce a ritenere non condivisibile l’interpretazione prospettata dall’ordinanza di rimessione (al punto VI.6) per superare la lacuna normativa ovvero ritenere che il legislatore non abbia espressamente previsto la continuazione del rapporto di lavoro mediante riutilizzo del lavoratore per il fatto che, non incidendo sulla capacità lavorativa del dipendente, la perdita attitudinale non potrebbe mai essere giusta ragione di interruzione del rapporto di lavoro.

9.8. La perdita del requisito attitudinale, necessario per la costituzione del rapporto di pubblico impiego, non è e non può essere senza effetti, pena la palese violazione del canone costituzionale di buon andamento dell’azione amministrativa: tale perdita produce effetti sul rapporto di lavoro e – per i principi di legalità e di tipicità degli atti amministrativi - non consente l’assegnazione al dipendente di altra qualifica all’interno dei ruoli dell’amministrazione di pubblica sicurezza oppure il transito in altri ruoli della pubblica amministrazione, perché tali possibilità non sono previste dalla legge.

La perdita del requisito attitudinale comporta la cessazione del rapporto di impiego, in considerazione dell’art. 58 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 335, per il quale le cause di cessazione dal servizio sono quelle previste dal Testo unico sugli impiegati civili dello Stato, e dell’art. 129 del predetto Testo unico, per il quale comporta la cessazione dal servizio la sopravvenuta incapacità allo svolgimento della prestazione lavorativa.

10. Va ora affrontata l’ulteriore questione posta dall’ordinanza di rimessione e cioè se tale disciplina – così interpretata - contrasti con le disposizioni costituzionali e, segnatamente, con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.

11. L’Adunanza Plenaria ritiene che la scelta del legislatore non sia irragionevole.

La questione di illegittimità costituzionale prospettata dall’ordinanza di rimessione è manifestamente infondata.

11.1. Il sindacato di ragionevolezza si articola nella verifica di ragionevolezza c.d. intrinseca, diretta ad accertare la coerenza tra la valutazione compiuta e la decisione da prendere, e in quella di ragionevolezza c.d. esterna, in cui va vagliata la coerenza rispetto alle situazioni comparabili, tenendo conto del bene giuridico tutelato, della sua meritevolezza e della sua idoneità a prevalere sul diverso bene giuridico eventualmente limitato, sulla base di un bilanciamento tra contrapposti interessi da svolgere in base alla gerarchia di valori espressa dall’ordinamento (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 31 maggio 2021, n. 4169).

11.2. La scelta del legislatore di disporre la cessazione del rapporto di impiego dell’appartenente alla Polizia di Stato per il caso di perdita del requisito attitudinale - e non anche di perdita parziale della idoneità psicofisica - non è irrazionale, perché, come si è in precedenza rilevato, rispetto alla perdita della idoneità psicofisica – che può essere parziale –, la perdita del requisito attitudinale all’attività lavorativa è necessariamente ‘integrale’, sicché, se per la prima si può affermare che il requisito di accesso sia mantenuto sia pure in parte nel corso del rapporto di lavoro, nel secondo caso esso è integralmente perduto.

11.3. Non si può ravvisare , poi, alcuna ingiustificata disparità di trattamento: i requisiti attitudinali costituiscono doti individuali differenti dall’idoneità psicofisica allo svolgimento della prestazione lavorativa, per cui si è in presenza di situazioni non omogenee e, per questa ragione, non comparabili.

La perdita degli uni non è equiparabile alla perdita (parziale) degli altri, anche perché la vicenda sopravvenuta che incida sullo stato di salute del lavoratore determina un certo grado di inabilità al lavoro – ad ogni lavoro – che fa ritenere particolarmente difficoltosa per chi l’abbia subita la ricollocazione nel mercato del lavoro; diversamente, come evidenziato dall’ordinanza di rimessione, la perdita attitudinale non ha incidenza sulla capacità lavorativa, poiché esclude solamente la predisposizione a quella particolare attività lavorativa.

A differenza di chi abbia perduto in parte la propria capacità lavorativa, il lavoratore che sia risultato privo del requisito attitudinale ha la stessa probabilità di rientrare - in tutti gli altri settori del mondo del lavoro – rispetto ad ogni altro lavoratore che quella vicenda non abbia subito.

11.4. Il legislatore ha tenuto in tal modo conto dell’interesse del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro e di quello del datore di lavoro ad assumere forza lavoro idonea appieno allo svolgimento della prestazione lavorativa.

Se nel caso di perdita parziale dalla capacità lavorativa prevale il primo – per ragioni di solidarietà sociale ex artt. 2 e 3 Cost. oltre che per le altre ragioni sopra esposte – è ragionevole la previsione normativa per la quale nel secondo caso prevale l’interesse dell’amministrazione.

11.5. Il legislatore potrebbe prevedere il transito dell’appartenente alla Forza di Polizia che perda il requisito attitudinale presso i ruoli di altre amministrazioni che non richiedono alcun requisito attitudinale per l’instaurazione del rapporto di lavoro.

Si tratterebbe, però, di una regola speciale, poiché in linea di principio la perdita dell’idoneità psicofisica comporta la novazione in senso oggettivo del rapporto di lavoro, non anche sotto il profilo del mutamento dell’amministrazione datrice di lavoro.

Le relative scelte rientrano nelle prerogative proprie del legislatore, cui è rimesso, tra più regole possibili e consentite dal punto di vista costituzionale, lo stabilire quale di essa debba disciplinare una certa fattispecie: la relativa valutazione politica non è di per sé sindacabile (come previsto dall’art. 28 l. 11 marzo 1953, n. 87; cfr. Cass. civ., sez. II, 17 marzo 1995, n. 3106).

11.6. Le considerazioni in precedenza svolte portano ad escludere la contrarietà della disciplina in esame con il diritto dell’Unione europea e, segnatamente, con la direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

Il ‘Considerando 18’, richiamato dalla stessa ordinanza di rimessione, precisa che “La presente direttiva non può avere l’effetto di costringere le forze armate nonché i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso ad assumere o mantenere nel posto di lavoro persone che non possiedono i requisiti necessari per svolgere l’insieme delle funzioni che possono essere chiamate ad esercitare in considerazione dell’obiettivo legittimo di salvaguardare il carattere operativo di siffatti servizi”.

D’altronde, il requisito attitudinale, la cui perdita comporta la cessazione del rapporto di lavoro dell’appartenente alla Forza di Polizia, è caratteristica della persona ben diversa da quelle indicate dall’art. 1 della direttiva quali profili di possibile discriminazione del lavoratore, vale a dire la sua religione, le sue convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.

Se, infatti, si può ipotizzare pari idoneità lavorativa tra chi professi diverse religioni, abbia varie convinzioni personali, sia portatore di handicap, abbia diversa età o tendenza sessuale, a profili attitudinali diversi non possono che corrispondere differenti capacità di esecuzione di una prestazione lavorativa.

11.7. Neppure la (carenza di) attitudine potrebbe essere assimilata ad un handicap, per la chiara definizione di quest’ultimo che ha dato la Corte di Giustizia, nella sentenza, sez. II, 11 aprile 2013, HK Danmark, causa C-335/11, di “condizione patologica causata da una malattia diagnosticata come curabile o incurabile qualora tale malattia comporti una limitazione, risultante in particolare

da menomazioni fisiche, mentali o psichiche che, in interazione con barriere di diversa natura, possa ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori, e tale limitazione sia di lunga durata”.

12. In conclusione, al primo quesito posto dall’ordinanza di rimessione va data risposta nel senso che “l’inidoneità attitudinale sopravvenuta non rientra nelle previsioni di cui all’art. 1 d.P.R. n. 339 del 1982 e di conseguenza non dà luogo al passaggio del dipendente della Forza di Polizia ad altrui ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza o di altre amministrazioni dello Stato, ma è causa di cessazione del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 129 T.u. impiegati civili dello Stato” ed al secondo quesito nel senso che “è manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità di tale disciplina come pure di eventuale contrarietà al diritto euro-unitario”.

Il terzo quesito, posto per il caso di risposta positiva al primo, è assorbito.

13. Così risolti i quesiti, la controversia va rimessa alla Sezione remittente per l’esame dell’appello incidentale e per la decisione sulle spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), non definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, enuncia i principi di diritto di cui in motivazione e restituisce gli atti alla Sezione.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento esclusivamente delle generalità dell’appellato.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2022 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Carmine Volpe, Presidente

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Marco Lipari, Presidente

Ermanno de Francisco, Presidente

Michele Corradino, Presidente

Andrea Pannone, Consigliere

Vincenzo Neri, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Federico Di Matteo, Consigliere, Estensore

Giovanni Sabbato, Consigliere