Cons. Stato, sez. V, 13 novembre 2020, n. 6987

Ai fini della verifica di anomalia il costo orario medio da considerare va determinato in relazione alle ore effettivamente lavorate dal dipendente.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 193 del 2020, proposto da
Compark s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Daniele Marrama, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Comune di Cassino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Alfredo Contieri, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Salvatore Napolitano in Roma, c.so Trieste, n. 16;
Provincia di Frosinone, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Mariacristina Iadecola, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

nei confronti

Publiparking s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Camillo Santagata, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione staccata di Latina, Sezione Prima, n. 00699/2019, resa tra le parti.


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Cassino, della Provincia di Frosinone e della Publiparking s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, Cod. proc. amm.;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2020 il Cons. Alberto Urso e preso atto delle richieste di passaggio in decisione, senza discussione, depositate dagli avvocati Marrama, Contieri e Santagata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO

1. Con bando pubblicato sulla Guri il 10 dicembre 2018 la Provincia di Frosinone, in qualità di stazione unica appaltante, indiceva per conto del Comune di Cassino (che assumeva il ruolo di amministrazione aggiudicatrice) una procedura di gara per l’affidamento in concessione del servizio di gestione delle aree di sosta a pagamento non custodite ubicate nel suddetto comune.

Risultava aggiudicataria della procedura la Publiparking s.r.l.

2. Avverso detta aggiudicazione e gli altri atti di gara proponeva ricorso la seconda classificata Compark s.r.l.

3. Il Tribunale amministrativo adìto, nella resistenza del Comune di Cassino, della Provincia di Frosinone e della Publiparking s.r.l. respingeva il ricorso.

4. Avverso la sentenza ha proposto appello la Compark deducendo:

I) error in iudicando; violazione dell’art. 112 Cod. proc. civ.; infrapetizione; violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto;

II) error in iudicando; infrapetizione; violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato;

III) error in iudicando; infrapetizione; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto.

5. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Cassino, la Provincia di Frosinone e la Publiparking per resistere all’appello, del quale hanno chiesto la reiezione.

6. All’udienza pubblica del 15 ottobre 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

7. Il 30 ottobre 2020 è stato depositato ai sensi dell’art. 120, comma 9, Cod. proc. amm., il dispositivo della sentenza.

DIRITTO

1. Va anzitutto disattesa l’eccezione sollevata dall’appellante relativa all’inammissibilità per tardività della memoria difensiva del Comune di Cassino in quanto depositata oltre le ore 12,00 dell’ultimo giorno previsto, ciò che ne differirebbe automaticamente il deposito al giorno successivo.

In senso inverso è sufficiente il richiamo alla condivisibile giurisprudenza di questo Consiglio di Stato che pone in risalto come “la possibilità di depositare gli atti in forma telematica [sia] assicurata fino alle ore 24 dell’ultimo giorno consentito dal […] art. 4, comma 4, [all. 2 al d.lgs. n. 104 del 2010] e tale soluzione non contrast[i] con quanto indicato [dall’]ultimo periodo della stessa disposizione, secondo cui il deposito degli atti e dei documenti in scadenza effettuato oltre le ore 12 dell’ultimo giorno si considera eseguito il giorno successivo; questo effetto, posto a garanzia del diritto di difesa delle controparti, significa unicamente che per contestare gli atti depositati oltre le ore 12 i termini per controdedurre decorrono dal giorno successivo; deve dunque ritenersi che, ai sensi dell’art. 4, comma 4, delle norme di attuazione al codice del processo amministrativo (così come modificato dall’art. 7, d.l. 31 agosto 2016, n. 168), la possibilità di depositare con modalità telematica atti in scadenza è assicurata fino alle ore 24 dell’ultimo giorno consentito secondo i termini perentori (cioè fino allo spirare dell’ultimo giorno); il deposito telematico si considera quindi perfezionato e tempestivo con riguardo al giorno senza rilevanza preclusiva con riguardo all’ora” (Cons. Stato, IV, 15 luglio 2019, n. 4955; V, 28 febbraio 2020, n. 1451; cfr. anche Id., IV, 24 maggio 2019, n. 3419; 1 giugno 2018, n. 3309; V, 2 agosto 2018, n. 4785; III, 6 agosto 2018, n. 4833; v. altresì Corte cost., 9 aprile 2019, n. 75 in ordine all’illegittimità di un sistema che differisca sic et simpliciter al giorno successivo la notifica eseguita telematicamente oltre un certo orario: si trattava in specie dell’art. 16-septies d.l. n. 179 del 2012 dichiarato incostituzionale).

2. Può prescindersi dall’esame delle eccezioni preliminari sollevate dalle parti resistenti stante l’infondatezza nel merito dell’appello.

3. Col primo motivo di gravame l’appellante si duole del rigetto della censura con cui aveva dedotto in primo grado che la trasmissione da parte della Publiparking, in sede di giustificativi all’anomalia dell’offerta, di una tabella ministeriale sul costo del lavoro incompleta dava luogo a un’omissione o falsità informativa con effetto escludente ex art. 80, comma 5, lett. c) ed f-bis), d.lgs. n. 50 del 2016.

3.1. La doglianza è infondata.

3.1.1. Come recentemente posto in risalto dall’Adunanza Plenaria, le omissioni dichiarative o falsità di cui alla lettera c) (ora c-bis) dell’art. 80, comma 5, d.lgs. n. 50 del 2016 devono riguardare “informazioni rese dall’operatore economico partecipante a procedure di affidamento di contratti pubblici” ed essere finalizzate “all’adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante concernenti l’ammissione alla gara, la selezione delle offerte e l’aggiudicazione” (Cons. Stato, Ad. Plen, 28 agosto 2020, n. 16).

Per questo, l’informazione omessa o inveritiera deve essere rilevante ai fini dell’adozione di decisioni in ordine all’ammissione ed esclusione dei concorrenti, ovvero all’aggiudicazione della gara, e non può che riguardare evidentemente la vita, la condizione e l’attività dell’impresa interessata ed eventualmente dei soggetti ad essa legati.

Si pone senz’altro al di fuori di questo perimetro la trasmissione, in sede di giustificativi, di una tabella ministeriale sul costo della manodopera, la quale afferisce non già a informazioni inerenti alla vita e situazione individuale dell’operatore economico, eventualmente rilevanti a fini ammissivi, escludenti o selettivi, bensì a un atto pubblico (peraltro non richiesto all’operatore) non inerente alla situazione del concorrente, e in sé liberamente consultabile dalla stazione appaltante (in tal senso si esprime, peraltro, anche la nota del 30 luglio 2019 del responsabile della procedura di gara in replica alle doglianze della Compark, su cui v. infrasub § 4 ss.).

Allo stesso modo non è ravvisabile nella specie alcuna falsità ex art. 80, comma 5, lett. f-bis), d.lgs. n. 50 del 2016, proprio perché la tabella non costituisce un vero e proprio documento - trattandosi piuttosto di fonte pubblica a carattere e applicazione generale - e la sua trasmissione risulta di per sé indifferente ai fini dell’azione amministrativa, sicché detta tabella non può essere ricondotta alla nozione propria di «documentazione o dichiarazioni» rilevante ai sensi della suddetta lett. f-bis), essendo del resto la stazione appaltante chiamata comunque ad acquisirla e consultarla ai fini del giudizio sull’anomalia dell’offerta, anche ai sensi degli artt. 97, comma 5, lett. d), 95, comma 10 e 23, comma 16, d.lgs. n. 50 del 2016.

Né rileva il fatto che i dati omessi nella tabella trasmessa dalla Publiparking (i.e., dati inerenti il costo orario medio della manodopera per i contratti part-time) fossero eventualmente rilevanti ai fini del giudizio di anomalia, atteso che spettava comunque alla stazione appaltante reperire tali (pubblici) dati tabellari.

È dunque corretta ed esente dalle censure formulate dall’appellante la sentenza laddove evidenzia che le fattispecie di omesse dichiarazioni od informazioni attengono a tutt’altra casistica rispetto alla trasmissione di una tabella ministeriale del costo del lavoro incompleta.

Per le stesse ragioni non è suscettibile di favorevole considerazione la censura con cui l’appellante si duole - invocando anche un’infrapetizione della sentenza - del difetto d’istruttoria per mancata verifica della manipolazione della tabella, risultando detta manipolazione, come già evidenziato, del tutto irrilevante ai fini dell’azione amministrativa.

3.2. Possono essere esaminati congiuntamente al secondo motivo di gravame, per ragioni di connessione, gli altri profili di doglianza sollevati col primo motivo, inerenti al costo della manodopera indicato dalla Publiparking (v. infrasub § 4.2 ss.).

4. Col secondo motivo di censura l’appellante lamenta l’omessa pronuncia sulla dedotta incompetenza dell’organo che ha espresso le valutazioni in ordine all’anomalia dell’offerta.

Si duole inoltre la Compark dell’errore in cui la sentenza sarebbe incorsa nell’affermare che la nota censurata (i.e., nota del 30 luglio 2018) costituiva una mera comunicazione priva di contenuto provvedimentale, salvo poi ricollegarvi la manifestazione dell’iter logico-giuridico seguito, che spettava invece all’organo competente indicare.

Secondo l’appellante, tale nota configurava in realtà un atto di conferma, che avrebbe dunque dovuto essere adottato dal medesimo organo che si era pronunciato sull’anomalia dell’offerta.

4.1. Il motivo non è fondato.

4.1.1. L’unico atto rilevante ai fini della valutazione dell’anomalia dell’offerta della Publiparking è rappresentato dal verbale del 3 luglio 2019, in cui l’organo deputato esprimeva le proprie conclusioni in ordine all’adeguatezza dell’offerta dell’aggiudicataria.

La nota del 30 luglio 2019 costituisce invece mero atto di riscontro alla diffida inviata dalla Compark il 23 luglio 2019 al fine di veder esclusa la Publiparking: esso non si pone perciò nell’ambito del sub-procedimento di valutazione dell’anomalia dell’offerta, né vi partecipa, ma consiste in un mero atto d’interlocuzione fra l’amministrazione e la Compark.

Né detta nota configura un atto di conferma stricto sensu, atteso che non esplica una funzione propriamente confermativa del precedente verbale, ma presenta piuttosto valore informativo e di replica alle osservazioni formulate dalla Compark, ben al di fuori dell’iter deputato alla valutazione di anomalia; in tale prospettiva il riferimento alla “conferma” vale - “per quanto di competenza” del responsabile del procedimento di gara - a rappresentare la valutazione espressa dall’organo all’uopo designato e la relativa correttezza, fornendo al contempo una replica alle contrapposte deduzioni della Compark, senza eseguire peraltro alcuna nuova od ulteriore attività istruttoria al riguardo.

Per tali ragioni, oltre a risultare privo di portato lesivo autonomo, l’atto non è affetto da alcun profilo d’incompetenza, atteso che non esprime una rivalutazione e conferma stricto sensu del giudizio di anomalia, bensì si limita a fornire riscontro alla diffida e alle osservazioni presentate dalla Compark.

4.2. Sempre nel secondo motivo di gravame l’appellante si duole, sotto altro profilo, dell’omessa pronuncia sulla censura con cui aveva rilevato in primo grado l’illegittima riduzione del monte ore offerto dalla Publiparking, riducendosi in specie il numero di ore settimanali per lavoratore dall’ammontare previsto in sede di offerta, pari a 25, a quello - pari a 19 - assunto ai fini della valutazione di anomalia dell’offerta e fatto proprio dalla suddetta nota del 30 luglio 2019.

Il che si colloca nel quadro della doglianza - formulata anche nella seconda parte del primo motivo di gravame, che può essere qui esaminata per ragioni di connessione - relativa all’inadeguatezza del costo del personale, il quale non consentirebbe il rispetto degli standard di servizio previsti dalla lex specialis e offerti dalla stessa Publiparking, ovvero l’osservanza dei costi medi orari per la manodopera indicati dalla competente tabella ministeriale.

4.2.1. Le censure sono infondate nel merito.

4.2.2. La ratio decidendi espressa dalla sentenza ai fini del superamento delle critiche avanzate dalla Compark in relazione al costo della manodopera può essere sintetizzata come segue: il calcolo sulla sostenibilità di tale costo va eseguito moltiplicando il costo orario medio per il monte delle ore effettivamente prestate dai lavoratori, non già per il numero di ore teoriche contrattuali; a sua volta, il detto numero di ore effettive può essere determinato moltiplicando il numero di ore teoriche per un coefficiente (nella specie pari a 0,7571) corrispondente al rapporto tra monte ore mediamente lavorate e monte ore teoriche.

Alla luce di ciò, secondo il giudice di primo grado si rivela congruo il costo indicato dalla Publiparking nella misura di € 579.000,00, calcolato moltiplicando il valore del “costo orario medio […] per il monte ore effettivo”, determinato a sua volta applicando il suddetto coefficiente di riduzione alle ore teoriche previste dalla lex specialis (i.e., 25 ore a settimana per lavoratore, che corrispondono a 1305 ore teoriche annuali, e dunque a 988 ore effettive).

Il ragionamento così sviluppato dal Tribunale e le conseguenti conclusioni formulate risultano condivisibili, pur con le precisazioni e integrazioni che seguono.

4.2.2.1. Deduce l’appellante che un costo di 579.000,00 € non sarebbe sufficiente ad assicurare la prestazione richiesta dalla lex specialis e offerta dalla stessa Publiparking nella misura di 25 ore settimanali per 35 lavoratori; di qui la conseguente violazione o degli impegni assunti in relazione alla prestazione offerta, ovvero del costo della manodopera indicato dalle tabelle ministeriali.

In senso inverso va osservato che risulta in realtà errato l’assunto da cui la Compark muove, e cioè che l’offerta avrebbe a oggetto la prestazione di 25 ore settimanali di lavoro effettive da parte di 35 lavoratori.

Tale dato viene desunto dall’appellante dalla cd. “clausola sociale”, la quale ha tuttavia ben altro scopo e significato: non già quello di definire l’oggetto della prestazione e del contenuto (vincolato) dell’offerta, bensì quello di favorire l’assorbimento dei lavoratori impiegati presso il gestore uscente e così propiziare la continuità dell’occupazione, nel rispetto dei consueti principi di libertà d’impresa e autonomia organizzativa dell’imprenditore, a tal fine indicando i lavoratori già impiegati nella commessa e il relativo regime contrattuale (cfr., inter multis, Cons. Stato, V, 12 settembre 2019, n. 6148; VI, 21 luglio 2020, n. 4665; 24 luglio 2019, n. 5243; V, 12 febbraio 2020, n. 1066; III, 18 settembre 2018, n. 5444).

In tale prospettiva le disposizioni del disciplinare di gara (art. 1.11) e del capitolato speciale (art. 11.1), nel prevedere che “il concessionario, in virtù di quanto disposto dall’art.50 del Dlgs n.50/2016 e s.m.i concernente l’inserimento della clausola sociale, assume il personale impiegato nella precedente gestione (n.35 unità) equiparando gli orari di lavoro dei dipendenti alle 25 h/settimanali per lo svolgimento dello stesso servizio (suscettibile di aumento in base alle offerte presentate), con le medesime mansioni di ausiliare della sosta [o “del traffico”] adibiti, esclusivamente, al controllo delle aree a pagamento”, non valgono a definire l’oggetto della prestazione affidata al concessionario, bensì si limitano a indicare il regime contrattuale - con riferimento anche agli “orari di lavoro” - dei dipendenti ricompresi nel perimetro della clausola sociale (cfr. in tal senso anche lo schema di contratto, sub art. 12).

Di qui l’erroneità dell’assunto da cui l’appellante prende le mosse, non potendo desumersi sic et simpliciter dal regime della clausola sociale il contenuto della prestazione - in termini di numero di ore effettive di attività da assicurare - richieste al concorrente e da questi offerte (cfr., al riguardo, Cons. Stato, V, 17 marzo 2020, n. 1895).

