Cons. Stato, sez. V, 21 gennaio 2020, n. 478

1. L’esclusione dalla gara d’appalto prevista dall’art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 si fonda sulla necessità di garantire l’elemento fiduciario nei rapporti contrattuali della pubblica amministrazione fin dal momento genetico; con la conseguenza che, ai fini dell’esclusione di un concorrente, è sufficiente una motivata valutazione dell’amministrazione in ordine alla “grave negligenza o malafede” del concorrente, che abbia fatto ragionevolmente venir meno la fiducia nell’impresa.

2. Va inoltre puntualizzato, sempre in via preliminare, che la disposizione in questione (…) è stata adottata in attuazione dell’art. 45, par. 2, lett. d), della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004, secondo cui “può essere escluso dalla partecipazione all’appalto ogni operatore economico […] d) che, nell’esercizio della propria attività professionale, abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall’amministrazione aggiudicatrice”.

3. La decisione di un’autorità nazionale garante della concorrenza, che stabilisca che un operatore ha violato le norme in materia di concorrenza, può senz’altro costituire indizio dell’esistenza di un errore grave commesso da tale operatore. Di conseguenza, la commissione di un’infrazione alle norme in materia di concorrenza, in particolare quando tale infrazione è stata sanzionata con un’ammenda, costituisce una causa di esclusione rientrante nell’articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettera d), della direttiva 2004/18.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 4047 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Raffaele Ferola, Bianca Luisa Napolitano, Gian Michele Roberti e Giuseppe Tesauro, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

contro

-OMISSIS- s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12, è elettivamente domiciliata;

nei confronti

-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Giuseppe Lo Pinto, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Vittoria Colonna, 32;
-OMISSIS-, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituite in giudizio;
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Giovanni Bruno, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Savoia, 31;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) -OMISSIS-, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di -OMISSIS- s.p.a., di -OMISSIS- e di -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 novembre 2019 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati Tesauro, Ferola e Roberti, nonché l’avvocato dello Stato Pluchino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.                            

FATTO

Risulta dagli atti che -OMISSIS- s.p.a. indiceva, ai sensi del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 ed in qualità di centrale di committenza, una procedura aperta di gara suddivisa in n. 18 lotti geografici per l’affidamento di servizi integrati, gestionali ed operativi, da eseguirsi negli immobili, adibiti prevalentemente ad ufficio, in uso a qualsiasi titolo alle pubbliche amministrazioni, nonché negli immobili in uso a qualsiasi titolo alle Istituzioni universitarie pubbliche ed agli Enti ed Istituti di ricerca – ID SIGEF: 1299 – da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, cd. Gara “FM4”.

Alla procedura partecipava il raggruppamento costituito tra la società -OMISSIS- in qualità di mandataria ed il mandante -OMISSIS-, che si collocava al primo posto nella graduatoria dei lotti n. 3, 13 e 18 ed al secondo nella graduatoria relativa al lotto n. 10.

Nel frattempo, in data 22 febbraio 2017, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma informava -OMISSIS- della pendenza di un procedimento penale (n. 16/57688 r.g.n.r.), nel quale risultava coinvolto il suo -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS-, per i reati di cui agli artt. 318, 319, 321, 110 e 81, secondo comma, Cod. pen.. Nello stesso procedimento era indagato anche l’-OMISSIS-, socio di minoranza della -OMISSIS-, mandataria del Rti.

Il suindicato dirigente veniva condannato con sentenza 14 settembre 2017, n. 1383 del g.i.p. presso il Tribunale di Roma, ai sensi dell’art. 444 Cod. proc. pen..

Nelle more la -OMISSIS- veniva attinta da misura interdittiva ai sensi dell’art. 45 (Applicazione delle misure cautelari) d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, disposta con ordinanza del g.i.p. presso il Tribunale di Roma del 31 maggio 2017, successivamente e infine revocata il 1° agosto 2017, a seguito di presentazione di un progetto contenente misure riparatorie.

Con provvedimento della Prefettura di Roma del 4 ottobre 2017, detta società veniva inoltre sottoposta, per tre mesi, alla misura del sostegno e monitoraggio dell’impresa di cui all’art. 32 (Misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell’ambito della prevenzione della corruzione), comma 8, d.-l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 agosto 2014, n. 114.

Con nota prot. 7323 del 6 marzo 2018 -OMISSIS- disponeva l’esclusione del Rti dalla procedura di gara, dando altresì atto che avrebbe provveduto a segnalare l’esclusione all’ANAC (comunicazione poi avvenuta con nota n. 8456 del 14 marzo 2018) nonché ad escutere le cauzioni provvisorie rilasciate (così avvenuto con nota prot. n. 9565 del 22 marzo 2018).

L’esclusione, disposta ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 163 del 2006, si fondava sul rilievo che le condotte addebitate alla mandante -OMISSIS-, in quanto contrarie ai principi di buona fede e leale collaborazione tra stazione appaltante ed operatore economico, erano state connotate da gravità tale da incidere sulla credibilità professionale dell’operatore economico e sul rapporto fiduciario intercorrente con lo stesso.

Con ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio la -OMISSIS- impugnava i citati provvedimenti, deducendo i seguenti motivi di censura:

1) Incompetenza. Violazione dei limiti della delega attribuita all’AD -OMISSIS-, difetto di istruttoria.

2) Violazione dell’art. 38 comma 1 lett. f) D.Lgs 163/2006. Violazione degli artt. 3 ss. L. 241/1990 e s.m.i. eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, errore sul presupposto, travisamento dei fatti. Violazione del principio di tassatività dei casi di esclusione. Violazione della nota ANAC 22.09.2017.

3) Violazione degli artt. 38 comma 1 lett. f) D.Lgs 163/2006 e 68 R.D. 824/1927. Eccesso di potere per perplessità, errore su presupposto, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e di motivazione. Sviamento di potere. Violazione del principio di tassatività dei casi di esclusione e del parere ANAC 30.03.2017.

4) Violazione dell’art. 38 comma 1 ter e 2 D.Lgs 163/2006. Violazione e falsa interpretazione del modello dichiarazione necessaria per ammissione alla gara, violazione dell’art. 1 disciplinare e art. 23 condizioni generali. Eccesso di potere per errore sul presupposto, travisamento dei fatti, illogicità e contraddittorietà; difetto di motivazione.

5) Violazione dell’art. 38 D.Lgs 163/2006 e della determinazione AVCP (ora ANAC) n. 1 del 10.01.2008. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto assoluto di istruttoria e di motivazione.

6) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, errore sul presupposto, sviamento, Violazione dell’art. 38, comma 1, lett. f) D.Lgs 163/2006 in relazione all’art. 32 D.L. 90/2014 conv. in legge 114/2014 e alla lett. m) dell’art. 38, comma 1, D.Lgs 163/2006. Violazione dell’art. 41

Cost. e del principio eurounitario di proporzionalità violazione del principio di tassatività delle ipotesi di esclusione e del prot. 7 CEDU, art. 4.

7) Illegittimità derivata, violazione dell’art. 38, comma 1, lett. f) comma 1 ter e 2 D.Lgs 163/2006. Violazione dell’art. 8, comma 2, lett. r) e s), DPR 207/2010.

8) Violazione dell’art. 48 D.Lgs 163/2006, dell’art. 3 legge 689/1981 e dell’art. 25, comma 2, Cost. nonché dei principi generali in materia di sanzioni amministrative. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà.

Si costituiva in giudizio l’intimata -OMISSIS- s.p.a., chiedendo la reiezione del ricorso giacché infondato.

Con successivi motivi aggiunti, -OMISSIS- impugnava inoltre la successiva aggiudicazione definitiva, nonché i provvedimenti di escussione delle fideiussioni prestate

Con sentenza -OMISSIS- (qui appellata), il Tribunale amministrativo respingeva il ricorso, ritenendo, in primo luogo, che nel caso di specie effettivamente sussistessero i presupposti di applicazione del secondo periodo dell’art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006, vale a dire la previsione dell’esclusione disposta per aver il soggetto concorrente «commesso un errore grave nell’esercizio della […] attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante».

Avverso tale decisione la -OMISSIS- interponeva appello, deducendo i seguenti motivi di impugnazione:

1) Violazione dell’art. 46, co. 2, c.p.a.

2) Violazione dello Statuto -OMISSIS- e dei poteri dell’amministratore delegato, difetto di istruttoria.

3) Erronea individuazione della “contestazione principale di merito prospettata”. Disciplina dell’errore nella fase negoziale e in quella procedimentale.

4) Erroneo rigetto del II motivo di ricorso principale. Difetto di rigorosa motivazione.

5) L’erroneo rigetto del III motivo di ricorso.

6) Sul Codice etico e Modello 231 di -OMISSIS-.

7) Sulla riferibilità alla società ricorrente delle condotte contestate all’avv. -OMISSIS-.

8) Sulla rilevanza delle misure di self cleaning.

9) Sul VII motivo di ricorso principale e sul III motivo aggiunto.

10) L’escussione della cauzione provvisoria.

11) Sul primo motivo del ricorso per motivi aggiunti.

Formulava infine istanza risarcitoria in forma specifica, previa dichiarazione di inefficacia del contratto se stipulato e con subentro dell’appellante.

Costituitesi in giudizio, -OMISSIS- s.p.a. ed -OMISSIS- concludevano per l’infondatezza del gravame, chiedendo che fosse respinto.

Anche -OMISSIS- si costituiva, chiedendo parimenti il rigetto dell’appello in quanto infondato.

Successivamente le parti ulteriormente precisavano, con apposite memorie, le proprie tesi difensive ed all’udienza del 28 novembre 2019, dopo la rituale discussione, la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Con il primo motivo di appello l’impugnata sentenza del Tribunale amministrativo per il Lazio, II, -OMISSIS-, viene censurata per non avere il giudice acquisito un documento che, per legge, la stazione appaltante avrebbe dovuto depositare in giudizio, ossia la copia integrale della delibera del Consiglio di amministrazione -OMISSIS- del 21 febbraio 2018, che nella versione fornita alla ricorrente in sede di accesso risultava in chiaro solo nella parte dispositiva, con motivazione completamente oscurata.

Secondo l’appellante, dall’ordine del giorno del suddetto Cda dovrebbe desumersi che l’esclusione contestata fosse in diretta correlazione con la precedente esclusione dalla gara FM4, di talché la ricorrente avrebbe avuto pieno titolo a conoscere – per eventualmente gravarle – le motivazioni al riguardo addotte dal Consiglio di amministrazione; inoltre, poiché la delibera in questione era stata formalmente impugnata con il ricorso principale, ai sensi dell’art. 46, comma 2, Cod. proc. amm. la stazione appaltante sarebbe stata automaticamente tenuta a versarla in giudizio.

Il motivo non è fondato.

Il provvedimento di esclusione contestato, infatti, non richiama in alcun punto, né altrimenti presuppone quel verbale del Consiglio di amministrazione di -OMISSIS- del 21 febbraio 2018.

Del resto, come ribadisce la stessa stazione appaltante, il Consiglio di amministrazione non è neppure titolare di una residuale competenza in merito, posto che il potere di “operare le esclusioni che si rendessero necessarie - sulla base di quanto proposto dalle Commissioni di gara – nel corso delle procedure indette per l’esecuzione di lavori e/o per la compravendita di beni” è statutariamente attribuito al solo amministratore delegato e non anche al Consiglio di amministrazione di -OMISSIS- s.p.a.. Quest’ultimo ha solo un diritto di esserne informato, ma non prende parte alla relativa procedura.

Come rileva la stazione appaltante, nel caso di specie, vista in particolare l’ampia risonanza mediatica della vicenda, per scrupolo di opportunità gestionale l’Amministratore delegato aveva portato all’attenzione anche del Consiglio di amministrazione l’intervenuta pubblicazione della detta sentenza n.1092 del 2018 e la propria decisione di procedere all’esclusione.

La delibera del Consiglio di amministrazione del 21 febbraio 2018 è pertanto – vista l’incompetenza assoluta dell’organo – ultronea ai fini della valutazione dell’esercizio del potere amministrativo di esclusione che si contesta in giustizia (oltre che, a maggior ragione, ai fini della validità ed efficacia della stessa esclusione): la volontà della stazione appaltante che qui rileva si esauriva, quanto a formazione e a determinazione, nel provvedimento di esclusione. Non era pertanto dovuta, ai sensi dell’art. 46, comma 2, Cod. proc. amm., la produzione del detto verbale.

Non era pertanto necessaria la sua esibizione, al fine di ritenere assolto l’obbligo di cui all’art. 46, comma 2, Cod. proc. amm.

Con il secondo motivo di appello, invece, viene dedotta la presunta violazione del principio del giusto procedimento e del dovere di istruttoria, in ragione della mancata acquisizione del parere della Commissione di gara.

Neppure potrebbe parlarsi, nel caso di specie, di rilevanza interna di siffatta regola e di prevalenza della competenza ex lege, poiché l’autolimite posto dalla società per azioni non derogherebbe alla competenza, ma ne stabilirebbe solo le modalità di esercizio, che vanno salvaguardate anche nel rispetto dell’autonomia privata.

Neppure questo motivo è fondato.

Come già rilevato nel precedente di Cons. Stato, V, 17 settembre 2018, n. 5424, vale premettere che, per condiviso intendimento (cfr. Cons. giust. amm., 14 aprile 2016, n. 95), l’apprezzamento della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della norma dell’art. 38, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006 e l’adozione delle consequenziali determinazioni compete alla stazione appaltante e non già alla commissione di gara.

Lo si desume:

a) sul piano letterale, dallo stesso tratto testuale della norma, la quale rimette alla “motivata valutazione della stazione appaltante” (e non, appunto, della commissione) le determinazioni espulsive conseguenti all’accertamento della carenza dei requisiti di ordine generale;

b) sul piano teleologico, dal rilievo che solo la prima, in quanto intestataria dell’interesse alla verifica delle condizioni per una corretta esecuzione delle prestazioni da affidare, è in grado di considerare i precedenti rapporti negoziali e di valutare se il fatto pregresso abbia concretamente reso inaffidabile l’operatore economico;

c) sul piano sistematico, dal fatto che le valutazioni in re chiamano in causa il rapporto fiduciario che dovrebbe instaurarsi tra l’impresa e l’amministrazione, destinato a connotare, sin dal momento genetico, i rapporti contrattuali di appalto pubblico (cfr. Cons. Stato, V, 14 aprile 2008, n. 1716).

Ciò posto, la regola statutaria approvata, nell’esercizio della propria autonomia, di carattere prettamente privatistico, da -OMISSIS- – che, in ordine alle modalità di esercizio del potere di esclusione, prevede la previa adozione di una “proposta” da parte della Commissione giudicatrice – va acquisita nel senso della sua rilevanza puramente interna, insuscettibile di alterare l’inderogabile ordine legale delle competenze.

Se, invero, come pretenderebbe l’appellante, ogni esclusione fosse necessariamente subordinata alla formulazione di una necessaria (e condizionante) “proposta” da parte della Commissione, l’organo decisionale vedrebbe implausibilmente limitati e compressi, per atto negoziale, i poteri che ha per legge.

È quel che la sentenza appare affermare parlando di “recessività” della regola statutaria rispetto a quella legale: che è valutazione esatta, che si sottrae, con ciò, alle formulate doglianze.

Del resto, la Commissione di gara è solamente un organo straordinario e temporaneo dell’amministrazione aggiudicatrice (ex multis, Cons. Stato, IV, 4 febbraio 2003, n. 560), la cui attività acquisisce rilevanza esterna solo in quanto recepita e approvata dagli organi competenti della predetta amministrazione.

Nel caso di specie, trattandosi di una causa facoltativa di esclusione che, in base al dato testuale della norma ed alla giurisprudenza, implica l’esercizio di un potere discrezionale, la motivata valutazione circa la sua applicabilità non può che spettare alla sola stazione appaltante.

Con il terzo motivo di appello la sentenza impugnata viene censurata per aver fatto esclusivo riferimento alle vicende relative alla gara cd. FM4 – così come interpretate dall’ordinanza del g.i.p. 31 maggio 2017 e richiamate da -OMISSIS- – omettendo però di riferire i fatti processuali (elencati dall’appellante) in cui avrebbe invece potuto leggersi il ridimensionamento di quanto ipotizzato in sede di indagini preliminari.

Al di là della sovrapposizione tra le vicende relative a due gare diverse (la FM4 e quella per cui si procede), la -OMISSIS- sostiene che in ogni caso le condotte addebitate all’avvocato -OMISSIS- nella gara FM4, indipendentemente dalla loro insussistenza e/o irrilevanza dal punto di vista penale, non potrebbero costituire elemento utile per l’applicazione della lett. f) dell’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, “in quanto sia l’ipotesi di grave negligenza o malafede sia quella del grave illecito professionale si riferiscono, entrambe, a fatti intercorsi nell’esecuzione di precedenti rapporti contrattuali, con la stessa S.A. o con altre amministrazioni”.

Il motivo non può trovare accoglimento.

Va in primo luogo evidenziato (ex multis, Cons. Stato, V, 13 luglio 2017, n. 3444) che l’esclusione dalla gara d'appalto prevista dall’art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (applicabile ratione temporis alla gara in contestazione) si fonda sulla necessità di garantire l'elemento fiduciario nei rapporti contrattuali della pubblica amministrazione fin dal momento genetico; con la conseguenza che, ai fini dell'esclusione di un concorrente, è sufficiente una motivata valutazione dell'amministrazione in ordine alla “grave negligenza o malafede” del concorrente, che abbia fatto ragionevolmente venir meno la fiducia nell'impresa.

Si tratta di un potere discrezionale, soggetto al controllo ed al sindacato giurisdizionale nei consueti limiti della manifesta illogicità, irrazionalità o errore sui fatti.

Perciò il giudice amministrativo, posta la ragionevole opzione legislativa di consentire il rifiuto di aggiudicazione per ragioni di ritenuta inaffidabilità dell'impresa, deve prendere atto, nello scrutinio di un uso distorto di tale rifiuto, della scelta di rimettere alla stazione appaltante l’individuazione del punto di rottura dell’affidamento nel pregresso o futuro contraente: onde il relativo il sindacato, propriamente incentrato sulla motivazione del rifiuto, va rigorosamente mantenuto sul piano della verifica estrinseca della non pretestuosità della operata valutazione degli elementi di fatto, senza attingere, per ritenere concretato il vizio di eccesso di potere, la logica intrinseca di vera e propria condivisibilità della valutazione.

Alla luce di ciò, nel caso di fatti oggetto di verifica in sede penale ed oggetto di una pronuncia di condanna (nel qual caso sarebbe destinato ad operare il più severo meccanismo espulsivo prefigurato all’art. 38, lett. c), è necessario e sufficiente che l’amministrazione dia adeguato conto: a) di aver effettuato una autonoma valutazione delle idonee fonti di prova; b) di aver considerato le emergenti circostanze di fatto sotto il profilo della loro pertinenza e rilevanza in ordine all’all’apprezzamento di integrità morale e affidabilità professionale del concorrente.

Ai detti oneri motivazionali, come condivisibilmente accertato dal primo giudice, non si è sottratta, nel caso di specie, la stazione appaltante.

Va inoltre puntualizzato, sempre in via preliminare, che l’art. 38, comma 1, lett. f), secondo periodo d.lgs. n. 163 del 2006 è stato adottato in attuazione dell’art. 45, par. 2, lett. d), della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004, secondo cui “può essere escluso dalla partecipazione all’appalto ogni operatore economico [...] d) che, nell’esercizio della propria attività professionale, abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall’amministrazione aggiudicatrice”.

Deve quindi ritenersi (Cons. Stato, V, 20 novembre 2015, n. 5299) che “in via generale la normativa comunitaria consenta di qualificare come ostativo qualsiasi episodio di errore che caratterizzi la storia professionale degli aspiranti concorrenti, purché sia abbastanza grave da metterne in dubbio l’affidabilità. La norma nazionale vigente riproduce quella comunitaria e di conseguenza rende rilevanti tutti gli errori professionali commessi”.

La giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, V, 17 settembre 2018, n. 5424; IV, 11 luglio 2016, n. 3070; Corte di Giustizia UE, X, 18 dicembre 2014, n. 470) ne ha esteso l’applicazione ad ogni comportamento scorretto che incida sulla credibilità professionale dell’operatore economico, senza limitarsi alle sole violazioni delle norme di deontologia, in senso stretto, della professione cui esso appartiene, di talché il concetto normativo di “errore professionale”, così come contemplato nella norma, deve ritenersi esteso ad un’ampia gamma di ipotesi, comunque riconducibili alla negligenza, alla malafede o all’incapacità di assolvere alle prestazioni contrattuali.

In particolare, la Corte europea di giustizia ha precisato (parr. 34 e 35) che “l’articolo 45, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2004/18 consente di escludere qualunque operatore «che, nell’esercizio della propria attività professionale, abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall’amministrazione aggiudicatrice».

Al riguardo, la Corte ha già dichiarato che la nozione di «errore nell’esercizio dell’attività professionale», ai sensi di quest’ultima disposizione, comprende qualsiasi comportamento scorretto che incida sulla credibilità professionale dell’operatore di cui trattasi e non soltanto le violazioni delle norme di deontologia in senso stretto della professione cui appartiene tale operatore (v., in tal senso, sentenza Forposta e ABC Direct Contact, EU:C:2012:801, punto 27)”.

L’art. 45, par. 2 lett. d) della direttiva 2004/18/CE, nella versione in italiano, prevede che “Può essere escluso dalla partecipazione all'appalto ogni operatore economico: […] d) che, nell'esercizio della propria attività professionale, abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall'amministrazione aggiudicatrice”.

Al fine di meglio identificare l’oggettivo contenuto dell’espressione “errore grave” riportata nel testo italiano della predetta direttiva UE, è comunque bene confrontarla con le corrispondenti espressioni utilizzate in altre, tra le principali, lingue ufficiali dell'Unione europea del medesimo testo, in quanto tutte espressione di un medesimo concetto e proiezione delle uniche intenzioni che vi presiedono (del resto, uno Stato membro dell’UE non è costretto dalla versione della sua sola lingua ufficiale, perché vi è un solo diritto UE e non tanti diritti UE quante le lingue ufficiali: diversamente, si attribuirebbe al servizio traduzioni europeo un’inesistente e vincolante funzione di interpretazione autentica lingua per lingua, e con il rischio di una potenziale frammentazione paese per paese del pur eurounitario diritto).

Così, va rilevato che nel testo inglese si parla di “grave professional misconduct”, in quello francese di “faute grave”, in quello tedesco di “schwere Verfehlung” ed in quello spagnolo di “falta grave”.

Non si fa quindi riferimento né ad un’ipotesi di ignoranza o falsa rappresentazione della realtà, né ad un’ipotesi di “fallo” o “sbaglio” (come il termine errore – evidentemente frutto di un’improprietà lessicale del servizio di traduzione – lascerebbe intendere), bensì ad un concetto, più chiaro nelle dette espressioni non italiane, che potrebbe essere indicato come “grave mancanza” o “grave cattiva condotta” nello svolgimento dell’attività professionale. Il che poi può assumere varie qualificazioni giuridiche di dettaglio: quel che conta però per la scelta del contraente di un nuovo contratto è la pregressa presenza di omissioni, mancanze o scorrettezze nell’adempimento dei doveri nascenti dagli impegni nella propria attività economica, tali che possono adeguatamente portare a qualificare l’operatore come non affidabile per ulteriori contratti pubblici. Il che conforta i rilievi precedentemente esposti.

Circa poi, in particolare, la riconducibilità dell’illecito concorrenziale alla fattispecie di “grave errore professionale” come sopra individuata, vale preliminarmente osservare che:

a) la formulazione dell’art. 38, comma 1 lett. f) del d. lgs. n. 163 del 2006 concreta il recepimento, in parte qua, della causa di esclusione (facoltativa) di cui all’art. 45, § 2, lett. d) della Direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al “Coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi”, che legittima l’esclusione “dalla partecipazione all’appalto” di ogni operatore economico “che nell'esercizio della propria attività professionale, abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall'amministrazione aggiudicatrice”;

b) rispetto alla lettera della normativa comunitaria, il tratto testuale della norma di recepimento appare più articolato e comprensivo, nella parte in cui: b1) puntualizza il dato, implicito nella generica regola di matrice eurocomune, che il “grave errore professionale” possa essere riferito anche alla “grave negligenza” delle prestazioni affidate dalla stessa stazione appaltante; b2) integra la dimensione del disvalore delle condotte del concorrente, potenzialmente idonee a sorreggere il motivato apprezzamento di inaffidabilità, con il riferimento alla “mala fede” (da riferire, secondo il comune e consolidato intendimento, non soltanto, in senso soggettivo, ai comportamenti propriamente sorretti da atteggiamento doloso, ma anche, in senso oggettivo, alle condotte complessivamente contrastanti con il canone generale di correttezza nella vita di relazione, qualificato dalla particolare dimensione di moralità e di professionalità che si impone a carico dei soggetti che aspirino, in prospettiva concorrenziale, all’aggiudicazione di commesse pubbliche);

c) mentre il criterio della colpa (intesa nel senso tecnico e non etico, che impone al debitore l’esecuzione delle prestazione dovuta in termini di esattezza adempitiva e di conformità agli standard delle leges artis) appare ontologicamente riferibile solo alla fase attuativa di pregresse vicende negoziali (legittimandosi, con ciò, la sola valorizzazione sintomatica dei gravi errori esecutivi nella gestione di precedenti contratti con lo stesso o con altro committente pubblico), il richiamo alla correttezza ed alla buona fede prospetta l’estensione dell’apprezzamento di moralità (professionale) ed integrità al complesso delle condotte che sintomaticamente precedono e accompagnano l’accesso concorrenziale al mercato (a nulla ostando, sul piano testuale, il riferimento, nei termini formalmente retrospettivi fatti palesi dall’uso del participio passato, alle “prestazioni affidate”: che andrà, per contro, più comprensivamente acquisito, fatta tara di una spiegabile vischiosità testuale, come genericamente operante per l’affidamento delle prestazioni, sia de praeterito che ex intervallo);

d) a favore dell’interpretazione estensiva milita l’ulteriore rilievo per cui è lo stesso, articolato tratto testuale della disposizione ad impedire, quasi si trattasse di endiadi, l’assimilazione tra le ipotesi di grave negligenza e malafede di cui al primo periodo a quelle di errore grave di cui al periodo seguente: di là dalla solo parziale sovrapponibilità, non avrebbe avuto senso ripetere lo stesso concetto se non in riferimento ad altra situazione fattuale; inoltre soltanto per le prime è previsto il limite della “esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che gestisce la gara”, a fronte della più ampia previsione che considera rilevante l’errore grave nell’esercizio della “attività professionale” dell’impresa senza alcuna limitazione (in tali sensi, da ultimo, Cons. Stato, V, 11 dicembre 2017, n. 5818);

e) siffatta conclusione appare avvalorata non semplicemente da considerazioni di ordine funzionale o teleologico (per sé sole inidonee, in un contesto normativo che impone una interpretazione rigorosa), ma dal rilievo che – a fronte del dato che la stazione appaltante possa dimostrare “con ogni mezzo di prova” la sussistenza di una grave negligenza o di una significativa scorrettezza professionale – anche “una decisione di tipo giurisdizionale, pur non ancora definitiva, può, a seconda dell’oggetto di tale decisione, fornire all’amministrazione aggiudicatrice un mezzo di prova idoneo” (così, in un caso paradigmatico di omessa informazione alla stazione appaltante di illeciti penali non definitivamente accertati commessi da un ex amministratore, Corte Giust. n. 178 del 2017);

f) per giunta, di là dalla specifica ed autonoma causa di esclusione correlata alla falsità delle dichiarazioni rese in sede di gara (di cui si occupano l’art. 45, § 2, comma 1, lett. g), della direttiva

2004/18 e l’art. 38, comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006), il fatto di non informare l’amministrazione in ordine a circostanze generalmente inerenti i “criteri di selezione qualitativa” può “anch’esso costituire un elemento che consente, in forza di tale disposizione, di escludere un offerente dalla partecipazione a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico”: facendosi, con ciò, palese che la “mala fede” possa essere, comprensivamente, valorizzata – già nel contesto normativo scolpito nel regime del previgente Codice) – con riguardo a tutte quelle condotte che, anche in fase di gara, appaiono ispirate, di là dall’accertamento della rilevanza penale del sotteso atteggiamento doloso, al tentativo di influenzare, in una prospettiva propriamente anticoncorrenziale, il processo decisionale della stazione appaltante (posto che – in buona sostanza – anche siffatte condotte, in quanto illecite, sono in grado di attestare la non meritevolezza del concorrente sotto il profilo della carenza dei requisiti morali);

g) allora, al (pur diffuso) intendimento restrittivo della clausola di esclusione in esame osta “l’obiettivo di tale normativa, che mira a tutelare l’integrità della procedura di appalto pubblico, la situazione di un’impresa offerente il cui amministratore abbia commesso un reato che incide sulla moralità professionale di tale impresa o un grave errore professionale” (cfr. Corte Giust. n. 178 del 2017, p.to 51), che – avuto riguardo al principio di parità di trattamento, che sostanzia l’effettività della non inquinata partecipazione concorrenziale – “non può essere ritenuta equiparabile a quella di un’impresa offerente il cui amministratore non si sia reso colpevole di una siffatta condotta” (e ciò – come importa ribadire – nel contesto di un complessivo e motivato apprezzamento dell’illecito professionale, cui non osta che le condotte di reato non siano state accertate con sentenza, ancorché non passata in giudicato);

h) sotto il concorrente profilo della “proporzionalità” dell’esclusione, la contestualità della condotta illecita rispetto alla dinamica evidenziale deve ritenersi sintomatica di un disvalore accentuato del comportamento del concorrente (arguendo dalla sentenza citata, che al p.to 54 impone, semmai, il severo vaglio sintomatico di condotte significativamente risalenti nel tempo).

Quanto sopra trova ulteriore conferma, da ultimo, con Corte giust. UE 4 giugno 2019 (causa 425/18), la quale ha chiarito che “la decisione di un'autorità nazionale garante della concorrenza, che stabilisca che un operatore ha violato le norme in materia di concorrenza, può senz'altro costituire indizio dell'esistenza di un errore grave commesso da tale operatore. Di conseguenza, la commissione di un'infrazione alle norme in materia di concorrenza, in particolare quando tale infrazione è stata sanzionata con un'ammenda, costituisce una causa di esclusione rientrante nell'articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettera d), della direttiva 2004/18 (sentenza del 18 dicembre 2014, Generali-Providencia Biztosft6, C-470/13, EU:C:2014:2469, punto 35)”.

Neppure è fondato, sotto altro profilo, il rilievo secondo cui -OMISSIS- s.p.a. non avrebbe adeguatamente motivato l’apprezzamento della vicenda emergente dagli accertamenti operati in sede penale, solo genericamente (ed acriticamente) richiamati. Va infatti confermato il principio (ex multis, Cons. Stato, V, 17 settembre 2018, n. 5424, relativamente peraltro alla vicenda de qua) per cui non è dato pretendere dalla stazione appaltante un autonomo ed approfondito accertamento, per il quale difetterebbero oltretutto le necessarie competenze e strumenti di accertamento, delle circostanze emerse in sede penale, in ordine alle quali è piuttosto necessario ma anche sufficiente: a) l’indicazione dell’idoneità della fonte (che, nella specie, è rappresentata dalla autorità giudiziaria); b) la verifica di pertinenza dei fatti come emersi ai fini della loro attitudine a riflettere la negligenza o la mala fede del concorrente; c) il controllo della loro rilevanza, anche quanto a consistenza e gravità; d) la trasfusione delle ridette valutazioni in congrua ed esplicativa motivazione.

Nel caso di specie, il provvedimento impugnato appare concretamente rispettoso degli esposti principi.

Vale aggiungere che, indipendentemente dalla sorte del giudizio penale, la ritenuta attendibilità del quadro indiziario a carico del -OMISSIS- risultava confermata dal Tribunale ordinario di Roma, al quale la Corte di Cassazione, con la sentenza n. -OMISSIS-, aveva rimesso gli atti del procedimento per un nuovo esame. In particolare, la Sezione per il riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, con l’ordinanza n. 2352, depositata l’11 settembre 2017, rilevava che “i gravi indizi di colpevolezza, dettagliatamente compendiati nell’ordinanza applicativa e sostanzialmente riconducibili alle dichiarazioni accusatorie del -OMISSIS- (successivamente confermate in sede di incidente probatorio), alle intercettazioni ambientali effettuate nel periodo 3.8.2016-29.11.2016, in occasione degli incontri avvenuti presso gli uffici romani dell’imprenditore (che costituiscono riscontro esterno alla […] chiamata di correità) oltre che al materiale cartaceo rinvenuto (i cosiddetti ‘pizzini’), possono ritenersi sussistenti anche all’esito di questa fase processuale”.

Con il quarto motivo di appello vengono sostanzialmente riproposte le censure contenute nel secondo motivo del ricorso introduttivo, circa la necessità di una rigorosa motivazione – che sarebbe mancata, nella specie – allorquando l’amministrazione voglia desumere da vicende penali in itinere il deficit fiduciario, incorrendosi altrimenti in una commistione tra le ipotesi di esclusione di cui alle lett. c) ed f) dell’art. 38 d.lgs. n. 63 del 2006.

Non sarebbe stata svolta inoltre alcuna valutazione in ordine all’effettiva comunicazione al -OMISSIS- di presunte informazioni riservate, presupposto imprescindibile, ad avviso di -OMISSIS- per poter ricondurre l’illecito concorrenziale alla causa di esclusione di cui alla lett. f) dell’art. 38 cit.

Per contro, sostiene l’appellante, se il primo giudice avesse esaminato nella loro interezza le risultanze dell’incidente probatorio (prodotte in giudizio dalla ricorrente), ben avrebbe dovuto rappresentarsi una situazione di fatto diversa da quella – sfavorevole all’appellante – rappresentata invece nella sentenza impugnata: l’esclusione non avrebbe pertanto potuto essere disposta in caso di contestazione o di mancato accertamento della violazione e, comunque, per mero automatismo, dovendo invece la stazione appaltante valutare e motivare, nel contraddittorio con l’interessato, non solo la sussistenza della violazione ascritta, ma anche le conseguenze della stessa in termini di affidabilità.

Da ultimo, la sentenza impugnata avrebbe anche sorvolato sul dedotto vizio partecipativo, in violazione dei principi di cui alla l. n. 241 del 1990: la partecipazione diretta della ricorrente al procedimento, infatti, avrebbe consentito di rappresentare a -OMISSIS- alcune circostanze decisive, invece del tutto pretermesse dal provvedimento impugnato.

Neppure questo motivo è fondato.

Come persuasivamente evidenzia l’appellata -OMISSIS-, a base della valutazione di rottura dell’elemento fiduciario sono stati posti i gravi fatti riguardanti il dipendente -OMISSIS--OMISSIS- e l’-OMISSIS-, dominus della -OMISSIS-, emersi dalla conoscenza degli atti del procedimento penale, in primis dalla confessione del -OMISSIS- (resa nel corso degli interrogatori del 16 dicembre 2016 e 28 gennaio 2017 e confermati in sede di incidente probatorio in data 8 maggio 2017), dall’ordinanza di misura interdittiva ex artt. 45 e 9 comma 2 del d.lgs. n. 231 del 2001, nonché dagli ulteriori riscontri esterni indicati nei medesimi provvedimenti, dai quali risultava che l’avvocato -OMISSIS- aveva corrisposto al -OMISSIS- somme di denaro a fronte di comunicazioni riservate, relative ad iniziative -OMISSIS-.

Tali fatti conducevano al rinvio a giudizio del -OMISSIS- e della -OMISSIS-, al giudizio immediato nei confronti del -OMISSIS-, al suo licenziamento per giusta causa (da questi non impugnato) ed al successivo patteggiamento della pena a un anno e otto mesi per il reato di corruzione.

Sulla base di tali elementi -OMISSIS- s.p.a. riteneva sussistente un “errore grave” nell’esercizio dell’attività professionale dell’operatore (concetto sulla cui natura si veda supra) e definitivamente compromesso il rapporto fiduciario con lo stesso.

Né inficia la legittimità del provvedimento il fatto che le condotte di reato contestate al -OMISSIS- ed alla -OMISSIS- non fossero state ancora accertate con sentenza – ancorché non passata in giudicato – in ragione dell’autonomia della valutazione della stazione appaltante rispetto a quella della magistratura penale e, comunque, poiché i fatti commessi concretavano autonomamente la fattispecie dell’errore professionale come in precedenza descritto.

Del resto (Cons. Stato, V, n. 5424 del 2018, cit.), “l’acquisizione (o anche solo il tentativo di acquisizione) di informazioni riservate costituisce, nel plausibile e motivato intendimento della stazione appaltante, condotta professionale gravemente scorretta, in quanto oggettivamente idonea ad acquisire un vantaggio competitivo e, quindi, ad alterare una competizione concorsuale ed una programmata esecuzione negoziale fondata sull’affidabilità professionale, sulla genuina e non altrimenti condizionata qualità dell’offerta, sulla trasparenza nei rapporti con l’Amministrazione committente e, più in generale, sulla correttezza ed integrità professionale che si esigono da chi aspiri a conseguire ed eseguire commesse pubbliche”.

In ordine poi allo specifico profilo di censura incontrato sul principio di tassatività delle cause di esclusione, vale innanzitutto quanto già detto in ordine al precedente motivo di gravame.

Ritiene infatti il Collegio che la nozione di “errore professionale” (ex multis, Cons. Stato, V, 17 luglio 2017, n. 3493; V, 6 settembre 2017, n. 4228) di cui alla più volte richiamata lett. f) dell’art. 38 sia comprensiva di qualsiasi comportamento scorretto, non necessitante di accertamento coperto da giudicato, in grado di incidere sulla credibilità professionale dell’operatore.

Tale esegesi, lungi dal contraddire il principio di tassatività dei casi di esclusione, semplicemente ne opera, in prospettiva funzionale, un’interpretazione estensiva, ricomprendendovi tutte le condotte non solo caratterizzate da (grave) negligenza nell’esecuzione di prestazioni afferenti a vicende negoziali anteatte, ma pure quelle ispirate a mala fede (di suo idonea ad operare anche nella fase formativa del contratto in fieri e parimenti, se non maiori causa, espressive di complessiva inaffidabilità morale del concorrente: cfr. art. 1175 Cod. civ., in relazione all’art. 1337).

In termini, anche i principi desumibili dal precedente di Corte Giust. UE 20 dicembre 2017, n. 178, in causa C-178/16 (Impresa di Costruzioni Ing. E. Mantovani s.p.a.), che consentono di superare la separata istanza di rimessione di questione interpretativa pregiudiziale al giudice eurounitario.

Circa infine la dedotta violazione del principio del contraddittorio ex lege n. 241 del 1990, è appena il caso di evidenziare come, da un lato, l’appellante neppure precisi quale sarebbero state, in concreto, le “circostanze decisive, del tutto pretermesse dal provvedimento impugnato” che avrebbe potuto rappresentare alla stazione appaltante; dall’altro, va confermato l’orientamento giurisprudenziale (ex multis, Cons. Stato, III, 8 giugno 2016, n. 2450; III, 13 aprile 2016, n. 1471; VI, 21 dicembre 2010, n. 9324) secondo cui “l’esclusione da una gara, disposta in esito al riscontro negativo circa il possesso di un requisito di partecipazione, come quello di cui qui si controverte, non postula la previa comunicazione di avvio del procedimento, per costante giurisprudenza di questo Consiglio, attenendo ad un segmento necessario di un procedimento della cui pendenza l’interessato è già necessariamente a conoscenza”.

Le considerazioni sopra svolte valgono anche a respingere il quinto motivo di appello, vertente in primis proprio sulla presunta non ammissibilità di un’interpretazione “estensiva” delle ipotesi tassative di esclusione dalla gara.

Con il sesto motivo di appello la sentenza impugnata viene contestata nella parte in cui richiama le disposizioni del Codice etico e del Modello 231 di -OMISSIS-, “senza avvedersi che – mentre tali norme comportamentali attengono a una generalità di destinatari – per i concorrenti alle gare vale quanto stabilito dall’art. 11 Disciplinare e dall’art. 23 delle Condizioni Generali, che obbligano l’aggiudicatario a prendere visione di Codice Etico e Modello 231 prima della stipula della Convenzione, al dichiarato fine (cfr. art. 11 Disciplinare) di assicurarne il rispetto nello «svolgimento delle attività oggetto della Convenzione»”.

Il motivo non convince.

Va rilevato, infatti, che il raggruppamento escluso, avanzando offerta per la gara, si era vincolato al rispetto delle norme che presiedevano al relativo svolgimento, ivi comprese quelle contemplate dalla lex specialis ed, in particolare, dal Codice etico di -OMISSIS-; d’altro canto, nell’allegato n. 1 alla propria offerta (“Dichiarazione necessaria per l’ammissione alla gara”), il raggruppamento facente capo alla -OMISSIS- aveva dichiarato “di aver preso piena conoscenza della documentazione di gara”, tra cui vi era anche il detto Codice etico ed il Modello 231 richiamato espressamente dall’art. 11 del Disciplinare e dall’art. 23 delle Condizioni generali.

La tesi di parte appellante, secondo cui tali disposizioni si applicherebbero solo all’impresa rimasta aggiudicataria e non anche a tutti i concorrenti, non può essere accolta sia per l’assenza di un dato normativo inequivoco in tal senso, sia perché produrrebbe l’effetto abnorme di consentire ai partecipanti di commettere, in ipotesi, ogni sorta di comportamento scorretto in corso di gara, salvo dover poi conformare la propria condotta a detti principi di buon comportamento, nella successiva fase di esecuzione del rapporto: ne risulterebbe intuitivamente violata non solo la par condicio tra i concorrenti, ma innanzitutto la finalità stessa della gara ad evidenza pubblica, ossia la possibilità per l’amministrazione di scegliere, attraverso procedure rette da regole certe e predeterminate, il contraente più affidabile tra quelli che hanno preso parte alla fase competitiva.

Con il settimo motivo di appello, la sentenza di primo grado viene censurata per difetto di rigorosa motivazione sulla riferibilità alla -OMISSIS- della condotta dell’-OMISSIS-, semplice socio di minoranza (figura che non rientra tra quelle tassativamente elencate dall’art. 38 al fine di circoscrivere i presupposti dichiarativi e di esclusione).

Né, ad avviso dell’appellante, sarebbe stata dimostrata la natura di dominus di fatto del medesimo.

Anche questa censura non è fondata.

Al riguardo, la circostanza che l’art. 38, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006, in relazione a talune delle cause di esclusione ivi previste – e, segnatamente, quelle di cui alle lettere b), c) e m-ter) – individui specificamente gli esponenti dei soggetti nei cui confronti va accertato il possesso dei requisiti di moralità (e ciò con evidente riguardo al carattere personale della responsabilità penale ivi presa in considerazione) induce a ritenere, a contrario, che, nelle diverse fattispecie contemplate dal citato art. 38, ivi compresa quella di cui alla lettera f), a rilevare sia invece la condotta del concorrente latamente inteso, con l’ovvia conseguenza che la verifica circa la sussistenza delle cause di esclusione potrebbe legittimamente essere estesa all’intera compagine azionaria dell’operatore economico, a prescindere dalla entità delle singole quote di partecipazione al capitale sociale.

Inoltre, sotto un profilo di fatto, non può non darsi rilievo alla duplice circostanza (obiettiva ed incontestata la prima; opinabile, ma vagliata in termini di plausibilità in sede di accertamento penale, la seconda) per cui:

a) l’-OMISSIS-, seppure socio di minoranza (con una quota pari al 10%) della società, possedeva il 97,89% del capitale sociale della -OMISSIS- -OMISSIS-, la quale, a sua volta, era socio di maggioranza della -OMISSIS-, di cui deteneva il 90% del capitale sociale;

b) lo stesso avrebbe agito come amministratore di fatto della -OMISSIS-, rivestendo posizioni idonee “a fondare quel rapporto di immedesimazione organica dal quale scaturirebbe la responsabilità ai sensi dell’art. 185 c.p.

Orbene, questo Consiglio di Stato si è già espresso nel senso che – relativamente agli obblighi dichiarativi di cui all’art. 38, comma 1, lett. c) del d.lgs. n. 163 del 2006 – gli stessi incombano anche sul soggetto che, pur risultando formalmente socio di minoranza della società partecipante ad una pubblica gara, ne detenga comunque il controllo indiretto attraverso un ‘gioco’ di partecipazioni societarie (cfr. Cons. Stato. V, 28 agosto 2017, n. 4077).

Il principio può essere esteso, per identità di ratio, all’apprezzamento delle condotte di illecito professionale di cui alla successiva lettera f).

Del resto, l’effettiva posizione ricoperta dal -OMISSIS- all’interno della società emerge anche dai pronunciamenti del giudice penale, in primis l’ordinanza 11 gennaio 2018 del Tribunale di Roma, VIII Sezione penale, laddove si dice che “non può […] escludersi che il -OMISSIS- sulla base della prospettazione accusatoria […] abbia rivestito una posizione gestoria ex art. 2369 c.c. all’interno della società -OMISSIS-, idonea astrattamente a fondare quel rapporto di immedesimazione organica dal quale scaturirebbe la responsabilità ai sensi dell’art. 185 c.p.

In tal senso, anzi, pare costruita pure l’attuale contestazione nei confronti della società ai sensi del d.lgs. 231/2001, nell’ambito del quale si assume che il -OMISSIS- abbia assunto proprio detto ruolo gestorio e che abbia agito per conto dell’ente”.

Anche la successiva ordinanza del Tribunale di Roma, Sezione speciale riesame, dell’11 febbraio 2019 (all. 38 -OMISSIS-), nel respingere l’appello proposto dalla -OMISSIS- avvero l’ordinanza del g.i.p. 31 maggio 2017 di applicazione della misura del divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, dà atto di come “Dagli atti emerge in maniera pacifica il ruolo di dominus assoluto del -OMISSIS- all’interno della -OMISSIS- spa, di talché non si può seriamente porre alcun problema di comunicazione degli illeciti contatti tra -OMISSIS- e -OMISSIS- a organi amministrativi diversi dall’unico, vero centro decisionale, ossia -OMISSIS- […] Trattando dei benefici ricavati dalla società dalle condotte delittuose dell’imputato, osserva il Collegio che il gip ha diffusamente analizzato il ruolo del -OMISSIS- all’interno della -OMISSIS- spa […] evidenziando come già dalla memoria delle difesa si evincesse la confessione del -OMISSIS- Alfredo di aver agito di fatto in nome e per conto della -OMISSIS- spa, in funzione di una politica aziendale da lui prescelta, per evitare atti pregiudizievoli alle sua aziende come la -OMISSIS- spa.

In sostanza, in assenza di poteri formali tutti radicati sul legale rappresentante dell’ente, ma di fatto sostituito dal -OMISSIS- Alfredo […]”.

A ciò aggiungasi che la “circolarità” dell’intero assetto societario rispetto all’avvocato -OMISSIS- è riconosciuta con valore quasi confessorio dalle misure di self cleaning che la stessa società ha ritenuto di porre in essere successivamente all’avvio delle indagini penali, in primis la variazione degli organi amministrativi e la regolamentazione del rapporto tra i soci della -OMISSIS- e la società stessa.

Con l’ottavo motivo di gravame viene invece denunciato il presunto errore nel quale sarebbe incorso il giudice di prime cure, nell’aver ritenuto rilevanti solo pro futuro le misure di self cleaning adottate dall’appellante, secondo cui la motivata valutazione sulla capacità dell’impresa di eseguire correttamente il contratto da stipulare avrebbe dovuto essere esercitata al momento dell’esclusione.

Secondo la sentenza impugnata, invece, sospensione e revoca dell’interdittiva rileverebbero non già sulla valutazione del grave errore professionale, ma solo ai fini della fattispecie di cui alla lett. m) dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006.

Le doglianze di parte appellante, però, non convincono.

E’ infatti necessario distinguere due tipologie di condotte c.d. di self-cleaning, cioè un ravvedimento operoso indotto che consente all’operatore economico di dimostrare la sua persistente e concreta affidabilità nonostante l’esistenza di un motivo di esclusione (superando l’attitudine preclusiva dell’accertata sussistenza di una o più cause di esclusione), la cui matrice eurounitaria oggi sta nell’art. 57 della direttiva 2014/24/UE.

Così: a) un primo caso di self-cleaning è rappresentato dal comportamento dell’operatore economico che, in presenza di un fatto di reato o di una condotta di illecito, dimostri di essersi, per un verso, adoperato per la eliminazione, retrospettiva, del danno cagionato e, per altro verso, di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico ed organizzativo idonei a prevenire, pro futuro, la commissione di ulteriori reati o illeciti. In coerenza, il momento ne ultra quem per l’adozione delle misure di self-cleaning e per la loro allegazione alla stazione appaltante è ancorato al termine di presentazione delle offerte (posto che una facoltà di tardiva implementazione o allegazione si paleserebbe, a tacer d’altro, alterativa della par condicio dei concorrenti).

b) un altro caso è quello delle “misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese” nell'ambito della prevenzione della corruzione che, per l’art. 32 d.-l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito dalla l. 11 agosto 2014, n. 114, il prefetto, su segnalazione dell’ANAC, può, nel caso di “esecuzione di opere pubbliche, servizi e forniture”, disporre nei confronti dell’impresa a carico della quale l’autorità giudiziaria proceda per l’accertamento di uno o più dei reati nominati al comma 1 dello stesso articolo.

In questo secondo caso, il self cleaning prefigura, alternativamente:

a) la rinnovazione degli organi sociali mediante la sostituzione del soggetto coinvolto: sostituzione che, ricorrendone le condizioni, è idonea ad impedire l’automatismo solutorio, ad opera delle misure interdittive, sui contratti in essere; o, quanto meno, a legittimare al commissariamento dell’impresa, con prosecuzione “controllata” dell’esecuzione dei contratti in essere ed accantonamento cautelativo degli utili in attesa delle determinazioni in ordine alla prospettica confisca (cfr. parere Cons. Stato, comm. spec., 18 giugno 2018, n. 1567);

b) il «sostegno e monitoraggio dell’impresa» (art. 32, comma 8).

In questa seconda fattispecie, con evidenza, il self-cleaning può agire solo nella duplice e concorrente direzione: i) della prospettica sterilizzazione delle misure interdittive penali, a prevenire ed evitare l’estromissione dell’impresa dal mercato; ii) dell’impedimento del commissariamento, relativamente ai contratti la cui esecuzione sia stata già iniziata.

Nel primo caso, è chiara l’operatività solo pro futuro delle misure organizzative virtuose. Nel secondo caso, si tratta di una misura specifica, orientata a salvaguardare l’utile esecuzione dei contratti in essere.

Per contro, resta escluso dagli effetti di questa misura che la mera sostituzione degli organi di vertice sia, in pendenza di una procedura evidenziale, d’ostacolo all’operatività di una clausola di estromissione.

Nel caso di specie, le misure di self-cleaning sono quelle disposte dal Prefetto di Roma che, con decreto n. 341292 del 4 ottobre 2017, ha aderito alla proposta del Presidente dell’ANAC di cui alla nota prot. n. 96891 del 1° agosto 2017 e, per l’effetto, ha disposto, ai sensi dell’art. 32, comma 8, d.-l. n. 90 del 2014, la misura del sostegno e monitoraggio nei confronti della società.

Bene, perciò, il primo giudice ha ritenuto la loro valenza soltanto pro futuro, senza cioè impedimenti all’operatività della clausola di estromissione dalla procedura.

Del resto, che questa sia la corretta soluzione discende dal rilievo che, a far dipendere dal fruttuoso esito del monitoraggio disposto dal prefetto l’ammissione alle pendenti procedure evidenziali, discenderebbe che la legittimità delle disposte esclusioni (che vanno valutate, avuto riguardo ai relativi presupposti, con riferimento temporale al momento della loro adozione) finirebbe per dipendere, implausibilmente, da un posterius.

Con il nono motivo di appello viene gravato il capo della sentenza di primo grado che ha respinto le doglianze relative all’illegittimità (derivata dall’illegittima esclusione) della segnalazione all’ANAC, in conseguenza del rigetto dei motivi diretti avverso l’esclusione.

Il rigetto dei precedenti motivi di appello però comporta, logicamente, la reiezione anche di tale motivo dipendente di gravame.

Con il decimo motivo di appello viene invece contestata la valutazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui opererebbe comunque il principio dell’automatismo dell’escussione delle garanzie provvisorie, ad opera della stazione appaltante, a fronte dell’esclusione dalla gara.

Secondo la prospettazione dell’appellante, nel caso di specie verrebbe in essere un inaccettabile “trinomio” – dato da

i) un provvedimento ampiamente discrezionale;

ii) un sindacato debole del giudice amministrativo;

iii) l’escussione delle garanzie come conseguenza automatica, che potrebbe prestarsi a veri e propri abusi da parte della stazione appaltante che, con il pretesto del deficit fiduciario, verrebbe in tal modo a conseguire un arricchimento patrimoniale a danno dell’operatore economico.

In proposito richiama il precedente di Corte Giust. UE, III, 13 dicembre 2012 (in causa C-465/2011 Forposta), dal quale dovrebbe desumersi che le cause di esclusione per motivi attinenti alle qualità professionali sono tassative e che l’ammissibilità, nell’ordinamento interno, di una causa di esclusione ulteriore potrebbe essere predicata solo al di fuori del contesto delle qualità professionali.

Rileva inoltre come, in materia di presunte vicende corruttive, il considerando n. 43 della direttiva 18/2004 richiederebbe che la sanzione espulsiva sia basata almeno su una condanna non definitiva, non anche su semplici indagini preliminari.

Ciò varrebbe tanto più nel caso in esame, nel quale l’ipotesi accusatoria nei confronti dell’avvocato -OMISSIS- e della società appellante si andrebbe “sgretolando sotto i colpi di piccone delle SS.UU. penali (segnatamente, sentenza 27.09.2018 n. 51515)”.

In ogni caso, i provvedimenti adottati da -OMISSIS- integrerebbero una sanzione irrogata per un illecito amministrativo soltanto presunto, riconducibile all’ampio concetto di “sanzione penale” sviluppato in ambito CEDU, per cui è tale ogni misura afflittiva irrogata dall’Autorità pubblica (giurisdizionale o amministrativa) in conseguenza di un illecito: verrebbe dunque in rilievo il divieto di doppio binario sanzionatorio, posto dall’art. 4 del Protocollo 7 CEDU, la cui violazione è stata denunciata innanzi al primo giudice che però non si sarebbe pronunciato.

Sotto altro concorrente profilo, l’escussione delle garanzie dovrebbe comunque considerarsi inammissibile, in quanto l’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 la prevederebbe solamente per l’ipotesi di dichiarazione mendace o omissiva sui requisiti. In subordine, l’appellante solleva questione di legittimità costituzionale degli artt. 48 e 75 d.lgs. n. 163 del 2006, in relazione agli artt. 2 e 3 Cost.

Il motivo non è fondato.

Come chiarito da Cons. Stato, Ad. plen., 29 febbraio 2016, n. 5 (peraltro resa in un giudizio tra la -OMISSIS--OMISSIS- e -OMISSIS-), per giurisprudenza pacifica, “l’incameramento della cauzione provvisoria previsto dall’art. 48 del Codice dei contratti pubblici, costituisce conseguenza automatica del provvedimento di esclusione, come tale non suscettibile di alcuna valutazione discrezionale con riguardo ai singoli casi concreti. Tale misura, quindi, risulta insensibile ad eventuali valutazioni volte ad evidenziare la non imputabilità a colpa della violazione che ha dato causa all’esclusione”.

In questi termini, si vedano anche Cons. Stato, V, 26 maggio 2015, n. 2638; V, 10 settembre 2012, n. 4778; V, 18 aprile 2012, n. 2232; IV, 16 febbraio 2012, n. 810; V, 1° ottobre 2010, n. 7263.

Sempre l’Adunanza plenaria (nella sentenza 4 maggio 2012, n. 8) aveva riconosciuto che la possibilità di incamerare la cauzione provvisoria poteva trovare fondamento anche nell’art. 75, comma 6, del d.lgs. n. 163 del 2006, che riguardava tutte le ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario, intendendosi per “fatto dell’affidatario” qualunque ostacolo alla stipulazione a lui riconducibile, e tra cui anche, come nel caso di specie, il difetto di un requisito di ordine generale.

Vale, del resto, ribadire che nelle gare pubbliche l'escussione della cauzione è conseguenza della violazione dell'obbligo di diligenza gravante sull'offerente, tenuto conto che gli operatori economici, con la domanda di partecipazione, sottoscrivono e si impegnano ad osservare le regole della relativa procedura; si tratta, perciò, di una misura di indole patrimoniale, priva di carattere sanzionatorio amministrativo, che costituisce l'automatica conseguenza della violazione di regole e doveri espressamente accettati (cfr. Cons. Stato, V, 15 marzo 2017, n. 1172).

Quanto poi alla denunziata illegittimità costituzionale degli artt. 48 e 75 d.lgs. n. 163 del 2006, in relazione agli artt. 2 e 3 Cost., rileva il Collegio come la questione non sia fondata, alla luce di quanto già evidenziato da Corte Cost., ord. n. 211 del 13 luglio 2011.

Secondo tale decisione, “l’incameramento della cauzione provvisoria previsto dal citato art. 48, comma 1, quale automatica conseguenza del provvedimento di esclusione è, in primo luogo, coerente rispetto alla circostanza, posta in rilievo dalla giurisprudenza amministrativa, che essa «si profila come garanzia del rispetto dell’ampio patto d’integrità cui si vincola chi partecipa a gare pubbliche» (Cons. Stato, sez. V, 9 novembre 2010, n. 7963);

in secondo luogo, è congruente rispetto alla funzione di garantire serietà ed affidabilità dell’offerta, sanzionando la violazione dell’obbligo di diligenza gravante sull’offerente, mediante l’anticipata liquidazione dei danni subiti dalla stazione appaltante, tenuto conto che l’operatore economico, con la domanda di partecipazione, sottoscrive e si impegna ad osservare le regole della relativa procedura, delle quali ha, dunque, contezza, e, conseguentemente, sotto questo profilo, le situazioni poste in comparazione dal rimettente non presentano elementi di apprezzabile diversità;

in terzo luogo, costituisce una scelta del legislatore ordinario che, alla luce di siffatte considerazioni, non può essere giudicata frutto di un uso distorto ed arbitrario della discrezionalità allo stesso spettante e che, quindi, non contrasta in modo manifesto con il canone della ragionevolezza”.

Quanto infine alla dedotta inconsistenza dei profili istruttori considerati dalla stazione appaltante, alla luce della sentenza delle Sezioni Unite penali n. 51515 del 2018, va detto che tale decisione non ha attinto il merito della res controversa, limitandosi a svolgere considerazioni di carattere eminentemente processuale (in particolare chiarendo che il Tribunale era tenuto alla valutazione della sussistenza dei presupposti delle misure cautelari anche dopo l’adozione delle misure di self-cleaning).

A tale pronuncia ha fatto seguito una successiva ordinanza (dell’11 febbraio 2019) con cui il Tribunale del riesame di Roma ha respinto l’appello proposto dalla società avverso l’ordinanza del g.i.p. del 31 maggio 2017.

Infine, con l’undicesimo motivo di appello, riferito in rubrica al “primo motivo del ricorso per motivi aggiunti 2”, si contesta l’accoglimento, da parte del primo giudice, dell’eccezione di tardività sollevata da -OMISSIS- in relazione all’impugnazione dei verbali di interrogatorio dell’-OMISSIS-.

Il motivo è inammissibile per genericità, non contenendo un articolato argomentativo movente da determinate premesse per giungere a specifiche conclusioni. Né risulta formulata, al riguardo, una precisa domanda al giudice d’appello.

Per le ragioni che precedono, l’appello va dunque respinto. Ne consegue altresì la reiezione dell’istanza risarcitoria proposta dall’appellante, per difetto di presupposti.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento, in favore delle appellate -OMISSIS- s.p.a., -OMISSIS- e -OMISSIS- delle spese di lite del grado di giudizio, che liquida in euro 5.000,00 (cinquemila/00) complessivi per ciascuna di esse, oltre ad Iva e Cpa se dovute.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Guida alla lettura

Con la pronuncia in commento la V Sezione del Consiglio di Stato sofferma primariamente l’attenzione sulla ratiodell’esclusione dalla gara d’appalto prevista dall’art. 38, comma 1, lett. f) d.lgs. 163/2006 (applicabile ratione temporis alla gara in contestazione), oggi art. 80 d.lgs. n. 50/2016, individuando la stessa nella necessità di garantire l’elemento fiduciario nei rapporti contrattuali della pubblica amministrazione fin dal momento genetico; con la conseguenza che, ai fini dell’esclusione di un concorrente, è sufficiente una motivata valutazione dell’amministrazione in ordine alla “grave negligenza o malafede” del concorrente, che abbia fatto ragionevolmente venir meno la fiducia nell’impresa.

Trattasi di un potere ampiamente discrezionale, soggetto al controllo e al sindacato giurisdizionale nei consueti limiti della manifesta illogicità, irrazionalità o errore sui fatti. Ne discende che il giudice amministrativo, posta la ragionevole opzione legislativa di consentire il rifiuto di aggiudicazione per ragioni di ritenuta inaffidabilità dell’impresa, deve prendere atto, nello scrutinio di un uso distorto di tale rifiuto, della scelta di rimettere alla stazione appaltante l’individuazione del punto di rottura dell’affidamento nel pregresso o futuro contraente: onde il relativo il sindacato, propriamente incentrato sulla motivazione del rifiuto, va rigorosamente mantenuto sul piano della verifica estrinseca della non pretestuosità della operata valutazione degli elementi di fatto, senza attingere, per ritenere concretato il vizio di eccesso di potere, la logica intrinseca di vera e propria condivisibilità della valutazione.

Ulteriore puntualizzazione preliminare attiene alla considerazione per cui la disposizione in oggetto è stata adottata in attuazione dell’art. 45, par. 2, lett. d), della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004, secondo cui “può essere escluso dalla partecipazione all’appalto ogni operatore economico […] d) che, nell’esercizio della propria attività professionale, abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall’amministrazione aggiudicatrice”.

Deve quindi ritenersi che “in via generale la normativa comunitaria consenta di qualificare come ostativo qualsiasi episodio di errore che caratterizzi la storia professionale degli aspiranti concorrenti, purché sia abbastanza grave da metterne in dubbio l’affidabilità. La norma nazionale vigente riproduce quella comunitaria e di conseguenza rende rilevanti tutti gli errori professionali commessi” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 novembre 2015, n. 5299).

La giurisprudenza ne ha esteso l’applicazione ad ogni comportamento scorretto che incida sulla credibilità professionale dell’operatore economico, senza limitarsi alle sole violazioni delle norme di deontologia, in senso stretto, della professione cui esso appartiene, di talché il concetto normativo di “errore professionale”, così come contemplato nella norma, deve ritenersi esteso ad un’ampia gamma di ipotesi, comunque riconducibili alla negligenza, alla malafede o all’incapacità di assolvere alle prestazioni contrattuali (ex multis, Cons. Stato, sez. V, 17 settembre 2018, n. 5424; Cons. Stato, sez. IV, 11 luglio 2016, n. 3070; Corte di Giustizia UE, X, 18 dicembre 2014, n. 470).

La Corte europea di giustizia ha in specie precisato (parr. 34 e 35) che “l’articolo 45, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2004/18 consente di escludere qualunque operatore che, nell’esercizio della propria attività professionale, abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall’amministrazione aggiudicatrice”.
Al riguardo, la Corte ha già dichiarato che la nozione di “errore nell’esercizio dell’attività professionale”, ai sensi di quest’ultima disposizione, comprende qualsiasi comportamento scorretto che incida sulla credibilità professionale dell’operatore di cui trattasi e non soltanto le violazioni delle norme di deontologia in senso stretto della professione cui appartiene tale operatore.

Quanto alla riconducibilità dell’illecito concorrenziale alla fattispecie di “grave errore professionale”vale preliminarmente osservare che rispetto alla lettera della normativa comunitaria(art. 45, § 2, lett. d), cit.), la disposizione italiana di recepimento (art. 38, comma 1, lett. f) cit.) appare più articolata e comprensiva, specie nella parte in cui: a1) puntualizza il dato, implicito nella generica regola di matrice eurocomune, che il “grave errore professionale” possa essere riferito anche alla “grave negligenza” delle prestazioni affidate dalla stessa stazione appaltante; a2) integra la dimensione del disvalore delle condotte del concorrente, potenzialmente idonee a sorreggere il motivato apprezzamento di inaffidabilità, con il riferimento alla “mala fede” (da riferire, secondo il comune e consolidato intendimento, non soltanto, in senso soggettivo, ai comportamenti propriamente sorretti da atteggiamento doloso, ma anche, in senso oggettivo, alle condotte complessivamente contrastanti con il canone generale di correttezza nella vita di relazione, qualificato dalla particolare dimensione di moralità e di professionalità che si impone a carico dei soggetti che aspirino, in prospettiva concorrenziale, all’aggiudicazione di commesse pubbliche);

Secondariamente si afferma che mentre il criterio della colpa (intesa nel senso tecnico e non etico, che impone al debitore l’esecuzione delle prestazione dovuta in termini di esattezza adempitiva e di conformità agli standard delle leges artis) appare ontologicamente riferibile solo alla fase attuativa di pregresse vicende negoziali (legittimandosi, con ciò, la sola valorizzazione sintomatica dei gravi errori esecutivi nella gestione di precedenti contratti con lo stesso o con altro committente pubblico), il richiamo alla correttezza e alla buona fede prospetta l’estensione dell’apprezzamento di moralità (professionale) e integrità al complesso delle condotte che sintomaticamente precedono e accompagnano l’accesso concorrenziale al mercato.

Ancora, si rileva come è lo stesso articolato tratto testuale della disposizione ad impedire, quasi si trattasse di endiadi, l’assimilazione tra le ipotesi di grave negligenza e malafede di cui al primo periodo a quelle di errore grave di cui al periodo seguente: di là dalla solo parziale sovrapponibilità, non avrebbe avuto senso ripetere lo stesso concetto se non in riferimento ad altra situazione fattuale; inoltre soltanto per le prime è previsto il limite della “esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che gestisce la gara”, a fronte della più ampia previsione che considera rilevante l’errore grave nell’esercizio della “attività professionale” dell’impresa senza alcuna limitazione (da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 11 dicembre 2017, n. 5818).

Quanto affermato appare avvalorato non semplicemente da considerazioni di ordine funzionale o teleologico, ma dal rilievo che – a fronte del dato che la stazione appaltante possa dimostrare “con ogni mezzo di prova” la sussistenza di una grave negligenza o di una significativa scorrettezza professionale – anche “una decisione di tipo giurisdizionale, pur non ancora definitiva, può, a seconda dell’oggetto di tale decisione, fornire all’amministrazione aggiudicatrice un mezzo di prova idoneo”.

Per giunta, di là dalla specifica ed autonoma causa di esclusione correlata alla falsità delle dichiarazioni rese in sede di gara, il fatto di non informare l’amministrazione in ordine a circostanze generalmente inerenti ai “criteri di selezione qualitativa” può “anch’esso costituire un elemento che consente, in forza di tale disposizione, di escludere un offerente dalla partecipazione a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico”: facendosi, con ciò, palese che la “mala fede” possa essere, comprensivamente, valorizzata con riguardo a tutte quelle condotte che, anche in fase di gara, appaiono ispirate, di là dall’accertamento della rilevanza penale del sotteso atteggiamento doloso, al tentativo di influenzare, in una prospettiva propriamente anticoncorrenziale, il processo decisionale della stazione appaltante;

Al pur diffuso intendimento restrittivo della clausola di esclusione in esame osta inoltre “l’obiettivo di tale normativa, che mira a tutelare l’integrità della procedura di appalto pubblico, la situazione di un’impresa offerente il cui amministratore abbia commesso un reato che incide sulla moralità professionale di tale impresa o un grave errore professionale, che – avuto riguardo al principio di parità di trattamento, che sostanzia l’effettività della non inquinata partecipazione concorrenziale – non può essere ritenuta equiparabile a quella di un’impresa offerente il cui amministratore non si sia reso colpevole di una siffatta condotta” (cfr. Corte Giust. U.E. n. 178 del 2017).

Sotto il concorrente profilo della “proporzionalità” dell’esclusione, poi, la contestualità della condotta illecita rispetto alla dinamica evidenziale deve ritenersi sintomatica di un disvalore accentuato del comportamento del concorrente.

Quanto sopra trova ulteriore conferma, da ultimo, con Corte di Giustizia UE 4 giugno 2019 in causa C-425/18, la quale ha chiarito che “la decisione di un’autorità nazionale garante della concorrenza, che stabilisca che un operatore ha violato le norme in materia di concorrenza, può senz’altro costituire indizio dell’esistenza di un errore grave commesso da tale operatore”.