Consiglio di Stato, sez. II, 28 maggio 2021, n. 4102

La giurisprudenza di questo Consiglio ne ha tratto un principio di carattere generale, per cui in materia di risarcimento da mancato affidamento di gare pubbliche di appalto e concessioni non è necessario provare la colpa dell'amministrazione aggiudicatrice, “poiché il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività della tutela previsto dalla normativa comunitaria; le garanzie di trasparenza e di non discriminazione operanti in materia di aggiudicazione dei pubblici appalti fanno sì che una qualsiasi violazione degli obblighi di matrice sovranazionale consente all'impresa pregiudicata di ottenere un risarcimento dei danni, a prescindere da un accertamento in ordine alla colpevolezza dell'ente aggiudicatore e dunque della imputabilità soggettiva della lamentata violazione” (Cons. Stato, Ad. plen. 12 maggio 2017, n. 2; Sez. V, 2 gennaio 2019, n. 14; Sez, V, 25 febbraio 2016, n. 772; Sez. II, 20 novembre 2020, n. 7250).

Peraltro, nel caso di specie, sussisteva anche l’elemento soggettivo della responsabilità, avendo l’Amministrazione “colpevolmente” non applicato le disposizioni del d.lgs. 163 del 2006 riguardanti la fattispecie in questione.

Come è noto, l’elemento psicologico della colpa della P.A. va individuato nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ossia in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili, in ragione dell'interesse protetto di colui che ha un contatto qualificato con la P.A. stessa (Cons. Stato Sez. VI, 7 settembre 2020, n. 5389; Sez. III, 15 maggio 2018, n. 2882; id, III, 30 luglio 2013, n. 4020), con la conseguenza che la responsabilità viene esclusa sotto il profilo soggettivo quando l’indagine conduca al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (Cons. Stato, VI, 3 marzo 2020, n. 1549; Sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 23; id., V, 31 luglio 2012, n. 4337).

Il settore degli appalti pubblici è indubbiamente quello nell’ambito del quale la pubblica amministrazione ed il soggetto privato vengono in un particolare e qualificato “contatto”. Solo un comportamento diligente di entrambi, nelle varie fasi che contraddistinguono tutta la procedura concorsuale, determina il raggiungimento dell’agognato risultato, con il contestuale soddisfacimento degli interessi, pubblici e privati.

Tuttavia la materia cosi delicata della contrattualistica pubblica vede spesso il repentino verificarsi di cambiamenti del modus agendi delle parti interessate che causa, inevitabilmente, il mancato conseguimento dei sopra indicati obiettivi.

Le problematiche sopra indicate trovano riscontro nelle difficoltà che si possono manifestare nell’individuazione della responsabilità degli attori nel concreto fallimento dell’aggiudicazione degli stessi appalti.

La giurisprudenza e la dottrina si sono spesso concentrate su tali questioni e, in primis, sull’individuazione di una specifica responsabilità, in particolar modo se di tipo oggettivo o soggettivo.

Il merito della pronuncia in esame è quello di aver analizzato entrambe le sopra indicate tipologie di responsabilità.

In particolare i giudici, nel richiamare la giurisprudenza comunitaria ed i propri   interventi, mettono in risalto il fatto che il privato, entrando in contatto con la pubblica amministrazione, debba essere “effettivamente” tutelato in caso di comportamento negligente di quest’ultima. Di conseguenza tale tutela viene garantita senza che lo stesso privato debba necessariamente dimostrare la colpa del soggetto pubblico nell’aver concretamente generato il danno.

Quanto sopra trova giustificazione- continua, in tal senso, il Collegio- non solo nel richiamo del succitato principio di effettività della tutela, ma anche in considerazione del fatto che, venendo meno le garanzie di trasparenza e di non discriminazione, l’impresa stessa possa ottenere un risarcimento dei danni, generati dal comportamento tenuto dalla p.a., senza che lo stesso operatore economico debba rilevare la ricordata colpevolezza del soggetto pubblico.

Inoltre la Sezione, dopo aver accertato la primaria colpevolezza “oggettiva” dell’ente aggiudicatore, evidenzia come la medesima struttura pubblica coinvolta avesse “colpevolmente” disapplicato le disposizioni dell’allora vigente decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163.

A tal proposito il supremo Consesso ricorda come l’elemento psicologico della colpa della p.a. debba essere individuato nella violazione di specifici canoni consistenti nell’imparzialità, nella correttezza e nella buona amministrazione.

In concreto tali colpevoli comportamenti si manifestano nella negligenza, nelle omissioni e negli errori interpretativi di norme non scusabili; ciò in considerazione del fatto che il suindicato operatore economico, in virtù del contatto qualificato avvenuto con l’ente aggiudicatore, ponga estrema fiducia nel corretto comportamento della parte pubblica.

In definitiva la sussistenza, nella fattispecie in esame, di entrambe le responsabilità a carico della stazione appaltante porta necessariamente alla censura del comportamento tenuto dalla medesima p.a..

Un’esenzione della responsabilità di quest’ultima – ricorda il Consiglio di Stato-- potrebbe essere dichiarata solo, come è noto, in presenza di uno specifico errore scusabile in cui sia incorso lo stesso apparato pubblico; tale errore viene determinato dalla presenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto.

 

  

 

LEGGI LA SENTENZA

 

 

Pubblicato il 28/05/2021

N. 04102/2021REG.PROV.COLL.

N. 08059/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8059 del 2013, proposto dal
Comune di Sorano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Francesco D'Addario, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’avv. Maurizio Cucciolla in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

contro

Ing. Antonio Fumasoli, rappresentato e difeso dall'avvocato Domenico M. Rechichi, con domicilio eletto presso la Segreteria sezionale del Consiglio in Roma, piazza Capo di Ferro 13;

nei confronti

Ing. Luca Moretti non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) n. 1026/2013, resa tra le parti, concernente risarcimento danni derivanti dal mancato affidamento della gara relativa agli incarichi di direttore e coordinatore della sicurezza per i lavori di consolidamento del centro storico di Sorano


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’ing. Antonio Fumasoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2021, tenuta ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 conv. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, il Cons. Cecilia Altavista;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO

L’ing. Antonio Fumasoli, a seguito di invito del Comune di Sorano del 27 novembre 2006, aveva partecipato alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara indetta dal Comune di Sorano, ai sensi degli articoli 91 comma 2 e 57 comma 6 del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, per l’affidamento dell’incarico di direzione lavori e coordinamento della sicurezza nella fase di esecuzione dei lavori di completamento del centro storico di Sorano.

Il sistema di scelta del contraente era indicato quello del prezzo più basso mediante ribasso sull’importo delle prestazioni.

Con verbale di aggiudicazione del 22 dicembre 2006 e con successiva determinazione del responsabile del servizio n. 137 del 23 dicembre 2006 erano affidati sia l’incarico di direzione dei lavori (per un importo di €. 35.036,050) sia quello di coordinatore per la sicurezza (per un importo di €. 21.000,00) o all’ing. Luca Moretti, che aveva offerto un ribasso del 35,492 %.

Avverso tali atti proponeva ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Toscana (R.G. 353 del 2007) l’ing. Antonio Fumasoli, che aveva presentato una offerta con il ribasso del 50%, sostenendo l’illegittimità della procedura di affidamento, per la violazione dell’art. 122 comma 9 del d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163, avendo l’amministrazione applicato il meccanismo di esclusione automatica delle offerte presuntivamente anomale di cui all’art. 86 del d.lgs. n. 163 del 2006, in difetto di espressa previsione del bando; nonché per la violazione dell’art. 64, comma 5 del D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 544, in quanto l’esame della documentazione amministrativa e le buste contenenti le offerte economiche non erano state aperte in seduta pubblica; inoltre l’amministrazione aveva ritenuto erroneamente ammissibili anche alcune offerte che meritavano di essere escluse.

Con la sentenza n. 9 del 9 gennaio 2012, il Tribunale amministrativo respingeva le eccezioni in rito sollevate dalla difesa comunale relative al difetto di giurisdizione, alla inammissibilità del ricorso per difetto di interesse e di improcedibilità e accoglieva le prime due censure, essendo stato applicato in sede di gara il criterio di esclusione automatica delle offerte, che avessero presentato una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata, ai sensi dell’art. 86 del d. lgs, n. 163 del 2006, pur non essendo stata richiamata la relativa disciplina dalla lex specialis della procedura, come previsto dall’art. 122, comma 9 del detto d.lgs. n. 163/2006 per i contratti sottosoglia; inoltre, in relazione alla violazione del principio inderogabile, posto a presidio della trasparenza e dell’imparzialità della pubblica amministrazione, come tale applicabile ad ogni tipologia di affidamento di opere, servizi e forniture, dell’apertura del plico contenente la documentazione amministrativa e l’offerta economica in seduta pubblica, essendo state aperte anche tali buste in seduta riservata; ha assorbito le ulteriori censure relative all’ammissibilità delle altre offerte presentate.

Avverso la sentenza ha proposto appello il Comune di Sorano, notificato il 17 aprile 2012, successivamente deciso con la sentenza del Consiglio di Stato n. 2001 del 20 aprile 2015, che ha respinto i motivi in rito, tra cui la questione di difetto di giurisdizione riproposta dal Comune, affermando la giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133 comma 1 lettera e1), trattandosi della verifica della legittimità di una procedura di affidamento; ha dichiarato tardivo l’appello del Comune, in quanto proposto oltre il termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza, ritenendo applicabile la disciplina dei riti abbreviati di cui all’art. 119 c.p.a.; ha, peraltro, confermato espressamente nel merito la sentenza di primo grado.

Nel frattempo, l’ing. Fumasoli, con ricorso depositato il 5 giugno 2012 (R.G. n. 789 del 2012), aveva proposto al Tribunale amministrativo regionale della Toscana la domanda risarcitoria, ai sensi dell’art. 30 comma 5 c.p.a., per il mancato affidamento dell’incarico di direttore dei lavori e coordinatore della sicurezza, ritenendo la sentenza notificata al Comune di Sorano il 23 febbraio 2012, passata in giudicato il 24 marzo 2012. Nella domanda risarcitoria era stato quantificato il danno in relazione al danno emergente da desumersi dalle due offerte presentate dal ricorrente nella procedura, pari ad € 25.697,28 per la direzione dei lavori e ad € 12.135,43 per l’incarico di coordinatore della sicurezza, e al lucro cessante da liquidarsi nella misura del 10% delle offerte presentate nella procedura, oltre al danno cd. curriculare, di cui si chiedeva in via equitativa la liquidazione di € 5.000,000 oltre all’ ulteriore danno da ristorarsi attraverso la pubblicazione della sentenza ex art. 90 c.p.a..

In tale giudizio, non si costituivano né il Comune di Sorano né l’ing. Luca Moretti.

Con la sentenza n. 1026 del 5 luglio 2013 è stata accolta la domanda risarcitoria, ritenendo provato il danno costituito dal lucro cessante della perdita dell’incarico professionale; il nesso di causalità, in quanto, in mancanza di applicazione del criterio automatico di esclusione delle offerte anomale l’ing. Fumasoli sarebbe risultato aggiudicatario, avendo presentato l’offerta più bassa; il giudice di primo grado ha, poi, escluso di dovere valutare la colpa, trattandosi di procedure di affidamento di contratti pubblici; ha, quindi, condannato il Comune di Sorano a formulare una offerta, ai sensi dell’art. 34 c.p.a., indicando i criteri per risarcimento del lucro cessante, pari al 10% delle due offerte dell’ing. Fumasoli (€ 25.697,28 per la direzione dei lavori e € 12.135,43 per l’incarico di coordinatore della sicurezza); per il risarcimento del cd. danno curriculare ha indicato la misura del 3% delle due offerte presentate dal ricorrente nella procedura.

Avverso tale sentenza ha proposto appello il Comune di Sorano riproponendo, con il primo motivo, la questione di difetto di giurisdizione; ha poi sostenuto con gli ulteriori motivi che il giudice di primo grado avrebbe errato nel ritenere la spettanza dell’aggiudicazione, in quanto l’offerta dell’ing. Fumasoli avrebbe potuto essere, comunque, sottoposta dall’Amministrazione a valutazione di anomalia discrezionale; che era necessaria da parte del giudice la valutazione dell’elemento soggettivo, in quanto appalto inferiore alla soglia comunitaria; sono stati poi contestati i criteri indicati ai sensi dell’art. 34 c.p.a., in quanto il criterio del 10% della offerta sarebbe stato ormai abbandonato dalla giurisprudenza, mentre si dovrebbe fare riferimento all’ utile effettivo previsto nell’offerta; il danno non curriculare dovrebbe essere espressamente provato; è stata contestata, altresì, la scelta di fissare i criteri, ai sensi dell’art. 34 c.p.a., sostenendo che non vi sarebbe stata alcuna prova del danno.

Si è costituito in giudizio l’ing. Fumasoli che, nella memoria per l’udienza pubblica, ha contestato la fondatezza dell’appello.

Anche la difesa del Comune ha presentato memoria prendendo atto della decisione n. 2001 del 2015, in ordine alla questione di giurisdizione, e insistendo per l’accoglimento degli ulteriori motivi; ha poi presentato istanza di passaggio in decisione senza discussione orale.

All'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2021, tenuta ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 conv. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

In via preliminare si deve rilevare che la difesa del Comune ha sostanzialmente rinunciato al primo motivo di appello, relativo al difetto di giurisdizione, prendendo atto, nella memoria per l’udienza pubblica, dell’affermazione della sussistenza della giurisdizione amministrativa da parte della sentenza di questo Consiglio n. 2001 del 2015.

Peraltro, in ogni caso, non potrebbe che confermarsi quanto affermato dalla pronuncia citata relativamente alla sussistenza della giurisdizione amministrativa, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. e1) c.p.a., riguardando la controversia la legittimità di una procedura di affidamento, anche se di un incarico professionale, così come vi rientra la presente controversia relativa al risarcimento del danno derivante dalla illegittimità di tale procedura, proposta ai sensi dell’art. 30 comma 5 c.p.a..

Con il secondo motivo la difesa appellante sostiene l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha affermato che, in mancanza dell’automatica esclusione, l’incarico sarebbe stato certamente affidato all’Ing. Fumasoli, che aveva presentato l’offerta più bassa; secondo la difesa appellante tale affermazione sarebbe erronea, in quanto l’Amministrazione avrebbe potuto comunque discrezionalmente sottoporre a valutazione di anomalia l’offerta eccessivamente bassa, disciplina applicabile anche alle procedure sottosoglia, in base ai principi generali; inoltre, la valutazione di anomalia non sarebbe obbligatoria ma l’interesse dell’Amministrazione alla verifica della serietà offerte potrebbe essere raggiunta anche con altri strumenti; pertanto l’annullamento avrebbe riguardato solo l’esclusione automatica e non la possibilità dell’Amministrazione di sottoporre a verifica l’offerta enormemente bassa.

Il motivo, formulato genericamente e precisato nella memoria per l’udienza pubblica, è infondato.

Ai sensi dell’art. 122 comma 9 del d.lgs. 163/2006, “quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso, la stazione appaltante può prevedere nel bando l'esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi dell'articolo 86; in tal caso non si applica l'articolo 86, comma 5. Comunque la facoltà di esclusione automatica non è esercitabile quando il numero delle offerte ammesse è inferiore a cinque; in tal caso si applica l'articolo 86, comma 3”.

Nella lettera di invito non era contenuto alcun riferimento alla esclusione automatica delle offerte e su tale base la sentenza del T.A.R. Toscana, confermata dal Consiglio di Stato, ha ritenuto illegittima l’aggiudicazione.

Quanto all’applicazione dell’art. 86 comma 3 ovvero al potere della stazione appaltante di valutare comunque la congruità dell’offerta che appaia anormalmente bassa, per cui – secondo la difesa comunale – non potrebbe dirsi provato il nesso di causalità, ritiene il Collegio che il giudizio prognostico circa la spettanza del bene della vita debba fare riferimento alle concrete circostanze di fatto in cui si è svolta la procedura, in quanto tale giudizio, pur di carattere probabilistico, non può essere condotto in base ad una situazione di fatto differente da quella posta concretamente in essere dalla stessa Amministrazione.

Nel caso di specie, l’Amministrazione aveva già scelto di non esercitare tale potere discrezionale di sottoporre ad anomalia le offerte, avendo, invece, applicato un criterio automatico, ritenuto illegittimo dal giudice.

Non può dunque farsi riferimento ad una realtà fattuale differente da quella che si è concretamente verificata, per una precisa scelta dell’Amministrazione, e che è stata già giudicata illegittima in sede giurisdizionale.

Ne deriva che, correttamente il giudice di primo grado ha ritenuto, con riferimento alla domanda risarcitoria, provata la spettanza dell’aggiudicazione, in presenza della maggiore convenienza economica dell’offerta dell’ing. Fumasoli.

Con il terzo motivo di appello si sostiene l’erroneità della sentenza, che avrebbe escluso la necessità della valutazione dell’elemento soggettivo della responsabilità da fatto illecito, trattandosi di materia di appalti pubblici, per cui non occorre accertare la colpa dell’Amministrazione.

Secondo la tesi della difesa appellante tale principio non dovrebbe essere applicato trattandosi di appalto sotto soglia.

Il motivo è infondato.

In effetti, la giurisprudenza comunitaria citata dal giudice di primo grado (Corte Giust. CE, sez. III 30 settembre 2010 in causa C314/2009) ha affermato l’incompatibilità con la disciplina comunitaria di una normativa nazionale, che subordini il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un'amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, con riferimento ad una procedura di rilevanza comunitaria.

Peraltro, la giurisprudenza di questo Consiglio ne ha tratto un principio di carattere generale, per cui in materia di risarcimento da mancato affidamento di gare pubbliche di appalto e concessioni non è necessario provare la colpa dell'amministrazione aggiudicatrice, “poiché il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività della tutela previsto dalla normativa comunitaria; le garanzie di trasparenza e di non discriminazione operanti in materia di aggiudicazione dei pubblici appalti fanno sì che una qualsiasi violazione degli obblighi di matrice sovranazionale consente all'impresa pregiudicata di ottenere un risarcimento dei danni, a prescindere da un accertamento in ordine alla colpevolezza dell'ente aggiudicatore e dunque della imputabilità soggettiva della lamentata violazione” (Cons. Stato, Ad. plen. 12 maggio 2017, n. 2; Sez. V, 2 gennaio 2019, n. 14; Sez, V, 25 febbraio 2016, n. 772; Sez. II, 20 novembre 2020, n. 7250).

Peraltro, nel caso di specie, sussisteva anche l’elemento soggettivo della responsabilità, avendo l’Amministrazione “colpevolmente” non applicato le disposizioni del d.lgs. 163 del 2006 riguardanti la fattispecie in questione.

Come è noto, l’elemento psicologico della colpa della P.A. va individuato nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ossia in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili, in ragione dell'interesse protetto di colui che ha un contatto qualificato con la P.A. stessa (Cons. Stato Sez. VI, 7 settembre 2020, n. 5389; Sez. III, 15 maggio 2018, n. 2882; id, III, 30 luglio 2013, n. 4020), con la conseguenza che la responsabilità viene esclusa sotto il profilo soggettivo quando l’indagine conduca al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (Cons. Stato, VI, 3 marzo 2020, n. 1549; Sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 23; id., V, 31 luglio 2012, n. 4337).

Nel caso di specie, l’art. 122 comma 9 del d.lgs. 163/2006, espressamente prevedeva per i contratti sotto soglia che, in caso di aggiudicazione con il prezzo più basso l'esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi dell'articolo 86 dovesse essere prevista nel bando.

Sul punto non vi era alcun contrasto giurisprudenziale, essendo considerata la norma un corollario del principio generale, secondo cui “va escluso che una condizione di partecipazione ad una gara pubblica possa determinare l’automatica esclusione del concorrente, senza il previo esercizio del soccorso istruttorio, laddove tale condizione non sia espressamente prevista dai documenti di gara e possa essere individuata solo mediante una interpretazione giurisprudenziale del diritto nazionale o, comunque, all'esito di una non agevole operazione ermeneutica” ( cfr. Cons. Stato Sez. V, 30 ottobre 2017, n. 4969; sul principio generale, Sez. III, 7 luglio 2017, n. 3364; id., Sez. III, 1 marzo 2017, n. 967; Ad. Plen. 27 luglio 2016, n. 20).

Inoltre, la illegittimità della aggiudicazione all’ing. Moretti è stata affermata dal T.A.R. Toscana e confermata dal Consiglio di Stato, anche sulla base della violazione del principio di pubblicità delle offerte, essendo stata aperte anche le offerte economiche e la busta contenente la documentazione amministrativa nella seduta riservata.

Ha, infatti, affermato la sentenza n. 2001 del 2015 che, anche nell’ipotesi di procedure di gara di valore inferiore alla soglia comunitaria trovano applicazione i principi propri di tutte le gare ad evidenza pubblica, tra cui, oltre a quelli di non discriminazione, parità di trattamento e proporzionalità, anche quello di trasparenza e pubblicità, come espressamente previsto dall’art. 91, comma 2, del D. Lgs. n. 163 del 2006, per gli incarichi di progettazione di importo inferiore alla soglia di 100.000 euro.

Inoltre, anche l’art. 64 comma 5 del D.P.R. 554 del 1999 prevedeva espressamente l’apertura delle buste contenenti la documentazione amministrativa e l’offerta economica in seduta pubblica e tale disposizione era ritenuta applicabile ad ogni tipo di appalto, in quanto espressione dei principi generali di pubblicità e trasparenza (Cons. Stato Sez. VI, 18 dicembre 2006, n. 7578).

Tali principi erano, infatti, esplicitati dalla giurisprudenza consolidata al tempo di svolgimento della procedura in questione nell’affermazione dell’obbligo di pubblicità delle sedute delle commissioni di gara per la fase dell'apertura dei plichi contenenti la documentazione amministrativa e l'offerta economica dei partecipanti (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 10 gennaio 2007 n. 45;; Sez. V 18 marzo 2004, n. 1427; Sez. IV , 6 ottobre 2003, n. 5823; sez. IV, 5 aprile 2003 n. 1787), non ancora per la fase di apertura delle buste contenenti le offerte tecniche, poi affermata dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 13 del 28 luglio 2011, citata dal giudice di primo grado.

Il mancato rispetto delle previsioni normative e dei principi generali in materia di appalti pubblici come interpretati dalla consolidata giurisprudenza ha, dunque, integrato un comportamento colposo da parte dell’Amministrazione, non potendosi ravvisare quelle ipotesi di difficoltà interpretative e contrasto giurisprudenziale, ritenute “scusanti” dalla giurisprudenza sopra citata.

Non si può, poi, condividere quanto affermato dalla difesa appellante circa la specificità della procedura posta in essere dal Comune di Sorano per l’affidamento dell’incarico professionale, per cui non sarebbe applicabile la disciplina degli appalti pubblici, ma rientrerebbe nell’autonomia contrattuale dell’ente pubblico, in quanto tale ricostruzione della difesa appellante è stata già esclusa, con riferimento alla presente fattispecie, dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 2001 del 2015, ai fini della sussistenza della giurisdizione.

Con il quarto e il quinto motivo si contesta la quantificazione dei danni operata dal giudice di primo grado, sostenendo l’erroneità del riferimento ad un criterio presuntivo quale il criterio del 10% dell’offerta, mentre avrebbe dovuto essere specificamente provato il danno subito, così come avrebbe dovuto essere provato il danno curriculare, anch’esso liquidato in via presuntiva dal giudice di primo grado nella misura del 3% del valore dell’offerta; inoltre l’applicazione dell’art. 34 c.p.a. comunque presupporrebbe la prova del danno.

I motivi sono infondati.

Si deve, in primo luogo, rilevare che il giudice di primo grado ha fissato i criteri, ai sensi dell’art. 34 c.p.a., in base ai quali l’Amministrazione avrebbe dovuto formulare una offerta risarcitoria.

La norma, infatti, attribuisce al giudice amministrativo il “potere di stimolare una fase di trattativa sulla definizione dell'ammontare del danno, guidata dalla previa fissazione di criteri ai quali le parti dovranno fare riferimento” (Cons. Stato Sez. V 17 gennaio 2014, n. 186).

Pertanto, nella individuazione dei criteri ampio spazio può essere dato anche a valutazioni di carattere equitativo.

Si deve poi considerare che il lucro cessante, voce di danno indicata dal giudice di primo grado, ovvero la perdita del guadagno sperato dall’aggiudicazione della gara, riguardava, nel caso in esame, un compenso di carattere professionale per la prestazione di direttore dei lavori e di coordinatore della sicurezza.

E’ dunque evidente che, sotto tale profilo, sia il criterio del 10% delle due offerte che il 3% relativo al danno curriculare, sono stati indicati nell’ambito di valutazioni equitative da parte del giudice di ai fini di individuare una somma (che dovrà essere offerta dall’Amministrazione comunale) per riparare la perdita subita dalla mancata aggiudicazione.

Pertanto, sono irrilevanti le affermazioni della difesa comunale circa l’avvenuto superamento da parte della giurisprudenza del criterio del 10% del valore dell’appalto e circa la mancata prova relativa al danno curriculare.

Infatti, è vero che è ormai consolidato l’ orientamento di questo Consiglio, per cui nelle procedure per l’aggiudicazione di appalti pubblici il risarcimento del danno conseguente al lucro cessante, inteso come mancato profitto che l’impresa avrebbe ricavato dall'esecuzione dell'appalto, non deve essere calcolato utilizzando il criterio forfetario di una percentuale del prezzo a base d’asta e che la misura del 10% non è più considerata come parametro automatico tratto dall'art. 345 della L. n. 2248 del 1865, All. F, (Consiglio di Stato, Sez. V, 20 aprile 2012, n. 2317). Ciò sia perché tale criterio di liquidazione si richiama a disposizione in tema di lavori pubblici che riguarda un istituto specifico, quale l'indennizzo dell'appaltatore nel caso di recesso dell'Amministrazione committente, sia perché, quando impiegato al mero fine risarcitorio residuale in una logica equitativa, può condurre all'abnorme risultato che il risarcimento dei danni finisca per essere, per l'imprenditore, più favorevole dell'impiego del capitale (il che comporterebbe la mancanza di interesse del ricorrente a provare in modo puntuale il danno subìto quanto al lucro cessante, perché presumibilmente otterrebbe meno di quanto la liquidazione forfetaria gli consentirebbe). Il richiamato criterio del 10% non può quindi essere oggetto di applicazione automatica ma è sempre necessaria la prova rigorosa, a carico dell'impresa, della percentuale di utile effettivo che essa avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria (Consiglio di Stato, 21 giugno 2013, n. 3397).

A tali affermazione consegue il riferimento all’utile che effettivamente l’impresa avrebbe conseguito ove fosse risultata aggiudicataria, quindi all’utile effettivamente indicato nell’offerta, spettando all'impresa danneggiata offrire, senza poter ricorrere a criteri forfettari, la prova rigorosa dell'utile che in concreto avrebbe ottenuto, qualora fosse risultata aggiudicataria dell'appalto (Consiglio di Stato, Ad. plen. 15 maggio 2017, n. 2; Sez. VI, 26 gennaio 2009, n. 357; Sez. V, 26 luglio 2019, n.5283.).

E’ evidente, dunque, che tali orientamenti giurisprudenziali non possono essere trasposti sic et simpliciter alla presente vicenda, in cui è stato liquidato il danno per il mancato svolgimento di un prestazione di carattere professionale, di natura intellettuale, in cui non è possibile distinguere l’utile previsto per l’impresa dai costi dell’insieme dei mezzi necessari allo svolgimento del servizio o alla realizzazione dell’opera, essendo il compenso del professionista unitariamente considerato nell’offerta, né è possibile sottrarre le somme relative ad altri incarichi nel frattempo espletati in quello stesso periodo di tempo, in quanto nell’attività di carattere intellettuale non è possibile quantificare le ore della giornata anche in aggiunta all'ordinario lavoro, trattandosi invece di ambiti in cui è ammesso il ricorso alla valutazione equitativa, ai sensi dell'art. 1226, c.c., in combinato con l'art. 2056, c.c in presenza di situazione di impossibilità o di estrema difficoltà di una precisa prova sull'ammontare del danno (cfr. di recente, Cons. Stato Sez. II, 15 gennaio 2021, n. 468).

Analoghe considerazione conducono ad escludere la rilevanza, nel caso di specie, dei consolidati orientamenti giurisprudenziali in materia di danno curriculare.

Con riferimento a tale ultimo profilo, la giurisprudenza ritiene che tale danno debba essere specificamente provato, per la “perdita di peso imprenditoriale”; per la negativa ricaduta, in termini di minore redditività, sulla propria immagine commerciale, ad esempio per la preclusione di acquisire ulteriori commesse pubbliche (Cons. Stato, V, 2 gennaio 2019, n. 14; 26 aprile 2018, n. 2527; 16 dicembre 2016, n. 5322).

Peraltro, anche tale danno viene liquidato in via equitativa in presenza di situazione di impossibilità - o di estrema difficoltà - di una precisa prova sull'ammontare del danno, quale specificazione del danno per perdita di chances (cfr. Cons. Stato Sez. II, 15 gennaio 2021, n. 468, citata con riguardo ad un incarico professionale).

Sulla base di tali premesse argomentative, ritiene il Collegio, che nella specie trattandosi di un singolo professionista, in base a regole di comune esperienza, la mancata indicazione di un ulteriore incarico professionale nel proprio curriculum costituisce una lesione delle proprie future capacità professionali che può essere risarcita in via equitativa come perdita di chance.

Inoltre, i criteri utilizzati dal giudice di primo grado al fine della liquidazione equitativa dei danni, in relazione alle concrete circostanze del caso e al tipo di prestazione oggetto dell’affidamento, debbano ritenersi congrui, considerato che il 10% è stato indicato rispetto al valore delle due offerte per prestazioni non effettivamente svolte; che il danno curriculare, quantificato nella misura del 3% del valore delle offerte, deve ritenersi corrispondente alle specifiche caratteristiche dell’incarico perso, relativo ai lavori in un centro storico toscano con evidenti profili di rilevanza in un curriculum professionale.

I criteri indicati dal giudice di primo grado devono essere dunque confermati.

In conclusione l’appello è infondato e deve essere respinto.

Le spese, liquidate in euro 4000,00 oltre accessori legge seguono la soccombenza e sono poste a carico della parte appellante.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto conferma la sentenza impugnata.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali, liquidate in euro 4000,00, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2021 convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Presidente FF

Italo Volpe, Consigliere

Francesco Frigida, Consigliere

Cecilia Altavista, Consigliere, Estensore

Pietro De Berardinis, Consigliere