Considerazioni a margine della sentenza del Consiglio di Stato, Ad. Plen., 3 settembre 2019, n. 9

1. Premessa 2. Quadro normativo rilevante 3. La vicenda contenziosa da cui trae origine la sentenza in esame  4. La sentenza dell’Adunanza Plenaria  5. Considerazioni a margine della pronuncia dell’Adunanza Plenaria

1. Premessa

Con la sentenza in commento l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si è pronunciata sul tema della natura giuridica degli atti di accertamento del Gestore dei Servizi Energetici S.p.A. (di seguito, anche il “GSE” ovvero il “Gestore”) in ordine al rispetto, da parte dei produttori/importatori di energia prodotta da impianti alimentati da fonti “tradizionali” non rinnovabili (c.d. “energia non verde”), degli obblighi imposti dall’art. 11 del D. Lgs. 16 marzo 1999, n. 79 (di seguito “D.Lgs. n. 79/1999”), attuativo della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica[1].

Nello specifico, l’Adunanza Plenaria ha esaminato la questione relativa alla natura giuridica (paritetica o provvedimentale) degli atti con cui il GSE verifica di anno in anno il rispetto della c.d. “quota d’obbligo” da parte dei produttori o degli importatori di energia elettrica proveniente da fonte non rinnovabile.

2. Quadro normativo rilevante

Al fine di incentivare l’utilizzo di energie da fonti rinnovabili, il risparmio energetico e la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, l’art. 11 del D.Lgs. n. 79/1999 ha previsto, a decorrere dall’anno 2001, a carico dei produttori (ovvero importatori) di energia elettrica prodotta da impianti alimentati da fonti non rinnovabili, l’obbligo di immettere annualmente nel sistema elettrico nazionale una quota di elettricità da fonti rinnovabili (c.d. “quota d’obbligo”) ragguagliata al quantitativo di “energia non verde” prodotta dagli impianti e immessa nella rete elettrica nazionale. La “quota d’obbligo” dovuta in ciascuna annualità dai produttori/importatori può essere assolta mediante il meccanismo dei c.d. “certificati verdi”[2] acquistati da altri produttori o dal GSE. La quota d’obbligo è calcolata applicando un coefficiente percentuale alla quantità di energia elettrica da fonti tradizionali non rinnovabili effettivamente prodotta e immessa in rete nell’anno precedente (previa decurtazione di quanto consumato dall’impianto nel processo produttivo).

In altri termini, la quota d’obbligo è una sorta di ‘pegno’ che le società produttrici di energia da fonti non rinnovabili devono pagare per contribuire al perseguimento degli obiettivi generali di riduzione delle emissioni inquinanti. Le modalità di pagamento sono due: (i) immissione diretta nel sistema elettrico nazionale della quota d’obbligo; (ii) acquisto dei c.d. “certificati verdi” che vengono “annullati” dal GSE in un numero e per un valore complessivamente corrispondenti alla “quota d’obbligo”.

In tale contesto, il GSE accerta con cadenza annuale se il produttore di energia ‘non pulita’ abbia adempiuto al suo obbligo di versamento della quota d’obbligo. Nell’ipotesi in cui l’accertamento sia negativo, il produttore riceve la qualifica di ‘soggetto inadempiente’ ed è esposto all’irrogazione di sanzioni da parte dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (di seguito “ARERA”).

3. La vicenda contenziosa da cui trae origine la sentenza in esame

3.1. Il ricorso di primo grado

Con il ricorso di primo grado dinanzi al Tar Lazio, una società produttrice di energia da fonti non rinnovabili (di seguito “la società”) ha proposto domanda di accertamento del diritto alla ripetizione di quanto versato in eccesso per l’adempimento della propria “quota d’obbligo” (per un importo complessivo di € 45.304.076).

La ricorrente ha proposto l’azione di ripetizione nel 2013, in un momento successivo (di diversi anni) rispetto agli atti di accertamento con cui il GSE aveva calcolato la quota d’obbligo dovuta.

Le ragioni creditorie della società scaturivano da una (asserita) errata modalità di calcolo da parte del GSE dell’energia da fonti non rinnovabili prodotta dagli impianti, sulla cui base viene determinata, in applicazione di un coefficiente percentuale, la quota d’obbligo. Nella prospettazione della ricorrente, la base di calcolo avrebbe dovuto essere ragguagliata alla quota di energia da fonti non rinnovabili annualmente prodotta e immessa in rete, senza considerare la quota parte utilizzata per il funzionamento degli impianti (e non immessa in rete).

