Cons. Stato, sez. V, 23 dicembre 2019, n. 8731

  1. Invero, se da un lato tale eventualità era prevista nella lex di gara come del tutto facoltativa, è in ogni caso evidente che gli operatori economici partecipanti alla procedura non potevano non riporre un legittimo affidamento sulla correttezza dei dati di fatto indicati proprio dalla stazione appaltante in ordine all'oggetto dell'appalto; nè quest'ultima potrebbe fondatamente opporre una sorta di "concorso di colpa" dell'aggiudicataria, anche solo ai fini risarcitori, per aver confidato nella veridicità delle informazioni tecniche essenziali dalla stessa poste a base del progetto esecutivo.
  2. Ad un complessivo esame delle risultanze di causa, la responsabilità dell'amministrazione va ricondotta al modulo della responsabilità precontrattuale – nei limiti quindi dell'interesse negativo o da inutile partecipazione alla gara – per avere la stazione appaltante determinato (con una condotta qualificabile perlomeno come gravemente colposa) la revoca in autotutela dell'aggiudicazione precedentemente disposta, in ragione del rifiuto dell'aggiudicataria di realizzare i lavori secondo le modalità originariamente pattuite, rifiuto poi rivelatosi legittimo.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 3034 del 2019, proposto da
Impresa Scala Santo s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Claudio De Portu, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Flaminia n. 354;

contro

Comune di Minerbio, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Federico Gualandi, con domicilio eletto presso il suo studio in Bologna, via Altabella n. 3;
Autorità Nazionale Anticorruzione – Anac, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

nei confronti

Geotecnica Lavori s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Prima) n. 00308/2019, resa tra le parti.

 

Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Minerbio;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 ottobre 2019 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati De Portu e Leonardo, quest’ultimo in dichiarata delega di Gualandi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

Risulta dagli atti che l’impresa Scala Santo s.r.l. – odierna ricorrente – partecipava ad una gara pubblica di appalto di lavori mediante procedura negoziata bandita dal Comune di Minerbio per l’affidamento dei “lavori di ristrutturazione tramite consolidamento del ponte di Via Melo sullo Scolo Zena”.

All’esito delle operazioni di gara, la ricorrente, classificatasi al primo posto della graduatoria, diveniva aggiudicataria definitiva con verbale approvato dall’amministrazione comunale di Minerbio in data 28 novembre 2018.

A seguito dell’aggiudicazione la stessa veniva convocata dal Comune per la data 17 dicembre 2018 al fine della consegna dei lavori appaltati; in tale sede, peraltro, il suo legale rappresentante “[…] ha immediatamente rilevato e segnalato che la lesione del manufatto descritta e rappresentata graficamente nel progetto esecutivo non trovava corrispondenza nella lesione strutturale (ben più grave e articolata) effettivamente presente sul manufatto stesso […]”; più nello specifico, rilevava la presenza di una fessura strutturale – posta sotto l’arcata del ponte e che raggiunge la fondazione dello stesso – molto più estesa rispetto a quella rappresentata nel progetto esecutivo approvato dall’amministrazione.

L’aggiudicataria rappresentava quanto sopra alla stazione appaltante, sia direttamente in occasione della consegna dei lavori, sia il giorno successivo a mezzo lettera, facendo rilevare che se l’aggiudicataria avesse proceduto “[…] ad eseguire le opere siccome descritte nel progetto esecutivo, anziché riparare il ponte, se ne sarebbe determinato il suo crollo […]”, con conseguente “[…] grave rischio anche per l’incolumità fisica delle maestranze che avrebbero dovuto essere impiegate per la esecuzione dei lavori considerati […]”.

Il Comune respingeva però le argomentazioni della ricorrente, facendo rilevare che l’aggiudicataria era intervenuta il giorno della consegna lavori unicamente con la presenza del legale rappresentante della società, in assenza delle maestranze e degli strumenti di lavoro ed oltretutto sprovvisto della documentazione necessaria per la sottoscrizione del contratto di appalto; fissava pertanto una nuova convocazione dell’aggiudicataria per il giorno 19 dicembre 2018, al fine di perfezionare detta operazione, ma in quella data l’Impresa Scala Santo s.r.l., sciogliendo la precedente riserva di accettazione dell’appalto, ribadiva l’impossibilità di dare seguito ai lavori indicati nel progetto esecutivo, rifiutando conseguentemente di eseguirli.

A seguito di tale rifiuto, il Comune di Minerbio disponeva la revoca dell’aggiudicazione.

Avverso tale provvedimento l’Impresa Scala proponeva ricorso al Tribunale amministrativo dell’Emilia Romagna, contestando i vizi di eccesso di potere per difetto di istruttoria, errore nei presupposti, difetto di motivazione, sviamento di potere; contraddittorietà, violazione art. 21-quinquies l. n. 241 del 1990, violazione dei principi di qualità delle prestazioni di correttezza, come esplicitati dall’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016.

Il comune di Minerbio, costituitosi in giudizio, chiedeva la reiezione del ricorso, in quanto infondato.

Con sentenza 29 marzo 2019, n. 308, il giudice adito respingeva il gravame, sul presupposto che la ricorrente in realtà disponesse degli strumenti indicati nella lex specialis per presentare un’offerta con piena conoscenza di tutti i dati e degli elementi relativi ai lavori appaltati. Nonostante ciò, però, da un lato la stessa non avrebbe esaminato, con la dovuta accortezza e approfondimento, la disciplina di gara e, in particolare, la documentazione relativa alla progettazione esecutiva, dall’altro avrebbe pure rinunciato a eseguire il sopralluogo antecedente la presentazione dell’offerta.

Avverso tale decisione l’Impresa Scala Santo interponeva appello, deducendo un unico articolato motivo di impugnazione così rubricato: “Error in iudicando in relazione al (unico e articolato) motivo di impugnazione azionato in primo grado. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, errore nei presupposti e difetto di motivazione, nonché per insanabile contraddittorietà. Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 quinquies della legge n. 241/1990.

Il provvedimento di revoca disposto dal Comune di Minerbio merita di essere annullato in quanto adottato in assenza dei necessari presupposti e (anche, per l’effetto) non supportato da adeguata motivazione.

Anche la legge di gara e la aggiudicazione disposta in favore della ricorrente impresa meritano di essere annullate, in quanto ugualmente basate su elaborati di progetto erronei, perché non rappresentanti la lesione strutturale effettivamente insistente sul manufatto oggetto di intervento.

Sviamento di potere. Violazione dei principi di qualità delle prestazioni e di correttezza, siccome anche esplicitati dall’art. 29, c. 1, d.lgs. n. 50/2016”.

Riproponeva quindi istanza volta ad ottenere il risarcimento del danno asseritamente patito per effetto del comportamento tenuto dall’amministrazione.

Si costituiva in giudizio il Comune di Minerbio, chiedendo la reiezione dell’appello in quanto infondato.

Successivamente le parti ulteriormente precisavano, con apposite memorie, le rispettive tesi difensive ed all’udienza del 29 ottobre 2019, dopo la rituale discussione, la causa veniva trattenuta in decisione.

Argomento centrale a sostegno delle doglianze formulate dall’appellante è la presunta strutturale difformità tra quanto riportato nel progetto esecutivo dell’opera – predisposto dall’amministrazione e posto a fondamento sia della lettera di invito che della corrispondente offerta dell’Impresa Scala (nonché, ovviamente, della conclusiva aggiudicazione) – ed il reale stato dei luoghi.

Difformità che l’aggiudicataria, odierna appellante, aveva riscontrato in occasione della consegna (anticipata) dei lavori, verificando che lo stato del manufatto interessato dall’intervento non corrispondeva a quello riportato a livello progettuale.

La società aveva indicato quanto sopra alla stazione appaltante, rappresentando altresì come, in ragione di tale ben significativo difetto, non risultassero eseguibili i lavori secondo le indicazioni progettuali riportate.

Ad ulteriore sostegno delle proprie ragioni, l’appellante rileva come lo stesso verbale di consegna dei lavori (doc. 10 di parte) richiamava l’art. 154 del d.P.R. n. 207 del 2010 il quale, al termine del comma primo, significativamente prevede che la consegna avvenga ove “lo stato attuale è tale da non impedire l’avvio e la prosecuzione dei lavori” (in termini analoghi l’attuale art. 8, comma 5, lett. c) del d.M.I.T. 7 marzo 2018, n. 49).

Correttamente dunque l’Impresa Scala si sarebbe rifiutata di eseguire i lavori così come indicati nell’offerta, proprio in virtù del fatto che lo “stato” di fatto alla base di quest’ultima in realtà non sussisteva.

Il motivo è fondato.

Va in primo luogo rilevato come il Comune di Minerbio non abbia in realtà contestato la denunziata difformità dello stato di fatto rispetto alle indicazioni contenute nel progetto esecutivo, ribadendo anzi (con nota 17 dicembre 2018, richiamata nel provvedimento di revoca) “la fattibilità del progetto approvato e si smentisce che gravi perturbazioni abbiano generato una modifica delle condizioni di stato attuale nonché che ci sia un pericolo di crollo nell’esecuzione”.

In ogni caso, l’amministrazione si limitava a presumere “che il progetto esecutivo […] sia stato valutato, sia dal punto di vista della fattibilità che della congruità economica, in sede di offerta economica e pertanto non si capisce quale sia l’intenzione dell’Impresa”.

Deve però concludersi che, se anche gli operatori economici avevano a rigore la possibilità (del tutto facoltativa) di verificare a loro volta lo stato dei luoghi prima della presentazione delle offerte, ciò non avrebbe comunque giustificato l’utilizzo di dati scorretti da parte della stazione appaltante, nella predisposizione degli atti di gara.

Nel caso di specie, come si è detto, il “progetto approvato” e lo “stato attuale” della situazione ove i lavori dovevano intervenire non corrispondevano affatto.

Ad ulteriore riscontro di quanto sopra basti rilevare che, a seguito della revoca dell’aggiudicazione, il Comune di Minerbio svolgeva una nuova procedura negoziata sulla base del medesimo progetto esecutivo posto a base della precedente gara, infine aggiudicata dall’impresa Geotecnica Lavori s.r.l.

La realizzazione dei lavori, peraltro, come documentato dall’odierna appellante non seguiva le originarie indicazioni di progetto, ma si svolgeva seguendo delle modifiche sostanziali quali:

1) la realizzazione di micropali dalla sommità del ponte (anziché ad una profondità di circa 5 m) e con inclinazioni differenti rispetto a quanto previsto dal progetto esecutivo;

2) l’esecuzione di interventi “propedeutici” rispetto all’esecuzione delle opere, volti a scongiurare il crollo del manufatto.

In breve, gli interventi che la prima aggiudicataria aveva indicato ai fini della messa in sicurezza del ponte, peraltro negati dalla stazione appaltante.

Decisiva, al riguardo, appare una perizia di variante – redatta dallo stesso Studio professionale autore del progetto esecutivo a base di gara – approvata dal Comune di Minerbio il 22 maggio 2019 (cfr. doc. 26 di parte appellante), nella quale si precisa che:

- “Le modifiche si sono rese necessarie a seguito delle evidenze emerse nell’ambito delle attività preliminari alla apertura del cantiere ed in considerazione di proposte migliorative sviluppate dalla Impresa” (cfr. doc. 26, pag. 6);

- “I muri d’ala hanno subito una azione dilavante alla base indotta dalle oscillazioni del livello del canale Zena, come già rilevato nel corso delle indagini condotte in fase progettuale, con scalzamento al di sotto della base di appoggio della muratura che in corrispondenza del muro oggetto di lesione risulta pressoché completo. Tale condizione ha comportato, nel corso della esecuzione dei micropali, un aggravio della lesione riscontrata fino ad una ampiezza di ordine decimetrico confermando un suo prolungamento anche in parte della arcata come già individuato in sede di sopralluoghi preliminari alla progettazione” (cfr. doc. 26, pag. 7);

- “A seguito delle condizioni rilevate in sede di cantiere sono state assunte le seguenti modifiche rispetto alle lavorazioni previste da progetto:

1) definizione nuova quota per struttura di fondazione a -3,10m da p.c;

2) ridistribuzione dei pali previsti a ridosso dei muri d’ala in pianta e collegamento muri d’ala – fondazione;

3) riposizionamento del muro d’ala fessurato nella sede originaria mediante sistema di tiranti e martinetti meccanici” (cfr. doc. 26, pag. 8);

L’aggravio della lesione in conseguenza all’inizio della esecuzione dei pali ha evidenziato la necessità di mantenere gli stessi ad una maggiore distanza dalle pareti laterali per escludere eventuali indebolimenti delle strutture non oggetto di lesioni” (cfr. doc. 26, pag. 8).

Dette modifiche, in quel momento considerate dall’amministrazione come necessarie, coincidono però proprio con quelle a suo tempo indicate dall’Impresa Scala Santo s.r.l. e dalla stessa amministrazione respinte.

Al riguardo, risulta convincente il raffronto operato dall’appellante tra le originarie “indicazioni” dell’Impresa Scala Santo s.r.l. e le lavorazioni poi effettivamente realizzate.

Secondo l’odierna appellante, infatti, sarebbe stato necessario:

- limitare quanto più possibile lo scavo a tergo della spalla del ponte;

- innalzare, di conseguenza, la quota della fondazione dei micropali prolungandoli;

- puntellare/ “tirantare” il ponte prima di eseguire le lavorazioni (cfr. in particolare i docc. 7 e 21).

Nella perizia di variante si legge (invece) che:

- i micropali sono stati eseguiti ad una differente quota (- 3.1 m dal p.c.) rispetto a quanto previsto nel progetto esecutivo (- 5 m da p.c.) e sono stati proprio al fine di limitare lo scavo che avrebbe potuto essere causa di gravi cedimenti della struttura;

- i micropali sono stati innalzati di circa 2 m e si è dunque modificata la posizione della fondazione rispetto alla struttura del ponte (cfr. doc. 26, pag. 8).

Peraltro, nelle osservazioni rese dall’autore della perizia di variante, si indica che la spalletta che da progetto doveva essere demolita è stata invece mantenuta inserendo dei tiranti di ancoraggio, su suggerimento della nuova impresa aggiudicataria.

Trova quindi smentita, per tabulas, l’allegazione difensiva del Comune di Minerbio, di cui alla memoria del 17 maggio 2019, in base alla quale “Il progetto è […] perfettamente eseguibile e non necessitava (né ha necessitato…) di alcuna variante sostanziale”, laddove le pretese dell’iniziale aggiudicataria nessun altro scopo avrebbero avuto che quello di ottenere un indebito aumento del corrispettivo.

Sotto altro concorrente profilo, non rileva ad escludere le ragioni dell’appellante la circostanza che questa non avesse svolto alcun preventivo sopralluogo per verificare de visu l’effettivo stato dei luoghi, confidando nella correttezza delle indicazioni al riguardo fornite dalla stazione appaltante.

Invero, se da un lato tale eventualità era prevista nella lex di gara come del tutto facoltativa, è in ogni caso evidente che gli operatori economici partecipanti alla procedura non potevano non riporre un legittimo affidamento sulla correttezza dei dati di fatto indicati proprio dalla stazione appaltante in ordine all’oggetto dell’appalto; né quest’ultima potrebbe fondatamente opporre una sosta di “concorso di colpa” dell’aggiudicataria, anche solo ai fini risarcitori, per aver confidato nella veridicità delle informazioni tecniche essenziali dalla stessa poste a base del progetto esecutivo.

Deve quindi concludersi per l’illegittimità del provvedimento di revoca, oggetto di impugnazione nel precedente grado di giudizio.

A tal punto va quindi scrutinata l’istanza risarcitoria proposta dall’appellante.

Ad un complessivo esame delle risultanze di causa, la responsabilità dell’amministrazione va ricondotta al modulo della responsabilità precontrattuale – nei limiti quindi dell’interesse negativo o da inutile partecipazione alla gara – per avere la stazione appaltante determinato (con una condotta qualificabile perlomeno come gravemente colposa) la revoca in autotutela dell’aggiudicazione precedentemente disposta, in ragione del rifiuto dell’aggiudicataria di realizzare i lavori secondo le modalità originariamente pattuite, rifiuto poi rivelatosi legittimo.

Va innanzitutto riconosciuta la risarcibilità delle somme inutilmente sborsate dall’Impresa Scala Santo s.r.l. in ragione della (inutile) partecipazione alla procedura negoziata, come di seguito dettagliate e documentate:

1) somma pagata al fine di presentare, nella procedura in questione, la prescritta “garanzia provvisoria” (di cui all’art. 11.5 Disciplinare), pari ad euro 45,00 (polizza fideiussoria provvisoria con la compagnia Elba Assicurazioni s.p.a. - doc. 14);

2) costo dell’impegno lavorativo prestato dal direttore tecnico della società per la preparazione dell’offerta, pari a non meno di 4 ore lavorative, pari ad euro 99,52 (euro/ora 24,88 x 4);

3) costo dell’impegno lavorativo prestato dall’addetto amministrativo della società per la presentazione dell’offerta, pari a non meno di 4 ore lavorative, pari ad euro 94,20 (euro/ora 23,55 x 4).

Sono inoltre dovute dal Comune le somme che l’Impresa Scala stata obbligata a corrispondere in favore della compagnia Elba Assicurazioni, a titolo di rifusione del pagamento dalla cauzione provvisoria che il Comune di Minerbio aveva preteso dal predetto fideiussore in relazione alla procedura in questione, pari ad euro 803,00 (docc. 15 e 16).

Per le stesse ragioni è altresì dovuto il rimborso delle spese vive (notifiche postali, costrette dalla inadempienza del Comune a comunicare il proprio indirizzo Pec a termini di legge), spese di contributo unificato, spese di consulenza tecnica, nonché competenze professionali del procuratore legale (nei giudizi amministrativi di primo e secondo grado) in favore di parte ricorrente/appellante, come già precisate nel precedente grado di giudizio (docc. 17 e 18).

Conclusivamente, alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va accolto, con conseguente integrale riforma della sentenza impugnata ed accoglimento della domanda risarcitoria dell’Impresa Scala nei termini sopra precisati.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, per l’effetto accogliendo – in riforma dell’impugnata sentenza – il ricorso originariamente proposto dall’Impresa Scala Santo s.r.l., nei termini esposti in motivazione.

Condanna il Comune di Minerbio al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese di lite del doppio grado di giudizio, che liquida complessivamente in euro 6.000,00 (seimila/00), oltre Iva e Cpa se dovute.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 ottobre 2019.

 

 

 

Guida alla lettura

La Sezione con la sentenza in rassegna, ha confermato l'orientamento giurisprudenziale consolidato in materia di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione relativamente al settore degli appalti.

Infatti, nel caso di specie, il Collegio ha condannato la Stazione Appaltante al risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale, derivante dalla illegittimità della revoca dell'aggiudicazione in autotutela, determinato dal rifiuto manifestato dall'aggiudicataria di realizzare i lavori secondo le modalità originariamente pattuite, perché lo stato di fatto del manufatto interessato dall'intervento era tale da impedire l'avvio e la prosecuzione dei lavori.

In particolare, l'amministrazione omettendo la descrizione del reale stato dei luoghi, aveva ingenerato nell'operatore economico un affidamento legittimo circa i lavori da effettuare, compromettendo in tal modo la conclusione del contratto.

Per comprendere le ragioni della statuizione, è opportuno ripercorrere brevemente la vicenda giudiziaria.

L'impresa ricorrente partecipava ad una gara di appalti pubblici indetta mediante procedura negoziata per l'affidamento di lavori di ristrutturazione tramite consolidamento di un ponte.

L'aggiudicataria, in occasione della consegna dei lavori, rappresentava alla stazione appaltante di aver rilevato la presenza di una fessura strutturante molto più estesa rispetto a quella indicata nel progetto esecutivo approvato dall'amministrazione. Per tali motivi, l'impresa ricorrente deduceva l'impossibilità di dare seguito ai lavori indicati nel progetto esecutivo, ritenendo che gli stessi dovessero essere preceduti da una serie di ulteriori lavorazioni dalla stessa indicati.

A causa del rifiuto di eseguire i lavori così come indicati nel progetto esecutivo, la stazione appaltante disponeva la revoca in autotutela dell'aggiudicazione.

L'impresa impugnava la revoca innanzi al Tribunale Amministrativo territorialmente competente, ritenendola illegittima, invocando, tra gli altri, la violazione del principio di qualità delle prestazioni, nonchè del principio di correttezza.

I Giudici di prime cure respingevano il ricorso, sulla base dell'assunto secondo cui la ricorrente avrebbe potuto presentare un'offerta completa, essendo tutti gli elementi indicati nella lex specialis, e che, in ogni caso avrebbe potuto avere notizia delle criticità rilevate prima dell'aggiudicazione dell'appalto, effettuando il sopralluogo facoltizzato dalla lex specialis.

L'impresa impugnava la sentenza di prime cure, chiedendo l'annullamento della revoca, nonchè del bando  e dell'aggiudicazione, in quanto basate su elaborati di progetti errati che non avevano tenuto in considerazione l'effettiva portata della lesione, oltre il risarcimento danni derivante dal comportamento scorretto tenuto dalla pubblica amministrazione.

La Sezione V del Consiglio di Stato, riformando integralmente la sentenza impugnata, condannava la pubblica amministrazione al risarcimento dei danni derivanti da responsabilità precontrattuale, nei limiti dell'interesse negativo.

In particolare, ad avviso dei Giudici di Palazzo Spada, nel caso di specie la revoca doveva essere annullata, in quanto basata su presupposti errati.

Infatti, l'impresa aggiudicataria aveva rappresentato la situazione alla stazione appaltante che, in effetti, con la successiva aggiudicazione aveva fatto eseguire i lavori già individuati dalla ricorrente, ulteriori rispetto a quelli richiesti dal progetto esecutivo.

Inoltre, per quel che riguarda il mancato sopralluogo, i Giudici hanno rilevato che da un lato si trattava di una facoltà concessa alle imprese partecipanti e non di un obbligo e dall'altro,  che in ogni caso, l'impresa riponeva un legittimo affidamento nei dati indicati dalla stessa stazione appaltante, circa la tipologia di lavori da eseguire.

Conseguentemente, il Collegio ha ritenuto che il legittimo affidamento riposto dagli operatori econonomici nei dati di fatto indicati dalla Stazione Appaltante, sia idoneo ad integrare gli estremi della responsabilità precontrattuale derivante da inutile partecipazione alla gara, con ciò dando seguito all'orientamento favorevole ad allargare le maglie della responsabilità precontrattuale, come stabilito dall'Adunanza Plenaria 5/2018.

Sul punto, per completezza, si osserva quanto segue.

L'Adunanza Plenaria 5/2018, avallando l'orientamento estensivo in tema di responsabilità precontrattuale, ha affermato che in materia di contratti pubblici si è in presenza di una formazione necessariamente progressiva del contratto, che si sviluppa secondo lo schema dell'offerta al pubblico, dove si registra un primo contatto con una possibilità di possibili contraenti. Non è perciò possibile scindere il momento di sviluppo del procedimento negoziale, limitando l'applicazione delle regole di responsabilità precontrattuale alla fase in cui il contatto sociale viene qualificato con l'aggiudicazione del contratto. Pertanto, anche la condotta anteriore a tale momento temporale deve sottostare alle disposizioni di cui all'art. 1337 c.c.

Pertanto, se durante la fase formativa del contratto la P.A. viola quel dovere di lealtà e di correttezza ponendo in essere comportamenti che non salvaguardano l'affidamneto della controparte, essa risponde per responsabilità precontrattuale.

L'evoluzione dei concetti di correttezza e buona fede, i quali rinvengono il proprio addentellato costituzionale nell'art. 2 Cost, comporta che il generale dovere di solidarietà oltrepassi la sfera meramente contrattuale per intensificarsi e rafforzarsi, trasformandosi in dovere di correttezza e protezione, quando tra i consociati si instaurano momenti relazionali socialmente o giuridicamente qualificati, tali da generare, unilateralmente o, talvolta, anche reciprocamente, ragionevoli affidamenti sull'altrui condotta corretta e protettiva".

La Sezione, nell'applicare i parametri sopra individuati al caso di specie, ha ritenuto che i dati fattuali indicati nella lex specialis, fossero idonei ad ingenerare un legittimo affidamento negli operatori circa la veridicità delle informazioni tecniche essenziali dalla stessa Stazione Appaltante poste a base del progetto esecutivo. Con la conseguenza che, risultano integrati gli estremi di cui all'art. 1337 c.c., avendo la p.a. impedito la conclusione del contratto, coinvolgendo l'operatore in trattative inutili.