Per questo non è suscettibile di favorevole apprezzamento la doglianza che assume l’insufficienza delle ore considerate dalla sentenza (nonché dalla stessa amministrazione in riscontro alle doglianze della Compark) a coprire - nel rispetto dei costi della manodopera indicati dalla tabella ministeriale - la prestazione effettivamente offerta dalla Publiparking e prevista nella lex specialis: l’offerta non ricomprende infatti il numero di ore invocato dall’appellante, che coincide semplicemente con le ore contrattuali del personale che beneficia della clausola sociale; in tal senso va letta anche la suddetta nota dell’amministrazione del 30 luglio 2019, che - lungi dal prevedere o legittimare una modifica della lex specialis - pone in risalto che non sarebbe adeguato all’oggetto dell’appalto ipotizzare un numero di ore prestate pari a quelle (erroneamente) invocate dalla Compark.

In tale contesto, considerato che le ore richiamate dall’appellante esprimono nient’altro che il numero di ore contrattuali dei dipendenti coperti da clausola sociale, la sostenibilità del costo del lavoro va (correttamente) verificata tenendo conto che siffatte ore configurano ore teoriche, mentre il costo orario medio da considerare ai fini della verifica di anomalia va determinato in relazione alle ore effettivamente lavorate dal dipendente (cfr. Cons. Stato, V, 12 giugno 2017, n. 2815; III, 2 marzo 2015, n. 1020; 13 dicembre 2013, n. 5984; cfr. anche III, 20 novembre 2019, n. 7927).

Nel caso di specie, verificando la sostenibilità del costo sulla base delle ore effettive anziché di quelle teoriche, non emergono profili d’insostenibilità dell’offerta tali da rendere manifestamente irragionevole od erronea la valutazione dell’amministrazione, essendo il costo orario medio - ricavabile dal rapporto fra il costo indicato dalla Publiparking e il numero di ore effettive di lavoro - sostanzialmente sovrapponibile all’entità del costo orario medio previsto nella tabella ministeriale (cfr., al riguardo, anche il calcolo riportato nella nota del 30 luglio 2019); né ciò è in realtà in sé specificamente contestato dall’appellante, che semplicemente prende a riferimento un diverso (non corretto) monte ore (i.e., le ore teoriche anziché quelle effettive) a fini di verifica della sostenibilità dell’offerta.

La Compark si duole peraltro dell’inattendibilità del calcolo relativo alla determinazione delle ore effettive, atteso che solo conoscendo i dati storici e concreti dell’impresa sarebbe possibile la determinazione di siffatte ore (cfr. appello, pag. 15).

Per contro è sufficiente rilevare che il coefficiente richiamato dalla sentenza per la determinazione di tali ore effettive - equivalente a quello desumibile dallo stesso calcolo sviluppato nella detta nota di replica del responsabile del procedimento di gara, che indica in 988 le ore effettive muovendo da 1305 ore teoriche - coincide in sostanza con quello che si ricava direttamente dalla tabella ministeriale, in specie dividendo il numero di ore effettive mediamente lavorate per il numero di ore teoriche; né l’appellante - che invoca anzi il rilievo e l’applicazione di tale tabella - offre specifici elementi di confutazione al riguardo.

Allo stesso modo, infondata si rivela la doglianza con la quale la Compark lamenta la violazione della clausola sociale in conseguenza della dedotta riduzione delle ore di lavoro offerte: da un lato infatti, come già indicato, non è dato riscontrare nella specie alcuna riduzione di siffatte ore; dall’altro, l’aspetto inerente al “modo [con cui] l’imprenditore subentrante dia seguito all’impegno assunto con la stazione appaltante di riassorbire i lavoratori impiegati dal precedente aggiudicatario (id est. come abbia rispettato la clausola sociale) attiene […] alla [ben distinta] fase di esecuzione del contratto, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro” (Cons. Stato, n. 6148 del 2019, cit.).

5. Con il terzo motivo di gravame l’appellante ripropone la doglianza relativa all’illegittimità del mancato svolgimento di seduta pubblica ai fini della comunicazione degli esiti della verifica di anomalia dell’offerta.

La Compark critica la sentenza nella parte in cui, nell’affermare che un siffatto obbligo non è previsto dalla legge, non si avvede che è l’art. 20.5 del disciplinare di gara a prevedere espressamente la comunicazione delle risultanze della valutazione di congruità in seduta pubblica.