Il GSE, al contrario, aveva posto a base del proprio calcolo l’intera energia prodotta (quella immessa e quella auto-consumata). Questo aveva determinato una quantificazione ‘al rialzo’ della quota d’obbligo.

In questo contesto, una sentenza del Tar Lombardia del 2006, passata in giudicato, aveva già censurato la scelta del GSE di ragguagliare la quota d’obbligo sulla base di tutta l’energia prodotta (e non solo quella effettivamente messa in rete).  

Sulla base del precedente giurisprudenziale richiamato, la ricorrente ha richiesto al giudice di primo grado l’accertamento del diritto alla ripetizione dell’indebito versato nelle casse del GSE.

Con la sentenza n. 3252/2015, il Tar Lazio ha dichiarato inammissibile il ricorso sul rilievo della mancata tempestiva impugnazione delle “note di accertamento” con cui il GSE aveva determinato la quota d’obbligo per le annualità 2003-2008.

In altre parole, secondo il Tar Lazio, il GSE esercita un potere autoritativo che si conclude con l’adozione di un provvedimento amministrativo (le c.d. “note di accertamento”) di accertamento in ordine all’avvenuto rispetto o meno della quota d’obbligo. A fronte dell’esercizio di un potere autoritativo del GSE, il soggetto produttore di energia è titolare non di un diritto soggettivo, bensì di un interesse legittimo che può essere azionato solo nel rispetto dei termini decadenziali tipici dell’azione impugnatoria avverso i provvedimenti della p.a.

Nello specifico, il giudice di primo grado ha ritenuto che l’esplicarsi del procedimento di verifica azionato dal GSE ex art. 11, quinto comma, del D. Lgs. n. 79/1999, sia inequivocabilmente sintomatico dell’esercizio di un potere amministrativo preordinato all’adozione di un provvedimento autoritativo di accertamento e al perseguimento di preminenti interessi pubblici in materia di produzione energetica da fonti rinnovabili. Di qui l’applicazione del termine di impugnazione dei 60 giorni e la conseguente inammissibilità in rito dell’azione proposta.

3.2. Il ricorso in appello

Con il ricorso in appello, la società ha richiesto l’annullamento della sentenza di primo grado e riproposto la domanda di ripetizione dell’indebito versato[3].

Aspetto centrale della controversia, anche in secondo grado, è stato la definizione della natura giuridica (“provvedimentale” o “paritetica”) delle “note di accertamento” adottate dal GSE nell’ambito del procedimento di verifica di cui all’art. 11, quinto comma, del D. Lgs. n. 79/1999.

Con l’ordinanza 25 marzo 2019, n. 1934, la IV sezione del Consiglio di Stato - rilevata la possibilità di contrasti giurisprudenziali - ha ritenuto opportuno rimettere all’esame dell’Adunanza plenaria la questione di diritto relativa alla natura (autoritativa o paritetica) del procedimento di verifica azionato dal Gestore per la definizione della “quota d’obbligo” prevista dall’art. 11 del d.lgs. n. 79 del 1999.

4. La sentenza dell’Adunanza Plenaria

4.1. Breve sintesi delle considerazioni preliminari dell’Adunanza Plenaria

Nelle considerazioni svolte dall’Adunanza Plenaria, il procedimento di accertamento attivato dal GSE per verificare l’adempimento o meno della quota d’obbligo è diretto al perseguimento di un “interesse della collettività alla graduale riduzione della componente di anidride carbonica presente nell’atmosfera e corrisponde al superiore interesse a verificarne la concreta osservanza da parte dello Stato … ne viene che il compito di verifica affidato al GSE si risolve in una eminente funzione amministrativa di controllo sull’attività economica privata (…) In tale contesto, l’adempimento della quota d’obbligo (…) si atteggia alla stregua di prestazione patrimoniale imposta (art. 23 Cost.) la cui previsione a livello di normazione primaria (art. 11 del d.lgs. n. 79/99) soddisfa il requisito costituzionale della riserva relativa di legge”.

