Consiglio di Stato, sez. V, 3 giugno 2021, n. 4248

Non  può condividersi il presupposto da cui muove l’appellante nel fondare le proprie ragioni di doglianza, ossia la presunta tipicità delle cause di esclusione – ratione temporis – previste dall’art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016, dovendosi al riguardo confermare il generale principio (ex multis, Cons Stato, V, 2 marzo 2018, n. 1299), dal quale non vi sono evidenti ragioni per discostarsi, nel caso di specie, per cui l’elencazione dei gravi illeciti professionali rilevanti, contenuta nella lettera c), del comma 5, dell’art. 80, è da considerarsi “meramente esemplificativa” per come è fatto palese sia dalla possibilità della stazione appaltante di fornire la dimostrazione (dell’illecito professionale) “con mezzi adeguati”, sia dall’incipit della disposizione (“Tra questi (id est, gravi illeciti professionali ) rientrano: [….]”che precede l’elencazione. Quest’ultima, oltre ad individuare a titolo esemplificativo, gravi illeciti professionali rilevanti, ha anche lo scopo di alleggerire l’onere della stazione appaltante di fornirne la dimostrazione con “mezzi adeguati”.

D’altro canto, “le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione” rilevano se anche singolarmente costituiscano un grave illecito professionale ovvero se siano sintomatiche di persistenti carenze professionali, come riconosciuto anche al punto 2.2.1.2 delle linee-guida ANAC n. 6 del 2016-2017, laddove il successivo punto 2.2.1.3 delle stesse linee-guida comprende nell’elencazione delle significative carenze rilevanti, tra le altre, il singolo inadempimento di una obbligazione contrattuale o l’adozione di comportamenti scorretti o il ritardo nell’adempimento.

Tali conclusioni sono coerenti con l’interpretazione pregiudiziale del giudice eurounitario (Corte giust. UE, IV, 19 giugno 2019, C-41/18, Meca s.r.l.), in base alla quale la valutazione sulla sussistenza di gravi illeciti professionali spetta in via esclusiva alla stazione appaltante, costituendo una scelta ampiamente discrezionale; da ciò consegue che il sindacato del giudice amministrativo sulle relative motivazioni non può che limitarsi al riscontro “esterno” della non manifesta abnormità, contraddittorietà o contrarietà a norme imperative di legge nella valutazione degli elementi di fatto.

Il settore che negli ultimi tempi ha dovuto sopportare i gravi squilibri economici causati dalla pandemia è indubbiamente quello degli appalti pubblici.

I giudici hanno cercato spesso di fare in modo che le pronunce a carico delle imprese colpite da difficoltà finanziaria tenessero in considerazione tutti i tentativi, da parte degli stessi operatori economici, di cercare di risolvere i vari problemi, in primis occupazionali e sociali, anche a scapito della propria stabilità economica.

Nella fattispecie esaminata dal Consiglio di Stato la società che era stata oggetto di revoca dell’aggiudicazione di specifico appalto si trovava proprio in una palese situazione di crisi finanziaria. Tuttavia il competente tribunale amministrativo regionale aveva stabilito che la suddetta revoca fosse giustificata, dichiarando la non piena affidabilità dell’operatore economico non solo a causa delle predette difficoltà finanziarie, ma anche e soprattutto per i comportamenti tenutasi da quest’ultima.

Pertanto la Sezione del supremo Consesso riconferma le decisioni prese dal giudice di prime cure evidenziando come la società ricorrente si fosse comportata infrangendo ripetutamente le regole di diligenza, di correttezza e di contrarietà ai doveri di leale collaborazione.

Inoltre il giudice di appello rileva che, anche nel momento stesso della revoca, l’operatore economico fosse incorso in gravi e reiterati inadempimenti nell’esecuzione dei contratti, peraltro ancora in corso. E proprio per sottolineare la gravità della situazione i giudici evidenziano come la stessa impresa non avesse adempiuto ai pagamenti alle consorziate esecutrici ed ai subappaltatori. In tal modo si sarebbe creato un circolo vizioso, non potendo essere più retribuiti i lavoratori dipendenti impiegati negli appalti, con il contestuale verificarsi di conseguenze negative sotto i profili occupazionali e sociali.

In concreto il Consorzio coinvolto anziché svolgere repentinamente le attività propedeutiche alla stipulazione dei contratti, come dettagliatamente indicate dal capitolato d’oneri, incorreva in ingiustificate omissioni e reiterati inadempimenti con la contestuale realizzazione di inaccettabili ritardi.

Giustamente la Sezione non accoglie l’ulteriore elemento che giustificherebbe le doglianze dell’appellante, ossia la presunta tipicità delle cause di esclusione previste dall’art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016; a tal proposito il Collegio infatti, nel richiamare propria specifica giurisprudenza, conferma che l’elencazione dei gravi illeciti professionali rilevanti, contenuta nel suddetto art. 80, debba considerarsi “meramente esemplificativa”.

Peraltro il Consiglio di Stato, nel richiamare le significative carenze dell’operatore economico nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione, evidenzia come le predette carenze assumano importanza anche se, singolarmente, costituiscano un grave illecito professionale ovvero se siano sintomatiche di persistenti mancanze professionali, come indicato dalle linee-guida ANAC n. 6 del 2016-2017.In particolare tali atti affermano, in uno specifico punto, che, nell’elencazione delle significative assenze rilevanti, siano anche ricompresi il singolo inadempimento di una obbligazione contrattuale o l’adozione di comportamenti scorretti o il ritardo nell’adempimento.

A tal proposito il supremo Consesso, nel menzionare i vari interventi del giudice eurounitario, sofferma l’attenzione sulla natura di scelta ampiamente discrezionale della stazione appaltante nel compiere la valutazione sulla sussistenza di gravi illeciti professionali. Nello specifico la Sezione sottolinea come il sindacato del giudice amministrativo sulle relative motivazioni debba necessariamente limitarsi al riscontro “esterno” della non manifesta abnormità, contraddittorietà o contrarietà a norme imperative di legge nella valutazione degli elementi di fatto.

In conclusione il Consiglio di Stato legittima l’operato dell’amministrazione resistente secondo la quale la stazione appaltante avrebbe semplicemente compiuto un apprezzamento complessivo della condotta tenuta dall’impresa appellante riguardo alla violazione degli obblighi preliminari alla stipulazione dei nuovi contratti, determinando, come sopra ricordato, la totale inaffidabilità della stessa impresa nell’esecuzione degli adempimenti contrattuali.

 

LEGGI LA SENTENZA

 

Pubblicato il 03/06/2021

N. 04248/2021REG.PROV.COLL.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 9334 del 2020, proposto da
Manital s.c.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Palma e Dario Ovidio Schettini, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Foro Traiano n. 1/A;

contro

Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro - INAIL, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Riccardo D'Alia e Lucia Anna Rita Sonnante, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Roma, via Pierluigi da Palestrina n. 8;

nei confronti

Se.G.I. s.r.l. e Boni s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituite in giudizio;
Romeo Gestioni s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Raffaele Ferola e Bianca Luisa Napolitano, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, corso Vittorio Emanuele II n. 18;
Dussmann Service s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Luca Raffaello Perfetti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Vittoria Colonna n. 39;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 9150/2020, resa tra le parti.


 

Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’INAIL, di Romeo Gestioni s.p.a. e di Dussmann Service s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 maggio 2021, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 25 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati Sonnante, Perfetti e Ferola;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO

Con ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio, la Manital Società Consortile per i Servizi Integrati per Azioni Consorzio Stabile (di seguito Manital s.c.a.r.l.) impugnava il provvedimento con cui l’INAIL aveva revocato, ai sensi dell’art. 21-quinquies della l. n. 241 del 1990, l’aggiudicazione in suo favore dei lotti n. 10 (Lazio), 13 (Calabria), 15 (Sicilia) e 16 (Valle d’Aosta) dell’appalto indetto attraverso il Sistema Dinamico di Acquisizione della Pubblica Amministrazione (SDAPA) avente ad oggetto l’affidamento dei “servizi di pulizia e igiene ambientale e dei servizi connessi di ausiliariato (categoria merceologica 2) per gli immobili strumentali dell’Inail adibiti a uffici e centri sanitari”.

La ricorrente contestava la legittimità del provvedimento impugnato con tre articolati motivi.

Oltre all’annullamento del provvedimento impugnato, chiedeva altresì che fosse dichiarata l’inefficacia del contratto eventualmente sottoscritto dall’amministrazione a seguito dello scorrimento della graduatoria.

Si costituivano in giudizio sia l’INAIL che le controinteressate Se.G.I. s.r.l., Dussmann Service s.r.l. e Romeo Gestioni s.p.a.

Con sentenza 11 agosto 2020, n. 9150, il giudice adito respingeva il ricorso, ritenendolo infondato.

Avverso tale decisione Manital s.c.p.a. interponeva appello, deducendo i seguenti motivi di impugnazione:

1) Error in procedendo ed error in iudicando in ordine alla trattazione unitaria dei motivi di impugnazione.

2) Error in iudicando in ordine al primo motivo di ricorso avente ad oggetto: violazione dell’art. 80, lett. c) del d.lgs. 50/2016 in combinato disposto con le linee guida dell’Anac n. 6 – Difetto di motivazione – Eccesso di potere per carenza di istruttoria ed erroneità dei presupposti di fatto e di diritto – Perplessità – Sviamento – Illogicità manifesta e contraddittorietà – Irragionevolezza – Violazione del principio del buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.).

3) Error in iudicando ed error in procedendo in ordine all’omessa pronuncia sul secondo motivo di impugnazione relativo alla violazione dell’art. 97 Cost. – Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 legge 7 agosto 1990 n. 241 e s.m.i. – Violazione del principio del legittimo affidamento. Eccesso di potere per erronea presupposizione, carente istruttoria, sviamento di potere.

4) Error in iudicando ed error in procedendo in ordine all’omessa pronuncia sul terzo motivo di impugnazione. Illegittimità per violazione di legge ed in particolare dell’art. 80 co. 5 lett. c del Codice dei contratti pubblici. Eccesso di potere per erronea presupposizione, carente istruttoria, sviamento di potere. Violazione del principio del legittimo affidamento.

Si costituivano in giudizio l’NAIL e le controinteressate Dussmann Service s.r.l. e Romeo Gestioni s.p.a., chiedendo la reiezione dell’appello, in quanto inammissibile o comunque infondato.

Successivamente le parti ulteriormente precisavano, con apposite memorie, le rispettive tesi difensive ed all’udienza del 6 maggio 2021 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Con il primo motivo di appello viene innanzitutto contestato che le censure dedotte con il ricorso di primo grado potessero considerarsi tra loro “connesse” (recte, attenessero a profili connessi), come invece ritenuto in sentenza, riferendosi le stesse a specifici ed autonomi profili di impugnazione del provvedimento, tali da non consentire la loro trattazione unitaria.

Secondo l’appellante la scelta di erroneamente riunire i motivi di impugnazione sarebbe all’origine della sentenza di rigetto, nella quale però non sarebbero stati correttamente ed esaurientemente valutati tutti i profili di doglianza evidenziati nel ricorso: in particolare, nel primo motivo era stata posta in evidenza la presunta erronea applicazione del principio tempus regit actum, sul presupposto che all’epoca della pubblicazione della gara fosse in vigore un regime normativo diverso da quello richiamato dall’amministraizone; nel secondo motivo, invece, l’atto di revoca era stato censurato sotto il diverso profilo motivazionale e, nel terzo, sotto quello provvedimentale.

Conclude pertanto l’appellante che “Sotto il profilo processuale, dunque, la sentenza va riformata in quanto, anche in considerazione della specificità del rito, ciò non toglie che il T.A.R. aveva l’obbligo, del tutto omesso, di pronunciarsi in relazione ad ogni motivo di gravame senza limitare l’esame del ricorso sostanzialmente al primo motivo di impugnazione”.

Il motivo non è fondato.

Invero, fermo il principio per cui – in virtù dell’effetto devolutivo dell’appello – l’eventuale omessa pronuncia del giudice di primo grado su uno o più motivi non vizia la sentenza, in quanto in secondo grado il Collegio è chiamato a valutare tutte le domande, integrando ove necessario le argomentazioni della sentenza impugnata senza che, quindi, rilevino le eventuali carenze motivazionali di quest’ultima (ex plurimis, Cons. Stato, V, 26 maggio 2020, n. 3348; V, 27 marzo 2020, n. 2149; VI, 6 febbraio 2019, n. 897), va detto – nel merito – che comunque non risulta, dalla lettura della sentenza impugnata, che in essa siano stati trascurati, in tutto o in parte, i diversi profili di censura dedotti dalla allora ricorrente Manital s.c.p.a.