5.1. Il motivo è infondato.

5.1.1. Va premesso al riguardo che la mera comunicazione degli esiti della verifica di anomalia e l’eventuale successiva proposta di aggiudicazione non presentano intrinseche ragioni di trasparenza che ne rendono necessario lo svolgimento in seduta pubblica, come avviene invece per l’apertura delle buste contenenti le offerte (su cui cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 26 luglio 2012, n. 30).

Per tali ragioni l’inosservanza della prescrizione formale della lex specialis che pure prevede siffatta seduta pubblica risulta in realtà priva di rilievo sostanziale ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, l. n. 241 del 1990, non incidendo in alcun modo sul contenuto degli atti impugnati: come posto in risalto dalla giurisprudenza infatti “la mancata comunicazione formale in seduta pubblica […] dell’esito della verifica di anomalia (con la conseguente aggiudicazione provvisoria) non costituisce un vizio capace di inficiare la procedura, né da tale mancanza può essere derivato alcun danno all’appellante che ha avuto modo, anche a seguito delle comunicazioni effettuate dall’amministrazione, di far valere le sue ragioni nei confronti delle valutazioni effettuate dall’amministrazione” (Cons. Stato, III, 11 giugno 2013, n. 3228).

Di qui l’infondatezza della doglianza.

Si rileva peraltro per completezza che nella specie la decisione di omettere la seduta pubblica ai fini della comunicazione degli esiti della verifica di anomalia fu espressamente assunta dalla commissione con verbale n. 4 del 12 marzo 2013 (“la commissione si riserva di comunicare l’esito circa la verifica di congruità, in applicazione del principio di efficacia e di economicità […] con l’invio del verbale conclusivo a tutti i partecipanti a mezzo pec”), non specificamente impugnato in parte qua dalla Compark, che si è limitata a censurare i verbali di gara “nella parte in cui non hanno ravvisato la non congruità dell’offerta della società Publiparking e non hanno di conseguenza escluso la stessa dalla procedura”.

6. In conclusione l’appello va respinto.

6.1. Al rigetto del gravame in relazione alle domande caducatorie segue la reiezione della richiesta di risarcimento del danno già proposta dalla Compark in primo grado e richiamata in appello, stante il difetto della dedotta condotta illecita dell’amministrazione in relazione agli atti impugnati, con assorbimento di ogni ulteriore questione al riguardo.

7. La particolarità e complessità della vicenda giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese del presente grado di giudizio fra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 ottobre 2020.

 

Guida alla lettura

Con la pronuncia in esame i giudici di Palazzo Spada contribuiscono a fornire indicazioni utili in merito alla determinazione del costo medio orario ai fini della verifica di anomalia dell’offerta. In particolare, viene ulteriormente chiarita la distinzione tra il criterio del costo teorico e quello del costo reale da utilizzare nel procedimento di cui all’art. 97 del Decreto Legislativo 18 aprile 2016, n. 50.

Nel caso specifico, la controversia involge una procedura di evidenza pubblica avente ad oggetto la concessione del servizio di gestione delle aree di sosta a pagamento non custodite ubicate sul territorio comunale, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

La ricorrente, seconda classificata, aveva impugnato l’aggiudicazione deducendo - unitamente ad altri motivi di doglianza - la mancanza di adeguatezza del costo annuo del personale indicato dalla controinteressata rispetto agli standard di servizio e di trattamento del personale previsti dalla documentazione di gara. Il giudice di prime cure aveva rigettato il ricorso richiamando il costante orientamento della giustizia amministrativa in merito al calcolo del costo orario medio del personale.

Avverso la sentenza la società ha interposto appello non condividendo l’iter logico-giuridico seguito dal giudice di primo grado, criticando l’omessa pronuncia in merito all’inadeguatezza del costo del personale offerto dalla prima classificata.

Ricostruiti brevemente i contorni della vicenda, deve rilevarsi che l’art. 97 del Codice dei contratti pubblici consente alla stazione appaltante di escludere l’offerta anormalmente bassa qualora il costo del personale sia inferiore ai minimi salariali retributivi indicati nelle apposite tabelle di cui all'articolo 23, comma 16 del predetto D.Lgs. n. 50/2016.

Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha più volte chiarito che i valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali costituiscono un semplice parametro di valutazione della congruità dell'offerta, con la conseguenza che l'eventuale scostamento delle voci di costo da quelle riassunte nelle tabelle ministeriali non legittima di per sé un giudizio di anomalia o di incongruità occorrendo, perché possa dubitarsi della sua congruità, che la discordanza sia considerevole e palesemente ingiustificata (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 26 novembre 2018, n.6689; 7 maggio 2018, n. 2691; 30 marzo 2017, n. 1465; Sez. III, 18 settembre 2018, n.5444; 13 marzo 2018, n. 1609).

Invero, un eventuale scostamento può essere “rivelatore di inattendibilità e anti-economicità se sia consistente e rilevante ma necessita, comunque, di essere approfondito nelle sue concrete implicazioni rilevando, in definitiva, come possibile espressione di un’insanabile anomalia nei soli casi in cui si riveli privo di plausibile giustificazione. Né è possibile fissare, a priori, in mancanza di vincolanti prescrizioni di legge, una soglia minima cogente al di sotto della quale l’eventuale differenziale debba, per definizione, ritenersi intollerabile con conseguente presunzione qualificata e non suscettiva di prova contraria di inattendibilità dell’offerta” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 20 novembre 2019, n. 7927).

Come noto, in via generale, nelle gare pubbliche “il giudizio di verifica dell'anomalia dell'offerta - finalizzato alla verifica dell'attendibilità e serietà della stessa ovvero dell'accertamento dell'effettiva possibilità dell'impresa di eseguire correttamente l'appalto alle condizioni proposte - ha natura globale e sintetica e deve risultare da un'analisi di carattere tecnico delle singole componenti di cui l'offerta si compone, al fine di valutare se l'anomalia delle diverse componenti si traduca in un'offerta complessivamente inaffidabile; detto giudizio costituisce espressione di un tipico potere tecnico-discrezionale riservato alla Pubblica amministrazione e insindacabile in sede giurisdizionale, salvo che nelle ipotesi di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza dell'operato della Commissione di gara; il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni della Pubblica amministrazione sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell'istruttoria, senza poter tuttavia procedere ad alcuna autonoma verifica della congruità dell'offerta e delle singole voci, ciò rappresentando un'inammissibile invasione della sfera propria della Pubblica amministrazione” (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 29 novembre 2012, n. 36; Sez. V, 12 febbraio 2020, n. 1066; 28 ottobre 2019, n. 7391).

Tanto premesso, nella fattispecie in esame, il Consiglio di Stato ha confermato le statuizioni del tribunale regionale, richiamando il costante indirizzo interpretativo espresso dalla giustizia amministrativa in merito alla determinazione del costo medio orario in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta.

Infatti, in più occasioni la giurisprudenza ha espressamente affermato che nelle gare pubbliche non deve essere “assunto a criterio di calcolo il "monte-ore teorico", comprensivo cioè anche delle ore medie annue non lavorate (per ferie, festività, assemblee, studio, malattia, formazione, etc.) di un lavoratore che presti servizio per tutto l'anno, ma va considerato il "costo reale" (o costo ore lavorate effettive, comprensive dei costi delle sostituzioni); il costo tabellare medio, infatti, è indicativo di quello "effettivo", che include i costi delle sostituzioni cui il datore di lavoro deve provvedere per ferie, malattie e tutte le altre cause di legittima assenza dal servizio” (Cons. Stato, Sez. V, 12 giugno 2017, n.2815; Sez. III, 02 marzo 2017, n.974; 2 marzo 2015, n. 1020, 13 dicembre 2013, n. 5984).

In sostanza, il costo orario medio da considerare ai fini della verifica di anomalia deve essere determinato in relazione alle ore effettivamente lavorate dal dipendente.

Applicando tale principio i giudici amministrativi hanno rigettato le censure formulate dall’appellante ritenendo che il rapporto fra il costo indicato dalla controinteressata e il numero di ore effettive di lavoro del personale fosse sostanzialmente sovrapponibile all’entità del costo orario medio previsto nella tabella ministeriale.