Poste queste premesse, l’Adunanza Plenaria ha smentito l’impostazione assunta dal Tar Lazio che, come visto, conferiva alle note di accertamento natura provvedimentale sulla scorta di un’unica considerazione: la necessità per il GSE di strutturare l’accertamento dell’adempimento della quota d’obbligo secondo le fasi tipiche di un procedimento amministrativo. In altri termini, l’Adunanza Plenaria non ha seguito l’equazione: procedimento amministrativo = atto finale con natura provvedimentale.

L’Adunanza Plenaria ha sviluppato la propria riflessione in tre passaggi successivi:

(i) in primo luogo, ha inquadrato il GSE come soggetto privato che svolge funzioni pubbliche conferitegli dalla legge;

(ii) in secondo luogo, ha qualificato l’attività di vigilanza del GSE in ordine alla verifica dell’adempimento o meno della quota d’obbligo come una “eminente funzione amministrativa di controllo sull’attività economica privata”;

(iii) in terzo luogo, ha constatato che tale funzione di controllo, in osservanza del generale principio di legalità alla base dell’esercizio di poteri autoritativi della p.a., trova una specifica copertura normativa che sancisce l’obbligo di corresponsione della quota d’obbligo e procedimentalizza l’attività di indagine sull’adempimento o meno dell’obbligazione coattiva.

In altri termini, l’Adunanza Plenaria ha individuato gli elementi tipici e ricorrenti dell’esercizio di un potere autoritativo o, per usare le stesse parole del Collegio, “dell’esercizio procedimentalizzato di eminenti funzioni amministrative di controllo”.

In tale contesto, il Collegio non è arrivato alla conclusione di qualificare l’attività di controllo svolta dal GSE in materia come tout court autoritativa e ha introdotto un alquanto inaspettata (per lo sviluppo argomentativo fin lì seguito) distinzione tra accertamento dello stato di inadempienza e accertamento dell’avvenuto adempimento della quota d’obbligo.

In sintesi, secondo l’Adunanza Plenaria, il primo costituisce un atto provvedimentale; il secondo è un mero atto paritetico.

4.2. L’accertamento dello stato di inadempienza

 La tesi dell’Adunanza Plenaria è “che il potere del GSE di accertare unilateralmente e definitivamente (in via amministrativa) lo stato (eventuale) di inadempienza degli operatori economici rispetto al ridetto obbligo di legge non possa che manifestarsi attraverso la forma ed i contenuti propri dell’attività amministrativa”.

Tale conclusione è supportata in primo luogo dalla capacità dell’atto di accertamento del GSE di assumere carattere definitivo.

In particolare, secondo l’Adunanza Plenaria, la prerogativa assegnata al GSE di accertare in via definitiva l’inadempimento agli obblighi in ordine al rispetto della quota d’obbligo costituisce l’esercizio di un potere amministrativo. In tale contesto, l’elemento sintomatico dell’esercizio di un potere (e non di una mera funzione paritetica) è ravvisato nella capacità che il GSE ha non di semplicemente prendere atto di un inadempimento, ma di farlo in modo definitivo, irrevocabile e “suscettibile di rilevare ex se ai fini della applicazione di ulteriori provvedimenti a carattere sanzionatorio”.

In buona sostanza, il potere amministrativo risiede nella capacità attribuita al GSE di “unilateralmente e con carattere di autonomia rispetto ad altre autorità amministrative suggellare il definitivo accertamento della inadempienza di un operatore economico”. In quest’ottica, l’accertamento compiuto dal GSE, lungi dall’essere una mera presa d’atto di una situazione di inadempienza, costituisce un atto che incide in maniera diretta e lesiva nei confronti del suo destinatario. Lo pone, infatti, nella posizione di “soggetto inadempiente” e lo espone all’avvio di procedimenti sanzionatori da parte di altre e diverse autorità.

Assumendo la prospettiva del soggetto destinatario del provvedimento, questi non vanta nei confronti del GSE una posizione di diritto soggettivo perfetto, bensì un interesse legittimo alla stregua di chiunque sia sottoposto all’esercizio di un potere autoritativo della p.a.

In secondo luogo, l’Adunanza Plenaria ha messo in rilievo lo stretto nesso di correlazione esistente tra l’atto di accertamento definitivo dell’inadempienza della parte privata e i meccanismi di riparazione che dall’accertamento della definitiva inadempienza derivano, rappresentati in particolare dall’applicazione delle sanzioni pecuniarie da parte dell’ARERA. In tale contesto, sarebbe illogico differenziare la natura giuridica dell’accertamento (che è l’atto presupposto) da quella (pacificamente amministrativa) dei provvedimenti successivi (sanzionatori e non). Secondo la pronuncia in commento “non sarebbe infatti coerente con il sistema suindicato che il provvedimento sanzionatorio, di sicura matrice provvedimentale, avesse a presupposto un atto di autonomo e insuperabile accertamento della inadempienza potenzialmente cedevole, nel quinquennio, sotto la scure giurisprudenziale”.

