Cons. Stato, Sez. V, 12 novembre 2020, n. 6975

Il solo difetto della qualificazione come centrale di committenza o soggetto aggregatore e conseguentemente l’incapacità a svolgere le relative funzioni costituisce uno specifico vizio della procedura di gara avviata dall’Amministrazione aggiudicatrice (quale soggetto aggregatore rappresentante dei piccoli comuni associati), maturato in un ambito pubblicistico, trattandosi di una procedura di scelta del contraente posta in essere da soggetto che, in astratto, potrebbe essere tenuto all’applicazione dell’evidenza pubblica, ma che, in relazione alla concreta vicenda in esame, ha illegittimamente esercitato il potere.

 

 

 

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 698 del 2020, proposto da
Italimpianti S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Luca Tozzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via Toledo, 323;

contro

Comune di Casaluce, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ferdinando Pinto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Bruno Sassani in Roma, via XX Settembre, 3;

nei confronti

Asmel Consortile S.c.a r.l. non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Sezione Prima) n. 5825 del 2019, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Casaluce;

Viste le memorie delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 ottobre 2020 il Cons. Elena Quadri e uditi per le parti gli avvocati Tozzi, Renditiso su delega di Pinto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO

Italimpianti s.r.l. ha impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania gli atti relativi all’indizione della gara mediante procedura aperta avente ad oggetto l’affidamento in concessione della progettazione, costruzione e gestione nel comune di Casaluce di un tempio crematorio in project financing, ai sensi dell’art. 183, comma 15, del d.lgs. n. 50 del 2016 e successive modifiche e integrazioni.

Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania ha dichiarato inammissibile il ricorso con sentenza n. 5825 del 2019, contro la quale Italimpianti ha proposto appello per i seguenti motivi di diritto:

I) error in iudicando sulla dichiarazione di inammissibilità del gravame proposto in primo grado, di insussistenza di clausole escludenti contra legem e di carenza di legittimazione processuale;

II) violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 37 e 38 d.lgs. n. 50 del 2016 in relazione all’art. 33, comma 3-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006, alla determinazione ANAC n. 11/2015, alla deliberazione di approvazione dei soggetti aggregatori ANAC n. 31/2018, al d.P.C.M. 11 novembre 2014 ed agli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 175 del 2016 e 97 della Costituzione); carenza di potere per insussistenza dei presupposti, travisamento dei fatti, violazione e falsa applicazione di legge (d.lgs. n. 175 del 2016); violazione e falsa applicazione di legge (art.41, comma 2-bis e 58 ed 83, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016); sulla illegittima richiesta di impegno a pagare corrispettivi ad ASMEL a pena di esclusione; sulla violazione del principio di tassatività delle clausole escludenti;

III) violazione del combinato disposto degli articoli 183, comma 15, del d.lgs. n. 50 del 2016 e 95 del d.P.R. n. 207 del 2010, nonché dell'articolo 97 della Costituzione; violazione dell'articolo 83, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016; eccesso di potere per insussistenza dei presupposti, sviamento;

IV) violazione e falsa applicazione di legge (articolo 95, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016);

V) violazione e falsa applicazione di legge (articolo 95, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016); contraddittorietà e irragionevolezza.

Si è costituito per resistere all’appello il comune di Casaluce.

Successivamente le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive conclusioni.

All’udienza pubblica del 29 ottobre 2020 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Giunge in decisione l’appello proposto da Italimpianti contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania n. 5825 del 2019, che ha dichiarato inammissibile il ricorso per l’annullamento del bando di gara mediante procedura aperta avente ad oggetto l’affidamento in concessione della progettazione, costruzione e gestione nel comune di Casaluce di un tempio crematorio in project financing, ai sensi dell’art. 183, comma 15, del d.lgs. n. 50 del 2016 e successive modifiche e integrazioni.

Con il primo motivo l’appellante, premettendo che i requisiti di partecipazione alla gara sarebbero stati illegittimamente escludenti, ritiene, contrariamente a quanto statuito dal Tribunale amministrativo regionale, di essere incorsa in una e più delle clausole direttamente lesive che imponevano l’obbligo (a pena di decadenza) di impugnazione immediata. Contesta, dunque, le statuizioni della sentenza appellata nella parte in cui la stessa ha, invece, ritenuto non documentata la legittimazione dell’appellante, rammentando che, alla luce dei propri bilanci tempestivamente depositati in primo grado, sarebbe stata chiaramente attestata la sussistenza dei requisiti del concessionario ai sensi dell’art. 95 del d.P.R. n. 207 del 2010 in capo alla Italimpianti medesima. Ribadisce, inoltre, che se la stazione appaltante avesse previsto nella lex specialis di gara le sole previsioni ex lege di cui all'articolo 95, comma 1, lettere a), b), c) e d), del d.P.R. n. 207 del 2010, laddove prevedono il raddoppio del fatturato medio annuo e del capitale sociale, la stessa avrebbe agevolmente potuto partecipare alla gara.

Il motivo è fondato.

Deve premettersi che questo Consiglio, con la decisione n. 9 del 2014 resa in Adunanza Plenaria, dopo avere richiamato i propri precedenti (n. 4 del 2011 e n. 1 del 2003), ha rilevato che, in materia di controversie aventi ad oggetto gare di appalto, il tema della legittimazione al ricorso (o titolo) è declinato nel senso che tale legittimazione "deve essere correlata ad una situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione" e che "chi volontariamente e liberamente si è astenuto dal partecipare ad una selezione non è dunque legittimato a chiederne l'annullamento ancorché vanti un interesse di fatto a che la competizione - per lui res inter alios acta - venga nuovamente bandita".

È stato poi ivi precisato che a tale regola generale può derogarsi, per esigenze di ampliamento della tutela della concorrenza, solamente in tre tassative ipotesi, ovvero:

1) quando si contesta in radice l’indizione della gara;

2) quando si contesta che una gara sia mancata, avendo l’amministrazione disposto l’affidamento in via diretta del contratto;

3) quando si impugnano direttamente le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti.

La sentenza appellata ha statuito che l’odierna appellante non avrebbe né affermato né dimostrato “che l’eventuale riconoscimento della possibilità di incrementare i requisiti di cui alle lettere a) e b) del primo comma dell’art. 95 citato, quantomeno in una misura oscillante tra fra 1,5 volte e tre volte, le consentirebbe comunque di partecipare alla gara e, così, di superare la mancanza del requisiti del contratto di punta dichiaratamente non posseduto” (a pena di esclusione, di «aver gestito nell’ultimo triennio (2016-2017-2018) il servizio cimiteriale, comprensivo del servizio di gestione, manutenzione ordinaria e straordinaria, lavori cimiteriali, gestione e manutenzione cimiteriale, conduzione forno crematorio in favore di una popolazione servita non inferiore a 10.000 (diecimila) abitanti. Il concorrente dovrà dichiarare tale requisito presentando un elenco con indicazione dei destinatari, il numero di abitanti, il periodo di effettuazione del servizio (vedasi DGUE Dichiarazione Parte IV: Criteri di selezione – lett. C); si precisa che tale requisito può essere posseduto anche cumulando i dati relativi a differenti ambiti territoriali/committenti, purché almeno il 50% (cinquanta per cento) della popolazione minima sia servita in un’unica gestione, intendendosi per tale quella disciplinata da un medesimo contratto»).

Il Collegio non condivide tali statuizioni.

Nel caso di specie, non solo l'impugnata lex specialis non ha mai fatto richiamo e/o rinvio alle previsioni di cui all'articolo 95, comma 1, lettere a), b), c), e d), del d.P.R. n. 207 del 2010, ai fini della dimostrazione della sussistenza in capo al concorrente dei requisiti di qualificazione previsti da tale norma, ma ha anche illegittimamente richiesto, in aperta violazione delle previsioni di cui all'articolo 83 del d.lgs. n. 50 del 2016, ulteriori ed ultronei requisiti di partecipazione/qualificazione (il contratto di punta), solo questi ultimi non posseduti da Italimpianti (e quindi a tutti gli effetti escludenti ab origine), che di fatto hanno impedito alla società di poter partecipare alla gara.

Come risulta dalla documentazione versata in atti l'odierna appellante aveva, infatti, ampiamente documentato ed argomentato, mediante i bilanci tempestivamente depositati in primo grado, la propria legittimazione e quindi il proprio interesse processuale, attestando la sussistenza in capo a sé stessa dei requisiti del concessionario ai sensi dell’art. 95 del d.P.R n. 207 del 2010.