Invero, il primo giudice si era limitato a far uso del criterio dell’«assorbimento» per evidenti ragioni di economia processuale, sul presupposto che le motivazioni esposte nell’impugnata determinazione 8 ottobre 2019 n. 258 trovassero riscontro nella documentazione comprovante le carenze contestate alla società odierna appellante.

In breve, l’argomento affatto illogico seguito dal primo giudice riposava sulla considerazione per cui nel caso di specie sarebbero stati configurabili i contestati, perduranti inadempimenti verificatisi sia in fase di esecuzione di precedenti contratti di appalto stipulati in seno alle Convenzioni Consip di facility management FM2 ed FM3, sia nella fase post-aggiudicazione della procedura di gara controversa, tali da rendere dubbia l’affidabilità dell’operatore economico.

Con il secondo motivo di appello la sentenza di primo grado viene invece contestata nella parte in cui – richiamando l’orientamento giurisprudenziale che attribuisce carattere meramente esemplificativo delle fattispecie menzionate dall’art. 80, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016 – ha ritenuto che nel caso di specie sussistessero i presupposti per disporre la revoca dell’aggiudicazione, confermati dal fatto che “nel corso della audizione tenutasi in data 30 settembre 2019 lo stesso rappresentante del Consorzio ricorrente (dott. Marco Alessandrini) ha riconosciuto “… tutti gli addebiti mossi sostenendo che la causa è riconducibile alla attuale fase di contrazione finanziaria e di carenza di liquidità attraversata dal Consorzio, che non consente né di ripristinare il regolare livello dei servizi per i contratti in corso, né di onorare nuovi impegni contrattuali. Il dott. Alessandrini, infine, informa di operazioni di ristrutturazione aziendale avviate dal Consorzio, al fine di assorbire le tensioni finanziarie, ma ancora in fase embrionale, che metterebbero in grado il Consorzio stesso di onorare i propri impegni, qualora si concludessero positivamente”.

Viene inoltre censurata la decisione del primo giudice di legittimare la revoca dell’aggiudicazione anche sul presupposto – contestato dall’appellante – che Manital s.c.p.a. avesse ritardato gli “adempimenti propedeutici alla stipula dei contratti d’appalto per i servizi aggiudicati”, in violazione “dell’art. 6.1 del Capitolato tecnico integrativo”.

Sotto il primo profilo, Manital eccepisce che, in assenza di una formale risoluzione in danno, ad opera della committente, dei contratti in ipotesi non correttamente eseguiti, non avrebbe potuto dichiararsi la carenza dei requisiti soggettivi per l’aggiudicazione dell’appalto, quand’anche la concorrente avesse dichiarato, a giustificazione di problemi insorti nella fase esecutiva, di versare in momentanee difficoltà finanziarie dovute ad una contingente contrazione economica; né, per quanto riguarda il secondo ordine di rilievi, l’amministrazione avrebbe a suo tempo sollevato contestazioni in ordine a presunti ritardi nell’esecuzione dei sopralluoghi e nell’invio dei POA.

Neppure questo motivo è fondato.

La sentenza impugnata, come ricorda la stessa appellante, sul punto rileva che “gli elementi di fatto posti dalla stazione appaltante alla base del provvedimento impugnato, denotando un’evidente situazione di crisi finanziaria della società ricorrente, giustificano il giudizio di non piena affidabilità della ricorrente in ordine alla corretta esecuzione dei servizi da appaltare, tenendo conto del carattere non tassativo, ma meramente esemplificativo delle ipotesi indicate dalla norma sopra richiamata”.

Tali elementi, come documentato in atti dall’INPS, consistevano in ben precise vicende verificatesi successivamente all’aggiudicazione di precedenti gare d’appalto e dettagliatamente indicate nella determina n. 258 del 2019 (sub doc. 2 amministrazione), sia nella relazione dirigenziale a questa allegata quale sua parte integrante, tendenzialmente riconducibili a due categorie:

1) comportamenti di Manital non improntati a regole di diligenza e correttezza e contrari ai doveri di leale collaborazione, tali da non permettere la sottoscrizione dei nuovi contratti relativi ai lotti aggiudicati;

2) gravi e reiterati inadempimenti nell’esecuzione dei contratti ancora in corso al momento della revoca (in ispecie, mancati pagamenti delle consorziate esecutrici e dei subappaltatori, che a loro volta non erano più in grado di retribuire i lavoratori dipendenti impiegati negli appalti), cui conseguiva la mancata erogazione di servizi alle sedi istituzionali dell’INPS o, comunque, prestazioni di qualità non conforme a quanto previsto nella legge di gara.

Nella richiamata relazione illustrativa, in particolare, si legge che “Nonostante l’inapplicabilità alla procedura di gara de quo del termine dilatorio previsto dall’articolo 32 del codice dei contratti e l’assenza di ricorsi giurisdizionali per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione, il Consorzio Manital anziché procedere speditamente a svolgere le attività propedeutiche alla stipulazione dei contratti previste dal capitolato d’oneri, si è reso responsabile di ingiustificate omissioni e reiterati inadempimenti, accumulando inaccettabili ritardi nell’esecuzione dei sopralluoghi degli immobili destinatari dei servizi, nella predisposizione dei Piani operativi delle attività e nella trasmissione delle cauzioni definitive a garanzia delle obbligazioni, delle polizze assicurative e di tutti gli altri documenti essenziali alla stipulazione dei contratti (Duvri, tracciabilità, ecc.)”.

Quindi, “il Consorzio Manital, nell’ambito di esecuzione dei contratti di adesione alle Convenzioni Consip in corso di svolgimento, si è reso anche responsabile di gravi inadempimenti nei confronti sia degli operatori economici propri consorziati sia dei subappaltatori ai quali aveva affidato l’esecuzione delle prestazioni contrattuali, ritardando reiteratamente i pagamenti delle prestazioni contrattuali ai predetti esecutori i quali, a loro volta, non sono stati in grado di corrispondere con regolarità le retribuzioni ai propri dipendenti […]”.

Neppure può condividersi il presupposto da cui muove l’appellante nel fondare le proprie ragioni di doglianza, ossia la presunta tipicità delle cause di esclusione – ratione temporis – previste dall’art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016, dovendosi al riguardo confermare il generale principio (ex multis, Cons Stato, V, 2 marzo 2018, n. 1299), dal quale non vi sono evidenti ragioni per discostarsi, nel caso di specie, per cui l’elencazione dei gravi illeciti professionali rilevanti, contenuta nella lettera c), del comma 5, dell’art. 80, è da considerarsi “meramente esemplificativa” per come è fatto palese sia dalla possibilità della stazione appaltante di fornire la dimostrazione (dell’illecito professionale) “con mezzi adeguati”, sia dall’incipit della disposizione (“Tra questi (id est, gravi illeciti professionali ) rientrano: [….]”che precede l’elencazione. Quest’ultima, oltre ad individuare a titolo esemplificativo, gravi illeciti professionali rilevanti, ha anche lo scopo di alleggerire l’onere della stazione appaltante di fornirne la dimostrazione con “mezzi adeguati”.

D’altro canto, “le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione” rilevano se anche singolarmente costituiscano un grave illecito professionale ovvero se siano sintomatiche di persistenti carenze professionali, come riconosciuto anche al punto 2.2.1.2 delle linee-guida ANAC n. 6 del 2016-2017, laddove il successivo punto 2.2.1.3 delle stesse linee-guida comprende nell’elencazione delle significative carenze rilevanti, tra le altre, il singolo inadempimento di una obbligazione contrattuale o l’adozione di comportamenti scorretti o il ritardo nell’adempimento.

Tali conclusioni sono coerenti con l’interpretazione pregiudiziale del giudice eurounitario (Corte giust. UE, IV, 19 giugno 2019, C-41/18, Meca s.r.l.), in base alla quale la valutazione sulla sussistenza di gravi illeciti professionali spetta in via esclusiva alla stazione appaltante, costituendo una scelta ampiamente discrezionale; da ciò consegue che il sindacato del giudice amministrativo sulle relative motivazioni non può che limitarsi al riscontro “esterno” della non manifesta abnormità, contraddittorietà o contrarietà a norme imperative di legge nella valutazione degli elementi di fatto.