Poste queste premesse, un soggetto che abbia subito un accertamento di inadempienza basato sulla vecchia modalità di calcolo della quota d’obbligo (considerata ormai pacificamente erronea) rimarrà privo di mezzi di tutela giuridica, essendo decorsi i termini decadenziali per l’impugnazione dei provvedimenti che hanno, ancorché in maniera errata, certificato il suo stato di inadempienza.

4.3. L’accertamento dell’avvenuto adempimento

Nella diversa ipotesi in cui il controllo del GSE sul rispetto della “quota d’obbligo” abbia dato esito positivo, invece, “… non vi è alcuna incisione nella posizione giuridica del soggetto obbligato, né sussiste alcuna determinazione sfavorevole correlata … all’accertamento dello stato di inadempienza dell’operatore economico in funzione propedeutica al procedimento sanzionatorio”.

In altri termini, l’atto di accertamento positivo del GSE ha natura paritetica.

In tale circostanza, che ricorre nella controversia oggetto di causa, l’impresa sottoposta a verifica conclusasi con un provvedimento di accertamento positivo da parte del GSE può sempre far valere, nel rispetto del termine prescrizionale del diritto, la pretesa restitutoria del quantum asseritamente versato in eccesso davanti al giudice amministrativo, stante la mancata applicazione del termine di decadenza dell’azione impugnatoria trattandosi di una (mera) controversia di natura patrimoniale.

4.4. Breve quadro riassuntivo dei contenuti della sentenza

In definitiva, secondo l’impostazione assunta dall’Adunanza Plenaria, gli atti di verifica del GSE in ordine al rispetto della “quota d’obbligo” da parte dei produttori/importatori di energia prodotta da fonti non rinnovabili assumono una natura “duale” (“provvedimentale” o “paritetica”) in funzione degli esiti – rispettivamente negativi ovvero positivi – dell’accertamento propedeutico (o meno) al procedimento sanzionatorio.

Ad ogni buon conto, in entrambe le fattispecie, la scelta del legislatore è quella di affidare alla competenza esclusiva del giudice amministrativo la giurisdizione della materia, sia nel caso in cui la parte privata sia titolare di un interesse legittimo sia in quello in cui si controverta di diritti soggettivi di natura patrimoniale.

5. Considerazioni a margine della pronuncia dell’Adunanza Plenaria

Sui contenuti della sentenza dell’Adunanza Plenaria si possono svolgere una serie di considerazioni finalizzate, anche, a porre in evidenza alcuni profili che probabilmente saranno oggetto di future valutazioni e commenti da parte della prossima dottrina e giurisprudenza in materia di teoria generale del diritto amministrativo.

In primo luogo, si reputa che oggetto di futuro approfondimento potrà essere il principio secondo cui l’esercizio di una medesima funzione assuma una natura diversa a seconda del suo esito finale: se l’esito è negativo nel senso di accertare l’inadempienza, il GSE adempie ad una funzione autoritativa e provvedimentale; in caso di esito positivo, il GSE è in rapporti paritetici con il privato.

Il descritto principio trova le sue basi teoriche e dogmatiche nell’esplicita adesione dell’Adunanza Plenaria alla c.d. ‘teoria della degradazione’. Secondo questa teoria l’interesse legittimo altro non è che un diritto soggettivo degradato o affievolito per l’effetto dell’esercizio del potere autoritativo della p.a. nelle forme del provvedimento. In quest’ottica, l’interesse legittimo è il risultato del provvedimento amministrativo che riconfigura e trasforma il diritto soggettivo su cui va ad incidere. Del resto, l’Adunanza Plenaria individua la distinzione tra gli atti del GSE che accertano l’avvenuto adempimento da quelli di accertamento dell’inadempienza, proprio nella incapacità dei primi di “degradare i diritti soggettivi incisi, che restano integri ed azionabili pertanto nei tradizionali termini prescrizionali”.

La teoria della degradazione è stata sostenuta da autorevoli teorici del diritto amministrativo[4]. D’altronde la medesima teoria non ha convinto altra parte della dottrina[5] sulla scorta della considerazione per cui l’interesse legittimo ha uno statuto pieno di autonoma posizione giuridica soggettiva e non costituisce un ‘derivato’ del diritto soggettivo.

In altri termini, l’interesse legittimo preesiste al provvedimento amministrativo (che può soddisfarlo o lederlo) e rappresenta l’interesse al mantenimento o all’ottenimento di un certo bene della vita che è mediato dall’esercizio di un potere autoritativo della p.a.[6]

Calando i principi brevemente tratteggiati nel caso di specie, l’Adunanza Plenaria ha ritenuto di ricollegare ad una funzione di mero accertamento dell’esistenza di un credito in capo al GSE l’esercizio di un potere autoritativo.

In questo contesto, l’aggancio operato dall’Adunanza Plenaria della funzione di accertamento del GSE a quella dell’applicazione di sanzioni pecuniarie da parte dell’ARERA, per giustificare sulla scorta di quest’intima connessione l’esercizio di un complessivo potere amministrativo (ripartito tra due soggetti distinti), potrebbe lasciare aperti dei margini di criticità. Sul punto, infatti, si consideri la giurisprudenza che qualifica la posizione del soggetto che si opponga ad una sanzione amministrativa pecuniaria come “l'esercizio di una posizione giuridica avente consistenza di diritto soggettivo, ad opera di chi deduce di essere stato sottoposto a sanzione in casi e modi non stabiliti dalla legge[7].

Seguendo, dunque, l’impostazione del giudice di Piazza Cavour, se sussiste un diritto soggettivo ‘a valle’, a ragione sussisterebbe un diritto soggettivo ‘a monte’, al momento dell’accertamento del fatto dell’inadempimento.

Fermo quanto sopra, seguendo la prospettiva duale delineata dall’Adunanza Plenaria, le tutele del privato si strutturerebbero nei termini che seguono:

(i) se un produttore di energia ha pagato fin dall’origine più del dovuto, avrà la possibilità di promuovere un’azione restitutoria per ottenere quanto indebitamente versato (il caso della ricorrente);

(ii) se, invece, un soggetto ha adempiuto ad un pagamento superiore rispetto a quello dovuto a seguito di un atto di accertamento non opposto, non avrà strumenti per tutelare la propria posizione giuridica, ancorché lesa allo stesso modo della prima ipotesi.

In definitiva, ancorché nel caso di specie la pronuncia in commento abbia avuto come effetto (reale) quello di sancire (e garantire) l’esperibilità di un’azione restitutoria per la società ricorrente in difformità da quanto statuito in primo grado dal Tar, la stessa lascia ancora aperti profili applicativi dei principi dettati che starà alle prossime dottrina e giurisprudenza mettere a fuoco.       


[1] Il D. Lgs. n. 79/1999 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 75 del 31 marzo 1999, ed esso, nel recepire nell’ordinamento italiano la direttiva europea 96/92/CE, ha profondamente rinnovato la disciplina del settore elettrico nazionale, introducendo elementi di liberalizzazione in diversi segmenti di mercato. L’art. 11 del D. Lgs. n. 79/1999, ha fissato nuovi meccanismi di incentivazione della produzione di energia prodotta da fonti rinnovabili basati su regole di mercato più confacenti al contesto di liberalizzazione.

[2] Il meccanismo dei c.d. “certificati verdi” costituisce una forma di incentivazione della produzione di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e prevede l’annullamento da parte del Gestore di un numero di certificati corrispondente alla “quota d’obbligo” calcolata sulla produzione energetica dell’annualità precedente.

[3] Il GSE si è costituito in giudizio per contestare la fondatezza dell’appello e chiederne il rigetto. Si è, altresì, costituita l'Autorità di Regolazione per l’Energia Reti e Ambiente (“ARERA”) chiedendo la reiezione del gravame e la conferma della sentenza impugnata.

 

[4] Cfr. U. Forti, Diritto amministrativo. Parte generale, vol. I, Napoli, 1931, 170; G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, vol. I, Milano, 1954, 189.

[5] Cfr. A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2016, 75 – 77.

[6] Cfr. G. Falcon, Lezioni di diritto amministrativo, Padova, 2013, 78 – 81.

[7] Cfr. Corte di Cassazione, SS.UU., 21 settembre 2018, n. 22426.