Consiglio di Stato, sez. II, 31 dicembre 2020, n. 8546
La differenza tra violazione delle regole pubblicistiche e civilistiche risiede nel fatto che la prima, in quanto riferita all’esercizio diretto ed immediato del potere, impatta sul provvedimento, determinandone, di regola, l’invalidità; l’altra, invece, si riferisce al comportamento, seppur collegato in via indiretta e mediata all’esercizio del potere, complessivamente tenuto dalla stazione appaltante o dall’amministrazione aggiudicatrice nel corso della gara e la loro violazione genera non invalidità provvedimentale, ma responsabilità.
L’aggiudicazione definitiva pur integrando il momento di cesura tra una generica aspettativa di buon esito della gara, più o meno rafforzata dalla tipologia dei contatti intercorsi, e una specifica connotazione soggettiva quale “vincitore” della procedura ad evidenza pubblica, attiene ancora tuttavia al piano delle “trattative”, di cui costituisce il massimo punto espressivo, al di là del quale nasce il sinallagma contrattuale e gli obblighi tra le parti si connotano della vicendevolezza riconducibile allo stesso.
Il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica dell’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione, richiedendosi la positiva verifica di tutti i requisiti previsti, e cioè la lesione della situazione soggettiva tutelata, la colpa dell’Amministrazione, l’esistenza di un danno patrimoniale e la sussistenza di un nesso causale tra l’illecito e il danno subito