L'importo complessivo dell'investimento previsto dalla lex specialis è pari ad euro 2.698.384,00; tenuto conto delle previsioni di cui al primo comma dell'articolo 95 del d.P.R. n. 207/2010, per poter validamente partecipare all'affidamento oggetto di causa, bandito ai sensi dell'articolo 183, comma 15, del d.lgs. n. 50/2016, il bando di gara doveva consentire la partecipazione agli operatori economici che, in conformità al dato normativo, potessero dimostrare:

a) un fatturato medio relativo alle attività svolte negli ultimi cinque anni antecedenti alla pubblicazione del bando non inferiore al dieci per cento dell’investimento previsto per l’intervento, vale a dire, nello specifico, il 10% di euro 2.698.384, pari ad euro 269.838,40;

b) un capitale sociale non inferiore ad un ventesimo dell’investimento previsto per l’intervento, vale a dire, nello specifico, il 5% di euro 2.698.384, pari ad euro 134.919,20;

c) lo svolgimento negli ultimi cinque anni di servizi affini a quello previsto dall’intervento per un importo medio non inferiore al cinque per cento dell’investimento previsto per l’intervento, vale a dire, nello specifico, il 5% di euro 2.698.384, pari ad euro 134.919,20;

d) lo svolgimento negli ultimi cinque anni di almeno un servizio affine a quello previsto dall’intervento per un importo pari ad almeno il due per cento dell’investimento previsto dall’intervento, vale a dire, nello specifico, il 2% di euro 2.698.384, pari ad euro 53.967,68.

Inoltre, in base al comma 2 dell'articolo 95 del d.P.R. n. 207/2010, il bando di gara, in alternativa ai requisiti previsti dal comma 1, lettere c) e d), doveva prevedere che l'aspirante concessionario potesse incrementare i requisiti previsti dal medesimo comma, lettere a) e b), nella misura fissata dal bando di gara, comunque compresa fra 1,5 volte e tre volte e che il requisito previsto dal comma 1, lettera b), potesse essere dimostrato anche attraverso il patrimonio netto. In tal caso, doveva, quindi, consentire la partecipazione alla procedura di gara a coloro i quali potessero dimostrare:

a) un fatturato medio relativo alle attività svolte negli ultimi cinque anni antecedenti alla pubblicazione del bando non inferiore al massimo al dieci per cento per tre dell’investimento previsto per l’intervento vale a dire, nello specifico, il 30% di euro 2.698.384, pari ad euro 809.515,20;

b) un capitale sociale non inferiore al massimo ad un ventesimo per tre dell’investimento previsto per l’intervento, vale a dire, nello specifico, il 15% di euro 2.698.384, pari ad euro 404.757,60.

L'odierna appellante avrebbe potuto, quindi, partecipare alla gara in questione qualora la lex specialis non avesse violato le previsioni dell'articolo 95 del d.P.R. n. 207/2010, tenuto conto che, come si ricava dalla documentazione tempestivamente depositata agli atti del giudizio, al momento della presentazione delle offerte era in possesso dei seguenti requisiti:

a) un fatturato medio relativo alle attività svolte negli ultimi cinque anni antecedenti alla pubblicazione del bando pari ad euro 1.900.836,20 (in quanto nell'anno 2017 era pari ad euro 1.897.274,00, nell'anno 2016 ad euro 1.916.449,00, nell'anno 2015 ad euro 1.457.228,00, nell'anno 2014 ad euro 2.401.382,00 e nell'anno 2013 ad euro 1.831.848,00) e, pertanto, superiore ad euro 809.515,20;

b) un patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio al 31 dicembre 2017 pari ad euro 697.930,00, pertanto superiore ad euro 404.757,60.

Il ricorso di prime cure era, dunque, certamente ammissibile, sussistendo l’interesse della ricorrente alla decisione.