In questi termini, invero, “il giudizio su gravi illeciti professionali è espressione di ampia discrezionalità da parte della P.A. cui il legislatore ha voluto riconoscere un ampio margine di apprezzamento circa la sussistenza del requisito dell’affidabilità dell’appaltatore; ne consegue che il sindacato che il Giudice amministrativo è chiamato a compiere sulle motivazioni di tale apprezzamento deve essere mantenuto sul piano della “non pretestuosità” della valutazione degli elementi di fatto compiuta e non può pervenire ad evidenziare una mera “ non condivisibilità “ della valutazione stessa” (ex plurimis, Cons. Stato, IV, 8 ottobre 2020, n. 5867).

Non è quindi decisivo l’argomento di parte appellante secondo cui, nel caso di specie, difetterebbe il presupposto dei “gravi illeciti professionali” richiesto dalla lett. c) dell’art. 80, comma 5 del d.lgs. n. 50 del 2016, come comprovato dal non aver mai l’amministrazione formalmente receduto dai contratti in precedenza stipulati con Manital s.c.p.a., seppur da questa asseritamente violati: invero, a prescindere dalle concrete ragioni poste a fondamento della scelta dell’INAIL di non revocare i precedenti affidamenti (in primis il rischio di interrompere l’erogazione dei servizi), va riconosciuto che ben poteva la stazione appaltante desumere l’integrazione di gravi illeciti professionali anche da circostanze non tipizzate, purché indicate in modo puntuale. Circostanze che nel caso in esame risiedevano nei numerosi e reiterati inadempimenti di Manital successivamente all’aggiudicazione dell’appalto, tali da incidere negativamente sull’affidabilità del Consorzio, anche in considerazione dell’interesse pubblico alla regolare erogazione di servizi essenziali.

D’altronde, anche i lamentati ritardi nelle attività preliminari alla stipula del contratto di appalto su cui attualmente si verte potevano in linea di principio giustificare, da sé soli, la revoca dell’aggiudicazione (ex multis, Cons. Stato, V, 29 luglio 2019, n. 5354): “è legittimo il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione per notevoli ritardi nella produzione della documentazione di rito strumentale alla stipulazione del contratto”, così come “Il reiterato atteggiamento non cooperativo dell’aggiudicatario, obiettivamente idoneo a ritardare la stipula del contratto anche a fronte di servizi dichiaratamente connotati di urgenza”, in presenza di motivate ragioni di pubblico interesse.

Sono dunque persuasive le considerazioni rassegnate dall’amministrazione appellata, secondo cui la stazione appaltante avrebbe semplicemente operato un apprezzamento complessivo della condotta tenuta da Manital, sia riguardo alla violazione degli obblighi preliminari alla stipulazione dei nuovi contratti, sia riguardo agli inadempimenti attuati nell’esecuzione dei contratti in corso, alla fine ritenendo tale condotta idonea ad incidere – in modo negativo – sull’affidabilità della aggiudicataria circa il corretto svolgimento delle prestazioni contrattuali.

Con il terzo motivo di appello viene poi contestato il capo della sentenza di primo grado nel quale si riporta che “il Consorzio Manital scpa si è reso responsabile di ingiustificate omissioni e reiterati inadempimenti rispetto alle attività propedeutiche alla stipulazione dei contratti quali l’esecuzione dei sopralluoghi degli immobili destinatari dei ser-vizi, la predisposizione dei Piani operativi delle attività e la trasmissione delle cauzioni definitive a garanzia delle obbligazioni, delle polizze assicurative e di tutti gli altri documenti essenziali al predetto fine”.

In realtà, deduce l’appellante, nel caso di specie sarebbero state soddisfatte tutte le richieste della stazione appaltante e posti in essere tutti gli adempimenti necessari per la stipula dei contratti con le singole amministrazioni regionali; né sarebbe conferente il richiamo – sempre operato in sentenza – alla nota del 29 maggio 2019 con la quale “a distanza di quattro mesi dall’aggiudicazione, l’amministrazione, dopo aver rilevato che la documentazione fornita era incompleta, ha intimato al Consorzio di completare, entro il termine di dieci giorni, tutte le attività propedeutiche ed essenziali alla stipula dei contratti di appalto”.

Ciò in quanto il procedimento di revoca non avrebbe preso avvio con la detta nota, ma solo in un secondo momento (luglio 2019), quando ormai tutte le attività preliminari erano state completate (con la conseguenza che al momento della revoca sarebbero venuti meno tutti i presupposti per i quali poteva darsi seguito all’avvio del procedimento ex art. 21-quinques l. n. 241 del 1990).

Secondo Manital s.c.p.a., l’amministrazione non avrebbe illustrato le ragioni per le quali non aveva ritenuto di utilizzare la documentazione inviata dall’appellante e gli ulteriori apporti dalla stessa forniti, con conseguente violazione del dovere di motivazione del provvedimento alla luce dell’art. 10, l. n. 241 del 1990.

Il motivo non può trovare accoglimento.

Invero, anche a prescindere dalla circostanza – eccepita dall’amministrazione appellata – per cui alla data di avvio del procedimento di revoca (17 luglio 2019) Manital s.c.p.a. non aveva ancora completato l’invio della documentazione necessaria alla stipula dei contratti, va ricordato – come già in relazione al precedente motivo di gravame – che la revoca dell’aggiudicazione trovava causa non solo nel mancato svolgimento delle attività propedeutiche alla stipulazione dei contratti, ma in primo luogo nell’insolvenza dell’appellante nei confronti delle proprie società consorziate esecutrici, oltre che dei subappaltatori. Insolvenza di cui l’amministrazione prendeva atto dopo aver dovuto provvedere direttamente ai pagamenti sostitutivi (cfr. docc.ti INPS n. 35, 36, 37 e 38) in favore dei lavoratori impiegati nell’esecuzione degli appalti, con correlate ulteriori omissioni e carenze nell’erogazione dei relativi servizi (conseguenti, ad esempio, ad uno sciopero indetto dai dipendenti in data 19 novembre 2019) e disagi per l’utenza (si vedano, a titolo d’esempio, le segnalazioni alla competente Procura della Repubblica ed alla Prefettura – cfr. docc.ti INPS n. 31, 32, 33 e 34).

Ancora, risulta dal verbale dell’audizione tenuta il 30 settembre 2019 (cfr. docc.ti INPS 28 e 28-bis) – richiamato nell’impugnato provvedimento di revoca – che la stessa Manital aveva riconosciuto di non poter allo stato risolvere le criticità relative ai contratti in vigore (né, a rigore, eseguire ulteriori nuovi contratti) in ragione della grave contrazione finanziaria dell’azienda, connotata da carenza di liquidità che trovava causa, con ogni evidenza, nello stato di insolvenza della controllante (al 90%) Manitalidea s.p.a., dichiarato con sentenza del Tribunale civile di Torino n. 34 del 4 febbraio 2020.

Infine, con il quarto motivo di appello viene dedotto che la motivazione addotta nel provvedimento di revoca sarebbe apodittica e generica, con conseguente inefficacia dello stesso.

In breve, il provvedimento in autotutela si sostanzierebbe “in una generica soluzione di inaffidabilità del concorrente non sorretta da alcun dato fattuale e documentale”, dunque del tutto vaga ed immotivata.

Neppure questo motivo può essere accolto, per le ragioni già esplicitate in precedenza.

Invero, non può oggettivamente ritenersi che l’odierna appellante ignorasse le proprie ragioni di dissesto finanziario – tali da riverberarsi sulla corretta esecuzione dei servizi appaltati – così come i ritardi e le carenze nell’adempimento agli oneri preliminari alla stipula degli affidamenti su cui si verte, ancor più alla luce delle dichiarazioni rese in occasione della richiamata audizione del 30 settembre 2019.

D’altra parte è principio affermato – dal quale la Sezione non ritiene di discostarsi, nel caso di specie – quello per cui “la revoca fondata su comportamenti scorretti dell’Impresa che si sono manifestati successivamente all’aggiudicazione si connota per il fatto che l’Amministrazione non è tenuta in tali casi a soppesare l’affidamento maturato dal privato sul provvedimento a sé favorevole, proprio perché tale revoca trae origine dalla stessa condotta dell’aggiudicatario” (ex multis, Cons. Stato, V, 15 maggio 2019, n.3152).

Alla luce dei rilievi che precedono, l’appello va dunque respinto.

La particolarità delle questioni esaminate giustificano peraltro, ad avviso del Collegio l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese di lite del grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 maggio 2021, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 25 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, con l'intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Valerio Perotti, Consigliere, Estensore

Angela Rotondano, Consigliere

Alberto Urso, Consigliere

Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere