Consiglio di Stato, Sez. VI, 23 ottobre 2019, n. 7208 - rimessione Adunanza Plenaria

Si sottopone all’Adunanza Plenaria il quesito volto a chiarire se la legittimazione a proporre ricorso giurisdizionale da parte delle associazioni, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, sussisterebbe in capo a tutte, anche se sprovviste di legittimazione legale, purché rispondano a determinati criteri, costituiti dall’effettivo e non occasionale impegno a favore della tutela di determinati interessi diffusi o superindividuali, dall’esistenza di una previsione statutaria che qualifichi detta protezione come compito istituzionale dell'associazione e dalla rispondenza del paventato pregiudizio agli interessi giuridici protetti posti al centro principale dell'attività dell'associazione.

Il giudice remittente rileva un contrasto giurisprudenziale a proposito della legittimazione ad agire degli enti collettivi e, in primo luogo, delle associazioni[1].

Osserva il Collegio che, secondo un diverso orientamento[2], sarebbe superato quello tradizionale del cd. doppio binario, in base al quale le associazioni, ove possano dimostrare di rispondere a determinati requisiti[3], sono legittimate di per sé, ovvero a prescindere e in aggiunta rispetto a quanto previsto da specifiche disposizioni di legge, ad impugnare avanti il Giudice amministrativo i provvedimenti che ritengano lesivi degli interessi diffusi che fanno capo agli associati da loro rappresentati, dei quali si configurano come ente esponenziale. Tale regola sarebbe stata sostituita da un principio di tassatività, per cui la legittimazione degli enti esponenziali è eccezionale e sussiste nei soli casi espressamente previsti dalla legge.

La teoria tradizionale risalente agli anni Settanta del secolo scorso[4], secondo la quale “l'interesse diffuso si trasforma in interesse collettivo e, quindi, in interesse legittimo azionabile ‘soggettivandosi’ in capo all’ente esponenziale costituito per la tutela degli interessi comuni del gruppo”, sarebbe stata superata, ad opera di una “progressiva istituzionalizzazione” della tutela per effetto di una serie di interventi del legislatore che hanno previsto in modo espresso la legittimazione delle associazioni, di solito di quelle iscritte in appositi elenchi, a proporre determinate azioni[5].

Detti interventi legislativi avrebbero prodotto il risultato di superare la regola giurisprudenziale della legittimazione riconosciuta in via generale agli enti esponenziali in favore della regola restrittiva di cui si è detto, per cui la legittimazione degli enti esponenziali sarebbe eccezionale e richiederebbe una specifica disposizione che la consente, anche come conseguenza del principio generalissimo del diritto processuale civile, per cui ai sensi dell’art. 81 c.p.c. "fuori dai casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui"[6].

Si osserva, in sede di remissione, che l’indirizzo tradizionale appare più consono ai valori espressi dalla Carta costituzionale, come l’art. 18 che riconosce la libertà di associazione e l’effettività della tutela garantita dall’art. 24 Costituzione in relazione ad interessi coinvolti in settori come l’ambiente, la salute, la stabilità dei mercati finanziari, che i singoli potrebbero proteggere solo agendo in forma associata, con una modalità che del resto è pienamente consona allo spirito dell’art. 2 Costituzione, che riconosce e garantisce le “formazioni sociali” come luogo in cui la personalità dei singoli va a manifestarsi.


[1] In dottrina, per una recente interessante trattazione a proposito della legittimazione all’azione nel processo amministrativo, F. Saitta, La legittimazione a ricorrere: titolarità o affermazione?, in www.giustizia-amministrativa.it, 2019.

[2] Cons. Stato, Sez. IV, 28 maggio 2012, n. 3137; Id., 16 giugno 2011, n. 3662, nonché TAR Lazio, Roma, Sez. II quater, 7 gennaio 2017, n. 165 (sentenza, quest’ultima, oggetto d’impugnazione in appello il cui giudizio ha originato l’ordinanza di rimessione all’Adunanza plenaria di cui trattasi).

[3] I requisiti che consentirebbero di proporre ricorso  a tutte le associazioni, anche se sprovviste di legittimazione legale, sono costituiti dal loro effettivo e non occasionale impegno a favore della tutela di determinati interessi diffusi o superindividuali, dall’esistenza di una previsione statutaria che qualifichi detta protezione come compito istituzionale dell'associazione e dalla rispondenza del paventato pregiudizio agli interessi giuridici protetti posti al centro principale dell'attività dell'associazione.

[4] Recentemente, in senso conforme, Cons. Stato, Sez. V, 12 marzo 2019, n. 1640; Id., Sez. IV, 9 gennaio 2014, n. 36; Id., Sez. V, 15 luglio 2013, n. 3808.

[5] V., articolo 18, comma 5, della legge 8 luglio 1986, n. 349, che consente alle associazioni ambientaliste, individuate in base all’art. 13 della stessa legge, di "intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi"; articolo 1, comma 4, del d.lgs. 20 dicembre 2009, n. 198, che riconosce espressamente alle associazioni di categoria il potere di proporre ricorso per l’efficienza delle amministrazioni pubbliche e dei concessionari di pubblici servizi; articoli 140 e 140 bis del d.lgs. 6 settembre 2006, n. 206, che consentono alle associazioni dei consumatori di agire per ottenere l’inibitoria di comportamenti lesivi ovvero di proporre la cd. azione di classe, per il risarcimento del danno derivante dalla lesione dei diritti individuali e omogenei dei consumatori, nonché articolo 32 bis del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, in base al quale "Le associazioni dei consumatori” inserite nell'elenco di cui all’articolo 137 del Codice del consumo, “sono legittimate ad agire per la tutela degli interessi collettivi degli investitori, connessi alla prestazione di servizi e attività di investimento e di servizi accessori e di gestione collettiva del risparmio, nelle forme previste dagli articoli 139 e 140 del predetto decreto legislativo", ovvero del Codice del consumo.

[6] Sulla configurazione del processo amministrativo in quanto volto a garantire, su responsabile domanda di chi ha un particolare interesse, tutela alle situazioni giuridiche soggettive differenziate protette dall'ordinamento (quindi, una giurisdizione in senso soggettivo, temperata da eccezionali ipotesi di c.d. legittimazione oggettiva), Cons. Stato, Ad. plenaria, 11 maggio 2018, n. 6; Id., 27 aprile 2015, n. 5; Id., 13 aprile 2015, n. 4; Id., 25 febbraio 2014, n. 9.

LEGGI L'ORDINANZA

Pubblicato il 23/10/2019

N. 07208/2019 REG.PROV.COLL.

N. 02885/2017 REG.RIC.           

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 2885 del 2017, proposto dal

 

CODACONS – Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori, in persona del legale rappresentante pro tempore;

 

e dai signori: Ivan Balelli, Giancarlo Bottari, Natalia Braga, Vinicio Cardelli, Luciano Cerini, Salvatore Cigna, Mauro Cioccarelli, Giuseppe Clemente, Giuseppe Di Napoli, Gerardo Dixit Dominus, Maria Fabiani, Valeria Funari, Fausto Giorgetti, Giovanni Giorgetti, Mariano Giuliodori, Angela Iovinelli, Luigi Luzzitelli, Andrea Manfrinato, Pasquale Marino, Giancarla Melecci, Maurilia Menghi, Adriana Montoncello, Silvestro Muzio, Giuseppe Orsi, Lorenzo Perugini, Cesare Pierdominici, Davide Poli, Salvatore Riggio, Marco Rolloni, Domenico Roselli, Maria Rossetti, Maria Chiara Rossetti, Leonardo Salmi, Lorenzo Scarpa, Cristina Targa, Massimiliano Tordi, Alessandro Vanzelli, Pio Zampironi, Mario Zucchini, Simone Agostini, Vincenzo Apicella, Rosalba Asprella, Graziano Bacci, Giovanna Badiali, Stefano Baldi, Daniela Baldini, Anna Elena Bandinu, Franca Bartoletti, Ines Bartoletti, Enrico Beccarini, Pier Luigi Bedani, Raffaello Bedendo, Simone Benelli, Stefano Benocci, Giordano Bertasi, Sonia Bertelli, Angelica Bigoni, Donnino Bigoni, Eleonora Bigoni, Giuseppe Paris Bondi, Ruggero Bonesi, Ernesto Bonetti, Libero Borzi, Vincenzo Borzi, Carla Bottoni, Roberto Bottura, Rita Briglia, Anna Brunori, Vittorio Brusaferro, Angelo Burini, Ennio Burini, Sandra Calamai, Marino Calderoni, Giuliano Caleffi, Alessandro Callai, Adelio Campi, Silvio Canella, Fausto Cantoni Copetti, Fausto Capesciotti, Mario Carboni, Saverio Cardi, Silvia Cardi, Rosa Ascenza Carducci, Giovanni Carli, Lucia Carlucci, Monica Casadei, David Casagrande, Emilia Caselli, Francesca Casillo, Luciano Casillo, Paolo Cavigli, Piero Celli, Annamaria Cerbone, Francesco Cerquetti, Gianni Cerveglieri, Carlo Checchinato, Walter Paolo Cherchi, Maddalena Colalillo, Mauro Coletti, Elio Comparato, Susanna Comparato, Massimo Correggioli, Maria Cortecci, Alessandro Coscarelli, Paolo Croce, Diego D'Angelo, Eugenio D'Angelo, Fabio De Minicis, Rita Dei Giudici, Rossana Del Zio, Andrea Di Cicco, Romeo Di Loreto, Liliana Di Pasquale, Claudia Di Petta, Daniele Dominici, Claudio Espinosa, Lina Fattori, Dario Fava, Antonio Federico, Gabriella Ferranti, Alessandro Ferrari, Giovanni Ferrari, Attilio Ferri, Elio Folco, Pio Franco, Moreno Gazzarrini, Anna Maria Gazzoli, Marisa Gennari, Carlo Luciano Gentili, Orano Ghignoni, Angiolina Ghinassi, Concetta Carla Ghinassi, Edelwais Giannessi, Giuseppe Giarrizzo, Domenico Giordani, Pasquale Giugliano, Luigi Giulietti, Angelo Gregori, Luciano Grifoni, Lucia Guarducci, Giacomo Guberti, Pietro Carlo Guida, Mario Haussmann, Leone Iacovacci, Bruno Lanzi, Roberto Lazzari, Daniela Leggeri, Giuliana Lince, Maurizio Lisi, Alberto Lolli, Enrico Lolli, Maria Giulia Lolli, Paolo Lucchetti, Giuseppe Lunghini, Igor Luzzana, Giuseppe Maggiora, Filippo Magnoni, Cesare Malagù, Ludovico Mantovanelli, Stefano Mappa, Tommaso Mappa, Cristiana Maragno, Guido Marco Maria Marenco, Davide Marescotti, Carla Marinelli, Clara Marinelli, Piergiuseppe Mariotti, Sandrina Martinelli, Walter Martinelli, Gabriele Massa, Gisella Matta, Lorenzo Meloro, Maria Giovanna Menni, Angelo Minari, Bruno Missora, Diego Modonesi, Regina Mucci, Gaspare Mura, Stefano Muscioni, Elvio Nocchi, Luigi Nova, Luigina Orlandi, Tamara Pace, Maurizio Palazzi, Manuela Palmaccio, Turano Palmieri, Enzo Panico, Ettore Panico, Patrizia Paoletti, Santina Paoletti, Gianluca Paone, Tommasina Paris, Emanuele Parisi, Romano Pasello, Rosanna Pastocchi, Massimo Pastorelli, Lara Pavoni, Maurizio Peccia, Paolo Perrone, Emanuele Pezzoli, Paola Pietrangeli, Luca Pilutti, Luigi Pini, Moira Piva, Elisa Polo, Carlo Alberto Porchianello, Chiara Pretolani, Anna Previati, Antonella Previati, Giancarla Quacquarini, Angela Radoccia, Luigi Renzullo, Fabrizio Ricci, Maurizio Righetti, Aldo Rossi, Cristian Rossi, Mario Rucci, Sabine Gisela Salander, Tiziana Salerni, Maria Salsa, Pietro Salto, Mario Salvatore, Denis Sansuini, Maurizio Sansuini, Fabio Santilocchi, Elisabetta Scarano, Francesca Serbenski, Morano Sinatti, Giovanni Sorci, Vera Speroni, Violetta Spigariol, Rosa Stasi, Silvia Strona, Fabrizia Svorinich, Caresio Tamagnini, Orsolina Tenti, Franca Torcolacci, Claudio Tordelli, Maria Cristina Tordelli, Marianna Torelli, Maria Luisa Trevaini, Nicola Tupone, Carlo Vettore, Marilena Viaggi, Luciano Vitiello, Antonio Zaccarini, Michele Zamboni;

 

rappresentati e difesi dagli avvocati Gino Giuliano e Carlo Rienzi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Rienzi in Roma, viale delle Milizie, 9;

 

contro

la Banca d'Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Marco Mancini, Marco Di Pietropaolo e Donato Messineo, con domicilio eletto presso il servizio di avvocatura dell’ente, in Roma, via Nazionale, 91;
la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell'economia e delle finanze, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero della giustizia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
la CONSOB – Commissione nazionale per le società e la borsa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuliana Manto, Salvatore Providenti, Raffaella Sette e Anna Elisabetta Musy, con domicilio eletto presso la sede dell’ente, in Roma, via G.B. Martini, 3,

nei confronti

delle società Nuova Banca Marche S.p.a., Nuova Banca dell'Etruria e del Lazio S.p.a., Nuova Cassa di risparmio della provincia di Chieti S.p.a., in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Massimo Merola, Luca Raffaello Perfetti, Giuseppe Ruggero Filippo Rumi e Silvia Romanelli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Luca Raffaello Perfetti in Roma, via Vittoria Colonna, 39;
delle società Nuova Cassa di risparmio di Ferrara S.p.a., Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio S.c. a r.l. in amministrazione straordinaria, Banca delle Marche S.p.a. in amministrazione straordinaria, Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.a. in amministrazione straordinaria, Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti S.p.a. in amministrazione straordinaria, non costituite in giudizio;

per l’annullamento ovvero la riforma

della sentenza del TAR Lazio, sede di Roma, sezione II quater, 7 gennaio 2017 n.165, resa fra le parti, la quale ha respinto il ricorso n.906/2016 R.G. proposto per l’annullamento degli atti e dei provvedimenti con i quali è stata disposta la risoluzione ai sensi degli artt. 20 e ss. del d. lgs. 16 novembre 2015 n.180 della Banca popolare dell’Etruria e del Lazio, della Banca popolare delle Marche S.p.a., della Cassa di risparmio di Ferrara – CaRiFe S.p.a e della Cassa di risparmio della provincia di Chieti - CaRiChieti S.p.a., già in amministrazione straordinaria, e segnatamente:

a) dei provvedimenti della Banca d’Italia 21 novembre 2015 prot. n. 1241015/15 e delibera 554/2015; prot. n. 1241013/15 e delibera 553/2015; prot. n. 1241012/15 e delibera 555/2015; prot. n. 1241014/15 e delibera 556/2015, i quali hanno disposto la risoluzione nei confronti rispettivamente della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, S.c. a r.l. in amministrazione straordinaria, della Banca delle Marche S.p.a. in amministrazione straordinaria, della Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.a. in amministrazione straordinaria e della Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti S.p.a. in amministrazione straordinaria;

b) dei decreti del Ministro dell’economia e delle finanze - MEF 22 novembre 2015, di approvazione dei predetti provvedimenti;

c) dei provvedimenti della Banca d’Italia 22 novembre 2015, con cui è stata disposta la cessione delle aziende facenti capo alle predette banche agli enti-ponte, con tutti i diritti, le attività e le passività;

d) dei provvedimenti della Banca d’Italia 22 novembre 2015, che hanno determinato la decorrenza giuridica della risoluzione delle predette banche;

e) dei provvedimenti della Banca d’Italia 22 novembre 2015, con i quali sono stati nominati gli organi delle procedure di risoluzione delle predette banche;

f) dei provvedimenti della Banca d’Italia 22 novembre 2015, di svalutazione di azioni e subordinati, che dispongono la riduzione integrale delle riserve e del capitale rappresentato da azioni nonché del valore nominale degli elementi di classe 2 computabili nei fondi propri delle predette banche, con conseguente estinzione dei relativi diritti amministrativi e patrimoniali;

g) dei provvedimenti della Banca d’Italia, di data imprecisata, di valutazione della sussistenza dei presupposti per l’ammissione degli istituti creditizi alla procedura di risoluzione;

h) degli atti ovvero provvedimenti istitutivi degli enti-ponte Nuova Banca dell'Etruria e del Lazio S.p.a., Nuova Banca delle Marche S.p.a., Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.a. e Nuova Cassa di Risparmio di Chieti S.p.a.;

i) dell’atto 19 gennaio 2016, recante “Invito a manifestare interesse in relazione all’operazione di dismissione di Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.a., Nuova Banca delle Marche S.p.a., Nuova Banca dell'Etruria e del Lazio S.p.a., Nuova Cassa di Risparmio di Chieti S.p.a.”;

e di ogni altro atto preordinato, presupposto, conseguente, connesso o collegato, ivi inclusi gli atti di rifiuto di corrispondere ai ricorrenti il controvalore dei titoli acquistati;

nonché per la condanna

della Banca d’Italia e della Commissione nazionale per le società e la borsa - CONSOB al risarcimento del danno ex art. 30 c.p.a. per l’omesso ovvero illegittimo esercizio dell’attività amministrativa e in particolare per l’omessa ovvero illegittima attività di controllo e vigilanza esercitata sui soggetti sottoposti a procedura di risoluzione;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 novembre 2018 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti gli avvocati Giuliano e Rienzi, l’avvocato dello Stato Federico Basilica, nonché gli avvocati Manto, Musy, Di Pietropaolo e Perfetti;

 

1. Si controverte dei provvedimenti, meglio indicati in epigrafe, con i quali la Banca d’Italia e il Ministero appellati, ciascuno per la rispettiva competenza, hanno amministrato la crisi degli istituti di credito controinteressati appellati disponendone la risoluzione ai sensi degli artt. 20 e ss. del d. lgs. 16 novembre 2015 n.180, che ha introdotto nel nostro ordinamento il relativo istituto, in attuazione della direttiva europea 2014/59/UE del 15 maggio 2014.

2. Per chiarezza, vanno quindi preliminarmente illustrati la genesi ed i contenuti della relativa disciplina, nei limiti di quanto rileva ai fini della decisione.

2.1 Come è noto, i fatti storici che hanno portato ad emanarla possono essere rintracciati nella cd crisi dei mutui subprime, che ha colpito a partire dal 2006 il sistema bancario e finanziario degli Stati Uniti d’America, a causa, in sintesi estrema, dell’ingente aumento di fidi concessi a clientela non in grado di offrire adeguate garanzie di restituzione; a causa dell’interconnessione dei sistemi finanziari su scala globale, la crisi si è infatti propagata all’area europea, ed ha reso necessaria una serie di interventi.

2.2 Per dato di comune esperienza, di fronte alla crisi di un’istituzione finanziaria, e in particolare di una banca, cui non si possa fare rimedio con i consueti meccanismi di mercato, in particolare con l’ingresso di nuovi soci, ovvero di nuovi capitali, le possibilità di intervento sono fondamentalmente due. In primo luogo, è possibile liquidare la banca in crisi, così come si farebbe per una qualunque impresa insolvente; si tratta però di una scelta difficile da praticare, perché potrebbe creare più problemi di quanti non ne vada a risolvere. Infatti, in questo modo viene a mancare la continuità di funzioni della banca in dissesto, e ciò causa quasi certamente, soprattutto se si tratta di un ente di grandi dimensioni, un pregiudizio all’economia in generale. L’alternativa è quindi l’intervento del potere pubblico, ovvero dello Stato, direttamente o per mezzo di soggetti che ad esso fanno capo, e che si fanno carico di fornire i capitali necessari a risolvere la crisi.

2.3 In ambito europeo, peraltro, l’intervento pubblico si scontra con l’ostacolo testuale rappresentato dall’art. 107 TFUE, che al comma 1 prevede “sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”. Il sostegno pubblico ad una banca in stato di crisi, all’evidenza, rientra nel concetto indicato. Va subito precisato che il divieto non è assoluto né insuperabile, dato che a norma dello stesso art. 107 TFUE possono essere autorizzati gli aiuti “destinati ad ovviare ai danni arrecati… da … eventi eccezionali”, ovvero “a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro”;, concetti in cui certamente rientra una crisi bancaria; l’autorizzazione va però accordata tenendo conto degli interessi coinvolti, che non si riducono ad un mero rispetto formale della norma.

2.4 Bisogna infatti tener presente che da un lato l’aiuto di Stato, come si è detto, può essere necessario a salvare il sistema economico in generale, dall’altro però potrebbe falsare il gioco della concorrenza, dato che gli enti più abili a propiziarselo potrebbero non essere le imprese più efficienti del mercato, e può incentivare il cosiddetto azzardo morale, ovvero la situazione in cui coloro i quali prendono decisioni economiche, come nel caso in esame le banche, nel momento in cui sanno che le conseguenze negative saranno sopportate da altri, sono propensi ad assumersi rischi maggiori di quanto normalmente farebbero. Ciò è ancora più grave quando si tratta di un intervento di salvataggio economico da parte dello Stato, in quanto i costi relativi si riflettono sul carico fiscale, e pertanto sono sostenuti da tutti i cittadini, anche da coloro i quali nessuna immaginabile responsabilità potrebbero avere per la crisi in atto.

2.5 A tali considerazioni ne va poi aggiunta una ulteriore: i mercati finanziari dell’Unione europea sono fortemente integrati e interconnessi, data la presenza su di essi di enti che operano ampiamente oltre i confini nazionali: il dissesto di uno solo di questi enti può quindi comprometterne la stabilità a danno non di uno solo, ma di diversi Stati membri. Da ciò, la necessità di affrontare il problema sulla corrispondente scala europea, attraverso procedure armonizzate in sede appunto di Unione.

2.6 In tale contesto, una risposta è stata trovata introducendo un principio che si può chiamare di condivisione, ovvero nella terminologia anglosassone di burden sharing (condivisione degli oneri) di cui all'art. 132 della Direttiva UE/2014/59 Bank Recovery and Resolution Directive sui dissesti di istituti bancari. In sintesi estrema, l’intervento dello Stato si considera legittimo solo quando rappresenti l’estrema possibilità, dopo che il sacrificio degli interessi dei soggetti interni alla banca in crisi non è stato sufficiente a risolverla. Ciò comporta, nel dettaglio, che prima di autorizzare l’intervento statale devono essere azzerati prima di tutto le partecipazioni degli azionisti, poi i crediti degli obbligazionisti, a cominciare da quelli dei portatori di obbligazioni subordinate, nonché i crediti dei depositanti, per la parte eccedente una data giacenza massima nei depositi stessi, che presuntivamente si ritiene superiore alle normali esigenze di cassa di un privato o di un’azienda, e quindi, sempre presuntivamente, denota accettazione di uno specifico rischio di insolvenza dell’ente depositario. Per indicare nel suo complesso tale meccanismo di condivisione, si utilizza comunemente il termine “bail in” (cd. salvataggio interno o dall'interno, per risolvere una crisi bancaria tramite gli azionisti, obbligazionisti, correntisti dell’istituto interessato), anche se, come si vedrà, nella normativa esso ha un significato più specifico.

2.7 In base a tale principio, sono stati emanati una serie di atti dell’Unione. Anzitutto la Commissione, con una serie di comunicazioni, ultima fra esse quella del 1° agosto 2013, ha affermato di poter autorizzare un aiuto di Stato ad una banca in crisi a condizione appunto di condivisione dei relativi oneri con azionisti e creditori obbligazionari. Successivamente, con la direttiva 2015/59/UE del Parlamento e del Consiglio si è inteso istituire per tutti gli Stati membri un comune “quadro di risanamento e di risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento”. E’ in base alla direttiva che è stato emanato il d. lgs. 180/2016, che ha introdotto per quanto qui interessa nel nostro ordinamento l’istituto della risoluzione, e al quale ci si riferisce in prosieguo, dato che le norme relative sono conformi alla direttiva stessa.

2.8 Secondo il d. lgs. 180/2016, i presupposti per un intervento di risoluzione sono quelli indicati dall’art. 17 comma 1, e quindi si verificano se una banca è in uno stato di “dissesto” o di “rischio di dissesto” cui non si può ovviare con strumenti ordinari, in particolare con l’intervento di privati o con l’amministrazione straordinaria. A sua volta, il dissesto e il rischio di esso sono integrati in presenza di una o più delle situazioni descritte all’art. 17 comma 2, ovvero in presenza di irregolarità amministrative o violazioni di norme “di gravità tale che giustificherebbero la revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività”; di “perdite patrimoniali di eccezionale gravità, tali da privare la banca dell'intero patrimonio o di un importo significativo del patrimonio”, di attività inferiori alle passività, di impossibilità di pagare i debiti a scadenza, di elementi oggettivi che rendono probabile il verificarsi di tali situazioni, ovvero infine di necessità del sostegno finanziario pubblico.

2.9 In presenza di tali presupposti, ai sensi del successivo art. 20, l’autorità competente, ovvero la Banca d’Italia, procede anzitutto alla “riduzione o conversione di azioni, di altre partecipazioni e di strumenti di capitale emessi dalla banca”, operazione denominata solitamente “write down” (riduzione del valore contabile), e se ciò non è sufficiente a rimediare al dissesto, alla risoluzione vera e propria, ovvero alla liquidazione coatta amministrativa; in particolare procede alla risoluzione quando essa è necessaria e proporzionata per conseguire gli obiettivi propri di essa, e la “liquidazione coatta amministrativa non consentirebbe di realizzare questi obiettivi nella stessa misura”. Gli obiettivi della risoluzione sono poi dettagliati nel successivo art. 21, e consistono nella “continuità delle funzioni essenziali” del sistema bancario, nella “stabilità finanziaria”, nel “contenimento degli oneri a carico delle finanze pubbliche” e “tutela dei depositanti e degli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, nonché dei fondi e delle altre attività della clientela”, ovvero nella protezione degli interessi di cui si è detto sopra.

2.10 La risoluzione avviene poi nel rispetto dei principi dell’art. 22, fra i quali rilevano nel caso presente quello stabilito dalle lettere da a) a d): in sintesi, le perdite “sono subite dagli azionisti e dai creditori”, nell’ordine derivante dalla loro posizione concorsuale; “nessun azionista e creditore subisce perdite maggiori di quelle che subirebbe se l'ente sottoposto a risoluzione fosse liquidato” secondo una procedura concorsuale, mentre “i depositi protetti non subiscono perdite”.

2.11 In concreto, la risoluzione della banca avviene, ai sensi dell’art. 20, secondo quanto previsto dal successivo capo III: in sintesi estrema, la Banca d’Italia, quale autorità competente, deve provvedere, ai sensi dell’art. 32, a predisporre un programma, in cui dettaglia le misure da prendere, che sono quelle previste dall’art. 39, ovvero da un lato la cessione di beni e rapporti giuridici a un soggetto terzo, ad un ente ponte ovvero ad una società veicolo per la loro gestione, dall’altro lato il bail in propriamente detto, previsto dagli artt. 48 e ss. In altre parole, la risoluzione comporta, in termini economici, che i cespiti della banca in crisi che mantengono un valore vengano ceduti ad un terzo, se necessario per tramite di un ente ponte, che ne rimane titolare in via temporanea, salvando il relativo valore, e che i cespiti deteriorati vengano eliminati dal bilancio mediante, a loro volta, cessione ad una società veicolo, talora denominata “bad bank” (veicolo societario in cui far confluire gli asset “tossici” di una banca), che ne realizza in tempi compatibili l’eventuale valore residuo in modo da non ostacolare il recupero delle parti sane dell’impresa; in tale contesto può o non può inserirsi il bail in vero e proprio, mediante riduzione del valore nominale delle passività non escluse dalla legge, e quindi taglio dei depositi per la parte eccedente l’ammontare coperto dal fondo di garanzia.

2.12 A tutte queste misure, come si ricava ad un’attenta lettura delle norme, e in particolare dell’art. 27, se ne accompagna un’altra, ovvero il write down, che ai sensi della lettera b) dell’articolo citato “in combinazione con un'azione di risoluzione, quando il programma di risoluzione … prevede misure che comportano per azionisti e creditori la riduzione di valore dei loro diritti o la conversione in capitale”. Il write down quindi può essere applicato in due modi, o come misura autonoma, o come parte di un programma di risoluzione, e si vedrà che è quanto avvenuto nella specie.

3 Tutto ciò chiarito, si può proseguire nell’illustrare in sintesi i fatti di causa: con i provvedimenti meglio indicati in epigrafe, emessi il giorno 21 novembre 2015 e approvati dal MEF il successivo 22 novembre 2015, la Banca d’Italia ha disposto la risoluzione degli istituti di credito controinteressati appellati, a causa del ritenuto stato di dissesto in cui essi si trovavano, ai sensi dell’art. 32 del d.lgs. 180/2016; con i successivi provvedimenti, sempre indicati in epigrafe, ha poi disposto le misure che seguono: in primo luogo, ha disposto la riduzione integrale del valore delle riserve e delle azioni; in secondo luogo, ha disposto l’azzeramento del valore nominale degli “elementi di classe 2 computabili nei fondi propri”, ovvero in sintesi di parte delle obbligazioni subordinate; ha disposto poi la cessione dei crediti in sofferenza ad un’unica apposita società veicolo, la permanenza delle residue obbligazioni subordinate nel patrimonio dell’istituto originario in liquidazione e la cessione delle relative aziende, così risanate dalle passività, a distinti enti ponte, incaricati di cederle successivamente sul mercato; ha finanziato infine le necessarie ricapitalizzazioni con l’intervento del Fondo di risoluzione, un fondo di scopo istituito con l’art. 78 del d.lgs. 180/2016 e finanziato con i contributi obbligatori dall’articolo stesso previsti a carico delle banche operanti nel nostro Paese.

4 La Commissione europea, con atto sempre del 22 novembre 2015, ha giudicato il programma compatibile con la disciplina degli aiuti di Stato come sopra ricostruita.

5 Gli enti ponte di cui si è detto sono stati istituiti con il decreto legge non convertito 22 novembre 2015 n.183, i cui effetti sono stati comunque stati fatti salvi dal comma 854 della l. 28 dicembre 2015 n.208, e si identificano con le società per azioni denominate “Nuova cassa” ovvero “Nuova banca”, a loro volta controinteressate appellate in questo processo. Per completezza, si ricorda quanto è notorio, ovvero che il 10 maggio 2017 tali società hanno cessato le loro funzioni di “ente ponte”, poiché sono state ceduta ad altri gruppo bancari, nel cui ambito oggi proseguono l’attività.

6 A fronte di ciò, i soggetti di cui ora si dirà hanno proposto il ricorso in esame.

6.1 Il primo dei ricorrenti appellanti è una nota associazione dei consumatori, iscritta nello speciale elenco delle associazioni di categoria rappresentative a livello nazionale di cui all’art. 137 del Codice del consumo, d.lgs. 6 settembre 2005 n.206 (doc. 2 ricorrente appellante, decreto relativo all’iscrizione), associazione la quale ha come fine statutario quello di proteggere, anche attraverso azioni in giudizio, i diritti e gli interessi dei consumatori e dei risparmiatori: esplicito in tal senso lo statuto (doc. 5 ricorrente appellante) ove all’art. 2 comma 2 si legge che “ L'associazione ha quale sua esclusiva finalità quella di tutelare con ogni mezzo legittimo, ivi compreso il ricorso allo strumento giudiziario, i diritti e gli interessi dei consumatori ed utenti”; sul punto si esprime anche la sentenza impugnata, a p. 25 § 13 della motivazione e si tratta comunque di fatti storici non contestati.

6.2 Gli ulteriori ricorrenti appellanti sono poi singoli risparmiatori già titolari di azioni, ovvero di obbligazioni anche subordinate emesse dagli istituti di credito in questione, titoli il cui valore è stato azzerato dall’operazione appena descritte: la qualità di azionista ovvero obbligazionista di ciascuno è esposta nell’intestazione dell’appello, e anche in questo caso non è contestata come fatto storico; si veda sul punto anche la sentenza impugnata, sempre a p. 25 § 13 della motivazione.

6.3 Tali soggetti, ciascuno per la propria qualità, hanno quindi impugnato tutti gli atti indicati in epigrafe, con i quali l’operazione stessa è stata attuata, in quanto pregiudizievoli del loro interesse statutario ovvero economico personale, ed hanno contestualmente chiesto la condanna della Banca d’Italia e della Consob al risarcimento del danno per asserita omessa vigilanza sui soggetti che alla risoluzione sono stati sottoposti.

7. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha dichiarato l’estromissione dal processo della Consob per ritenuto difetto di legittimazione passiva; ha poi dichiarato inammissibile il ricorso per quanto riguarda la posizione dell’associazione, ritenendola non legittimata a proporlo; lo ha invece respinto nel merito quanto alla posizione dei singoli risparmiatori, ritenendo in sintesi estrema che l’operazione fosse stata legittimamente attuata.

8. Sia l’associazione, sia i singoli risparmiatori hanno impugnato questa sentenza, con appello che contiene otto motivi, volti anzitutto, con il primo motivo, a contestare il capo della sentenza che ha dichiarato il difetto di legittimazione dell’associazione stessa; volti poi a contestare il capo che ha pronunciato l’estromissione della Consob dal processo, nonché il capo che ha respinto la domanda nel merito.

9. Con memoria 13 novembre 2018, gli appellanti hanno ribadito le loro asserite ragioni.

10. Hanno resistito gli enti ponte indicati in epigrafe, ad eccezione della Nuova Cassa di risparmio di Ferrara, con atti 13 giugno 2017, memorie 13 novembre e repliche 16 novembre 2018; la Consob, con atto 8 novembre 2017, memoria 13 novembre e replica 16 novembre 2018; la Banca d’Italia, con atto 8 novembre 2017, memoria 8 novembre e replica 15 novembre 2018; infine la Presidenza del Consiglio e i Ministeri, con memoria 15 novembre 2018, ed hanno chiesto tutti la reiezione dell’appello.

11. Alla pubblica udienza del giorno 29 novembre 2018, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione e lo ha rinviato alle successive camere di consiglio dei giorni 7 febbraio 2019 e 26 settembre 2019.

12. Il primo motivo dell’appello proposto, inteso come si è detto ad affermare la legittimazione ad agire dell’associazione, che la sentenza di I grado nega, propone una questione di diritto, per la cui risoluzione è necessaria, ad avviso del Collegio, la rimessione all’Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99 c.p.a. sia perché si tratta di una questione di particolare importanza, sia perché in proposito vi è contrasto fra le varie Sezioni di questo Giudice.

13. Sempre per chiarezza, va ricordato che l’interesse che l’associazione ricorrente appellante fa valere rientra fra i cosiddetti interessi diffusi: per la precisione è rappresentato dall’interesse, proprio della generalità dei risparmiatori, e non di questa o quella singola persona, a che sul mercato finanziario agiscano operatori corretti e trasparenti nelle scelte di investimento che offrono al pubblico.

14. Ciò posto, la sentenza di I grado ha ritenuto inammissibile il ricorso, e ritenuto quindi che l’associazione non fosse legittimata a proporlo, facendo nella sostanza proprio per intero l’ordine di idee espresso nella sentenza della Sezione 21 luglio 2016 n.3303, che ora pertanto va riassunto.

14.1 Secondo la sentenza, citata, nell’attuale ordinamento non sarebbe più in vigore la regola di origine giurisprudenziale del cd. doppio binario, secondo la quale gli enti collettivi, e in primo luogo le associazioni, ove possano dimostrare di rispondere a determinati requisiti, sui quali ci si soffermerà, sono legittimate di per sé, ovvero a prescindere e in aggiunta rispetto a quanto previsto da specifiche disposizioni di legge, ad impugnare avanti il Giudice amministrativo i provvedimenti che ritengano lesivi degli interessi diffusi che fanno capo agli associati da loro rappresentati, dei quali si configurano come ente esponenziale. Tale regola sarebbe stata sostituita da un principio di tassatività, per cui la legittimazione degli enti esponenziali è eccezionale, e sussiste nei soli casi espressamente previsti dalla legge, fra i quali non rientrerebbe quello in esame.

14.2 Sul primo punto, la sentenza osserva che la teoria tradizionale, secondo la quale “l'interesse diffuso si trasforma in interesse collettivo e, quindi, in interesse legittimo azionabile "soggettivandosi" in capo all'ente esponenziale costituito per la tutela degli interessi comuni del gruppo” è sorta negli anni Settanta del secolo scorso, periodo nel quale sono emerse esigenze di tutela di beni collettivi e indivisibili, primo fra tutti l’ambiente, che non si potevano soddisfare con azioni individuali.

14.3 Tale teoria però sarebbe stata successivamente superata, ad opera di una “progressiva istituzionalizzazione” della tutela, ovvero da una serie di interventi del legislatore che hanno previsto in modo espresso la legittimazione delle associazioni, di solito di quelle iscritte in appositi elenchi, a proporre determinate azioni. La sentenza in esame fa gli esempi dell'articolo 18, comma 5, della l. 8 luglio 1986 n. 349, che consente alle associazioni ambientaliste individuate in base all'art. 13 di "intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi"; dell'art. 1, comma 4, del d.lgs. 20 dicembre 2009, n. 198, che consente espressamente alle associazioni di categoria di proporre un ricorso per l'efficienza delle amministrazioni pubbliche e dei concessionari di pubblici servizi; degli artt. 140 e 140-bis del citato d.lgs. n. 206/2005, che consentono alle associazioni dei consumatori di agire per ottenere l'inibitoria di comportamenti lesivi ovvero di proporre la cd azione di classe, per il risarcimento del danno derivante dalla lesione dei diritti individuali e omogenei dei diritti dei consumatori, nonché dell'art. 32-bis del d.lgs. 58/1998, di cui fra poco

14.4 Sempre secondo la sentenza impugnata, tali interventi legislativi avrebbero prodotto il risultato di superare la regola giurisprudenziale della legittimazione riconosciuta in via generale agli enti esponenziali in favore della regola restrittiva di cui si è detto, per cui la legittimazione degli enti esponenziali sarebbe eccezionale, e richiederebbe una specifica disposizione che la consente, anche come conseguenza del principio generalissimo del diritto processuale civile, per cui ai sensi dell’art. 81 c.p.c. "fuori dai casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui".

14.5 Sul secondo punto, la sentenza osserva quanto al caso di specie che una simile norma, che preveda la legittimazione, non esisterebbe. In generale, in materia di tutela degli interessi collettivi dei risparmiatori, dispone il già citato art. 32-bis del d.lgs. 58/1998, per cui : "Le associazioni dei consumatori” inserite nell'elenco di cui all’articolo 137 del Codice del consumo, “sono legittimate ad agire per la tutela degli interessi collettivi degli investitori, connessi alla prestazione di servizi e attività di investimento e di servizi accessori e di gestione collettiva del risparmio, nelle forme previste dagli articoli 139 e 140 del predetto decreto legislativo", ovvero del Codice del consumo stesso. Gli articoli in questione, però, prevedono esclusivamente azioni inibitorie, esperibili avanti il Giudice ordinario, e non contemplano l’azione di annullamento del provvedimento amministrativo. Sempre la sentenza osserva che tale azione non è prevista a favore delle associazioni nemmeno nel pure citato d.lgs. 198/2009, che prevede un ricorso per l’efficienza delle amministrazioni, ma non consente alle associazioni di consumatori di impugnare alcun provvedimento amministrativo.

14.6 La stessa conclusione di principio, se pure in termini molto più sintetici, è contenuta in ulteriori sentenze di altre Sezioni di questo Giudice, in particolare nelle sentenze sez. IV 28 maggio 2012 n.3137 e 16 giugno 2011 n.3662, secondo le quali in sintesi andrebbe in generale – anche se nello specifico si trattava di una controversia in materia ambientale- esclusa la possibilità di attribuire una legittimazione di fatto a qualsiasi soggetto collettivo il quale possa dimostrare di possedere determinati requisiti di rappresentatività, ovvero di radicamento sul territorio.

15. Il Collegio, viceversa, ritiene tuttora sostenibile l’ordinamento tradizionale, espresso per tutte da C.d.S. sez. V 12 marzo 2019 n.1640 e sez. V 15 luglio 2013 n.3808, secondo il quale la legittimazione a proporre ricorso oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge sussisterebbe in capo a tutte le associazioni, anche se sprovviste di legittimazione legale, che rispondano a determinati criteri, costituiti all’effettivo e non occasionale impegno a favore della tutela di determinati interessi diffusi o superindividuali, dall’esistenza di una previsione statutaria che qualifichi detta protezione come compito istituzionale dell'associazione, e dalla rispondenza del paventato pregiudizio agli interessi giuridici protetti posti al centro principale dell'attività dell'associazione. Si osserva che tale indirizzo appare più consono ai valori espressi dalla Carta costituzionale, anzitutto in termini generici perché nel momento in cui, con l’art. 18, si riconosce la libertà di associazione, fra due possibili interpretazioni di una norma è preferibile quella che amplia, e non quella che restringe, le possibilità di azione dell’associazione stessa. Si osserva ancora che, ragionando nei termini opposti, propri dell’indirizzo restrittivo di cui si è detto, si rischierebbe, in ultima analisi, di rimettere alla discrezionalità del legislatore ordinario la tutela in giudizio di interessi di notevole peso e valore sociale, con evidente limitazione dell’effettività della tutela garantita dall’art. 24 Cost. Gli interessi coinvolti, infatti, riguardano settori come l’ambiente, la salute, ovvero, come in questo caso, la stabilità dei mercati finanziari, che i singoli potrebbero proteggere solo agendo in forma associata, con una modalità che del resto è pienamente consona allo spirito dell’art. 2 Cost, che riconosce e garantisce le “formazioni sociali” come luogo in cui la personalità dei singoli va a manifestarsi

16. La questione è ovviamente rilevante ai fini della decisione, perché la scelta della tesi restrittiva porterebbe a confermare senz’altro sul punto la decisione di I grado, mentre la tesi tradizionale, secondo ragione, porterebbe a riformarla se non altro quanto alla motivazione, perché occorrerebbe verificare in concreto se l’associazione ricorrente appellante possieda i richiesti requisiti di rappresentatività che ne fonderebbero la legittimazione, in caso positivo ritenere senz’altro ammissibile il ricorso e solo in caso negativo ritenerlo comunque inammissibile, ma per ragioni relative al caso concreto e non alla questione di principio.

17. Alla luce del contrasto giurisprudenziale fra le Sezioni, che sussiste per quanto si è detto, dato che la tesi restrittiva è stata fatta propria anche da Sezioni diverse, e della sua particolare importanza, la questione, rilevante per quel che si è detto ai fini della decisione dell’appello in esame, va deferita all’Adunanza plenaria ai sensi dell’art. 99 c.p.a., che deciderà ai sensi del comma 4 dello stesso art. 99.

18. Spese al definitivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), non definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe indicato (ricorso n.2885/2017 R.G.), lo rimette all’esame dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99 c.p.a.

Spese al definitivo.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 29 novembre 2018, 7 febbraio 2019 e 26 settembre 2019, con l'intervento dei magistrati:

Sergio Santoro, Presidente

Silvestro Maria Russo, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore