Con la sentenza n. 10 del 2020, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato sancisce l’esperibilità dell’istituto dell’accesso civico generalizzato anche alla materia dei contratti pubblici.

Per pervenire a tale conclusione, l’organo di nomofilachia muove, preliminarmente, dal rapporto che intercorre tra l’accesso documentale, disciplinato dagli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990 e l’accesso civico generalizzato, di cui al comma secondo dell’art. 5 d.lgs. n. 33/2013, introdotto dal d.lgs. n. 97/2016, in attuazione del c.d. FOIA (Freedom of Information Act).

Negata la sussistenza del principio di specialità tra i due modelli di ostensione e ricostruita la ratio dell’intervento legislativo del 2016, il Collegio riconosce la compresenza dei due istituti, che operano contestualmente secondo un criterio di integrazione e per un canone ermeneutico di completamento e inclusione. Stabilisce, in particolare, l’Adunanza Plenaria che non è precluso né all’amministrazione né al giudice l’esame contestuale della sussistenza dei presupposti tanto dell’accesso documentale quanto di quello civico qualora l’istanza del privato sia formulata in modo generico e sia, quindi, comprensiva di entrambi i modelli.

Il passaggio ulteriore della decisione investe il differente problema della configurabilità di un interesse diretto, concreto e attuale in capo all’istante, quale condizione di legittimazione attiva richiesta dall’art. 22, comma primo, lett. b), l. n. 241/1990, con precipuo riferimento agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico. Prendendo le mosse dal dato letterale, quindi dall’art. 53 d.lgs. n. 50/2016, che disciplina l’accesso agli atti e la riservatezza nella materia dei contratti pubblici, il massimo Consesso ravvisa la sussistenza delle condizioni prescritte dalla legge sul procedimento amministrativo anche nella fase di esecuzione del contratto. Si legge, inoltre, in motivazione, dell’insufficienza dell’applicazione di regole privatistiche a tale fase laddove resta fermo l’interesse pubblico primario che l’amministrazione, proprio attraverso quel dato contratto, ha inteso realizzare.

Infine, l’Adunanza Plenaria, nel ribadire il rapporto tra accesso documentale e civico generalizzato, riconosce l’applicabilità di quest’ultimo anche al settore dei contratti della pubblica amministrazione. Attraverso un’interpretazione unitaria, armonizzatrice e integratrice tra le disposizioni che regolano l’accesso, con particolare riferimento agli artt. 5-bis d.lgs. n. 33/2013 e 53, commi secondo e sesto, d.lgs. n. 50/2016, i Giudici riconoscono all’istituto in esame il valore di diritto fondamentale, idoneo a operare di diritto, senza che sia necessaria un’esplicita volontà del legislatore in tal senso. Al contrario, proprio per il regime delle eccezioni, contenuto appunto negli articoli sopra indicati, il Collegio giunge alla conseguenza che l’accesso civico generalizzato sia ammissibile in ordine agli atti di un contratto pubblico, ivi compresi quelli afferenti alla fase esecutiva.

 

 

 

Con la sentenza n. 10 del 2020, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato sancisce l’esperibilità dell’istituto dell’accesso civico generalizzato anche alla materia dei contratti pubblici.

Per pervenire a tale conclusione, l’organo di nomofilachia muove, preliminarmente, dal rapporto che intercorre tra l’accesso documentale, disciplinato dagli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990 e l’accesso civico generalizzato, di cui al comma secondo dell’art. 5 d.lgs. n. 33/2013, introdotto dal d.lgs. n. 97/2016, in attuazione del c.d. FOIA (Freedom of Information Act).

Negata la sussistenza del principio di specialità tra i due modelli di ostensione e ricostruita la ratio dell’intervento legislativo del 2016, il Collegio riconosce la compresenza dei due istituti, che operano contestualmente secondo un criterio di integrazione e per un canone ermeneutico di completamento e inclusione. Stabilisce, in particolare, l’Adunanza Plenaria che non è precluso né all’amministrazione né al giudice l’esame contestuale della sussistenza dei presupposti tanto dell’accesso documentale quanto di quello civico qualora l’istanza del privato sia formulata in modo generico e sia, quindi, comprensiva di entrambi i modelli.

Il passaggio ulteriore della decisione investe il differente problema della configurabilità di un interesse diretto, concreto e attuale in capo all’istante, quale condizione di legittimazione attiva richiesta dall’art. 22, comma primo, lett. b), l. n. 241/1990, con precipuo riferimento agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico. Prendendo le mosse dal dato letterale, quindi dall’art. 53 d.lgs. n. 50/2016, che disciplina l’accesso agli atti e la riservatezza nella materia dei contratti pubblici, il massimo Consesso ravvisa la sussistenza delle condizioni prescritte dalla legge sul procedimento amministrativo anche nella fase di esecuzione del contratto. Si legge, inoltre, in motivazione, dell’insufficienza dell’applicazione di regole privatistiche a tale fase laddove resta fermo l’interesse pubblico primario che l’amministrazione, proprio attraverso quel dato contratto, ha inteso realizzare.

Infine, l’Adunanza Plenaria, nel ribadire il rapporto tra accesso documentale e civico generalizzato, riconosce l’applicabilità di quest’ultimo anche al settore dei contratti della pubblica amministrazione. Attraverso un’interpretazione unitaria, armonizzatrice e integratrice tra le disposizioni che regolano l’accesso, con particolare riferimento agli artt. 5-bis d.lgs. n. 33/2013 e 53, commi secondo e sesto, d.lgs. n. 50/2016, i Giudici riconoscono all’istituto in esame il valore di diritto fondamentale, idoneo a operare di diritto, senza che sia necessaria un’esplicita volontà del legislatore in tal senso. Al contrario, proprio per il regime delle eccezioni, contenuto appunto negli articoli sopra indicati, il Collegio giunge alla conseguenza che l’accesso civico generalizzato sia ammissibile in ordine agli atti di un contratto pubblico, ivi compresi quelli afferenti alla fase esecutiva.

 

Sommario: 1. Il caso - 2. Gli orientamenti contrapposti: III Sezione e V Sezione a confronto - 3. Le questioni sottoposte all’attenzione dell’Adunanza Plenaria - 4. La soluzione: Adunanza Plenaria n. 10 del 2 aprile 2020 - 4.1. Il rapporto tra accesso documentale e accesso civico generalizzato secondo un canone di integrazione e completamento - 4.2. La configurabilità di un interesse diretto, concreto e attuale anche nella fase esecutiva di un contratto pubblico - 4.3. Il diritto di accesso civico generalizzato anche per gli atti di procedure di gara - 5. I principi di diritto enunciati dall’Adunanza Plenaria: sintesi conclusiva

  

1. Il caso

La vicenda controversa prende le mosse dal provvedimento di diniego adottato dall’Azienda USL Toscana Centro a seguito di un’istanza di accesso agli atti riguardante documenti della fase esecutiva del contratto relativo al Servizio Integrato Energia per le Pubbliche Amministrazioni, indetto da Cosip.

In particolare, secondo l’Amministrazione procedente, il motivo del rigetto è da ricercarsi nell’assenza, in capo all’impresa istante, di un interesse diretto, concreto e attuale che, a norma dell’art. 22, lett. b). l. n. 241/1990, fonda la legittimazione all’ostensione dei documenti amministrativi.

A fronte di una tale condotta pubblica, l’impresa impugna -  secondo il procedimento prescritto dall’art. 116 c.p.a., innanzi al Tar competente - il provvedimento negativo sulla base di due differenti argomentazioni. Da un lato, contesta il mancato riconoscimento da parte dell’Azienda di un interesse qualificato che, al contrario, è implicito già a monte nella partecipazione alla gara; dall’altro lato, motivo di ricorso è l’esclusione dell’istituto dell’accesso civico generalizzato, introdotto dal d.lgs. n. 97/2016 e disciplinato dall’art. 5, comma secondo, d.lgs. n. 33/2013, dalla materia degli appalti.

Il Tar, nel rigettare il ricorso, aderisce all’orientamento che nega cittadinanza al nuovo accesso civico generalizzato nel settore degli appalti, secondo quell’interpretazione che circoscrive l’ambito dell’istituto in una sfera separata e distinta rispetto a quella in cui opera l’accesso documentale, disciplinato dagli artt. 22 e ss. l. n. 241/1990. Con riferimento a quest’ultimo, inoltre, ritiene conforme la motivazione dell’Azienda nella parte in cui l’istante non è titolare dell’interesse diretto, concreto e attuale, quale condizione di legittimazione soggettiva prescritta dalla legge.

A seguito dell’esito sfavorevole, la ricorrente impugna la sentenza di primo grado innanzi al Consiglio di Stato. La III Sezione, competente a definire il giudizio, dato atto di un contrasto interno alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, rimette la questione all’Adunanza Plenaria, secondo quanto disposto dall’art. 99, comma primo, c.p.a. che decide in data 2 aprile 2020 con sentenza n. 10.

 

2. Gli orientamenti contrapposti: III Sezione e V Sezione a confronto.

L’oscillazione giurisprudenziale vede in particolar modo opporsi due orientamenti, riconducibili alla giurisprudenza della III Sezione, qual è quella remittente del giudizio in esame, e della V Sezione del Consiglio di Stato.

Sulla base della posizione assunta dalla III Sezione[1] - che estende la disciplina dell’accesso civico generalizzato anche alla materia degli appalti pubblici - il mancato richiamo del diritto di accesso a legittimazione generale, secondo il modello del c.d. FOIA, non può essere ragione sufficiente per giustificare una simile esclusione.

Questo filone interpretativo si fonda, infatti, sulla necessità di compiere una lettura sistematica dell’intera disciplina dell’accesso, sia esso documentale o civico generalizzato. In particolare, l’esame investirebbe non tanto e non solo l’art. 53 d.lgs. n. 50/2016, disposizione cui il legislatore demanda il coordinamento delle regole di trasparenza nel settore degli appalti pubblici, ma si estenderebbe anche alla disciplina che, in linea generale, governa l’istituto dell’accesso civico. Proprio con riferimento al d.lgs. n. 33/2013, e in specie agli artt. 5 e 5-bis, la III Sezione del Consiglio di Stato riterrebbe non potersi escludere dall'ambito di applicazione dell'art. 5 del d.lgs. n. 33 del 2013 la materia degli contratti pubblici, in quanto il successivo art. 5-bis elenca in modo tassativo gli ambiti sottratti alla regola generale della trasparenza senza che tra le materie escluse rientri quella degli appalti pubblici. Da ciò deriverebbe un rapporto di integrazione tra le singole ipotesi di accesso, non reciprocamente escludenti ma, al contrario, interagenti ai fini di soddisfare al meglio i principi di trasparenza e buon andamento della p.a.

All’opposto, l’orientamento seguito dalla V Sezione del Consiglio di Stato[2] esclude che l’istituto dell’accesso civico generalizzato operi anche nel settore degli appalti pubblici, in ragione delle scelte varate dal legislatore. La disciplina contenuta dall’art. 53 Cod. Appalti, con lo specifico ed esclusivo rinvio agli artt. 22 e ss. l. n. 241/1990, comporterebbe di per sé l’inoperatività dell’accesso disciplinato dall’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33/2013, nella materia degli appalti. Si giungerebbe a tale conclusione attraverso un’interpretazione letterale, sistematica e teleologica dell’intera disciplina sull’accesso, sia esso documentale o civico, anche generalizzato.

Del resto, in considerazione del fatto che l’accesso documentale è a legittimazione speciale, l’accesso civico richiede, secondo l’art. 5, comma primo, d.lgs. n. 33 cit., quale condizione per proporre istanza, un obbligo, inadempiuto, di ostensione in capo alla p.a., e l’accesso civico generalizzato allarga ulteriormente le maglie della legittimazione estendendola a “chiunque” secondo il modello del c.d. FOIA,  si giungerebbe all’assunto che i tre istituti si caratterizzino per diversità dell’oggetto. Conseguenza di ciò è la definizione del rapporto che intercorre tra gli stessi in termini di pari ordinazione, avendo i tre modelli di accesso tutti portata generale: il coordinamento tra gli stessi dovrebbe, pertanto, compiersi in ossequio al principio di specialità, verificando caso per caso se la disciplina settoriale assuma portata derogatoria ovvero meramente integrativa.

Ѐ sulla base di tali osservazioni che la V Sezione del Consiglio di Stato perviene alla conclusione della prevalenza della disciplina speciale dettata in materia di contratti pubblici, escludendo l’applicazione dell’accesso civico generalizzato, stante la possibilità prevista dal legislatore di attivare solo lo strumento prescritto dal più volte citato art. 53 d.lgs. n. 50/2016.

 

3. Le questioni sottoposte all’attenzione dell’Adunanza Plenaria

Tre le ragioni per cui la III Sezione rimette con ordinanza n. 8501 del 16 dicembre 2019, la decisione in punto di diritto al massimo Consesso. In particolare chiede:

 a) se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo la regole dello scorrimento della graduatoria;

b) se la disciplina dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d. lgs. n. 97 del 2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice;

c) se, in presenza di una istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla l. n. 241 del 1990, o ai suoi elementi sostanziali, la pubblica amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. lgs. n. 33 del 2013; e se di conseguenza il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria, di cui alla l. n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato.

 

4. La soluzione

L’Adunanza Plenaria, nel decidere la questione, imposta un differente ordo quaestionis, secondo un criterio, si legge al punto 8.1 della sentenza, che segue la necessaria concatenazione logica dei motivi stessi.

 

4.1. Il rapporto tra accesso documentale e accesso civico generalizzato secondo un canone di integrazione e completamento

Il primo quesito, secondo il nuovo ordine di trattazione formulato dal massimo Consesso, investe il rapporto intercorrente tra accesso documentale, di cui agli artt. 22 e ss. l. n. 241/1990 e accesso civico generalizzato, previsto dall’art. 5, comma secondo, d.lgs. n. 33/2013, così come modificato dal d.lgs. n. 97/2016.

La soluzione cui perviene la decisione in commento, secondo la quale i due tipi di accesso possono coesistere e concorrere tra loro, si fonda, innanzitutto, sul dato letterale. L’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013, infatti, sembra espressamente riconoscere la contemporanea operatività dei due istituti, nella parte in cui expressis verbis richiama, sulla base del comma secondo dello stesso articolo, accanto alle forme di accesso civico c.d. semplice, di cui al comma primo art. 5, e di accesso civico c.d. generalizzato, anche «le diverse forme di accesso degli interessati previste dal capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241».

Il rapporto che lega queste due forme di accesso deve essere interpretato, in adesione all’orientamento inaugurato dalla III Sezione del Consiglio di Stato, sulla base di un criterio di integrazione e non secondo una logica di separazione ed esclusione reciproca, cui al contrario perviene l’opposto orientamento propugnato dalla V Sezione.

Tale considerazione, precisa ancora il Collegio, non è volta a omologare i presupposti e la ratio sottesi agli istituti in esame, laddove è richiesto, al punto 9 della motivazione, la necessità di distinguere gli interessi in gioco. In particolare, l’accesso documentale corrisponde al soddisfacimento dell’interesse individuale dell’istante che, pertanto, deve risultare differenziato rispetto a quello del quisque de populo: è in questi termini che devono leggersi le condizioni di legittimazione soggettiva scandite dalla lettera b) dell’art. 22 cit. nella parte in cui richiede che il privato sia titolare di un interesse diretto, concreto e attuale[3]. All’opposto, il legislatore non sottopone alcun limite soggettivo per l’esercizio del diritto di accesso generalizzato, riconosciuto in capo a «chiunque», in quanto lo stesso è volto a soddisfare un controllo di tipo democratico, non incardinato nel solo interesse differenziato e personale[4].

La convivenza delle due forme di accesso in esame, tuttavia, non comporta alcun automatismo sul piano procedimentale né processuale, in ragione della rilevanza che assume la richiesta inoltrata dal privato istante all’Amministrazione competente.

Nello specifico, l’Adunanza Plenaria chiarisce che il potere della p.a. di esaminare l’istanza sotto il duplice profilo dell’accesso documentale e civico generalizzato è strettamente collegato al contenuto effettivo della domanda proposta dal privato. Non è necessario che questa sia formulata in termini rigidi e specifici, con il duplice e contestuale richiamo alla normativa dettata dalla l. n. 241/1990 e dal d.lgs. n. 33/2013, risultando sufficiente che «l’anelito ostensivo» (così come lo definisce il Collegio al punto 8.5 della motivazione) si caratterizzi per una formulazione indistinta, «“ancipite”». Di conseguenza, la reiezione dell’istanza da parte dell’amministrazione - tanto sotto il profilo dell’accesso documentale quanto di quello civico generalizzato - circoscrive il thema decidendum dell’eventuale ricorso proposto, a norma dell’art. 116 c.p.a., al fine di ottenere un annullamento, con l’ulteriore effetto conformativo, del provvedimento di diniego.

Dunque, anche l’ambito dell’esame del giudice dipende dalla modalità di formulazione dell’originaria istanza di accesso e, quindi, dal contenuto effettivo del provvedimento di diniego dell’Amministrazione: solo laddove oggetto del giudizio siano l’accesso documentale e civico generalizzato il giudice ha il potere di verificare la sussistenza, per entrambi, di presupposti e condizioni. Al contrario, qualora l’originaria istanza, che delimita l’oggetto dell’intervento tanto dell’amministrazione procedente quanto del giudice adito in sede di impugnazione del provvedimento di diniego, risulti espressamente motivata e circoscritta nell’ambito della sola disciplina dettata dalla l. n. 241/1190, è preclusa la possibilità di immutare, estendendolo, l’oggetto del giudizio, pena la violazione del divieto di mutatio libelli e di introduzione di ius novorum[5].

 

4.2. La configurabilità di un interesse diretto, concreto e attuale anche nella fase esecutiva di un contratto pubblico

Il secondo quesito, sempre secondo l’ordine di trattazione stabilito in sentenza, investe il conseguente e ulteriore problema della legittimazione dell’operatore economico, collocatosi utilmente in graduatoria, a proporre istanza di accesso agli atti relativa alla fase esecutiva dell’appalto pubblico. Il problema, nello specifico, attiene alla configurabilità, nella suddetta fase, di un interesse diretto, concreto e attuale, secondo i criteri prescritti dall’art. 22 l. n. 241/1990, in ragione delle regole di matrice privatistiche che governano la suddetta fase.

La scissione tra formazione e conclusione del contratto pubblico in due differenti segmenti, pubblicistico e privatistico, il cui confine è delineato dall’aggiudicazione, non comporta, però, il venir meno dell’interesse pubblico anche nella fase di conclusione ed esecuzione. Come sottolinea l’Adunanza Plenaria, dal punto 12.5 della motivazione, la rilevanza pubblicistica persiste anche nella fase privatistica del contratto. Ciò trova, inoltre, indiretta conferma nel dato positivo dell’art. 53 d.lgs. n. 50/2016 che, al primo comma, espressamente circoscrive «il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione».

Del resto, affermare il contrario porterebbe all’impossibilità di verificare il compiuto soddisfacimento dell’interesse pubblico che trova attuazione solo attraverso una corretta realizzazione dell’opera o del servizio oggetto di contratto. In questo senso, si legge dal punto 12.8 della sentenza, operano anche nella fase dell’esecuzione il principio della trasparenza e della concorrenza, la cui soddisfazione dipende dall’esatto adempimento delle prestazioni che incombono sull’aggiudicatario, anche sulla base del capitolato generale.

Proprio questa prospettiva di permanenza dell’interesse pubblico in tutte le fasi del contratto ispira la ratio delle disposizioni del codice dei contratti –artt. 108, 109 e 110 d.lgs. 50/2016 - che predispongono in favore dell’amministrazione aggiudicatrice strumenti tanto di autotutela, anche doverosa, quanto di risoluzione di natura privatistica, qualora non possa essere soddisfatto l’interesse primario sotteso al contratto.

In tutte queste ipotesi, secondo quanto prescritto dall’art. 110 d.lgs. 50/2016, è inoltre riconosciuto il potere all’amministrazione aggiudicatrice di mantenere in vita il contratto, senza pertanto bandire una nuova gara, attraverso lo scorrimento della graduatoria in precedenza formatosi.

Ѐ in forza di questa possibilità, secondo la ricostruzione del massimo Consesso, che è possibile individuare, in capo all’operatore economico utilmente collocatosi in graduatoria, una posizione differenziata che assurge a interesse, seppur strumentale, diretto, concreto e attuale secondo i canoni di legittimazione richiesti dall’art. 22 cit., cui il suindicato art. 53 d.lgs. n. 50/2016 demanda. Viene in rilievo, in questo caso, l’interesse intermedio che esprime la realistica possibilità di riedizione della gara e nuova aggiudicazione ai fini del soddisfacimento dell’interesse finale. 

Tuttavia, per essere meritevole di tutela, l’interesse, anche strumentale, deve preesistere all’istanza d’accesso che, quindi, non può essere occasione dello stesso. Con questa precisazione l’Adunanza Plenaria ribadisce, inoltre, i criteri distintivi tra l’accesso documentale, fondato sul bisogno di conoscere (c.d. need to know), e l’accesso civico generalizzato, che al contrario risponde al soddisfacimento del diritto di sapere (c.d. right to kown). Solo con riferimento all’accesso disciplinato dalla l. n. 241/1990 è, pertanto, necessario procedere alla verifica di un’effettiva esigenza di conoscenza finalizzata alla realizzazione di una posizione di vantaggio, quale appunto l’aggiudicazione della gara.

Ribadisce sul punto il Collegio (punto 16.5 della motivazione) che, ai fini della sussistenza di un interesse connotato dai caratteri della direzione, concretezza e attualità, è necessario che la documentazione di cui si richieda ostensione sia collegata a una situazione giuridicamente tutelata dall’ordinamento, in quanto ostacolo o impedimento alla realizzazione dell’interesse finale.

Sulla base di tali constatazioni, l’Adunanza Plenaria ritiene che nel caso concreto, da cui prendono le mosse le questioni sollevate, manchi un interesse preesistente, idoneo a fondare i criteri di legittimazione attiva imposti dalla Legge sul procedimento amministrativo, laddove la situazione giuridica tutelata e da soddisfare verrebbe occasionata dall’esito dell’accesso ai documenti. In particolare, e in questo si spiega l’assunto del Collegio in merito al secondo quesito analizzato, non può ritenersi sufficiente, neanche i termini di interesse strumentale e quindi intermedio, quello sorretto da una finalità meramente esplorativa, il cui esito, incerto, potrebbe solo eventualmente fondare un successivo interesse all’aggiudicazione della gara.

Pertanto, non può escludersi a priori la configurabilità delle condizioni che connotano l’interesse nell’accesso documentale, anche in relazione alla fase esecutiva del contratto di appalto; deve, quindi, accertarsi un necessario collegamento tra la documentazione oggetto di richiesta e la posizione sostanziale che si vuole soddisfare. La verifica del nesso sopra richiamato, da eseguirsi caso per caso, darà esito positivo circa la titolarità di un interesse diretto, concreto e attuale qualora l’istanza di acceso, nella fase di esecuzione del contratto, sia volta a far emergere, quindi confermare, una distorsione delle regole di concorrenza sulla base delle quali l’aggiudicatario inadempiente si era visto affidare la commessa.

 

4.3. Il diritto di accesso civico generalizzato anche per gli atti di procedure di gara

L’ultimo motivo affrontato dall’organo di nomofilachia risolve il contrasto insorto, in punto di diritto, tra la III e la V Sezione del Consiglio di Stato. L’Adunanza Plenaria, infatti, estende l’applicabilità dell’accesso civico generalizzato, previsto dal comma secondo dell’art. 5 d.lgs. n. 33/2013, anche ai documenti relativi all’attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti (d.lgs. n. 50/2016).

In particolare, punto di partenza dell’analisi del massimo Consesso è il contenuto dell’art. 5-bis d.lgs. n. 33 cit., in cui il legislatore individua le materie sottratte all’ostensione di carattere generale, soffermandosi in modo puntuale sul significato e contenuto da attribuire al rinvio che, l’articolo da ultimo citato, compie all’art. 24, comma primo, l. n. 241/1990, con riferimento alla subordinazione dell’accesso «al rispetto di specifiche condizioni, modalità e limiti».

Nell’aderire alla posizione dalla III Sezione, il Collegio smentisce le conclusioni cui è pervenuto l’opposto orientamento, secondo cui le eccezioni contenute nel citato art. 5-bis hanno carattere generale e assoluto e comportano un’esclusione totale della materia dei contratti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato. La V Sezione, così come parte della giurisprudenza dei Tar, perviene a tale soluzione attraverso un’interpretazione letterale, sistematica e teleologica che porta all’applicazione del principio di specialità, già richiamato in motivazione dall’Adunanza Plenaria quando, affrontando il primo motivo, ha ricostruito i rapporti tra accesso documentale e civico generalizzato, secondo i due orientamenti (in particolare, punto 11.7 della motivazione).

Ed è proprio identificando la materia dei contratti pubblici quale disciplina speciale e derogatoria che la V Sezione attribuisce alla stessa una valenza autosufficiente: le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 50/2016, con particolare riferimento all’art. 53, soddisfano autonomamente le esigenze di trasparenza e il bilanciamento tra interessi che, nel silenzio normativo, sarebbero altrimenti compiute attraverso l’accesso civico generalizzato. Inoltre, sempre sulla base di tale ultima posizione, il legislatore, tanto attraverso l’accesso civico c.d. semplice quanto per il ruolo di vigilanza svolto dall’ANAC nel settore dei contratti pubblici, ha già predisposto numerosi strumenti volti a garantire i principi di trasparenza e concorrenza, che governano, anche e soprattutto, il settore della contrattualistica della p.a.

L’Adunanza Plenaria, ritenendo invece sussistente un rapporto di complementarietà tra i diversi tipi di accesso previsti dall’ordinamento, smentisce le motivazioni fatte proprie dalla V Sezione. Ai fini dell’estensione della disciplina dell’accesso civico generalizzato anche alla materia dei contratti pubblici, centralità assume la ratio sottesa a tale strumento di conoscenza dell’azione amministrativa, che si attua attraverso l’ostensione generalizzata di atti e documenti.

Dal punto 22 della motivazione il Collegio richiama la distinzione tra il c.d. need to know, cui è correlato un interesse individuale e differenziato, e il c.d. right to know, che invece sottende la soddisfazione di un controllo democratico sull’attività amministrativa. Attraverso la positivizzazione del c.d. FOIA (Freedom of Information act), per il tramite del d.lgs. n. 97/2016 che interviene nel tessuto normativo del d.lgs. 33/2013, il “diritto di conoscere” assurge a diritto fondamentale che, oltre ad avere una rilevanza propria, soddisfa anche altri diritti fondamentali. L’Adunanza Plenaria, sul punto, riscostruisce le ragioni sottese all’introduzione di una conoscenza generalizzata dei documenti detenuti dall’amministrazione, richiamando, altresì, valori costituzionali, quali sottesi agli artt. 1, 2, 97 e 118 Cost., comunitari e convenzionali, con  particolare riferimento all’art. 42 Carta di Nizza e 10 Cedu.

Attraverso un’interpretazione sistematica di tutte le fonti del diritto che governano l’attività amministrativa, con precipuo riferimento alla materia dei contratti pubblici, quindi, il Collegio, dal punto 22.7 della motivazione, ricostruisce la natura dell’accesso civico generalizzato in termini di «terza generazione del diritto di accesso» (punto 24 della sentenza).

Tale ricostruzione si eleva a strumento di esplicazione della differente classificazione che l’Adunanza compie con riferimento alle eccezioni contenute nell’art. 5-bis, commi secondo e terzo, d.lgs. n. 33/2013.

Distaccandosi nuovamente dalla soluzione adottata dalla V Sezione del Consiglio di Stato, secondo cui l’art. 5-bis prescriverebbe solo eccezioni di carattere assoluto, l’organo di nomofilachia ribadisce la necessità di compiere una lettura unitaria dell’articolo in esame. In questo modo, quindi, assumono carattere assoluto esclusivamente le eccezioni contenute al terzo comma dell’art. 5-bis d.lgs. n. 33/2013, sulla base delle quali una conoscibilità generalizzata diviene incompatibile in ragione della elevata sensibilità dell’interesse protetto da segreto. Proprio in virtù di una scelta compiuta a monte dal legislatore, l’amministrazione, per i casi descritti dal comma terzo, deve porre in essere una mera attività di verifica delle condizioni e materie cui afferisce l’istanza di accesso, essendo quindi portatrice di un potere vincolato qualora, accertata la riconducibilità dei documenti oggetto di istanza alle materie elencate nel comma terzo dell’art. 5-bis, sia obbligata a rigettare l’istanza[6].

Al contrario, nelle ipotesi descritte dal comma due dell’art. 5-bis d.lgs. n. 33/2013, l’amministrazione competente è chiamata a compiere un bilanciamento tra interessi fondamentali, quali l’accesso e la riservatezza, avvalendosi, altresì, delle tecniche di bilanciamento di matrice europea, identificate nel c.d. harm test (o test del danno) e nel c.d. public interest test (o test dell’interesse pubblico)[7]. In questo senso, pertanto, l’Adunanza Plenaria smentisce l’obiezione mossa dall’orientamento riferibile, anche, alla V Sezione, in cui si legge, così come evidenziato dal punto 21.5 lett. a), richiamato dal punto 35 della motivazione, che la lettera dell’art. 5-bis, comma secondo, d.lgs. n. 33/2013 sarebbe priva di rilevanza diretta nel settore degli appalti pubblici.

Difatti, la V Sezione esclude l’applicabilità delle deroghe relative al diritto di accesso civico generalizzato di cui al comma secondo, tanto sulla base della rilevanza assoluta e totalizzante riconosciuta alle eccezioni inderogabili contenute nel comma terzo dell’art. 5-bis­ d.lgs. n. 33/2013, quanto in relazione all’aggravio procedimentale che l’eventuale bilanciamento richiederebbe per l’amministrazione procedente. A rafforzare tale ultima constatazione, la giurisprudenza della V Sezione, inoltre, non riconosce rilevanza effettiva al bilanciamento stesso, in ragione del prevedibile e generico esito che da esso deriverebbe, potendo l’amministrazione competente optare per una soddisfazione delle ragioni di opposizione rispetto a quelle sottese all’istanza di accesso, con conseguente sacrificio del principio di trasparenza.

Tuttavia, tale conclusione è smentita non solo dalle osservazioni che riposano sulla natura dell’accesso civico generalizzato e sul suo rapporto con quello documentale, che a sua volta orienta la lettura e l’interpretazione che il Collegio compie dell’art. 5-bis d.lgs. n. 33/2013, in quanto centrale è, sempre nella ricostruzione compiuta dall’Adunanza, anche il contenuto dell’art. 53, comma secondo, d.lgs.  n. 50/2016, che individua un’ipotesi di eccezione assoluta di ostensibilità degli atti.

Nello specifico, la norma in esame detta, così come descritto nel punto 27.3 della motivazione, «una disciplina speciale, il cui contenuto essenziale è costituito dalla conoscibiltà progressiva della documentazione di gara», in virtù di un differimento temporale per l’esercizio del diritto di accesso.

Una simile sottrazione alla disciplina dell’accesso, tuttavia, non può, secondo le conclusioni cui perviene il Collegio, comportare una esclusione totale del modello di accesso generalizzato, soprattutto in considerazione del contenuto del comma sesto dell’art. 53 d.lgs. n. 50/2016. Imprimendo una deroga nell’ipotesi di accesso difensivo al divieto posto dal comma secondo, la norma in esame conferma la portata limitata dell’eccezione assoluta riferita all’esperibilità dell’accesso, anche civico, in materia di contratti.

Il legislatore, quindi, ha ritenuto necessario fissare un limite al diritto di prendere visione di atti e documenti, positivizzando i casi al comma secondo dell’art. 53 e ammantando, seppur indirettamente, il diritto di accesso civico generalizzato della capacità di operare di diritto. Si legge, in particolare, tale conclusione dal punto 28 della motivazione, in cui l’Organo di nomofilachia ribadisce l’esigenza di una «lettura unitaria, armonizzante e integratrice» delle disposizioni che regolano il diritto di accesso, in ogni sua modalità e ambito (punto 30.5), al fine di smentire la necessità di una specifica disposizione di legge che, per ciascuna materia, autorizzi l’operatività dell’accesso civico generalizzato.

Nel riconoscere, quindi, l’operatività dell’istituto introdotto in attuazione del c.d. FOIA, l’Adunanza Plenaria traccia le linee guida attraverso cui interpretare l’accesso civico generalizzato, per scongiurare il rischio di un abuso di tale diritto dai privati, strumentalizzandolo a finalità egoistiche e non rispondenti al principio solidaristico sotteso all’istituto in esame.

Proprio la connotazione solidaristica che qualifica l’accesso civico generalizzato richiede che l’esercizio del diritto alla trasparenza avvenga sempre nel rispetto dei canoni di buona fede e correttezza, implicitamente sanciti dall’art. 2 Cost., in coordinamento con l’ulteriore principio di buon andamento e imparzialità, di cui all’art. 97 Cost (punto 36.4 della motivazione).

 

5. I principi di diritto enunciati dall’Adunanza Plenaria: sintesi conclusiva

Al punto 38 della sentenza, il massimo Consesso riassume la propria decisione, pronunciandosi, secondo i criteri stabiliti dall’art. 99, comma quinto, c.p.a., nei seguenti termini:

a) la pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della l. n. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo, adìto ai sensi dell’art. 116 c.p.a., possa mutare il titolo dell’accesso, definito dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all’esito del procedimento;

b) è ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale;

c) la disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all’esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l’eccezione del comma 3 dell’art. 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l’art. 53 e con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall’accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza.

 

 

[1] Cfr. Cons. di Stato, Sez. III, 5 giugno 2019, n. 3780; Tar Lombardia, Milano, Sez. IV, 11 gennaio 2019, n. 45.

[2] Cfr. Cons. di Stato, Sez. V, 2 agosto 2019, n. 5502 e n. 5503.

[3] Cfr. F. Caringella, Manuale di Diritto Amministrativo, Dike Giuridica, 2018; F. G Scoca, Diritto amministrativo, Giappichelli Editore, 2017; L. Minervini, Accesso agli atti e alle procedure di affidamento ed esecuzione di contratti pubblici, in Foro Amministrativo (Il), fasc. n. 5, 1 maggio 2019.

[4] Cfr. M. De Rosa, B. Neri, Profili procedimentali dell’accesso generalizzato, in Diritto Amministrativo, fasc. n. 4, 1 dicembre 2019; M. Savino, Il FOIA italiano e i suoi critici: per un dibattito scientifico meno platonico, in Diritto Amministrativo, fasc. n.3, 1 settembre 2019; A. Moliterni, La natura giuridica dell'accesso civico generalizzato nel sistema di trasparenza nei confronti dei pubblici poteri, in op. cit.; N. Vettori, Valori giuridici in conflitto nelle forme di accesso civico, in op. cit.

[5] Cfr. S. A. Villata, Materiali sulla cosa giudicata, Cedam, 2017.

[6] M. Felici, I limiti all’accesso civico generalizzato: limiti e criteri applicativi, in op. cit.

[7] C. Tommasi, Il diritto di accesso nell’ordinamento dell’Unione Europea: trasparenza o opacità amministrativa, in www,gruppodipisa.it.

 

 

 

 

Sommario: 1. Il caso - 2. Gli orientamenti contrapposti: III Sezione e V Sezione a confronto - 3. Le questioni sottoposte all’attenzione dell’Adunanza Plenaria - 4. La soluzione: Adunanza Plenaria n. 10 del 2 aprile 2020 - 4.1. Il rapporto tra accesso documentale e accesso civico generalizzato secondo un canone di integrazione e completamento - 4.2. La configurabilità di un interesse diretto, concreto e attuale anche nella fase esecutiva di un contratto pubblico - 4.3. Il diritto di accesso civico generalizzato anche per gli atti di procedure di gara - 5. I principi di diritto enunciati dall’Adunanza Plenaria: sintesi conclusiva.