Per l’effetto devolutivo dell’appello devono, quindi, essere esaminate le ulteriori censure proposte in primo grado che la sentenza appellata ha, invece, assorbito, e, innanzitutto, il motivo, nell’appello riproposto e che riveste carattere pregiudiziale, con cui l’istante aveva dedotto che l’esclusione di Asmel dal perimetro delle amministrazioni aggiudicatrici (perché associa un soggetto privato) avrebbe comportato l’impossibilità di svolgimento da parte della stessa delle funzioni di centrale di committenza, come definita dalle previsioni di cui all’articolo 3, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 50/2016 (“un'amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore che forniscono attività di centralizzazione delle committenze e, se del caso, attività di committenza ausiliarie”).

In particolare, per l’appellante la procedura concorsuale in questione sarebbe totalmente illegittima, atteso che il comune di Casaluce avrebbe delegato l’espletamento della stessa alla Asmel consortile S.c.a r.l., priva dei requisiti di legge per poter essere considerata una centrale di committenza.

Invero, la stessa, nonostante i correttivi adottati a valle della deliberazione ANAC n. 32/2015, con la quale non sono stati riconosciuti alla stessa i requisiti di cui all’art. 33, comma 3 bis, del d.lgs. n. 163/2006 e le è stata negata la qualifica di soggetto aggregatore ex art. 9 del d.l. n. 66/2014, continuerebbe a non possedere neppure le caratteristiche del modello organizzativo previsto dall’art. 37, comma 4, d.lgs. n. 50/2016 per la costituzione di centrali di committenza da parte dei comuni, continuando ad avere (nonostante l’intervenuta estromissione dei soci privati) una sostanziale natura privatistica, in quanto società di diritto privato costituita da altre associazioni (Asmel Campania ed Asmel Calabria). Per l’ordinamento italiano le centrali di committenza sono, invece, in ogni caso enti pubblici (province e città metropolitane), ovvero forme associative di enti locali quali “l’unione di comuni” o anche il consorzio di comuni, sorte a seguito di accordi ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. n. 267 del 2000; anche ad ammettere il ricorso a soggetti privati, dovrebbe, comunque, trattarsi di organismi in house, la cui attività sia limitata al territorio dei comuni fondatori, laddove, nel caso di specie, nella previsione di una legittimazione a svolgere funzione di centrale di committenza a livello nazionale mancherebbe sia il profilo del controllo analogo, sia quello dei limiti territoriali.

Inoltre, Asmel continuerebbe a richiedere illegittimamente ai concorrenti aggiudicatari in tutti i propri bandi i costi di gestione della sua piattaforma ASMECOMM., in violazione dell’art.41, comma 2 bis, del d.lgs. 50/2016, che prevede che: “E’ fatto divieto di porre a carico dei concorrenti, nonché dell’aggiudicatario, i costi di gestione delle piattaforme di cui all’art.58”.

Nella specie, il disciplinare, al punto 4.14 (atto unilaterale di obbligo) richiederebbe quale ‘elemento essenziale dell’offerta’, un importo di euro 39.900,00 oltre IVA ed al contempo una dichiarazione di impegno di tutti i concorrenti, a pena di esclusione, di obbligo di pagamento dello stesso ad Asmel in caso di aggiudicazione.

Il Comune eccepisce la carenza d’interesse di tale ultimo profilo di censura, in quanto Italimpianti non rivestirebbe la natura di aggiudicataria della gara. Inoltre, afferma che ad Asmel consortile non sarebbe stata attribuita la funzione di centrale di committenza, bensì la mera funzione di commitenza ausiliaria, effettuando la stessa una mera attività di supporto nella gestione informatica della gara, che resterebbe nella disponibilità e nella gestione del solo Comune.

Il morivo è fondato.

Innanzitutto, dalla lex specialis, ed in particolare dal bando di gara, pag. 6, Punto V, lett. r) (“Atto unilaterale d’obbligo”) risulta che: “L’Operatore Economico – in caso di aggiudicazione - si obbliga a pagare alla Centrale di Committenza “Asmel Consortile S. c. a r.l.”, prima della stipula del contratto, il corrispettivo dei servizi di committenza e di tutte le attività di gara non escluse dal comma 2-bis dell’art.41 del D.lgs. n. 50/2016 dalla stessa fornite, una somma pari a € 39.900.00 oltre IVA.”. Da tale prescrizione espressa della legge di gara risulta, quindi, conclamata la natura di centrale di committenza di Asmel consortile.

Inoltre, a prescindere dall’ammissibilità o meno dell’ultimo profilo di censura, come risulta dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea del 4 giugno 2020, emessa su ordinanza di rimessione di questo Consiglio n. 68 del 3 gennaio 2019: “L’articolo 1, paragrafo 10, e l’articolo 11 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, come modificata dal regolamento (UE) n. 1336/2013 della Commissione, del 13 dicembre 2013, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una disposizione di diritto nazionale che limita l’autonomia organizzativa dei piccoli enti locali di fare ricorso a una centrale di committenza a soli due modelli di organizzazione esclusivamente pubblica, senza la partecipazione di soggetti o di imprese private.

L’articolo 1, paragrafo 10, e l’articolo 11 della direttiva 2004/18, come modificata dal regolamento n. 1336/2013, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una disposizione di diritto nazionale che limita l’ambito di operatività delle centrali di committenza istituite da enti locali al territorio di tali enti locali”.

Asmel non poteva, dunque, rivestire la posizione di centrale di committenza; ne consegue l’illegittimità dell’intera procedura concorsuale.

Alla luce delle suesposte considerazioni, assorbendosi le ulteriori censure dedotte, l’appello va accolto e, in riforma della sentenza appellata, va accolto il ricorso di primo grado.

Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. Sussistono giusti motivi per compensarle, invece, integralmente tra l’appellante e Asmel.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado.

Condanna il comune di Casaluce alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio nei confronti dell’appellante, che si liquidano in euro 6000, oltre ad oneri di legge. Spese compensate tra l’appellante e Asmel.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 ottobre 2020.

GUIDA ALLA LETTURA

Prima di affrontare il tema relativo ai requisiti utili per essere qualificati come centrale di committenza, di cui alle Sentenze in commento, si propone un richiamo ad un precedente articolo nel quale è stato esaminato l’istituto della legittimazione ad agire in giudizio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione ( http://italiappalti.it/leggiarticolo.php?id=4369 ). In merito, è stata ricordata la massima del G.A. (Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 3 febbraio 2020, n. 240): Secondo il Giudice citato, sussistente il pregiudizio grave ed irreparabile nel rischio di consolidamento di posizioni pregiudizievoli - e potenzialmente irreversibili - per le pubbliche amministrazioni e per l’intero sistema degli appalti pubblici, tale da consolidare la legittimazione ANAC ai sensi dell'art. 211 D.Lgs. n. 50/2016. Le previsioni normative contenute nell’alveo del disposto legale citato nella sentenza conferiscono ad A.N.A.C. una legittimazione straordinaria ed eccezionale in ragione della funzione (vigilanza e controllo sugli appalti pubblici) che le è assegnata dalla Legge. La previsione di cui all’articolo 211, comma 1-quater, del D.Lgs. 50/2016 ha onerato la stessa A.N.A.C. di individuare con proprio regolamento i casi o le tipologie di provvedimenti in relazione ai quali esercita i poteri di cui ai commi 1-bis e 1-ter.

Tale premessa risulta importante per inquadrare la fattispecie posta all’esame dal presente commento.

In particolare, l’Autorità Nazionale Anticorruzione, nell’esercizio della legittimazione ad agire riconosciuta dall’art. 211, commi 1-bis e 1-ter, del Codice dei contratti pubblici (approvato con il d.lgs. n. 50 del 2016), con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha impugnato gli atti della procedura di gara indetta da ASMEL Consortile s.c.a.r.l., quale centrale di committenza delegata da diversi enti locali, relativa alla procedura aperta per l’affidamento di una o più convenzioni quadro «per la fornitura di apparecchi per illuminazione pubblica equipaggiati con sorgente a led, sistemi di sostegno degli apparecchi a led, dispositivi per il telecontrollo/telegestione e accessori smart city per gli Enti associati ASMEL», di cui al bando di gara pubblicato il 7 agosto 2019. Come si evince nella prima sentenza in commento (Cons. Stato, Sez. V, 3 novembre 2020 n. 6787), il ricorso si incentrava essenzialmente sull’illegittimità degli atti delle procedura di gara per il difetto della qualifica di centrale di committenza attribuibile alla ASMEL Consortile s.c.a.r.l., che non poteva essere considerata come amministrazione aggiudicatrice, non essendo in possesso dei requisiti per bandire una gara per la stipula di convenzioni quadro per l’acquisizione di forniture a favore di pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. i) [che contiene la definizione di «centrale di committenza»] e lett. m) [definizione di «attività di committenza ausiliarie»] e dell’art. 37, comma 4, del Codice dei contratti pubblici.

In tema di legittimazione ad agire in giudizio da parte di A.N.A.C., il Consiglio di Stato, con la sentenza in esame, ricorda che l’Autorità “è titolata a curare anche in giustizia, seppure nei termini generali e nelle forme proprie del processo amministrativo, gli interessi e le funzioni cui è preposta dalla legge e sintetizzate dai precetti di questa: perciò le è consentito (anche) di agire in giudizio seppur nei limiti segnati dall’art. 211 e dal suo regolamento (così anche la citata pronuncia della Adunanza Plenaria, n. 4 del 2018, che - pur qualificando il potere di agire ex art. 211 cit. come un caso di «legittimazione processuale straordinaria» - precisa che «la disposizione di cui all’art. 211 del d.Lgs n. 50/2016 [non] si muove nella logica di un mutamento in senso oggettivo dell’interesse [...] a che i bandi vengano emendati immediatamente da eventuali disposizioni (in tesi) illegittime, seppure non escludenti: essa ha subiettivizzato in capo all’Autorità detto interesse, attribuendole il potere diretto di agire in giudizio nell’interesse della legge»)”.

Conclusa tale premessa, che risulta dirimente per comprendere la legittimazione processuale di A.N.A.C. ai fini di vagliare l’operato della Società quale centrale di committenza (il G.A. in commento ricorda che “il potere di azione in giustizia attribuito all’Anac è per prevenire illegittimità nel settore dei contratti pubblici, con particolare riferimento all’impugnazione dei bandi e degli altri atti generali, in relazione a «gravi violazioni» del Codice dei contratti pubblici, per cui sarebbe irragionevole un’interpretazione limitante tale potere dell’Anac proprio quando il vizio di legittimità investa lo stesso presupposto legittimante l’indizione della gara”), occorre focalizzare l’attenzione sul tema proposto in premessa: il difetto della qualifica di centrale di committenza; in pratica, Asmel non ha i requisiti per esplicare il ruolo di stazione appaltante e di centrale di committenza, non essendo un’amministrazione aggiudicatrice ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. i), del Codice dei contratti pubblici. Il sopra citato art. 3, comma 1, lett. i) del codice definisce le «amministrazioni aggiudicatrici», le «amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti».

Asmel è un’associazione quale centrale di committenza tra diverse amministrazioni, rappresentate dai piccoli comuni associati, iscritta all’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti. Sul punto occorre ricordare quanto previsto dall’art. 37, comma 4 del Codice (comma vigente ai tempi del giudizio poiché, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a) della legge n. 55 del 2019, come modificato dall’art. 8, comma 7 della legge n. 120 del 2020, esso è stato sospeso fino al 31 dicembre 2021), “Se la stazione appaltante è un comune non capoluogo di provincia, fermo restando quanto previsto al comma 1 e al primo periodo del comma 2, procede secondo una delle seguenti modalità:

a) ricorrendo a una centrale di committenza o a soggetti aggregatori qualificati;

b) mediante unioni di comuni costituite e qualificate come centrali di committenza, ovvero associandosi o consorziandosi in centrali di committenza nelle forme previste dall’ordinamento;

c) ricorrendo alla stazione unica appaltante costituita presso le province, le città metropolitane ovvero gli enti di area vasta ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56”.

Al fine di ricorrere ad una centrale di committenza, di cui al citato art. 37, comma 4, lett. a), ANAC, nel proprio atto, ha precisato che, per poter acquisire la qualifica di centrale di committenza o di soggetto aggregatore, occorre che il soggetto sia non solo iscritto all’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, istituita dall’art. 33-ter del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ma anche all’elenco dei soggetti aggregatori (inizialmente istituito presso l’AVCP e attualmente compreso nelle competenze dell’Anac, per effetto dell’art. 213, comma 16, del Codice dei contratti pubblici, secondo cui «E' istituito, presso l'Autorità, nell'ambito dell'Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, l'elenco dei soggetti aggregatori»). L’iscrizione a detto elenco è disciplinata dall’articolo 9 (Acquisizione di beni e servizi attraverso soggetti aggregatori e prezzi di riferimento) del decreto- legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, il quale prevede, al comma 2, che i soggetti che intendono operare come soggetti aggregatori o centrali di committenza, diversi dalla Consip e dalle centrali di committenza istituite dalle singole regioni, devono richiedere all’Anac l’iscrizione nell’elenco; l’iscrizione è condizione necessaria per «stipulare, per gli ambiti territoriali di competenza, le convenzioni di cui all'articolo 26, comma 1, della legge 23 dicembre 1999, n. 488 [...]» (comma 2, secondo periodo, dell’art. 9 cit.); vale a dire, per stipulare le convenzioni quadro che sono oggetto del bando di gara indetto da Asmel Consortile (quale centrale di committenza) e impugnato dall’Anac col ricorso in primo grado.

Con propria deliberazione n. 32 del 30 aprile 2015, ANAC aveva già precisato che la Società Asmel Consortile non possiede i requisiti soggettivi e organizzativi necessari per l’inserimento nell’elenco dei soggetti aggregatori di cui all'art. 9 del decreto- legge n. 66 del 2014, e, conseguentemente, ha escluso il presupposto di legittimazione per espletare attività di intermediazione negli acquisti pubblici.

Al di là del giudizio promosso dalla Società, impugnando la citata deliberazione n. 32 del 2015 dell’Autorità, conclusasi dinanzi alla Corte di Giustizia dell’U.E., con sentenza Sez. II, 4 giugno 2020, in C-3/19, Asmel ha continuato a non essere in possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente al fine di essere inclusa all’interno dell’elenco dei soggetti aggregatori, perdurando pertanto il difetto di possedere i requisiti di qualificazione come centrale di committenza o soggetto aggregatore.

Pertanto, il Giudice, con la Sentenza, Sez. V, 3 novembre 2020, n. 6787, ha respinto il ricorso promosso da Asmel, precisando che il solo difetto della qualificazione come centrale di committenza o soggetto aggregatore e conseguentemente la sua incapacità a svolgere le relative funzioni costituisce uno specifico vizio della procedura di gara avviata dall’Amministrazione aggiudicatrice (quale soggetto aggregatore rappresentante dei piccoli comuni associati), maturato in un ambito pubblicistico, trattandosi di una procedura di scelta del contraente posta in essere da soggetto che, in astratto, potrebbe essere tenuto all’applicazione dell’evidenza pubblica, ma che, in relazione alla concreta vicenda in esame, ha illegittimamente esercitato il potere.

Con la sentenza della medesima Sezione (Sez. V., 12 novembre 2020, n. 6975), è stato esaminato l’appello promosso da Italimpianti contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania n. 5825 del 2019, che ha dichiarato inammissibile il ricorso per l’annullamento del bando di gara mediante procedura aperta – espletata dalla Asmel Consortile su delega del Comune di Casaluce - avente ad oggetto l’affidamento in concessione della progettazione, costruzione e gestione nel comune di Casaluce di un tempio crematorio in project financing, ai sensi dell’art. 183, comma 15, del d.lgs. n. 50 del 2016 e successive modifiche e integrazioni.

Anche in questa fattispecie, posta all’esame dell’autorevole Giudice amministrativo, è stato ricordato come Asmel non avesse i requisiti di cui al Codice dei Contratti Pubblici, tanto da vedersi negata la qualifica di soggetto aggregatore ex art. 9 del D.L. n. 66/2014.

Il G.A. ha precisato inoltre che, “per l’ordinamento italiano le centrali di committenza sono in ogni caso enti pubblici (province e città metropolitane), ovvero forme associative di enti locali quali “l’unione di comuni” o anche il consorzio di comuni, sorte a seguito di accordi ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. n. 267 del 2000; anche ad ammettere il ricorso a soggetti privati, dovrebbe, comunque, trattarsi di organismi in house, la cui attività sia limitata al territorio dei comuni fondatori, laddove, nel caso di specie, nella previsione di una legittimazione a svolgere funzione di centrale di committenza a livello nazionale mancherebbe sia il profilo del controllo analogo, sia quello dei limiti territoriali”.

Pertanto, Asmel non poteva rivestire la posizione di centrale di committenza e ne è conseguita l’illegittimità dell’intera procedura di gara.