Cons. Stato, sez. V, 25 febbraio 2020, n. 1394

Privi di pregio sono gli argomenti di -Omissis- fondati sulle norme degli art. 106, comma 12, 106, comma 1 lett. e) e 63 del d.lgs. n. 50 del 2016: la fattispecie disciplinata dalla prima non ricorre in caso di estensione al di sopra del c.d. quinto d’obbligo (come nel caso di specie) e comunque (…) la norma – pur se ritenuta applicabile in caso di errore della stazione appaltante, non quindi necessariamente in caso di sopravvenienze straordinarie e imprevedibili – presuppone sempre che l’esigenza di aumento o di diminuzione delle prestazioni contrattuali emerga “in corso di esecuzione”, non essendo consentita una previsione di modifica ex art. 106, comma 12, a monte della stipulazione del contratto, quando cioè vi sia un vizio genetico e noto della legge di gara che renda certa l’inadeguatezza delle prestazioni contrattuali cui parametrare le offerte, come nel caso di specie.

 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 6633 del 2019, proposto da
Dussmannn Service S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Filippo Martinez, Davide Moscuzza, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Filippo Martinez in Roma, via Alessandria n.130.

contro

Provincia di Monza e della Brianza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Elisabetta Baviera, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
Comune di Lentate sul Seveso, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Maria Cristina Colombo, Giovanni Crisostomo Sciacca, Mattia Casati, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giovanni Crisostomo Sciacca in Roma, via di Porta Pinciana n. 6.

nei confronti

Sodexo Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Mariangela Di Giandomenico, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Plebiscito n. 112.

per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (Sezione Quarta) n. 01455/2019, resa tra le parti.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Provincia di Monza e della Brianza e di Comune di Lentate Sul Seveso e di Sodexo Italia S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2019 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e uditi per le parti gli avvocati Casellato per delega di Moscuzza e Martinez, Sciacca per sé e per delega di Baviera, e Di Giandomenico;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. La Centrale Unica di Committenza – CUC della Provincia di Monza e della Brianza ha bandito, nell’interesse del Comune di Lentate sul Seveso, la procedura aperta per l’aggiudicazione, all’offerta economicamente più vantaggiosa, dell’appalto biennale del servizio di ristorazione scolastica a basso impatto ambientale.

La base d’asta era rappresentata dal prezzo unitario del pasto, fissato in € 5,50, (oltre € 0,018 per oneri della sicurezza non soggetti a ribasso), al netto di IVA, per un numero complessivo presunto di 116.995 pasti all’anno, che corrispondeva a un valore complessivo dell’appalto di € 1.286.945,00 sempre al netto di IVA e di oneri di sicurezza interferenziali.

1.1. Alla gara hanno partecipato – tra gli altri - la società Sodexo Italia S.p.A. (classificatasi prima) e la società Dussmann Service S.r.l. (classificatasi seconda).

1.2. Con il ricorso introduttivo del presente giudizio la società Dussmann Service ha contestato gli esiti della gara, chiedendo l’annullamento dell’aggiudicazione a favore della società Sodexo Italia, oltre alla declaratoria di inefficacia del contratto (ove nelle more stipulato) e al subentro nello stesso ed, ottenuta l’ostensione degli atti richiesti, con ricorso per motivi aggiunti, ha dedotto ulteriori profili di illegittimità avverso gli atti già impugnati, confermando le conclusioni già rassegnate nel ricorso principale.

1.3. Si è costituita in giudizio la società Sodexo Italia, resistendo al ricorso principale e al ricorso per motivi aggiunti e impugnando con ricorso incidentale la mancata esclusione dalla gara della società Dussmann Service per plurime ragioni, e, in subordine, la legge di gara, ove interpretata nel senso voluto dalla ricorrente principale.

1.4. Si è costituita in giudizio anche la Provincia di Monza e della Brianza, instando affinché venissero respinti entrambi i ricorsi proposti dalla Dussmann Service e successivamente prendendo posizione anche contro il ricorso incidentale proposto da Sodexo Italia.

1.5. Con ordinanza n. 1465 del 12 ottobre 2018 è stata accolta la domanda cautelare avanzata da Dussmann Service, ritenendo che «effettivamente … i pasti oggetto della prestazione siano stati calcolati dalla società controinteressata in contrasto con la lex specialis di gara e precisamente con la tabella del capitolato speciale (pagg. 7-9), che riporta l’indicazione dei pasti presunti da offrire».

1.6. Pendente il giudizio, il Comune di Lentate sul Seveso, con determina n. 6 del 18 gennaio 2019, ha annullato in autotutela l’aggiudicazione del contratto a favore della società Sodexo Italia, unitamente a ogni atto presupposto, ivi compresi i verbali di gara, e l’intera procedura concorrenziale.

Le ragioni dell’autotutela sono così sintetizzate nella sentenza appellata:

<<nella legge di gara il numero presunto di pasti da preparare e da distribuire è stato sottostimato;

- la sottostima dei pasti può incidere negativamente sull’erogazione del servizio;

- attraverso l’indizione di una nuova procedura di gara si attribuiscono ai concorrenti pari possibilità di conseguimento dell’appalto;

- in questo modo si mette il Comune al riparo dal rischio di dover pagare le spese di giudizio alla parte vittoriosa in giudizio>>.

1.7. La C.U.C., alla luce della sopravvenienza ha, a sua volta, annullato in autotutela, con determina dirigenziale n. 75 del 22 gennaio 2019, tutti i provvedimenti assunti nell’ambito della suddetta procedura di gara.

1.8. Con un secondo ricorso per motivi aggiunti la società Dussmann Service ha impugnato i provvedimenti di autotutela, chiedendone l’annullamento, oltre al risarcimento del danno da pronunciarsi nella forma della reintegrazione in forma specifica, mediante affidamento a sé dell’appalto per cui è causa.

1.9. Si è, allora, costituito in giudizio il Comune di Lentate sul Seveso, per opporsi al secondo ricorso per motivi aggiunti proposto da Dussmann Service e chiederne il rigetto.

1.10. I provvedimenti di autotutela sono stati difesi anche dalla Provincia e dalla società Sodexo Italia, la quale ha eccepito l’inammissibilità del secondo ricorso per motivi aggiunti per carenza di interesse.

2. Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha:

- preso le mosse dalla disamina del secondo ricorso per motivi aggiunti presentato dalla Dussmann Service;

- respinto l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Sodexo Italia, ritenendo la sussistenza dell’interesse all’impugnazione dato che “L’accoglimento del secondo ricorso per motivi aggiunti costituisce condizione necessaria perché la ricorrente principale conservi interesse all’esame nel merito del primo ricorso per motivi aggiunti, e ottenere in questo modo l’aggiudicazione dell’appalto medesimo”;

- respinto quindi il ricorso per motivi aggiunti avverso gli atti di autotutela, per le ragioni di cui si dirà;

- per l’effetto, dichiarato improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso principale, il primo ricorso per motivi aggiunti e il ricorso incidentale;

- compensato tra le parti le spese di giudizio, previo scrutinio della soccombenza virtuale rispetto ai ricorsi dichiarati improcedibili.

3. La società Dussmann Service ha proposto appello con due motivi.

3.1. Il Comune di Lentate sul Seveso, la Provincia di Monza e della Brianza e Sodexo Italia si sono costituiti per resistere al gravame.

3.2. Alla pubblica udienza del 17 dicembre 2019 la causa è stata posta in decisione, previo deposito di memorie conclusive e di memorie di replica di tutte le parti (tranne la Provincia di Monza e Brianza, che non ha depositato repliche).

4. Col primo motivo (Erroneità della sentenza per travisamento dei fatti. Difetto di istruttoria. Contraddittorietà ed illogicità della motivazione), l’appellante critica la sentenza per la decisione di esaminare per primo il secondo ricorso per motivi aggiunti. Sostiene che, se fossero stati esaminati invece i primi motivi aggiunti di Dussmann, ed in particolare il primo motivo -col quale era contestata l’insostenibilità dell’offerta di Sodexo, per la sottostima dei costi della manodopera e dell’incidenza sul singolo pasto- il giudice avrebbe accolto le censure e questo avrebbe comportato anche, per coerenza, l’accoglimento dei secondi motivi aggiunti: ciò, perché la Dussmann non aveva mai messo in discussione il numero dei pasti a base di gara –tanto che questo non sarebbe stato controverso nemmeno per il Tribunale amministrativo regionale- mentre era stata Sodexo a difendersi sostenendo di avere preso in considerazione un numero di pasti diverso e superiore a quello a base di gara, così contestando il numero di pasti a base di calcolo.

4.1. Da quanto sopra l’appellante trae la conclusione che –avendo il Tribunale riconosciuto: sia, con l’ordinanza cautelare, che l’offerta di Sodexo era in contrasto con la legge di gara, che riportava l’indicazione del numero dei pasti presunti da offrire (inferiore a quello calcolato da Sodexo); sia, con la sentenza, che invece l’offerta di Dussmann era conforme alle prescrizioni del bando (rispetto al numero di pasti da erogare e rispetto alle risorse impiegate e alle modalità di erogazione del servizio), di modo che erano fondati il ricorso principale ed i primi motivi aggiunti ed infondato il ricorso incidentale- il giudice si sarebbe contraddetto perché, avendo riconosciuto la fondatezza dei primi motivi aggiunti, avrebbe riconosciuto anche la correttezza del dato relativo al numero dei pasti riportato nella legge di gara, sicché non avrebbe poi, al contempo, potuto dichiarare la legittimità del provvedimento di annullamento in autotutela proprio per il fatto che ci sarebbe stata una sottostima nel numero dei pasti.

5. Il motivo è infondato.

La scelta del primo giudice di esaminare per prima l’impugnazione degli atti di ritiro della procedura di gara sub iudice è conforme al principio di diritto espresso dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, con sentenza 27 aprile 2015, n. 5, per il quale “nel giudizio impugnatorio di legittimità in primo grado, in mancanza di rituale graduazione dei motivi e delle domande di annullamento, il giudice amministrativo, in base al principio dispositivo e di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, è obbligato ad esaminarli tutti, salvo che non ricorrano i presupposti per disporne l’assorbimento nei casi ascrivibili alle tre tipologie precisate in motivazione (assorbimento per legge, per pregiudizialità necessaria e per ragioni di economia)”.

Nel caso di specie, è mancata qualsivoglia indicazione esplicita da parte di Dussmann circa l’ordine di trattazione dei motivi proposti in primo grado e ricorre una situazione di pregiudizialità necessaria (c.d. assorbimento logico necessario), che, come ricordato anche dall’Adunanza plenaria, si ha quando evidenti ragioni di ordine logico comportano che l’accoglimento o il rigetto di un dato motivo implica l’assorbimento necessario di altre questioni, poiché legate da nessi di continenza logica sotto profili di pregiudizialità o dipendenza.

5.1. L’evidente pregiudizialità della decisione sull’annullamento d’ufficio degli atti di gara rispetto alla decisione sull’illegittimità di tali atti è riconosciuta “in astratto” anche dall’appellante, la quale la esclude “in concreto” nel presupposto che i primi motivi aggiunti sarebbero stati meritevoli di accoglimento e che questo sarebbe stato addirittura affermato dal primo giudice, con conseguente contraddittorietà della sentenza.

L’assunto è privo di fondamento.

5.1.1. Nell’accogliere l’istanza cautelare di Dussmann, con l’ordinanza n. 1465/2018, il Tribunale amministrativo regionale non si è pronunciato affatto sulla correttezza della legge di gara ed, in particolare, sulla congruenza della tabella del capitolato speciale che riportava l’indicazione dei pasti da offrire, ma si è limitato a parametrare a quest’ultima il calcolo dei pasti oggetto della prestazione, effettuato dalla controinteressata, al solo fine di giudicare della compatibilità dell’offerta di Sodexo con la lex specialis. In sintesi, nessun giudizio è stato espresso con l’ordinanza, nemmeno a fini cautelari, sulla legge di gara, peraltro impugnata da Sodexo con ricorso incidentale.

5.1.2. Nella sentenza, poi, la valutazione delle contrapposte ragioni delle parti, come prospettate prima dell’annullamento degli atti di gara, è stata fatta dichiaratamente ai soli “fini della ripartizione tra le parti delle spese di giudizio”, secondo il criterio della soccombenza virturale.

La decisione sull’impugnazione principale di Dussmann resta quindi la pronuncia in rito di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, effettuata ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. c), cod. proc. amm.

Essa non contiene alcuna statuizione esplicita idonea al giudicato sul merito del ricorso principale e dei primi motivi aggiunti (nonché sul merito del ricorso incidentale), e men che meno alcuna statuizione implicita –sostenuta dall’appellante- sulla correttezza della legge di gara e sullo sviamento di potere dal quale sarebbe stato viziato il provvedimento di annullamento in autotutela.

Non si configura il vizio di contraddittorietà della motivazione della sentenza, denunciato dall’appellante: poiché questo si ha soltanto in presenza di contrastanti argomentazioni logico-giuridiche poste a sostegno della decisione e tali da non permettere di comprenderne la ratio decidendi, va escluso in un caso, quale quello di specie, in cui una pronuncia in rito è consequenziale logicamente e giuridicamente alla pronuncia di merito, a sua volta sorretta da ragioni proprie.

5.1.3. Nemmeno si può configurare il vizio prospettato dall’appellante per un asserito contrasto tra la decisione principale e la decisione sulle spese.

Il capo di sentenza volto a regolare le spese del giudizio non è mai idoneo alla formazione di un giudicato sul merito; esso contiene una decisione accessoria, di tipo processuale, che non incide sul contenuto sostanziale della pronunzia principale, cui resta estranea (Cass. S.U. 21 giugno 2018, n. 16415, in motivazione; cfr., in tema di autonomia del capo sulle spese, già Cass., sez. III, 3 agosto 2005, n. 16262 e id., 25 gennaio 2010, n. 1283); la statuizione sulle spese è idonea -se non impugnata, come nel caso di specie- a rendere irrevocabili soltanto i rapporti di dare-avere tra le parti del processo relativamente, appunto, alla regolamentazione delle spese del grado.

Pertanto, come già affermato in giurisprudenza, nemmeno la valutazione di soccombenza virtuale, in quanto funzionale alla liquidazione delle spese di lite, è idonea ad acquistare autorità di giudicato sul merito delle questioni oggetto della controversia (Cass., sez. III, 31 agosto 2015, n. 17312; Cons. Stato, VI, 18 marzo 2019, n. 1766).

5.2. Peraltro l’iter logico-giuridico della motivazione della sentenza appellata non solo non è viziato ma è anche coerente, considerato che:

- il giudizio di legittimità degli atti di autotutela prescinde del tutto -come si evince da quanto sopra e come meglio si dirà trattando del secondo motivo di appello- dalla valutazione delle ragioni dell’impugnazione dell’aggiudicazione a Sodexo da parte della Dussmann;

- va quindi escluso che la decisione di tale impugnazione fosse pregiudiziale rispetto alla decisione dell’impugnazione dell’annullamento degli atti di gara, essendo anzi opposto il rapporto di pregiudizialità tra le decisioni –come già detto trattando dell’ordine di trattazione secondo i principi di cui alla sentenza dell’Adunanza plenaria n. 5/2015;

- l’annullamento d’ufficio degli atti di gara ha determinato l’improcedibilità per carenza di interesse del ricorso principale e dei primi motivi aggiunti (oltre che del ricorso incidentale), in quanto aventi ad oggetto atti oramai definitivamente caducati;

- ferma restando detta statuizione di improcedibilità, seguita ad un evento esterno alle vicende processuali e sopravvenuto in corso di giudizio, il giudice ne ha rimosso la considerazione ai soli fini del giudizio di soccombenza virtuale –che altro non è che un operazione logico-giuridica incidentale e funzionale a decidere sulle spese, appunto come se non si fosse verificato l’evento che ha reso inutile il giudizio o ne ha impedito la prosecuzione (ivi compreso l’esercizio dell’autotutela da parte della pubblica amministrazione che abbia comportato il sopravvenuto annullamento dell’atto impugnato: cfr., tra le altre, Cass., sez. V, 19 gennaio 2007, n. 1230).

5.3. Poiché il primo giudice non è incorso in alcuna contraddizione, respingendo in toto l’impugnazione dell’annullamento degli atti di gara e conseguentemente dichiarando improcedibili per carenza di interesse le impugnazioni che avevano ad oggetto gli atti annullati, senza alcuna statuizione, esplicita o implicita, riguardo al merito di questi ultimi (ovvero riguardo ad un’asserita illegittimità degli atti di ritiro per sviamento di potere), il primo motivo di appello va respinto.

6. Col secondo motivo (Erroneità in fatto e in diritto della motivazione della sentenza) l’appellante critica la decisione con cui si è ritenuto legittimo il provvedimento di annullamento in autotutela degli atti di gara.

6.1. Per addivenire a tale conclusione la sentenza, nell’esaminare il secondo ricorso per motivi aggiunti, ha respinto:

- 1) il primo motivo -col quale era dedotto che l’Amministrazione, anziché perseguire l’interesse pubblico, avrebbe tutelato l’interesse della controinteressata- riconoscendo che in generale le stazioni appaltanti hanno il potere di annullare in autotutela il provvedimento di aggiudicazione ed osservando che “è irrilevante che il Comune abbia o meno correttamente inteso quale sia la questione giuridica attorno cui ruota il primo ricorso per motivi aggiunti e che è stata oggetto del pronunciamento cautelare da parte di questo Giudice. Quel che rileva è che a fondamento della propria decisione vi sia un interesse pubblico, diverso dal mero ripristino della legalità violata, che non possa essere soddisfatto se non a danno dell’interesse del privato alla conservazione dell’atto annullato”;

- 2) il secondo motivo -col quale era dedotto che sarebbe stata irrilevante la sottostima dei pasti nel bando di gara, perché il numero dei pasti ex ante non potrebbe che essere presunto, e col quale era lamentato che la decisione in autotutela sarebbe stata assunta senza il necessario approfondimento istruttorio- osservando che, se pure è vero che la stima dei pasti nel bando di gara è indicata in via presuntiva, d’altro canto, “è comunque essenziale, dovendosi determinare l’importo complessivo dell’appalto. Il valore massimo dell’appalto, infatti, è dato dal prezzo unitario a base d’asta moltiplicato per il numero di pasti stimato: il risultato di detta operazione matematica determina la somma che viene impegnata dalla stazione appaltante sul proprio bilancio e che ne costituisce il limite di spesa.

Questo significa che il Comune potrà spendere di meno ma non di più; potrà garantire meno pasti, ma non di più.

Pertanto, se il numero di pasti è stato sottostimato, laddove si verificasse una richiesta di pasti per un controvalore superiore alla somma impegnata a bilancio, il Comune potrebbe non essere in grado di far fronte alla richiesta medesima, non essere in grado cioè di garantire il servizio per tutta la sua durata o per tutti gli utenti che hanno diritto di avvalersene.

Orbene, che il numero di pasti presunti fosse sottostimato emerge dallo stesso capitolato tecnico, incrociando i dati ivi riportati (si vedano in particolare articoli 2, 3 e 4). Invero, moltiplicando il numero di alunni iscritti alle scuole di vario ordine e grado per le quali è previsto il servizio, per i giorni della settimana in cui il servizio è reso, per il numero di settimane in cui si articola l’anno educativo e/o scolastico, risulta un numero di pasti di gran lunga superiore a quello stimato e sulla scorta del quale è stato calcolato il valore complessivo dell’appalto.

Peraltro, sempre incrociando i dati riportati in capitolato emerge che la sottostima (che comunque sarebbe rilevante indipendentemente dalla sua entità), supera la percentuale del 10%, come confermato anche dal raffronto con i dati relativi agli anni precedenti (vedi doc. 14 fascicolo del Comune). Il che rende in proporzione particolarmente alto il rischio di utenti esclusi dal servizio per carenza di risorse impegnate dal Comune.”;

-3) il terzo motivo -col quale era dedotto che l’Amministrazione non avrebbe esplicitato le ragioni di pubblico interesse sottese al provvedimento di ritiro, finendo per ledere il legittimo affidamento della ricorrente sul buon esito del giudizio- osservando che, al contrario, l’atto di ritiro indicava le ragioni per le quali era stato adottato e l’aspettativa della ricorrente (per il buon esito della fase cautelare in primo grado) non assurgeva a posizione giuridicamente tutelata e comunque era “recessiva rispetto all’interesse pubblico a garantire l’erogazione del servizio di ristorazione per tutto il periodo in cui le scuole restano aperte”;

- 4) il quarto motivo -col quale era dedotto che si sarebbe finito per assicurare tutela alla Sodexo (la quale, avendo presentato un’offerta inattendibile, avrebbe dovuto essere esclusa e invece era mantenuta nell’esecuzione del servizio quale gestore uscente)- ribadendo la legittimità dell’autotutela perché sorretta da ragioni di pubblico interesse diverse dal mero ripristino della legalità violata ed osservando che era effetto “del tutto accidentale” che la decisione finisse per tutelare anche la posizione della controinteressata;

- 5) il quinto motivo -col quale era dedotto il vizio di motivazione del provvedimento di ritiro (anche per mancata presa di posizione sulle memorie presentate da Dussmann)- osservando che non è necessaria la “puntuale e analitica confutazione di ogni singolo argomento offerto dal privato” e che nello specifico “il Comune ha spiegato come – diversamente da quanto sostenuto e continua a sostenere anche in sede processuale Dussmann Service S.r.l. – il numero presunto di pasti sia tutt’altro che irrilevante rispetto al contratto da aggiudicare e rispetto alle esigenze di servizio che lo stesso è diretto a soddisfare, in tal modo adempiendo a quell’onere motivazionale minimo che su di esso incombeva.”.

6.2. Il secondo motivo di appello si articola nelle seguenti censure:

- 1) nel caso di specie, l’annullamento avrebbe condotto a soddisfare esclusivamente l’interesse del privato, ed in particolare dell’aggiudicataria Sodexo, che, essendosi vista sospendere l’aggiudicazione in sede cautelare ed essendo gestore uscente, non aveva altro modo per continuare a gestire il servizio se non tramite l’annullamento integrale della gara;

-2) nel ritenere sussistente la sottostima del numero dei pasti, quantificata in una percentuale superiore al 10% del dato riportato nella legge di gara, il primo giudice si sarebbe basato su dati di cui non si trova alcun cenno nel provvedimento impugnato ed avrebbe ricavato dalle argomentazioni difensive avversarie gli argomenti di cui il provvedimento sarebbe stato privo;

-3) in ogni caso, gli argomenti utilizzati non sarebbero condivisibili, considerato che non sussiste una diretta ed immediata correlazione tra il numero degli iscritti e quello dei pasti da garantire, atteso che non tutti gli iscritti potrebbero voler usufruire del servizio (tanto è vero che nella tabella riportata nel capitolato tecnico la stazione appaltante non ha mai precisato che il numero dei pasti sia il risultato della moltiplicazione del numero degli iscritti per i giorni/settimane di servizio); non si è considerato che, piuttosto che il numero dei pasti, potrebbe essere sbagliato il numero degli iscritti;

-4) stando a quanto riportato nel provvedimento di annullamento, la sottostima riguarderebbe pressoché esclusivamente i pasti per le scuole dell’infanzia, ma dal capitolato d’appalto emerge che il numero di tali pasti è pari a 18.060 sui 116.995 complessivi, quindi rappresenta una minima parte del servizio da espletare;

- 5) il giudice non avrebbe considerato che non sempre la modifica delle prestazioni oggetto di affidamento che si traduce in un aumento delle stesse comporta la necessità di nuova procedura concorsuale, poiché la normativa di settore prevede la possibilità di estensione/riduzione delle prestazioni oggetto dell’appalto e nel disciplina condizioni e limiti (come da art. 106, comma 12, da art. 106, comma 1, lett. e), e da art. 63 del d.lgs. n. 50 del 2016, richiamati in ricorso); pertanto, prima di adottare il provvedimento di annullamento in autotutela, il Comune avrebbe dovuto verificare la praticabilità di tali soluzioni o quanto meno attendere l’esito del giudizio pendente dinanzi al T.a.r.;

- 6) non sarebbe stato di ostacolo il fatto che la stazione appaltante aveva individuato un impegno di spesa, in quanto il bilancio di previsione è sempre passibile di variazione nel corso dell’esercizio di competenza a mente dell’art. 175 del d.lgs. n. 267 del 2000 e comunque sarebbe da tenere in considerazione anche la disciplina dei debiti assunti fuori bilancio dell’art. 194 dello stesso T.U. enti locali;

- 7) non sussistendo alcun insormontabile vincolo di bilancio e potendo essere altrimenti gestita l’eventuale sottostima del numero dei pasti, sarebbe prevalente l’esigenza di mantenere in vita la gara già indetta dall’ente, in forza del principio di conservazione degli atti giuridici.

7. Date tali censure, va premesso, in fatto, che il provvedimento di annullamento d’ufficio, adottato, ai sensi dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, dal Comune di Lentate sul Seveso con la determinazione n. 6 del 18 gennaio 2019, richiama la deliberazione della Giunta comunale n. 118 del 4 settembre 2017 di approvazione del Progetto del servizio di ristorazione scolastica a basso impatto ambientale (periodo 1.1.2018-30.6.2020), ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. n. 50 del 2016, e la determinazione a contrattare n. 421 del 17 novembre 2017 del responsabile di settore, nonché tutti gli atti della procedura di gara; poi dà atto delle vicende del presente giudizio e del fatto che “la materia del contendere verte prevalentemente sul numero dei pasti oggetto della prestazione ed in base ai quali sono state formulate le offerte economiche” e che “il numero dei pasti, pur indicati come presunti nella lex specialis di gara, sono effettivamente in parte sottostimati soprattutto per quanto concerne le scuole dell’infanzia”; quindi enuncia le seguenti motivazioni:

<<- si ritiene sussistente una violazione dei principi di concorrenza e par condicio ed un difetto istruttorio, in relazione alla quantificazione non corretta dei pasti indicati nel capitolato e nel bando;

- invero, a fronte del ricorso il Comune scrivente si è avveduto dell’errata indicazione del numero di pasti;

- il fatto che i pasti siano stati sottostimati nel capitolato e nel bando inficia a cascata tutti gli atti successivi rendendoli illegittimi;

- l’aggiudicazione a queste condizioni potrebbe non garantire la corretta esecuzione del servizio in relazione all’organizzazione del servizio stesso;

- lo stesso aggiudicatario ha chiesto con ricorso incidentale anche l’annullamento in parte qua del bando di gara;

- attraverso l’indizione di una nuova procedura di gara adeguata ai conteggi corretti si concede a tutti gli operatori economici la medesima chance di partecipazione;

- infine, si evita di esporre l’Ente a spese di soccombenza a cui il Comune potrebbe essere esposto nonostante sia contumace in giudizio>>.

7.1. Essendo questo il contenuto dell’atto impugnato, le censure di cui al secondo motivo non sono fondate, atteso che (seguendo la numerazione dell’atto di appello e della sintesi di cui sopra):

- 1) come ripetutamente argomentato in sentenza, l’annullamento non è volto a soddisfare l’interesse di Sodexo, ma è sorretto adeguatamente dall’interesse pubblico alla “corretta esecuzione del servizio in relazione all’organizzazione del servizio stesso” ed al congruente svolgimento della gara (“adeguata ai conteggi corretti”) che consenta la formulazione di offerte idonee a soddisfare l’effettivo fabbisogno comunale, nel rispetto della par condicio tra tutti gli operatori economici (cui assicurare, con la riedizione della gara, la “medesima chance di partecipazione”); si tratta di un interesse pubblico -diverso dal mero ripristino della legalità violata- che rende legittimo l’intervento in autotutela poiché indispensabile per garantire la regolare erogazione del servizio per tutto il periodo della sua esecuzione; né l’effetto della proroga al gestore uscente, resa necessaria dai tempi per l’avvio di nuova procedura, è sintomatico del dedotto sviamento di potere, trattandosi -come pure detto in sentenza- di “effetto del tutto accidentale” e limitato nel tempo;

- 2) l’accertamento della sottostima del numero dei pasti indicato nella legge di gara non è stato effettuato dal primo giudice prescindendo dal provvedimento di autotutela o integrandone ex post la motivazione: come risulta dal testo della determinazione di annullamento, questa espressamente richiama il bando di gara ed il capitolato speciale di appalto, sicché i dati di fatto su cui è basata non possono che essere quelli desumibili dalla lex specialis; su tali dati era stato fatto il calcolo del numero dei pasti posti a base di gara, secondo quanto la sentenza si è limitata ad esplicitare, ma che risulta inequivocabilmente presupposto dal provvedimento di annullamento (in specie, dal riferimento al numero dei pasti “effettivamente in parte sottostimati soprattutto per quanto concerne le scuole dell’infanzia”, con ciò non escludendo l’errata quantificazione anche per altri ordini di scuole); né si può sostenere la genericità o il vizio di motivazione del provvedimento di annullamento, considerato che questo puntualmente evidenzia la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione degli atti di gara, ben potendo l’onere motivazionale essere soddisfatto evidenziandosi gli scopi perseguiti dall’amministrazione e richiamando le circostanze di fatto ostative al loro conseguimento (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 8, sull’onere motivazionale in tema di ius poenitendi, richiamata dall’appallata controinteressata);

- 3) i dati desumibili dalla legge di gara, su cui l’annullamento si basa, sono quelli del numero di iscritti alle scuole di ogni ordine e grado e del numero dei giorni settimanali e delle settimane di svolgimento del servizio, essendovi necessaria correlazione tra il dato numerico degli iscritti e quello dei pasti annui da assicurare ed essendo mera illazione dell’appellante che il Comune avrebbe potuto essersi sbagliato nell’indicare il numero degli iscritti, dato che: a) quanto alla correlazione tra il numero dei pasti e il numero degli iscritti va ritenuto -contrariamente a quanto assume l’appellante ed in adesione a quanto contro-dedotto dal Comune appellato- che ai fini del corretto dimensionamento di un servizio a domanda, come quello di ristorazione nelle scuole comunali, la stazione appaltante sia tenuta a considerare la situazione in cui tutti gli utenti accedano al servizio e, comunque, tale dimensionamento per il servizio refezione scolastica (oltre che per i servizi pasti anziani e ristorazione dipendenti comunali, non contestati) si evince dal rinvio che l’art. 4.1 del capitolato speciale d’appalto (quanto alla “attuale consistenza e articolazione di servizio”, consistente in 111.915 pasti annuali per 4 anni scolastici e sei mesi, per un totale di € 2.831.449,50, corrispondente all’importo a base di gara di € 5,50 a pasto) fa al precedente art. 1 (che reca il numero degli utenti e le settimane di servizio); d’altronde, il numero dei pasti posti a base di gara è dato riconosciuto dalla ricorrente, e non contestato né in sé né quanto alla sua correlazione con gli iscritti (se non con la presente censura svolta per la prima volta in appello, la cui infondatezza consente di prescindere dalla verifica di ammissibilità); b) quanto all’asserito errore nell’indicazione del numero degli iscritti alle scuole comunali, l’illazione dell’appellante, oltre ad essere priva di riscontri oggettivi, trova smentita nell’attestazione rilasciata dal Comune il 24 settembre 2018, da cui risulta una media di pasti effettivamente erogata nel periodo 2014-2018 pari a 160.525,75;

4) da qui l’infondatezza della censura di cui al superiore punto 4), in quanto il sottodimensionamento della legge di gara risulta oltre che dal riferimento ai pasti presuntivamente erogabili, tenuto conto del numero degli iscritti e delle giornate e delle sedi di erogazione del servizio, dal raffronto con i pasti effettivamente erogati nel quadriennio immediatamente precedente, con una differenza di più di 40.000 pasti sui 116.995 calcolati a base di gara;

5) privi di pregio sono gli argomenti di Dussmann fondati sulle norme degli artt. 106, comma 12, 106, comma 1 lett. e) e 63 del d.lgs. n. 50 del 2016: la fattispecie disciplinata dalla prima non ricorre in caso di estensione al di sopra del c.d. quinto d’obbligo (come nel caso di specie) e comunque (anche a voler ritenere fondata l’obiezione dell’appellante -decisamente contestata dal Comune nella memoria in cui calcola un aumento del costo dell’appalto del 39%- secondo cui la variazione non supererebbe il quinto del valore dell’appalto) la norma -pur se ritenuta applicabile in caso di errore della stazione appaltante, non quindi necessariamente in caso di sopravvenienze straordinarie e imprevedibili- presuppone sempre che l’esigenza di aumento o di diminuzione delle prestazioni contrattuali emerga “in corso di esecuzione”, non essendo consentita una previsione di modifica ex art. 106, comma 12, a monte della stipulazione del contratto, quando cioè vi sia un vizio genetico e noto della legge di gara che renda certa l’inadeguatezza delle prestazioni contrattuali cui parametrare le offerte, come nel caso di specie; a sua volta, invece, l’art. 106, comma 1, lett. e), consente la previsione di modifiche in estensione già nei documenti di gara, ma solo se si tratti di modifiche non essenziali ai sensi di tale norma e del richiamato comma 4 dell’art. 106, e non sono tali le modifiche che, come nel caso di specie, alterano l’equilibrio economico del contratto a favore dell’aggiudicatario in modo non previsto nel contratto iniziale; infine, è vero che la legge di gara prevedeva, per l’affidamento de quo, l’applicazione dell’art. 63, ma soltanto per l’eventuale ripetizione dei servizi analoghi e per l’eventuale proroga, vale a dire per le ipotesi consentite dalla norma di legge, di stretta interpretazione (cfr. Cons. Stato, III, 26 aprile 2019, n. 2687) cui è estranea la fattispecie delle modifiche in estensione, alla quale va ascritta quella che comporta l’aumento delle prestazioni oggetto del contratto a base di gara;

6) in disparte i profili di inammissibilità per novità della censura, è comunque infondato anche l’assunto dell’appellante secondo cui la stazione appaltante, in presenza di un errore palese nella stima delle prestazioni e del valore dell’appalto emerso prima della stipulazione del contratto, ne potrebbe prescindere così come potrebbe prescindere dal corrispondente impegno di spesa nel bilancio di previsione, pur di conservare gli atti di gara: tale assunto non tiene conto della necessaria progettazione del servizio ai sensi dell’art. 23, comma 15, del d.lgs. n. 50 del 2016, ed in particolare del dimensionamento del servizio risultante dalla relazione tecnico-illustrativa del progetto e del corrispondente impegno di spesa (nel caso di specie effettuati con le su citate deliberazione di Giunta e determina a contrarre, richiamate nel provvedimento di annullamento), nonché dei metodi di calcolo del valore stimato dell’appalto di cui all’art. 35 del d.lgs. n. 50 del 2016, che -come nota la difesa della controinteressata- al comma 4 rimanda all’importo massimo stimato ed al comma 12 al valore reale complessivo dei contratti analoghi conclusi nei dodici mesi precedenti o nell’esercizio precedente (con le rettifiche rese necessarie dai cambiamenti ipotizzati), da intendersi comunque come valore massimo; sebbene la norma sia dettata per la specifica finalità di rispetto delle norme del codice ivi contemplata, essa consente di affermare che il valore stimato presunto è l’importo massimo erogabile -salve le ipotesi di aumento eccezionalmente consentite dalla legge- anche per eventuali opzioni o rinnovi del contratto (purché esplicitamente stabiliti nei documenti di gara), ai fini della programmazione della spesa, secondo le regole di contabilità pubblica; queste comportano la preventiva copertura finanziaria in apposito impegno di spesa, modificabile solo in ipotesi tassative e solo eccezionalmente con il riconoscimento di debiti fuori bilancio, che –come osserva la difesa comunale- esula dall’ordinario modus operandi dell’ente locale;

7) in conclusione, esistendo nei documenti di gara un’errata quantificazione in difetto delle prestazioni oggetto di appalto di servizi, suscettibile di pregiudicare la regolare erogazione del servizio, tanto da rendere prevedibili già prima della stipulazione del contratto la necessità di modifiche essenziali in fase esecutiva (anche se contenute entro il c.d. quinto d’obbligo) e la mancanza di copertura economica di tali modifiche, se non ricorrendo all’iscrizione di debiti fuori bilancio, è rispondente all’interesse pubblico, e perciò legittimo, il provvedimento di annullamento d’ufficio degli atti di gara viziati da errore di calcolo o di stima riconosciuto dalla stazione appaltante.

8. L’appello va quindi respinto, restando così superate le eccezioni di inammissibilità o di improcedibilità del gravame, sollevate per diverse ragioni dalle parti appellate.

8.1. Le spese del grado di appello seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore del Comune di Lentate sul Seveso, autore del provvedimento di ritiro infondatamente impugnato dall’appellante.

8.1.1. Si ritiene sussistano giusti motivi di compensazione delle spese del presente grado tra l’appellante e le altre parti costituite, considerati, per un verso, la singolarità della vicenda oggetto del presente contenzioso (che, come evidenziato nella sentenza di primo grado, ha visto insorgere contro l’annullamento in autotutela della gara non l’aggiudicataria, ma la seconda classificata) e, per altro verso, il ruolo marginale della Provincia di Monza e della Brianza, in qualità di Centrale Unica di Committenza, rispetto alla determinazione di annullamento assunta dal Comune di Lentate sul Seveso.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di Lentate sul Seveso, liquidate nell’importo complessivo di € 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori come per legge. Compensa le spese processuali tra l’appellante e le altre parti costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2019.

 

 

 

 

GUIDA ALLA LETTURA

L’art. 106 comma 12 del D.lgs. 50/2016 (di seguito “Codice”) stabilisce che “La stazione appaltante, qualora in corso di esecuzione si renda necessario un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell'importo del contratto, può imporre all'appaltatore l'esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario. In tal caso l'appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto”.

Secondo il CDS è necessario che l’obbligo dell’appaltatore di eseguire le prestazioni fino ad 1/5 del valore (c.d. “quinto d’obbligo”) emerga nel corso dell’esecuzione del contratto: tale obbligo non può essere contenuto nel Capitolato in quanto (nel caso di aumento) non è ancora dato sapere se le prestazioni contrattualmente previste si riveleranno insufficienti all’attuazione dell’oggetto dell’appalto e quindi renderanno appunto necessario l’obbligo dell’appaltatore di eseguire le prestazioni supplementari previste dalla norma; né si può sapere fin dagli atti di gara se le prestazioni contrattualmente previste si riveleranno (nel caso di diminuzione) eccedenti ai fini dell’attuazione dell’appalto e quindi determineranno nei confronti dell’appaltatore il divieto di proseguire negli adempimenti contrattuali, con conseguente riduzione del corrispettivo a questi spettante.

La problematica affrontata dal CDS è di particolare interesse in quanto, a prescindere dal tema riguardante l’impossibilità di prevedere negli atti di gara l’aumento o la diminuzione delle prestazioni, consente di analizzare l’aspetto relativo alla legittimità di tutta quanta la norma.

Il fatto stesso che sia sopravvenuta la necessità di modificare la quantità delle prestazioni, può essere dipeso o da circostanze imprevedibili o da un’errata programmazione della stazione appaltante, la quale evidentemente, nel momento in cui ha redatto il Capitolato, ha mal calibrato l’entità degli adempimenti necessari all’attuazione dell’appalto.

Se la motivazione della modifica (in aumento) è consistita in circostanze imprevedibili, va richiamata l’art. 1467 c.c., il quale, nel caso in cui le prestazioni di una delle parti sia divenuta eccessivamente onerosa, attribuisce a quest’ultima il diritto di richiedere la risoluzione, a condizione che l’eccessiva onerosità non rientri nella normale alea contrattuale.

Nel caso dell’art. 106 comma 12 del Codice la sopravvenuta eccessiva onerosità consiste nel fatto che l’appaltatore, se per eseguire prestazioni supplementari pari ad 1/5 del valore originario (quindi in caso di aumento delle prestazioni) non ha diritto ad alcun compenso aggiuntivo (la norma infatti dice: “alle stesse condizioni previste nel contratto originario”), subirà un decremento patrimoniale (egli dovrà lavorare di più ma senza compenso), e quindi ciò costituirà per lui un elemento di eccessiva onerosità, assimilabile a quella dell’art. 1467 c.c. .

Quindi, l’art. 106 comma 12 del Codice, per essere in linea con la disciplina civilistica, dovrebbe prevedere in tal caso un meccanismo analogo: non già impossibilità di risoluzione, bensì possibilità di domandare la risoluzione per sopravvenuta eccessiva onerosità.

 

Se la motivazione della modifica (in aumento) è consistita in un’errata programmazione da parte della stazione appaltante, è possibile per l’appaltatore ricevere una qualche forma di  tutela patrimoniale, per il fatto di dover egli eseguire le prestazioni supplementari di cui sopra?

In tal caso, sembrerebbe di no, per questi motivi.

Al concorrente era stato recapitato il Capitolato, riportante tutte le condizioni contrattuali ritenute dalla stazione appaltante come essenziali alla realizzazione dell’appalto.

Il concorrente, operatore economico in possesso di una certa esperienza o comunque (necessariamente) conoscitore della materia, avrebbe dovuto rilevare eventuali inesattezze e/o lacunosità riguardanti le prestazioni indicate dalla stazione appaltante, e quindi avrebbe dovuto segnalare a quest’ultima la necessità di integrare tali prestazioni od addirittura di prevederne di nuove. In questo modo egli avrebbe evitato il rischio di incappare nella situazione prevista dall’art. 106 comma 12 del Codice, ossia quello di dover eseguire prestazioni aggiuntive senza diritto al relativo compenso.

In un caso di questo genere, quindi, è difficile ipotizzare che l’appaltatore abbia diritto alla risoluzione per sopravvenuta eccessiva onerosità, e ciò in quanto ai sensi dell’art. 1469 c.c. la predetta risoluzione non è chiedibile “ai contratti aleatori per loro natura o per volonta' delle parti”. Il concorrente, se non ha fatto alla stazione appaltante le suddette segnalazioni, evidentemente ha voluto con ciò implicitamente accettare l’aleatorietà di cui all’art. 106 comma 12 del Codice (ossia il rischio di dover essere successivamente chiamato ad eseguire prestazioni aggiuntive senza alcun compenso), e quindi non può ora invocare la risoluzione.

 

Cosa accade se, anziché un aumento, si sia verificata una diminuzione delle prestazioni contrattualmente previste?

La stazione appaltante, ad un certo punto, si rende conto che le prestazioni inizialmente previste erano in realtà eccedenti quelle effettivamente necessarie per l’attuazione dell’appalto, e quindi decide di richiedere all’appaltatore una riduzione delle stesse.

In questo caso, siccome la norma dice “esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario”, sembrerebbe che l’appaltatore, nonostante debba ridurre le prestazioni, abbia comunque il diritto di percepire il medesimo compenso contrattualmente previsto, quindi lavorando di meno ma ottenendo lo stesso corrispettivo che avrebbe conseguito se avesse eseguito tutte le prestazioni previste dal contratto.

Pertanto, la ratio della norma sembrerebbe essere questa: se la stazione appaltante ha ecceduto nell’imporre determinate prestazioni, tale errore non può ora ricadere sull’appaltatore, il quale, per eseguire l’appalto, ha comunque impegnato maestranze (magari anche rinunciando al contempo ad altri appalti o quanto meno a partecipare ad altre procedure) e quindi non può ora subire ricadute dal punto di vista del quantum ad egli dovuto.

 

Anche in questo caso, come in quello dell’aumento delle prestazioni, è tuttavia opportuno distinguere.

Se la motivazione della modifica (in diminuzione) è consistita in circostanze imprevedibili, astrattamente si potrebbe sostenere che la prestazione a carico della stazione appaltante è divenuta eccessivamente onerosa, in quanto essa, nonostante la riduzione delle prestazioni a carico dell’appaltatore, si ritrova a dover corrispondere a quest’ultimo il medesimo compenso stabilito per l’intero.

Si tratta però di un’ipotesi difficilmente prospettabile: la PA, nel momento in cui decide di avviare una procedura di aggiudicazione, deve avere (e non può essere altrimenti) la piena consapevolezza della quantità delle prestazioni realmente necessaria all’attuazione dell’appalto; risulta difficile immaginare quali possano essere le circostanze imprevedibili tali da determinare, ad un certo punto, la non necessità che l’appaltatore continui ad eseguire le prestazioni; la procedura è stata avviata proprio perché c’era un interesse pubblico da soddisfare mediante appalto; non sarebbe verosimile neanche l’ipotesi dell’eventuale perdita di finanziamenti comunitari, in quanto, ai sensi dell’art. 32 comma 8, tale perdita deve semmai obbligare la stazione appaltante a far eseguire il contratto in via di urgenza, ma non le attribuisce la facoltà di ridurre le prestazioni dell’appaltatore.

Di conseguenza, non sembrano sussistere in tal caso le condizioni in presenza delle quali la stazione appaltante possa chiedere la risoluzione per sopravvenuta eccessiva onerosità: la programmazione delle prestazioni occorrenti alla realizzazione dell’appalto non ammette errori in merito al quantum dovuto dall’appaltatore.